CAPITOLO VENTISEIESIMO: SINFONIA DI FAVOLE.

Dopo aver lasciato Phantom alle cure delle ancelle, Ganimede, il coppiere degli Dei, stava camminando nei corridoi di marmo dell’Olimpica Reggia, per raggiungere le Stanze del Dio del Fulmine, preoccupato per le sorti del suo Signore. Non lo aveva mai visto, in tutti quei secoli in cui aveva vissuto al suo fianco, in simili condizioni, così debole, quasi svuotato dell’energia vitale. Né aveva mai visto l’Olimpo sfiorire sotto i colpi di un autunno improvviso.

Era stato proprio lui, qualche giorno prima, a trovare Zeus disteso in terra, a pochi passi dalla vetrata della camera da letto. Debole e pallido. E sempre lui si era recato a Pergamo, sulle tracce di Asclepio, l’unico che potesse scoprire quale malattia attanagliava il Dio del Fulmine. Era stato un grande passo, quello, per Ganimede, che non aveva mai lasciato l’Olimpo fin dal giorno in cui Zeus lo aveva fatto rapire da un’aquila, abbagliato dalla sua bellezza. E se aveva scelto di farlo, proprio in quel momento, era per l’affetto e la riconoscenza che provava per il suo Signore. Il Dio di cui era stato l’amante.

Non ne era mai stato troppo fiero Ganimede, né amava le voci di scherno che giravano sul suo conto, messe in giro dalla Regina dell’Olimpo, gelosa delle attenzioni che il fratello e sposo dedicava al Coppiere degli Dei. Ma aveva sempre lasciato correre, chinando il capo e accettando il prezzo che aveva dovuto pagare per salire sul Monte Sacro. Del resto, si era detto spesso, abbandonandosi tra le braccia vigorose del Dio del Fulmine, l’eternità val bene qualche sospiro!

Col tempo si era affezionato a Zeus e il Dio aveva fatto altrettanto con Ganimede, investendolo del titolo di Cavaliere della Coppa Celeste e insegnandogli i rudimenti fondamentali del cosmo, certo che egli, come figlio della ninfa Calliroe, possedesse di per sé un’energia latente. Ganimede era diventato in seguito amico di Giasone, il più valente tra i Cavalieri Celesti, nonché uno dei pochi che non prestava ascolto alle voci sul suo conto, instaurando con lui un’amicizia profonda.

"Vere o false che siano, non mi servo delle voci per giudicare un amico!" –Amava ripetere il Cavaliere della Colchide, nel tempo trascorso con Ganimede. Quel tempo che adesso al Coppiere degli Dei mancava. Quel tempo che temeva di perdere per sempre.

Non aveva saputo trattenere le lacrime quando Phantom, rientrato dall’inseguimento di Flegias assieme a Ermes, lo aveva informato del destino del Cavaliere Celeste. E per un momento avrebbe voluto che i loro posti si fossero scambiati, e che Giasone fosse ancora vivo. Lui che, come Ganimede, aveva ricevuto in dono l’immortalità. Lui che, come Ganimede, era destinato a vivere in eterno e non una pallida parentesi di vita, come quella di Phantom e di tutti i mortali appariva al Coppiere degli Dei.

Ma poi aveva sospirato, reprimendo il dolore e facendosi forza, grazie al ricordo che aveva di Giasone. Ricordo che l’amico non avrebbe voluto fosse turbato da simili pensieri. Per un momento lo aveva invaso anche l’istinto di scendere sull’Isola delle Ombre, non così distante in linea d’aria dalla Grecia, e liberare l’amico, salvo poi ammettere di non avere speranza alcuna.

"O è stata codardia a impedirmi d’agire?" –Si chiese il giovane, fermandosi improvvisamente e voltandosi verso una parete laterale del corridoio, così splendida e lucida da potervisi specchiare.

"Soltanto la consapevolezza di non poter essere utile!" –Si corresse una parte di sé. –"Se fossi partito per l’Isola delle Ombre sarei stato certamente ucciso, e adesso non potrei essere qua a servire il mio Signore!"

"Perché medicare le ferite di Zeus e di Phantom è un compito così gravoso e delicato che nessun’altro può eseguire? Se io fossi morto, al posto di Giasone, dubito che qualcuno se ne sarebbe accorto! Era e qualche ancella sarebbero state ben liete di prendere il mio posto, e curare le ferite di Dei e Cavalieri!"

Ganimede incrociò lo sguardo del giovane riflesso nella parete di marmo di fronte a lui. Alto e splendente, con viso lucido e mossi capelli ricciuti, il figlio di Calliope sembrava non essere mai cambiato in tutti quegli anni, rimanendo l’eterno giovinetto di cui Zeus si era invaghito un tempo.

"Quando?" –Si disse, sfiorando la fredda superficie del marmo. –"Quanto tempo è passato, o ha semplicemente fatto finta di passare?" –Sospirò, sentendosi per un momento in colpa, prigioniero di un’eternità che non aveva chiesto, ma di cui mai si era lamentato nei secoli precedenti.

"Avrei dovuto trascorrerli diversamente, allenandomi per essere un Cavaliere abile e migliore, come Phantom e Giasone, anziché abbandonarmi ai sollazzi nelle Stanze di Zeus!" –Rifletté, mentre un’ombra oscurava il suo sguardo perfetto. Si tastò la testa, sentendosi improvvisamente fiacco, come se le angosce degli ultimi giorni, che aveva cercato di nascondere buttandosi a capofitto nelle amorevoli cure di cui Zeus necessitava, fossero esplose tutte assieme.

"Ho fallito!" –Mormorò, incontrando nuovamente lo sguardo della figura riflessa nel muro. Uno sguardo carico di tormento, per la malattia di Zeus e le sorti dell’Olimpo e di Giasone. Uno sguardo carico d’amore, verso un amico a cui non aveva mai dichiarato i suoi veri sentimenti.

Svenne così, crollando sul pavimento di marmo, vittima di troppi pensieri confusi e contrastanti. Ma la figura riflessa sulla parete non svenne con lui.

Pochi minuti dopo Ascanio Testa di Drago sbucò all’estremità del corridoio, notando la sagoma di Ganimede accasciata in terra. E corse subito verso di lui per sincerarsi delle sue condizioni. Lo sollevò, scuotendolo e chiamando il suo nome, finché il ragazzo non aprì nuovamente gli occhi.

"Ganimede?! Che è successo?" –Incalzò il Cavaliere Celeste.

"Io… devo essere svenuto…" –Mormorò Ganimede, ancora un po’ stordito. –"Troppi pensieri… troppe preoccupazioni mi hanno abbattuto!"

"Hai faticato troppo in questi giorni! Ti accompagno a riposarti?" –Gli disse Ascanio, aiutando il giovane a rimettersi in piedi.

"No, non preoccuparti! Riposerò più tardi! Adesso voglio occuparmi di Zeus!" –Esclamò Ganimede, iniziando ad avanzare nel corridoio, lasciando Ascanio indietro, ancora a fissarlo.

"Non chiedere troppo a te stesso!" –Esclamò il Comandante della Legione Nascosta.

"Solo quello che devo!" –Rispose Ganimede, continuando a camminare, diretto verso le Stanze di Zeus, con un sorriso di sfida sul volto.

Ascanio sospirò, osservando il ragazzo scomparire in lontananza, prima di incamminarsi verso le stanze ove riposava Phantom. Aveva sentito il suo cosmo accendersi impetuosamente poco prima, solo per un momento, prima di ritornare allo stato di quiete abituale. Subito aveva sussultato, guardando Era e Zeus negli occhi, ma nessuno di loro pareva aver avvertito niente.

"Cos’è stata quella vibrazione?" –Si era detto, uscendo dalle Stanze di Zeus. E adesso si pose nuovamente quella domanda, aumentando il passo e giungendo di fronte alla porta delle Stanze di Asclepio. La spalancò con forza ed entrò, precipitando in una silenziosa calma, un silenzio quasi assoluto.

Phantom giaceva su un letto sul lato sinistro della stanza, sotto morbide lenzuola che coprivano il suo corpo atletico e ferito. Dormiva, apparentemente senza alcun motivo di agitazione. Poco distante, sedute su una panca vicino alla vetrata, alcune ancelle erano cadute in un sonno profondo, con la testa poggiata al muro o sulla spalla della compagna. Stanche probabilmente per il continuo lavoro.

Ascanio sorrise, avvicinandosi quindi al corpo del Luogotenente dell’Olimpo, il cui volto, seppur pulito e medicato, tradiva ancora i segni delle battaglie recenti.

"Torna presto, Phantom!" –Disse a bassa voce. –"Abbiamo ancora bisogno di te!"

E gli diede le spalle, incamminandosi verso l’uscita, quando ebbe un mancamento improvviso. Sudando freddo, Ascanio si appoggiò al bordo di un letto poco distante, inspirando profondamente, senza capire cosa gli fosse successo. Per quanto stanco, non aveva riportato gravi ferite in battaglia, e la sua preparazione spirituale era tale da permettergli di dominare sempre ogni situazione.

"Che siano ancora gli effluvi della rosa di rabbia?" –Si domandò, scuotendo subito la testa, certo che non avesse potuto troppo su di lui.

"O è forse il timore di una scelta che troppo a lungo ho rimandato?!" –Aggiunse, abbandonandosi ad un sospiro.

Si voltò verso il Luogotenente, ricordando il giorno in cui si erano incontrati per la prima volta, nei verdi campi di Glastonbury, alla base del Tor. Phantom alla ricerca dell’Ultima Legione, e Ascanio a difesa di un mondo perduto tra le nebbie.

Non era infatti soltanto il Comandante della Legione che Zeus aveva nascosto in Britannia secoli addietro, e che egli aveva contribuito a mantenere in efficienza e a migliorare negli ultimi quattordici anni, da quando Ermes lo aveva portato via da Atene, su richiesta di Zeus stesso. No, Ascanio era molto di più. Legato a Glastonbury, e ad Avalon, che nelle sue nebbie era nascosta, da un’arma a doppio taglio. Una promessa a cui sapeva bene di non potersi sottrarre.

"Avalon ti ha scelto come Comandante dei suoi Cavalieri, Ascanio Testa di Drago!" –Gli aveva detto quel giorno, quattordici anni prima, il Signore dell’Isola Sacra. –"Perché ha intravisto in te l’eredità di un popolo, il sangue della leggenda che da Uther Pendragon scorre in tutti i suoi discendenti, la speranza che tu possa condurre Avalon verso il futuro!"

"Sarò degno della vostra fiducia!" –Aveva commentato Ascanio, inginocchiato di fronte ad Avalon e alla confraternita dei saggi, presieduta dall’Antico.

"Non ne dubito! Poiché ho letto nel tuo cuore, e vi ho visto la salvezza!" –Aveva risposto il Signore dell’Isola Sacra. –"Ricorda tuttavia che come Avalon ti ha messo sul trono, potrà sempre farti cadere, qualora disobbedirai le leggi dell’Isola Sacra e di coloro che ti hanno scelto! Appartieni a Zeus tanto quanto appartieni ad Avalon!"

Quelle parole gli erano rimaste dentro per sempre. Impresse a fuoco nella sua mente e nel suo cuore, erano il suo orgoglio, ma anche la sua maledizione. Servire nello stesso tempo la Divinità più grande del pantheon greco e il Signore dell’Isola Sacra poteva essere soltanto fonte di soddisfazione per Ascanio, che vedeva se stesso sormontato da una corona di vittoria. Unico tra tutte le genti.

Ma al tempo stesso lo faceva riflettere, poiché, per quanto fosse certo che per il momento le strade dei due regni proseguissero parallele, determinate a respingere il nemico comune, doveva anche considerare l’ipotesi contraria.

Cosa accadrà quando gli interessi di Avalon contrasteranno quelli dell’Olimpo? Non aveva smesso di chiedersi negli ultimi anni, quando l’ombra era cresciuta sempre più, giungendo a lambire anche i nebbiosi confini dell’Isola Sacra.

"Come Avalon ti ha messo sul trono, così potrà farti cadere!" –Le parole del maestro non gli davano pace, e mai come in quei giorni, in cui Avalon aveva deciso di far calare il velo di leggenda che la separava dal mondo, gli davano da pensare.

Cosa farò io in quel momento? Si chiese nuovamente Ascanio, combattuto tra i doveri di servitore di Zeus, in quanto Cavaliere Celeste, e quelli di fedele dell’Isola Sacra, a cui era unito da un legame indissolubile, che i serpenti tatuati sulle braccia gli ricordavano continuamente. Anche Libra li aveva notati, durante il loro incontro ai Cinque Picchi, e aveva subito compreso quanto dualistico fosse il loro significato. Di vita e di morte.

Soltanto allora Ascanio realizzò che tale dualismo non riguardava soltanto i nemici. Ma anche colui che li portava.

"Del resto anche il mio ruolo è frutto di un equilibrio! Avalon aveva indicato il mio nome a Zeus, ed egli mi aveva nominato Comandante della Legione Nascosta, in una simmetria perfetta!" –Rifletté Ascanio, mentre le gambe gli cedevano ed egli vacillava all’indietro. –"Che strano… destino…" –E cadde a terra, sul pavimento di marmo, perdendosi sotto le placide note di una sinfonia di favole. Di una sinfonia di ricordi.

Sorridendo soddisfatta un’ancella si sollevò dalla panca in cui era seduta. Dalla panca in cui fingeva di riposare, osservando l’intera scena da un diverso strato dimensionale. La stessa ancella che Ascanio aveva osservato uscire dalle Stanze di Zeus, attratto non dal suo seno formoso, ma dal cosmo che celava dentro. Il cosmo di Lamia, la rapitrice di sogni e di infanzie perdute.

"Sciocco!" –Si disse il Capitano dell’Ombra, avvicinandosi al corpo inerme del Comandante della Legione Nascosta. –"Ero stata informata che un Cavaliere Celeste era stato addestrato ad Avalon e che aveva quindi ricevuto un addestramento perfetto, capace di combinare una gran forza fisica con ottimi poteri mentali! Poteri che hai ben dimostrato di saper usare nel resistere a me, nell’opporti alla sinfonia di ricordi con la quale ti ho travolto fin dal nostro primo incontro, nelle Stanze di Zeus, e che hai trovato ad accoglierti quando sei entrato in questa stanza! Come una rete nella cui maglia sei rimasto intrappolato ad ogni secondo in più in cui sei rimasto qua dentro!"

"Ho appreso molto da te, Comandante Ascanio! O forse dovrei chiamarti discendente di Re!" –Sogghignò Lamia, inginocchiandosi accanto al ragazzo e sfiorandone la pelle abbronzata. –"Il sangue del Pendragon scorre in te! Un sangue carico di storia e di leggenda! Un potere così arcano che sarebbe degno di servire la grande ombra!" –Aggiunse, montando sopra Ascanio e avvicinando il volto a quello del giovane, mentre le linee del suo corpo cambiavano, rivelando le vere fattezze della sorella di Phantom dell’Eridano Celeste, colei che Elena e Deucalione avevano chiamato Teria.

Gli strinse il viso con le dita della mano, magra come un ramo d’albero, e lo baciò sulla bocca, strusciando le sue violacee labbra contro quelle del ragazzo, lasciando che il veleno, in esse contenuto, fluisse dentro di lui. Sorrise, nient’affatto turbata da un simile lavoro, che stava finalmente mostrando il suo lato piacevole.

Il contatto fisico con il Comandante della Legione Nascosta le strappò una risatina beffarda, a tratti isterica, mentre la donna si sollevava su di lui, scuotendo i lunghi capelli viola all’indietro. Tirò un ultimo sguardo a Phantom, ancora disteso sul letto ove lo aveva ferito a morte. E lo trovò immobile come l’aveva lasciato poco prima, quando era stata interrotta dal suo compare, il Cavaliere Nero che Flegias le aveva affiancato per questa missione.

"Finiscila di trastullarti con lui, Lamia!" –Aveva esclamato l’uomo, osservandola succhiar via la linfa vitale di Phantom, penetrando così parte dei suoi segreti.

"Notizie importanti mi riveli, fratellino!" –Aveva sogghignato, scavando nei ricordi del Luogotenente, vittima dei suoi poteri mentali, della sinfonia di favole con cui l’aveva avvolto, precipitandolo nel passato, al fine di estirpare i suoi ricordi più belli, privandolo di sogni e desideri, e soprattutto della fiducia nella vita. –"Cos’altro può restare in fondo ad un bambino a cui sono stati strappati i sogni e la capacità di volare lontano, se non cadere nel baratro della morte?!"

"C’è un uomo che può far fallire il nostro piano! È il Comandante della Legione di Glastonbury!" –Aveva incalzato il Cavaliere Nero. –"Non tarderà ad arrivare!"

"Mi occuperò anche di lui, se è questo che ti preoccupa così tanto da far scricchiolare le tue gambe!" –Aveva sorriso Lamia, con perfidia. –"Tu prenditi cura di Zeus! Non manca molto al suo trapasso!"

"Il Tartaro sarà ben lieto di ospitare colui che ha così tanto contribuito a popolarlo nei millenni precedenti! Ah ah ah!" –Aveva sghignazzato l’uomo, prima di scomparire.

Lamia sogghignò, certa che non molto tempo sarebbe ancora dovuto passare prima che le foglie degli alberi Olimpici cadessero, travolte dall’autunno d’ombra di cui era stata portatrice. Si chinò nuovamente su Ascanio, decisa a terminare il lavoro, quando le cadde l’occhio sul letto ove Matthew aveva riposato finora. E lo trovò vuoto.

Quell’attimo di distrazione le fu fatale, poiché un potente calcio la raggiunse tra le gambe, sollevandola da terra e catapultandola contro il pavimento di marmo, molti metri addietro, facendole sbattere la testa e spaccandole un labbro. Rialzatasi di scatto, si pulì il sangue dalla ferita, proprio mentre Ascanio tentava di rimettersi in piedi, confuso e disorientato dalla situazione.

Lamia non esitò un istante, decisa a mettere il Cavaliere Celeste in condizione di non nuocere, prima che riprendesse completamente i sensi. Balzò su di lui, sbattendolo con la faccia a terra e contorcendosi sul suo corpo, fino a fermarlo con le agili gambe, stringendolo in una singolare morsa. Ascanio si dimenò, per liberarsi di lei, ma la donna gli piantò lunghe unghie affilate nel collo, strappandogli un selvaggio grido di dolore, prima di chinare il viso su di lui e sfiorare con le labbra le ferite aperte del ragazzo.

"Lasciati cullare, figlio di re! Lascia che la mia sinfonia di favole lenisca i tuoi affanni, ponendo termine ai tormenti che dilaniano il tuo animo!" –Sussurrò Lamia nell’orecchio del Cavaliere. –"Non dovrai così prendere nessuna scelta!"

Ascanio non capiva perfettamente cosa stesse accadendo, ma le poche parole che udì furono sufficienti per farlo infervorare, e anziché spingerlo a cedere, ad abbandonarsi ai piaceri della tranquillità, lo spinsero a reagire. Poiché non poteva permettere che un nemico fosse a conoscenza di uno dei segreti più intimi del suo animo. Un segreto che gli era stato carpito contro la sua volontà. E che adesso si sarebbe ripreso.

"Togliti!!!" –Esclamò Ascanio, lasciando esplodere il proprio cosmo e scaraventando Lamia indietro, fino a farla schiantare contro la vetrata e precipitare nel cortile esterno, tra schegge di vetro che le strapparono le vesti e la pelle.

"Bastardo!" –Ringhiò la donna, rimettendosi in piedi, di fronte agli occhi incuriositi di Ascanio, sia pur ancora offuscati dal torpore e dal veleno che Lamia gli aveva iniettato. –"Alzati sì! Pochi passi ancora potrai fare, giusto quelli che ti separano dall’Ade! Perché, con tutto il veleno che hai in corpo, dubito che potrai sopravvivere a lungo! Probabilmente moriresti da solo, nel giro di qualche ora, ma sarà divertente anticipare il tuo trapasso, per vendicarmi delle ferite che mi hai inflitto!"

"Tu forse non mi hai inflitto ferite, donna? O anche questa lesione al collo è irreale, come il mondo in cui hai cercato di precipitarmi?" –Esclamò Ascanio, tastandosi il collo e macchiando le sue dita di sangue.

"Niente di ciò che hai visto è stato irreale, Ascanio Pendragon! Niente di ciò che hai provato è stato da me creato!" –Rispose Lamia, con perfida superbia. –"Ho soltanto scavato tra i tuoi ricordi, per carpirne l’essenza profonda e farli miei, nel tentativo di privartene! E di privarti, con essi, dei tuoi sogni, delle tue speranze, dei motivi che ti spingono nel tuo barcamenante agire!"

"Per rendermi vecchio e vuoto? È così che mi sarei ridotto, donna? Come un albero privo di luce e di acqua sarei ripiegato su me stesso, consumandomi al pensiero di ciò che ho perso e non potrò mai più riavere?! E in quella profonda disperazione avrei invocato la morte, affinché tu potessi assumere il volto della nera signora e guidarmi alle porte di Ade?! Umpf, ben poco hai carpito dei miei segreti allora se credi che a una siffatta sorte bastarda mi sarei abbandonato!" –Esclamò Ascanio, bruciando il suo cosmo. –"Forse non hai capito chi hai davanti? Un figlio dell’Isola Sacra, discendente dei Pendragon, addestrato da tre maestri così speciali che nessun’altro uomo ha potuto godere di tale onore!"

"Conosco su di te quello che mi importava sapere, Comandante dell’Ultima Legione, nonché guida della setta dei Cavalieri delle Stelle che Avalon ha messo su per opporsi alla grande ombra! Pallido tentativo il vostro, destinato a naufragare contro la marea nera!" –Affermò Lamia. –"Ma se hai deciso di rifiutare la morte dei sogni, allora dovrò agire in modo più violento! Un attacco diretto non servirebbe con te! No, la Sinfonia di Favole sarebbe respinta dai tuoi poteri mentali! Perciò lascerò che a finirti siano i sogni degli uomini che ho derubato, e di cui mi sono impossessata facendoli miei e confinandoli ad una prigionia eterna! Falene lontane, destinate a non trovare mai riposo!"

Nel dir questo espanse il suo cosmo color verde acqua, che invase la stanza, mentre migliaia di falene di energia apparivano attorno a loro, sbattendo le ali e piombando sul Comandante Ascanio.

"Se a una dolce morte ti sei opposto, altrettanto non potrai fare con questa, che si prospetta crudele e sanguinaria! Come i tormenti che le falene ti provocheranno, addentando il tuo bel corpo e nutrendosi della tua stessa energia!"

"Quale energia?!" –Ironizzò Ascanio, abbassando di poco lo sguardo e sollevando il braccio destro, fino a sfiorare i serpenti tatuati, che subito si illuminarono, rischiarando la stanza con la loro luce e spazzando via sciami di falene energetiche. –"Attacco del Drago Bianco!!!" –Gridò il Cavaliere Celeste, mentre la maestosa sagoma di un dragone di luce scivolava attorno al suo corpo, facendo strage del potere nemico, travolgendo poi il resto delle falene e abbattendosi sul Capitano dell’Ombra, che non poté opporre difesa alcuna. Soltanto venire scaraventata a terra, trapassata dalla leggendaria creatura.

A fatica, Lamia fece per rialzarsi, sentendo il corpo spezzarsi a causa delle ferite ricevute per essere priva della propria corazza, che non aveva potuto indossare nei giorni trascorsi sull’Olimpo come anonima ancella al servizio di Zeus. Ma quando si mosse sentì la mano di Ascanio premerle sul petto con forza e sbatterla a terra, prigioniera del suo potere mentale.

"Metempsicosi!" –Mormorò il Comandante della Legione Nascosta.

"Metem… la trasmigrazione dell’anima?!" –Esclamò Lamia, cercando di liberarsi dalla gabbia mentale con cui Ascanio la stava tenendo prigioniera. Ma realizzò di non esserne in grado. Di essere completamente succube del rito evocato dal Cavaliere Celeste.

Maledicendosi per essersi fatta sorprendere, Lamia gettò la testa all’indietro, stanca e impotente, mentre il cosmo di Ascanio fluiva dentro di lei. Non tentò neanche di contrastarlo, poiché era certa che non vi sarebbe riuscita. Ed era certa che, come lei aveva fatto con lui e Phantom, anch’egli cercasse informazioni.

Ascanio scoprì cos’era accaduto a Phantom, svelando il complotto del Capitano dell’Ombra, arrivata sull’Olimpo mascherata da ancella. La vide inginocchiarsi di fronte a Flegias, tra le tenebre dell’Isola dove Gwynn e i suoi compagni erano morti, fedele servitrice che aveva da lui ricevuto un’armatura nera. E vide anche ricordi che non le appartenevano, ricordi così antichi da sconfinare nella leggenda. Sospirando, Ascanio capì che la donna aveva rubato anche i ricordi di Zeus.

"Lamia!" –Mormorò infine, alzandosi e placando il cosmo, in modo da allentare la morsa psichica sul Capitano dell’Ombra. –"Figure in parte umane e in parte animalesche, che nel Mondo Antico rapivano i bambini, privandoli dei loro sogni, seducendo anche gli uomini per poi nutrirsi del loro sangue e della loro carne! Ugualmente tu sfrutti i tuoi poteri per rapire i sogni e i ricordi dei nemici, prosciugandoli di un serbatoio di emozioni, svuotandoli dalla loro umanità!"

"Un’analisi perfetta, Testa di Drago!" –Ironizzò Lamia, rimettendosi in piedi, libera dal potere mentale di Ascanio. –"Ad Avalon organizzano anche corsi di psicologia?"

"Arti più antiche si praticano sull’Isola Sacra! Arti come la Metempsicosi, che hanno permesso alla mia anima di migrare brevemente dentro di te e vedere con i miei occhi cos’è accaduto al Luogotenente dell’Olimpo! Cos’è accaduto a tuo fratello!" –Commentò Ascanio, fissandola con i suoi occhi scuri, con uno sguardo che a Lamia parve tagliarle l’anima in due. –"Teria! Sei dunque tu la sorella per cui tanto è stato male, al punto da avvelenarsi il cuore!"

"Ooh, immagino quanto Nikolaos abbia pianto per me!" –Ironizzò Lamia.

"Sbagli nel giudicarlo! E di molto anche!" –La zittì Ascanio. –"Ho passato tante notti a conversare con tuo fratello e ogni volta in cui il tuo nome compariva nei suoi discorsi portava con sé un’ombra che oscurava il suo sorriso! Un’ombra che gli ricordava continuamente di non sapere più niente di te, anzi forse di non avere mai saputo niente di una sorella che invece ha tanto amato! Soprattutto di non aver mai saputo perché così tanto l’hai odiato!" –Sospirò, senza smettere di fissarla. –"Adesso l’ho capito e non sai quanto mi rattrista il cuore! Poiché se già la guerra è deprecabile, ma talvolta necessaria, una guerra tra fratelli, figli della stessa madre, è quanto di più infimo possa esistere su questa Terra!"

"Parli bene, Comandante, tu che non hai vissuto il dramma della mia vita! Né hai subito l’umiliazione di un affetto mancato, che i tuoi genitori non sono stati in grado di darti!"

"Parlo come un uomo che ha perso sua sorella da piccolo, e non l’ha più incontrata!" –Sentenziò Ascanio, zittendo Lamia, che rimase ammutolita dall’imprevista confessione, e anche sconcertata dai poteri del Cavaliere, le cui difese psichiche erano così alte da non averle permesso di penetrarle a fondo, nonostante lo avesse aggredito quando egli non pensava nemmeno di essere in battaglia.

E questo la fece riflettere sui propri limiti, ricordandole una frase da cui si era sentita offesa, ammettendo adesso che era invece verità.

"Puoi rubare i sogni ai bambini…" –Le aveva detto Flegias il giorno in cui Lamia si era offerta per la missione avvelenatrice sull’Olimpo. –"Ma contro gli adulti potrai fare ben poco! Anche perché… gli adulti sognano ancora?!" –Si era chiesto, con un pizzico di malinconia.

Lamia non aveva risposto, chinando il capo sconfitta, incapace di sondare la psiche del Maestro di Ombre, che le aveva chiesto una dimostrazione dei suoi poteri. Pur tuttavia aveva insistito nella sua richiesta e Flegias aveva comunque acconsentito, essendo l’unica in grado di poter raggiungere di nascosto l’Olimpo.

"Questo rancore ti perderà!" –Esclamò Ascanio, espandendo il cosmo, mentre le scintillanti sagome di due dragoni di luce, uno bianco e uno rosso, apparivano dietro di lui. Ma prima che potesse scagliare il suo nuovo attacco, una voce lo distrasse, attirando l’attenzione di entrambi.

Phantom dell’Eridano Celeste si era sollevato dal letto, gettando via le lenzuola e rivelando il corpo macchiato di sangue rappreso, ove Lamia lo aveva addentato.

"Phantom!!!" –Gridò Ascanio, osservando le condizioni disperate dell’amico.

"Ascanio! Grazie per tutto ciò che hai fatto, ma voglio chiederti di non combattere più contro mia sorella!" –Esordì il Luogotenente, avanzando a fatica verso il centro della stanza, di fronte agli occhi increduli di Ascanio e di Lamia. –"Mi occuperò io di lei! Da tanto volevo incontrarla nuovamente!"

"Phantom! Non sarà un incontro di piacere! Lei ti ucciderà! È qua per questo!" –Lo mise in guardia Ascanio.

"Credi che non lo sappia?!" –Sorrise semplicemente il Luogotenente dell’Olimpo, prima di volgere lo sguardo verso Teria.

***

Proprio in quelle ore un violento scossone sismico scuoteva una tetra grotta nell’Asia centrale. Dove un uomo rinvenne improvvisamente.

Si tirò su, cercando di capire dove fosse, usando i sensi e il cosmo per dare una logica agli ultimi eventi. Così rapidi si succedevano nella sua mente, confondendolo, senza che riuscisse a farsi un’idea chiara dell’accaduto. Stragi, guerre, macchie di sangue, e fiamme immense che salivano verso il cielo. Un cono d’ombra, e nulla più.

Si guardò intorno, ma vide soltanto la notte avvolgerlo con le sue spire mortali, precipitandolo in un nulla che sembrava non avere fine.

D’un tratto gli parve di udire una voce chiamarlo da lontano. Una voce che risuonava dentro di sé, dentro la tenebra in cui era immerso. Così potente, così antica, che il suo corpo si irrigidì, vittima di un timore che non aveva mai provato prima.

Infine capì. Capì tutto. E crollò sulle ginocchia, vomitando in faccia al destino.