CAPITOLO DICIOTTESIMO: SIMILITUDINI.

Bastò inarcare un sopracciglio, a Shaka della Vergine, per generare un ventaglio di luce abbagliante con cui scaraventò Iemisch e Sakis contro il muro di confine, stampando i loro corpi sulla pietra grezza. Non disse niente, limitandosi a restare sospeso in aria sopra Angkor Wat, nella sua posa meditativa e con gli occhi chiusi. Iemisch, la Tigre d’Acqua, fu il primo a rimettersi in piedi, gettando via l’elmo in frantumi e ringhiando contro il Cavaliere d’Oro.

"Maledizione!!! Com’è possibile che Virgo sia ancora vivo?! Sakis?!" –Esclamò il Capitano dell’Ombra.

"Nemmeno io riesco a crederci, Iemisch!" –Affermò Sakis del Quadrante Oscuro. –"Era inerme, prigioniero tra due mondi, incapace di trovare la strada per la nostra dimensione! Qualcuno deve averlo richiamato! Forse Atena?!"

"Tutto questo non piacerà al Maestro di Ombre!" –Commentò Iemisch, visibilmente preoccupato.

"Né gli piacerà sapere che non lo abbiamo ucciso quando ne avevamo la possibilità!" –Ironizzò Sakis, prima di essere colpito con uno schiaffo da Iemisch.

"Potrei occuparmi di Andromeda e finirlo, ma sono troppo stanco per lottare anche con Virgo! E Sakis e Dario non sarebbero alla sua altezza!" –Rifletté Iemisch, dando ordine a Sakis di recuperare Dario e aprire il quadrante dimensionale. –"Porteremo a Flegias almeno un souvenir dal Sud-Est Asiatico! Ma prima di lasciare Angkor, voglio darti il colpo della bandiera, caro il mio santone!" –Esclamò fiero Iemisch, caricando il braccio destro della sua incandescente energia e balzando in alto, diretto verso Virgo. –"Fiera maestosa!!!" –Tuonò, mentre migliaia e migliaia di tigri d’acqua, con le zanne e gli artigli affilati, piombavano sulla cupola protettiva del Cavaliere d’Oro, distruggendola.

Andromeda, rimasto a terra ad osservare la scena, pieno di stupore per l’improvvisa ricomparsa di Virgo, vide il Cavaliere d’Oro giungere le mani e liberare una violenta onda di energia cosmica, con cui spinse indietro il Capitano dell’Ombra, abbagliando il cortile una seconda volta. Iemisch ricadde sul terreno, appoggiando male una gamba e prendendo una storta, che non gli impedì comunque di raggiungere zoppicando Dario e Sakis, il quale aveva già aperto il suo portale dimensionale.

"Ci rivedremo Andromeda! Stanne certo!" –Esclamò Iemisch, mentre il quadrato oscuro calava sui tre Cavalieri neri, e su una quarta figura che Dario stringeva forte a sé. –"Del resto… abbiamo qualcosa che vi appartiene!!! Eh eh eh!"

"Tirtha!!!" –Gridò Pavit, ansimando sul terreno. Ma non riuscì a rimettersi in piedi, pieno di lividi e di ferite com’era. Il quadrante oscuro ingoiò Iemisch, Sakis, Dario e Tirtha, richiudendosi all’istante e a Pavit non restò altro che battere pugni sul terreno.

Andromeda tirò uno sguardo verso il cielo, che andava lentamente schiarendosi, e vide la figura di Virgo dissolversi, lasciando dietro di sé una scia di polvere di stelle, che nevicò sul Cavaliere di Atena, lenendo per un momento i suoi affanni. Senza perdere altro tempo, Andromeda raggiunse Pavit, aiutandolo a rimettersi in piedi, e pregandolo di reggersi a lui.

"Virgo! Dov’è finito il Cavaliere di Virgo? L’ho visto apparire nel cielo e adesso è scomparso? Che Iemisch l’abbia dunque sconfitto?!" –Mormorò Pavit, camminando a fatica, aiutato da Andromeda.

"Non credo! Ho sentito il suo cosmo risplendere vividamente! Virgo è ancora vivo, e credo di sapere dove si trovi adesso! Ad onorare il suo debito!" –Commentò Andromeda, guidando Pavit nei corridoi interni di Angkor, seguendo la stessa strada che poche ore prima Dhaval gli aveva indicato, giungendo fino alla torre sopra il sacrario centrale.

Pavit si lasciò trascinare da Andromeda, troppo debole per stare in piedi, troppo debole anche solo per parlare. Gli doleva la mandibola e aveva un paio di denti rotti, grumi di sangue coagulato in bocca e alcune costole spaccate. Ma al di là del male fisico, il Devoto non poteva fare a meno di sentirsi in colpa. Di sentirsi debole. Poiché a causa sua Tirtha era stata rapita ed egli non era stato in grado di proteggerla. Se fossi stato più forte… Rifletté, con le lacrime agli occhi, gonfi di botte e di dolore, mentre Andromeda lo trascinava lungo le gallerie di Angkor. Prima di entrare nella sala della torre sopra il sacrario centrale, ove per tre lunghi mesi avevano tentato di liberare Virgo dalla sua prigionia dimensionale, non gli sfuggirono tracce di sangue sparse lasciate sul pavimento.

"Dhaval!!!" –Esclamò Pavit, inorridendo alla scena che si aprì di fronte ai suoi occhi.

Seduto, con il corpo esanime di Dhaval il Puro sulle gambe, il Cavaliere di Virgo carezzava i capelli grigi dell’uomo che l’aveva salvato. Dell’uomo che aveva dato la vita per aprire il portale spaziotemporale e completare il trasferimento.

Dopo essere stato lasciato da Sakis nella galleria occidentale, privo del tatto e dei suoi occhi, Dhaval aveva atteso, sforzandosi di non perdere la calma e di sopportare il dolore, interiorizzandolo come aveva fatto in tutti quegli anni. Quando l’effetto del sigillo era terminato, ed egli aveva potuto riacquistare il controllo dei movimenti, si era accasciato a terra, con la schiena contro gli antichi bassorilievi indiani, agitando le mani e portandole davanti al viso. Senza poterle più vedere.

Per un attimo si era sentito perso, per un attimo aveva creduto davvero di impazzire, travolto dal dolore e dalle ferite. Ma poi aveva ricordato gli insegnamenti di Virgo, aveva sentito i cosmi di Andromeda, Tirtha e Pavit esplodere all’esterno, e si era convinto che vi fosse soltanto un modo per vincere quella battaglia. A fatica si era trascinato lungo i corridoi delle gallerie, salendo fino alla torre, ove aveva messo tutto il suo cosmo nello specchio, fornendo l’energia necessaria per completare il teletrasporto e riportare il suo maestro nella loro dimensione.

"Cavaliere di Virgo!" –Esclamò Andromeda, con le lacrime agli occhi, avvicinandosi ai due uomini, uniti in un abbraccio di affetto che non si erano mai concessi prima.

"È strano! Dopo aver conosciuto tuo fratello e voi Cavalieri dovrei essere abituato alle sorprese! Dovrei essere abituato al dubbio!" –Commentò Virgo, con voce decisa, ma triste. –"Eppure, c’è sempre qualcosa che manda in frantumi le mie certezze! C’è qualcosa che ancora riesce a stupirmi! L’irrazionale imprevedibilità umana!"

"Dhaval!!!" –Gridò Pavit, chinandosi sul corpo moribondo del Puro e osservando il suo volto deformato e sporco di sangue. –"Oh Dei delle stelle! Dhaval!!!"

"Non… temere…" –Balbettò Dhaval. –"Presto sarò con te! Presto sarò in te!" –Quindi allungò a fatica un braccio verso Andromeda, fino a sfiorare la sua mano, sforzandosi di sorridere. –"Hai visto, Cavaliere di Andromeda? Non c’è stato bisogno di scomodare Atena!"

"Siete stato ammirevole, nobile Dhaval! Avete portato a massimo compimento gli ideali di altruismo e generosità che vi hanno sempre sorretto!" –Pianse Andromeda. –"C’è così tanto da imparare dal vostro pensiero, e dai vostri gesti di nobiltà!"

"Non quanto io ho imparato oggi da te!" –Rispose Dhaval, citando le parole che Andromeda gli aveva rivolto ore prima. –"Quando si crede davvero in qualcosa, in un sogno che ci portiamo dentro da sempre, bisogna essere disposti a fare dei sacrifici, a perdere una parte di noi, affinché l’altra possa sopravvivere! E continuare la sua missione!"

"Il tuo ricordo non svanirà mai, allievo mio!" –Commentò Virgo, poggiando una mano, carica del suo cosmo dorato, sulle cavità degli occhi dell’uomo. Quando la tolse, pochi attimi dopo, Dhaval era spirato. –"Ti devo la vita! Ti devo tutto!" –Aggiunse il Cavaliere d’Oro, depositando a terra il corpo freddo dell’allievo. Lo osservò ancora un momento, prima di incamminarsi fuori dalla sala della torre, seguito da Andromeda, lasciando Pavit a piangere sul cadavere del compagno.

"Eravate molto simili!" –Esclamò il Cavaliere di Atena. –"Per quanto non volesse ammetterlo, Dhaval ti somigliava moltissimo! Fermo nei suoi propositi, difficilmente accettava intromissioni nel suo progetto di fede! Ma, come te, è stato pronto a dare la vita per qualcosa in cui credeva davvero! Aiutare gli altri!"

"Dici il vero, Cavaliere di Andromeda! E rabbrividisco all’idea di averlo scoperto soltanto adesso, quando tutto è ormai perduto!" –Commentò Virgo. –"Ho trascorso gli ultimi tre mesi in uno stato di trance, simile a quello che la medicina moderna definirebbe coma! Dopo aver esaurito le mie forze, per salvare Ioria e Castalia, ho osservato l’Isola dell’Apocalisse esplodere, ed io con essa, mentre mi preparavo per il grande balzo! Del resto, ero morto già una volta e non temevo di dover affrontare di nuovo il mio destino! Ma un attimo prima della fine, giunse a me, da lontano, una flebile luce, sufficiente per togliermi dal presente e proiettarmi verso un futuro incerto! In bilico tra due mondi, ho perso ogni cognizione, paralizzato in uno stato dove la coscienza non esisteva più. Poi, tutto ad un tratto, una nuova luce mi ha risvegliato, attirandomi a sé. Mi sono lasciato cullare e quando ho potuto aprire di nuovo gli occhi ho visto il corpo esanime di Dhaval crollare ai miei piedi. E allora ho capito!" –Affermò Virgo, fissando Andromeda con i suoi profondi occhi blu.

"Ho capito che persone che io avevo dimenticato, forse perché consideravo deboli o poco degne della mia attenzione, forse perché preso da questioni più importanti che non mantenere minimi rapporti umani, non hanno fatto lo stesso con me! E hanno dato la vita affinché io potessi continuare a combattere! Anche per loro!"

"Sono certo che lo hanno fatto col cuore!" –Commentò Andromeda, uscendo assieme a Virgo nel cortile occidentale di Angkor Wat, mentre il primo sole del mattino asiatico si affacciava timidamente alle loro spalle, proiettando sul giardino le ombre della devastazione di quella notte. Fosse nel terreno, muri crollati, macchie di sangue sparse sul suolo. –"Abbiamo trasformato questo luogo sacro in un campo da guerra!"

"In guerra molto deve essere sacrificato, Cavaliere di Andromeda, per poter porre l’ultima pietra del palazzo della pace! La pietra della fine!" –Esclamò pacato Virgo.

"E riusciremo mai a completare questo sogno?!" –Domandò Andromeda. Ma Virgo non rispose, volgendo lo sguardo verso il cortile. Un’ombra sfrecciò sul terreno di fronte a loro, proiettando la sagoma di un immenso uccello di fuoco.

"Un amico è venuto a farci visita!" –Sorrise il Cavaliere di Virgo, mentre una palla di fuoco esplodeva poco distante e un Cavaliere dalla scintillante Armatura Divina ne usciva fuori. Ikki di Phoenix aveva infine raggiunto Angkor.

"Fratello!!!" –Esclamò Andromeda, correndo verso di lui, felice di vederlo.

"Cos’è tutto questo macello?!" –Ironizzò Phoenix. –"Ero venuto per aiutarti Andromeda, ma a quanto pare non hai più bisogno di me!"

"Il mondo ha sempre bisogno di eroi che combattano per la libertà!" –Esclamò Virgo.

"Mi fa piacere rivederti, Cavaliere di Virgo!" –Affermò Phoenix, scambiandosi un deciso sguardo d’intesa con il Cavaliere d’Oro.

Andromeda raccontò in breve al fratello quanto accaduto nelle ultime ore, dalle rose di rabbia a Biliku, ai Capitani dell’Ombra e infine al ritorno di Virgo. Quindi rientrò nella torre sopra il sacrario centrale, lasciando Phoenix e il Cavaliere d’Oro a parlare tra loro e preoccupandosi di Pavit, il ragazzo dai capelli fulvi che lo aveva accolto con sincero affetto e che adesso era rimasto solo.

Lo trovò ancora disteso sul corpo di Dhaval, imbrattato di terra e di sangue, che non accennava a volersi rialzare, troppo sconvolto per il rapido e catastrofico succedersi degli eventi. Nelle ultime ore tutta la sua vita era cambiata e le persone con cui aveva vissuto per anni, condividendo gli stessi ideali, la stessa ansia esistenziale, erano scomparse. Cosa mi resta adesso? Si domandò Pavit, sollevando lo sguardo verso Andromeda, mentre ruscelli di lacrime gli rigavano il volto deformato.

Il Cavaliere di Andromeda allungò un braccio verso di lui, sfoderando un sorriso sincero, pieno di affetto, lo stesso che Pavit gli aveva dimostrato fin dal giorno prima. Titubante, il ragazzo afferrò la mano di Andromeda, stringendola con forza e tirandosi su. C’era ancora molto da fare, per rendere onore a Dhaval, per salvare Tirtha e per combattere per i loro ideali.

Neanche un’ora dopo il corpo di Dhaval il Puro ardeva sopra una pira di rami di alberi antichi, come lui stesso aveva sempre desiderato morire, mentre Pavit, ancora con il volto sporco di sangue e di fango, pregava davanti ad esso, inginocchiato e colpevole. Ma risoluto ad andare avanti.

Andromeda, Phoenix e il Cavaliere di Virgo assistettero silenziosi alla piccola cerimonia funebre e quando le fiamme iniziarono a scemare di intensità convennero che era il momento di andare. Di ritornare al Grande Tempio. Andromeda appoggiò una mano sulla spalla di Pavit, pregandolo di alzarsi e di preparare le sue cose. Anche lui sarebbe andato ad Atene con loro.

"Non avrei mai pensato di ritrovarmi di fronte altri discepoli di Virgo!" –Esclamò Phoenix, tirando un’occhiata a Pavit, che rientrata dentro Angkor per l’ultima volta. –"Né, ammetto, di ritrovarmi di fronte a te!"

"Non mi sono mai dedicato a loro con passione, Cavaliere di Phoenix!" –Rispose Virgo, con voce pacata e inflessibile. –"Credevo che il culto del migliore fosse l’unica strategia perseguibile e che degli altri non valesse la pena prendersi cura!"

"Ma loro, a quanto pare, si sono presi cura di te, anche a distanza di anni!"

"Ciò rasserena e rattrista il mio cuore al tempo stesso!" –Commentò Virgo, aprendo gli occhi di scatto e voltandosi verso Phoenix. –"Ma onorerò il debito che ho con loro! Questa è una promessa! Tirtha sarà salva!" –Phoenix annuì senza dire niente, mentre Pavit usciva nuovamente da Angkor, avvicinandosi ad Andromeda, ma quella, a lui, non sembrò affatto una promessa. Ma una somma verità.

Il caldo cosmo del Cavaliere della Vergine avvolse i quattro compagni, schiudendosi come un fiore di loto, prima che le porte dello spaziotempo vibrassero ed essi ne venissero risucchiati. Prima di lasciare Angkor, prima di dare l’ultimo addio al sacro tempio Khmer, Andromeda sospirò, chiedendosi dove fossero i suoi amici, chiedendosi cosa stessero facendo Cristal, Pegasus e Dragone.

In quello stesso momento Cristal il Cigno fissava il fuoco nel grande salone della cittadella di Midgard, lo stesso dove aveva fatto colazione quasi un giorno prima con Flare. Avvolta in calde coperte, la Principessa era rannicchiata su una poltrona, poco distante da lui, con il volto medicato per le ferite subite e una fasciatura attorno alla mano, che Livyatan le aveva strattonato. Entrambi in silenzio, come se fossero soli.

"Cavaliere!" –Esclamò Flare infine, facendo voltare Cristal verso di lei. Ma non fece in tempo ad aggiungere altro che le porte della grande sala si aprirono e Ilda di Polaris ne entrò, camminando stanca verso di loro, seguita dal Principe Alexer, che osservava le condizioni della donna, pregandola di non affaticarsi.

"Ilda, sorella mia! Come stai? E come sta Bard?" –Si agitò Flare, correndo verso la Celebrante e prendendola per mano, per condurla verso una morbida poltrona.

"Sto bene, Flare, non preoccuparti! Ben di peggio hanno sopportato gli uomini del Nord e i Cavalieri preposti alla nostra difesa!" –Commentò Ilda, accennando uno scarno sorriso. –"E anche i Cavalieri non soggetti a vincolo alcuno nei nostri confronti!" –Aggiunse, tirando un’occhiata verso il Cavaliere del Cigno.

"Per qualunque problema, saremo qua a difendere Asgard e la sua Celebrante!" –Affermò prontamente Cristal, mentre Alexer, dietro la donna, annuiva con orgoglio.

"Non è della Celebrante che dovete preoccuparvi, ma del popolo! Delle genti libere! L’ombra che sta oscurando il mondo, quanto spazio lascerà ancora alla luce?" –Sospirò Ilda. –"La vedo da giorni ormai, forse da mesi! È in ogni sogno a cui mi abbandono, in ogni visione che scorre davanti ai miei occhi! Un inverno immenso che sembra non avere mai fine!"

"Un inverno immenso?!" –Ripeté il Principe Alexer, con aria preoccupata.

"Voi sapete a cosa mi riferisco, Principe Alexer! E temo che il crepuscolo degli Dei non sia affatto lontano!" –Commentò Ilda, accasciandosi finalmente sulla poltrona, di fronte allo sguardo apprensivo di Flare. –"Bard comunque nel complesso sta bene! La sua temperatura corporea era bassissima, a causa della permanenza nelle acque del Mare Artico, e numerose ustioni stridevano sulla sua pelle! Ma un allievo di Orion non poteva mollare così, doveva essere forte come il suo predecessore! Si salverà, ne sono certa! Ha solo bisogno di cure continue e di molto riposo!"

"Oh, sia lodato Odino!" –Sospirò Flare.

"Adesso riposa in un letto nell’ala orientale del Palazzo di Midgard e quando si sveglierà, e potrà camminare di nuovo, sarà nominato membro della guardia della Cittadella, per il valore e l’abnegazione che ha dimostrato!"

"Sarà un onore per il giovane Bard ricevere questa nomina!" –Commentò Alexer, ma Ilda lo interruppe.

"Sarà un onore per Asgard avere un simile difensore alle sue porte!"

Cristal annuì in silenzio, senza aggiungere altro, ancora avvolto nei suoi pensieri. Gli stessi che gli ronzavano in testa da quando Alexer gli aveva confessato di essere il maestro di Acquarius. Indirettamente, Cristal sorrise, era stato anche il suo maestro. E forse era per questo che si sentiva così legato a lui. Alexer intuì i pensieri del ragazzo e gli rivolse uno sguardo di assenso, prima di inginocchiarsi di fronte alla Regina e alla Principessa di Midgard, congedandosi da loro.

"Spero che potremo incontrarci di nuovo in occasioni più felici!" –Commentò. –"Purtroppo la guerra, pur con la sua scia di morti, è sempre un momento in cui i vicini lontani tendono a ritrovarsi! Vicini che dovrebbero comunque non allontanarsi mai!" –E lanciò un ultimo sguardo a Ilda, prima di avvolgersi nel suo mantello azzurro e incamminarsi verso l’uscita del Salone del Fuoco.

Cristal lo seguì poco dopo, accomiatandosi da Ilda e Flare, con un certo dispiacere. Aveva trascorso qualche mese ad Asgard, e la considerava ormai come la sua terza casa, dopo il villaggio di Kobotec in Siberia e Villa Thule a Nuova Luxor. Ma aveva bisogno di informazioni, prima di partire per la Grecia e scendere di nuovo sul campo di battaglia.

"Sii prudente!" –Mormorò Flare, stringendolo in un abbraccio che avrebbe voluto non finisse mai.

"Lo sarò!" –Rispose lui con decisione. –"Siatelo anche voi!" –Aggiunse, fissando poi Ilda e andandosene.

Alexer lo aspettava nel piazzale fuori dal Palazzo, proprio dove Cristal e i suoi compagni avevano affrontato Orion l’anno prima. Avvolto nel suo lungo mantello, con l’Armatura d’azzurro lucente che risplendeva nella fredda notte artica, Alexer sembrava davvero un Dio, uno degli antichi eroi della stirpe degli Asi che aveva lottato contro le forze primordiali nel Mondo Antico.

"Alexer!" –Esordì Cristal, affiancando il Principe, intento ad osservare la fredda notte artica. –"Permettimi di ringraziarti! Due volte sei intervenuto in mio aiuto e…"

"Non hai motivo di ringraziarmi! Sei l’allievo dell’uomo che il mio allievo insignì del titolo di Maestro dei Ghiacci! Tra noi c’è un legame profondo, Cristal, un legame che ci rende anelli congiunti della stessa catena!" –Esclamò Alexer.

"Hai dunque insegnato tu al Cavaliere di Acquarius?" –Domandò infine Cristal.

"Camus!" –Sorrise Alexer. –"Questo era il suo nome, anche se non amava farsi chiamare così! Gli ricordava un passato che avrebbe voluto cancellare! Un passato in cui era stato debole, una vittima delle emozioni, proprio come lo sei stato tu! Eravate in fondo più simili di quanto entrambi abbiate mai creduto!" –Disse Alexer, raccontando in breve la vita di Acquarius a Cristal, che pendeva interessato dalle sue labbra. –"Era nato in Francia, da Celine, la figlia di un commediografo! Una famiglia borghese caduta in rovina nel secondo Dopoguerra! Così sua madre aveva deciso di tentare fortuna all’estero, trasferendosi in Scandinavia, ma durante la traversata la nave su cui viaggiavano affondò e la donna morì! A quanto pare la storia si ripete!" –Commentò il Principe, accennando un sorriso.

"Lo trovai per caso, in un porto del Mare del Nord, e vidi nei suoi occhi una ferma determinazione! La stessa che nei primi anni d’addestramento mosse i suoi passi, la stessa che lo sorresse nel fallito tentativo di recuperare la nave dove era morta sua madre! Crescendo, Acquarius capì che non si poteva riportare indietro le lancette del tempo, che ciò che era stato doveva essere consegnato alla storia e che egli poteva soltanto ripromettersi di essere forte in futuro, per non lasciare che le sue emozioni lo turbassero! Da quel momento dedicò anima e corpo al suo allenamento, diventando degno del rango di Cavaliere d’Oro. Addestrò un allievo e lo nominò Maestro dei Ghiacci, impressionato dall’abilità tecnica che aveva dimostrato, ma per quanto forte e valoroso il Cavaliere d’Argento della Corona Boreale non aveva fatto breccia nel suo cuore! Così rimase ad osservarlo da lontano, mentre addestrava due nuovi allievi, sperando che in uno di essi vi fosse l’erede che aveva cercato, l’uomo che sarebbe dovuto divenire il futuro Signore dei Ghiacci Eterni, un uomo talmente privo di emozioni da risultare freddo e gelido in battaglia!"

"Immagino la delusione quando si rese conto che ero ben lungi dall’esserlo!" –Commentò Cristal.

"Le delusioni maturano quando matura una forte aspettativa, Cavaliere del Cigno! E Acquarius forse aveva preteso troppo da te, come troppo aveva chiesto alle sue forze quando, neanche undicenne, si era gettato nel Mare del Nord alla ricerca della nave della madre!" –Precisò Alexer. –"Ciò non toglie che sia stato un ottimo Cavaliere, il miglior allievo che abbia mai potuto chiedere! E per rispetto a lui, che in te tanto aveva creduto, e al Maestro dei Ghiacci, vittima di una guerra che non avrebbe dovuto essere combattuta, io ti ho aiutato! Anche se, ne sono certo, avresti comunque ottenuto la vittoria! Acquarius ha fatto molto per te, forse più di quanto io ho fatto per lui, poiché ti ha fatto crescere e diventare uomo, anche se a caro prezzo! Del resto, egli ti amava e odiava al tempo stesso, così simile a com’era stato lui, così umano!"

"Ad Acquarius e al Maestro dei Ghiacci devo tutto! Così pure al mio amico Abadir!" –Sospirò Cristal, con gli occhi umidi pensiero dei suoi cari.

"Ricordali Cristal! Ricorda sempre i tuoi affetti, e portali con te! Stringili al petto, come stringi la Croce del Nord che Natassia ti donò! Ma non disperare per la loro sorte, poiché adesso sono in pace e ti assistono dal Paradiso dei Cavalieri! Trova nel ricordo di quegli uomini valorosi la forza per andare avanti!" –Affermò Alexer, poggiando entrambe le mani sulle spalle di Cristal e fissandolo con i suoi occhi di ghiaccio. –"Per vivere anche per loro!"

"Lo farò!" –Rispose il Cigno. –"Già una volta mi promisi di saper essere Cavaliere anche tra ricordi e tristi rimpianti, e non rinnegherò mai quel giuramento!"

"Le responsabilità di un’epoca intera gravano sulle tue spalle, come su quelle di tutti noi preposti a vivere questo scorcio di secolo!" –Commentò Alexer, allontanandosi e abbandonandosi ad un sospiro, che lo fece apparire per un momento vecchio e stanco, agli occhi del Cavaliere del Cigno. –"In un tempo non lontano combatteremo nuovamente fianco a fianco Cristal, contro la grande ombra che copre già i confini meridionali dell’Europa! Nell’attesa torna al Grande Tempio, per riunirti con i tuoi compagni! Essi sono la forza del tuo presente!"

"Alexer! Aspetta!" –Esclamò Cristal, correndo verso il Principe, il cui corpo già risplendeva di leggera luce azzurrina. –"Ci sono ancora tante cose che vorrei sapere, tante cose che vorrei chiederti, su Acquarius, sul Maestro dei Ghiacci, su di te!"

"Siamo guerrieri, prima ancora che uomini, Cavaliere del Cigno! E il nostro destino è la guerra! Soltanto in seguito, se gli Dei lo vorranno, potremo abbandonarci alle chiacchiere da focolare!" –Commentò Alexer, scomparendo. Non voleva affatto essere brusco con Cristal, ma vi erano esigenze in quel momento che non poteva assolutamente sottovalutare. Una necessità di azione che si faceva sempre più impellente. Chiuse gli occhi, avvolgendosi nel freddo cosmo azzurro, e cercò nel cuore la strada verso Avalon.

Il gelo di Asgard Flegias se lo sentì nelle ossa, quando una ventata d’aria fredda smosse le fiamme del braciere al centro della caverna sotterranea, non troppo distante dal trono di amianto, su cui era comodamente assiso. Una figura ammantata di nero apparve proprio di là dal fuoco, stupendo Orochi, il Capitano dell’Ombra rimasto di guardia poco distante.

"Un nemico?!" –Brontolò il gigantesco guerriero, lanciandosi contro l’imprevisto ospite, al quale bastò volgere il palmo della mano destra verso di lui per fermare i suoi movimenti e scaraventarlo contro una parete laterale, stordendolo.

"Vuoi obbligarmi a ristrutturare la mia dimora?" –Ironizzò Flegias, divertito comunque nel vedere Orochi lanciato a gambe all’aria.

"Perdona i miei modi bruschi, oh Rosso Fuoco, ma il tempo di tergiversare è ormai finito! Dopo aver atteso secoli, ammetto di essere per la prima volta di fretta!" –Esclamò la figura ammantata, avvicinandosi al Maestro di Ombre e lasciando che le fiamme del braciere rischiarassero il suo viso, che Flegias ben conosceva.

"Benvenuto sull’Isola delle Ombre, possente Loky, Dio dell’Inganno!" –Esclamò Flegias, alzandosi dal trono e scuotendo l’elegante martello color porpora. –"Vuoi dunque assistere con me all’avanzata della grande ombra? Le fiamme di questo braciere, maledette dal sangue che quest’oggi ho versato, mi mostreranno i risultati dell’Esercito di Ombre, una macchina bellica che nessuno sarà in grado di fermare!"

"Non sapevo che tu possedessi la Vista!" –Commentò Loky, sinceramente stupito.

"Vi sono molte cose che non sai di me, Loky! Ma non è mai stato un ostacolo nella nostra alleanza!" –Affermò Flegias.

"Né lo sarà adesso!" –Precisò Loky. –"Spero anche che tu sappia che il Principe Alexer in persona si è mosso! Ha abbandonato la Valle di Cristallo, correndo in aiuto della Celebrante di Odino a Midgard e vincendo il Leviatano, su cui tanto riponevo fiducia! Pregustavo già di vedere la Cittadella crollare sotto i colpi di tale brutalità!"

"Ne sono al corrente, Loky! E so anche dove è diretto!" –Commentò Flegias, stringendo con forza l’impugnatura della Spada Infuocata che pendeva alla sua cintura. –"Nella culla ove da millenni tentano di impedire l’avvento dell’oscurità! Gelosi del loro potere, arroccati nel loro integralismo conservatore, rifiutano di dare al Dio la possibilità di cambiare il mondo che lui stesso plasmò!"

"Se ne sei al corrente allora il mio compito di informatore è finito! Tornerò ad Asgard ad occuparmi dei miei affari, e dubito che ci rivedremo figlio di Ares!" –Tagliò corto Loky, a cui i farneticanti vaneggiamenti di Flegias non molto interessavano.

"Ne dubito anch’io! Ma non chiamarmi più con quell’epiteto! Lo disprezzo! Mi ricorda i fallimenti di un Dio che si è proclamato grande ma che non è stato capace neppure di chiudere il suo pugno!" –Sbottò Flegias.

"Che la sua sorte non segni anche il tuo cammino!" –Mormorò Loky, facendo cenno di andarsene.

"Tsè! Uccello del malaugurio!" –Borbottò Flegias, osservando il Dio nordico dell’Inganno scomparire dalla caverna sotterranea, lasciando dietro di sé soltanto una scia di nervosismo. Con rabbia, Flegias gettò un altro pezzo di uomo nel grande braciere, osservando le fiamme nere deliziarsi di quel gustoso aperitivo. I resti dei corpi dei Cavalieri Celesti massacrati poche ore prima.

Quindi si incamminò verso i sotterranei, addentrandosi fino alla base dell’immensa fornace ove Athanor aveva installato il suo laboratorio, sorprendendo l’Alchimista oscuro a lucidare un oggetto che fece subito infiammare i suoi occhi di brace.

"Quale dono migliore per il futuro Imperatore delle Ombre?!" –Ironizzò Flegias, avvicinandosi all’uomo, che subito si prostrò ai suoi piedi, sollevando con ambo le mani una corona di oro nero, dalle forme terribili e sublimi. La afferrò avidamente, rimirando il suo ghigno sulla limpida superficie, e poi si incoronò da solo, fiero del suo trionfo.

"La considero la mia opera più riuscita, mio Signore! L’ultima creazione di cui vi faccio dono!" –Mormorò Athanor, rimettendosi lentamente in piedi.

"L’ultima creazione, sì! Hai detto bene, servo!" –Sibilò Flegias, con un ghigno sadico. –"Perché adesso il tuo compito è finito! Hai fatto ciò che volevo, ciò che ti aveva permesso di continuare ad alitare, e ora posso congedarti!" –E allungò il braccio destro afferrando la testa di Athanor, stringendola con forza tra le dita robuste e cariche di fiamme nere, mentre l’Alchimista si dimenava per liberarsi dalla morsa.

"Mio Signore, no!!! Posso fare ancora molto!!! Posso essere ancora utile…" –Strillò Athanor, mentre la presa delle dita di Flegias stringeva sempre di più, sfondandogli il cranio e infiammando le sue interiora, fino a carbonizzarlo dall’interno.

Flegias scoppiò a ridere, sghignazzando come un pazzo, nell’udire le tremende grida dell’Alchimista Oscuro, che risuonarono per tutti i sotterranei, generando terrore negli schiavi ancora presenti. Con rabbia, Flegias scaraventò Athanor nell’immensa fornace, restando ad osservare il suo corpo ardere nel fuoco nero che lui stesso aveva contribuito ad accendere. Il fuoco purificatore che avrebbe mondato la Terra.

"Il tempo della rabbia è finito! È iniziata l’era dell’ombra!" –Sentenziò Flegias.