CAPITOLO NONO: IL SEGNO DEL DRAGO.

Erano trascorsi quattordici anni dalla sua partenza, ma ad Ascanio quella mattina il paesaggio dei Cinque Picchi sembrò ancora spettacolare. Proprio come l’aveva visto per l’ultima volta quel giorno dell’estate del 1973 in cui aveva lasciato la Cina, il Vecchio Maestro e il suo addestramento, per raggiungere Atene e assistere alle Panatenee. La storia era però andata diversamente e si era ritrovato sull’Olimpo, convocato da Zeus in persona per diventare un Cavaliere Celeste. Da quel giorno la sua vita era cambiata e tutto ciò che aveva vissuto fino a quel momento era scomparso. La sua casa era cambiata, un giaciglio di paglia in una capanna di legno, la sua terra era cambiata, un’isola dimenticata e avvolta dalle nebbie, il suo maestro era cambiato. Un uomo di cui aveva udito soltanto il nome, che risaliva agli albori del tempo. Ma gli ci erano voluti anni per comprendere il grandioso progetto a cui era stato chiamato a far parte. Un progetto che era scritto nel suo destino, come i serpenti incrociati che portava tatuati sui polsi.

Li portava da sempre, nonostante mai li avesse fatti incidere, apparsi a lui in una notte di fuochi. In una notte che, per gli antichi Druidi celtici, era chiamata Beltane, o "fuoco luminoso". Simboli del suo potere e del suo ruolo, i serpenti intrecciati gli ricordavano ogni giorno chi fosse. Il Comandante della Legione nascosta, Ascanio Testa di Drago, o Ascanio Pendragon, come i druidi e i Cavalieri di Glastonbury amavano chiamarlo. In realtà, in vita sua era stato molte cose, e ancora non aveva ben chiaro dove fosse giunto.

"Non sei cambiato affatto!" –Esclamò una voce, rubando il giovane ai suoi pensieri.

Ascanio si voltò e vide un ragazzo sui vent’anni fissarlo a braccia conserte, sulla soglia di una piccola pagoda. Il suo viso non gli era noto, né il tatuaggio della tigre che splendeva sulla sua schiena nuda nel sole del mattino, ma ne percepì il cosmo, e ciò gli bastò per riconoscerlo. Per riconoscere il primo dei suoi maestri. Il Vecchio Maestro di Libra.

"Di vecchio ormai non avete più niente, Maestro!" –Sorrise Ascanio, avanzando verso il Cavaliere d’Oro. –"Non credevo che le erbe di Cina funzionassero così bene! Dovreste consigliarmi un impacco!"

"Non hai mai avuto fiducia nelle terapie naturali, Ascanio, preferendo il lato fisico di tutte le cose!" –Rispose Libra, avvicinandosi al ragazzo e fermandosi a mezzo metro da lui. Lo fissò negli occhi, neri come i suoi scombinati capelli, gli osservò il viso, maschile e abbronzato, e infine squadrò i suoi vestiti, una canottiera bianca sopra un paio di pantaloni grigi. Identico all’ultima volta che l’aveva visto, quando l’aveva autorizzato ad andare in Grecia, assieme a Tebaldo, l’altro suo allievo.

Non aveva mai più rivisto nessuno di loro.

"È un piacere rivedervi, Maestro!" –Commentò Ascanio, con voce sincera. –"Non ho mai dimenticato i vostri insegnamenti! Ed essere qua, oggi, a ringraziarvi per avermi insegnato a vivere, è per me una grande gioia, oltre che qualcosa che sentivo di fare da tempo, nonostante non ne abbia avuto la possibilità!"

"Non hai niente di cui ringraziarmi, Ascanio! Ho fatto soltanto il mio dovere, ho fatto ciò che andava fatto! Come tu, a tuo modo, hai fatto altrettanto!" –Rispose Libra, dando le spalle al giovane e incamminandosi lungo una sporgenza rocciosa, fino a portarsi vicino alla grande cascata dei Cinque Picchi. Da quando era tornato in Cina non era trascorso giorno senza che non vi si fosse tuffato, per nutrirsi di quell’energia primordiale che tanta forza gli aveva dato negli anni, anche solo con la sua vicinanza. –"Cavaliere di Zeus!" –Esclamò infine. –"Ne hai fatta di strada, ragazzo, e non sbagliavo quando credevo che il tuo posto non fosse qua! Che non vi fosse Armatura per te sotto questa cascata di stelle! Non era questo il drago che doveva segnare il tuo destino!"

"Voi… sapete?!" –Balbettò Ascanio, sfiorandosi i polsi improvvisamente.

"Ho abbastanza nozioni di storia delle civiltà antiche per conoscere il significato di quei serpenti intrecciati, Ascanio! E per temere per te! Poiché essi possono dare vita, ma anche morte! Bianco e rosso! I colori dei draghi di Glastonbury, simboli del potere della creazione e dell’ordine cosmico!" –Spiegò Libra.

"Sapete una cosa?! È ironico ma… se Ares non avesse attaccato l’Olimpo, Zeus non avrebbe mai risvegliato la Legione nascosta ed io non vi avrei rivisto! La mia vita è di nuovo cambiata, la mia vita è un continuo cambiamento! È un ciclo di rinascita e morte, proprio come quello del Drago! Proprio come quello che Avalon teme che la nostra Terra stia vivendo!" –Esclamò Ascanio, abbassando infine lo sguardo, con aria preoccupata.

In quel momento Sirio e Fiore di Luna comparvero lungo il sentiero, tenendosi per mano e ridendo tra loro, sereni come non erano riusciti ad essere da molto tempo. Neppure nei mesi trascorsi insieme tra la fine della Guerra Sacra contro Ade e l’attacco di Arge lo Splendore, poiché in tutto quel tempo Sirio non era stato se stesso e Fiore di Luna aveva combattuto ogni giorno contro i sensi di colpa che lodavano Atena per la decisione presa. Per aver tolto il suo amato Sirio dalla guerra. Anche a costo di perdere i difensori della giustizia e dei popoli della Terra.

"Maestro!" –Esclamò Sirio, avvicinandosi alla cascata, incuriosito dall’uomo in piedi accanto al Cavaliere di Libra. Un uomo che non aveva mai incontrato prima e di cui il suo Maestro non gli aveva mai parlato.

"Finalmente ci incontriamo, Sirio!" –Affermò Ascanio. –"Tu e i tuoi compagni avete compiuto imprese grandiose, prima contro Ade e Crono e infine contro Ares! Gli avete dato una bella lezione a quella carogna!"

"Avremmo voluto fare anche di più!" –Sorrise Sirio, un po’ imbarazzato.

"Sirio, ti presento il Comandante della Legione dei Cavalieri Celesti di Glastonbury, Ascanio Pendragon, al servizio del Sommo Zeus!" –Esclamò Libra.

"Di Zeus e di Avalon!" –Precisò Ascanio, stringendo la mano di Sirio e sorridendogli sinceramente.

"Come mai ai Cinque Picchi? È successo qualcosa sull’Olimpo?" –Si preoccupò Sirio immediatamente.

"Niente più dell’eterna guerra in cui siamo ormai immersi da millenni!" –Ironizzò Ascanio. –"In realtà non sono in missione per conto di Zeus, ma solo per conto di me stesso, per quanto un Cavaliere abbia così poco tempo per sé! Da tempo desideravo incontrare di nuovo l’uomo che mi ha addestrato! L’uomo che forse ho abbandonato troppo in fretta, per inseguire il fatuo fuoco di un sogno, pur insicuro che fosse!"

"I rimpianti non si addicono ad un Comandante Celeste, né tanto meno al figlio del Drago!" –Disse Libra, tirandogli un’occhiata ambigua, mentre Ascanio si voltava di nuovo verso Sirio.

"Non sapevo che aveste avuto altri allievi, maestro!" –Commentò Sirio.

"Per la verità… ne ho avuto parecchi! Ed il primo è stato proprio l’antecedente Cavaliere di Pegasus! Eh eh!" –Sorrise Libra, prima di mettere un braccio sulle spalle di Sirio e uno su quelle di Ascanio e incamminarsi con loro verso la pagoda. –"Ma vi assicuro che in duecentocinquanta anni non ho mai assaggiato un riso migliore di quello preparato da Fiore di Luna! Soprattutto quando Sirio le sei vicino!" –Aggiunse, facendo arrossire la ragazza, timidamente rimasta dietro Sirio per tutta la durata della conversazione. –"Cosa ne diresti di deliziarci con un tuo pasto?"

I tre ragazzi entrarono nella pagoda, ricostruita da Sirio dopo gli attacchi dei mesi precedenti, e Fiore di Luna si affaccendò in cucina, lasciandoli a chiacchierare attorno a un tavolo. Della Grande Guerra contro Ares, dell’Olimpo e dei progetti di Zeus, e della vita a Glastonbury. E Sirio si accorse che Ascanio, per quanto desse l’idea di un uomo rude e incolto, possedeva un’abile parlantina e una grande conoscenza dei misteri, di cui sembrava un attento indagatore, e anche veneratore. Era un guerriero e anche uno studioso. Un Comandante e forse anche un Sacerdote. E chissà cos’altro ancora! Si disse Sirio, prima che l’aroma del riso alla cantonese di Fiore di Luna lo distraesse.

Terminato il delizioso pranzo, Ascanio uscì fuori dalla pagoda, a respirare la fresca aria dei Cinque Picchi, quel corroborante sapore che nei mesi del suo addestramento gli aveva riempito il cuore ogni mattina, quando si alzava per iniziare ad allenarsi. Sorrise, rivedendosi intento a correre tra i fulmini, a lanciare calci contro la cascata e a cercare di colpire gli uccelli con gli occhi bendati. Di tutte le prove a cui il Vecchio Maestro lo aveva sottoposto, quelle di meditazione erano quelle che non Ascanio non aveva mai sopportato, non avendo un carattere particolarmente dedito alla calma o all’indagine personale. Aveva sempre preferito tirar di spada, allenandosi con Tebaldo, o correre per cento miglia, dando libero sfogo alla frenesia di vita che lo attanagliava. Ma il tempo poi lo aveva cambiato, la permanenza sull’Isola Sacra lo aveva cresciuto e adesso Ascanio era maturato e aveva trovato nella profonda conoscenza di sé e dei misteri del mondo un fascino e una potenza insormontabili.

Siamo tutti diretti da qualche parte! Si disse il giovane, camminando lungo gli spuntoni di roccia dei Cinque Picchi. E sarebbe stupido restare fermi e non cambiare mai, non adattarsi ai tempi che vengono e alle nuove circostanze! Siamo uomini, e dobbiamo esserlo fino in fondo! Nel bene e nel male! E si voltò verso la piccola pagoda, rivedendosi bambino. Rivedendosi quel ragazzo di nove anni che aveva raggiunto la Cina da solo, in una notte di pioggia, arrancando lungo le rive del fiume, diretto verso neppure lui sapeva dove. Soltanto avanti. Gli avevano detto che nelle vallate interne dei Cinque Picchi viveva un antico saggio, forse un anacoreta, che possedeva le chiavi del cosmo, e ciò era stato sufficiente per muovere i suoi passi in quella direzione. Sacca in spalla e a denti stretti aveva camminato per giorni, rubacchiando qualcosa nei campi attorno per sopravvivere, finché non era crollato, inzuppato fradicio e affamato, poco distante da uno stagno, ai margini di un campo di bambù. Proprio dove Tebaldo lo aveva trovato la mattina successiva, in uno dei suoi giri di corsa, e dove lo aveva preso in braccio e portato alla casa del Vecchio Maestro, per dargli le cure necessarie. Non aveva avuto bisogno di fare molto, il Cavaliere di Libra, soltanto di sfiorargli la fronte con la rugosa mano e infondergli il calore del suo cosmo d’oro, riavviando la sopita scintilla della vita. Mi avete salvato la vita, quel giorno, Venerabile Maestro! E Ascanio Pendragon non dimentica i suoi debiti d’onore! Mormorò il ragazzo, osservando da lontano Sirio e Libra parlare tra loro, al piccolo tavolo della pagoda.

"Non mi avevate mai parlato di lui, Vecchio Maestro!" –Esclamò Sirio, un po’ sorpreso e un po’ intimorito.

"Non credevo neppure che fosse ancora vivo!" –Rise Libra, cercando di sdrammatizzare. Ma il volto serio di Sirio gli fece mutare espressione. –"Hai ragione, Dragone, non l’ho mai fatto! Forse non ho mai pensato che potesse essere interessante per te conoscere i miei trascorsi di insegnante, o forse non mi sono mai considerato il suo maestro! Del resto, in Ascanio c’è molto più di quanto si veda all’occhio! Ci sono poteri che sfuggono ad ogni tentativo di comprensione!"

"L’ho notato anch’io! Come ho notato i serpenti sulle braccia! E mi hanno ricordato le antiche leggende di cui mi parlavate nelle notti trascorse a leggere, durante l’addestramento!" –Rispose Sirio. –"Saggezza e forza si fondono in lui, in un’armonia perfetta! Lo sento nel cosmo che emana!"

"Non sentirti inferiore a lui, Sirio! Non hai niente che ti manca né vi sono vette che non hai raggiunto! Ma sentiti fiero di ciò che sei, e dei limiti che hai superato più volte!" –Sorrise Libra, rincuorando l’allievo. –"Hai sconfitto delle Divinità, dando il massimo in nome di Atena! Nessun maestro potrebbe desiderare allievo migliore!"

Sirio si commosse, e anche Fiore di Luna, che stava rassettando in cucina, udì le parole di Libra e si abbandonò ad un sorriso di orgoglio. Per il ragazzo che aveva visto crescere e diventare uomo. Per il ragazzo che le aveva riempito il cuore fin dal primo giorno in cui l’aveva visto, sorridendo birichina dietro canne di bambù. Non provava soltanto amore per Sirio, ma anche orgoglio, un immenso orgoglio che mai sarebbe riuscita a dimostrargli.

La voce di Ascanio riportò tutti al presente, a salutare il giovane che aveva deciso di fare ritorno sull’Olimpo, per riorganizzare con Zeus la disposizione delle Legioni Celesti. Prima di tornare a Glastonbury. Prima di tornare a casa! Sospirò, abbracciando Libra e scomparendo poi lungo il vialetto polveroso. Mani in tasca, un calcio ad un sasso e il rumore sordo del suo tonfo nelle acque del fiume, molti metri sotto di lui. Con un ultimo sguardo, Ascanio si allontanò dalla pagoda, notando la cura che Fiore di Luna aveva dedicato alla casa, il suo tocco femminile. Un aiuola ben curata, e un piccolo orticello sul retro, il tutto circondato da fitti cespugli di rose rosse. Di rose dal colore del sangue.

"Forse dovremmo tornare in Grecia, Sirio!" –Affermò Libra, alzandosi in piedi. –"Troppi enigmi irrisolti meritano di essere svelati quanto prima! Temo per la salvezza del mondo!"

"No!" –Esclamò di scatto Fiore di Luna, intervenendo nella conversazione. –"Vi prego, Maestro, non portate Sirio nuovamente via! Ha bisogno di riposarsi, di vivere come un uomo normale, non di essere trascinato di continuo su un campo di battaglia!"

"Sirio non è un uomo normale, Fiore di Luna, come non lo sono io né alcuno dei Cavalieri di Atena!" –Precisò Libra.

"Lui non è una macchina da guerra, vi prego!" –Continuò Fiore di Luna, alzando il tono della voce, e costringendo Sirio ad intervenire, pregandola di calmarsi. –"Non mi calmo affatto! Sono stufa, Sirio, stufa di questa vita! Stufa di attendere sempre il tuo ritorno, logorandomi nell’angoscia per la tua sorte, mentre quell’inconcludente ragazza non è mai capace di risolvere da sola i suoi problemi!"

"I problemi di Atena sono problemi di tutti noi, Fiore di Luna! E mi sorprende che tu non li capisca!" –Sbottò Libra, adirato. –"Il tuo egoismo non aiuta certamente Sirio a svolgere al meglio la sua missione!"

"Il mio egoismo o il vostro e quello della Dea che si fa chiamare della giustizia, mentre io credo che il termine corretto sarebbe ingiustizia?" –Gridò Fiore di Luna, prima che Sirio si mettesse in mezzo ai due pregandoli di calmarsi e chiudere quella discussione. Libra scosse le spalle e uscì dalla pagoda, non prima di aver lanciato una torva occhiata a Fiore di Luna, per comunicarle tutto il suo disprezzo.

"Cosa ti prende, Fiore di Luna? Non è da te un simile sbotto d’ira!" –Le disse Sirio, con voce suadente. –"Capisco la tua preoccupazione, ma vorrei che tu ti sforzassi di comprendere il mio ruolo!"

"E tu il mio non lo capisci, Sirio?" –Pianse Fiore di Luna, gettandosi tra le braccia dell’amato. –"Confinata in questa pagoda di solitudine, trascorro le notti a chiedermi se mai ti rivedrò comparire sulla soglia di casa! E l’unica immagine che riesce a rimanermi dentro è quella maledetta Armatura che ti porti sempre in spalla! Quella croce che non ti dà mai pace, che non ci darà mai pace!!!"

"L’Armatura è il mio simbolo, e forse anche la mia maledizione!" –Commentò Sirio, asciugandole le lacrime, prima di pregarla di stendersi e riposarsi un po’. Ma lei, scocciata e delusa dalla sua mancanza di comprensione, brontolò qualcosa e se ne andò nel giardino sul retro, stufa di essere considerata solo un oggetto da difendere, ma desiderosa che i propri desideri, i propri istinti, potessero emergere.

Sirio sospirò, sconcertato e dispiaciuto per quella scomoda situazione, prima di uscire fuori e incamminarsi lungo la sporgenza rocciosa di fronte alla cascata, dove Libra si era seduto in posizione meditativa, per ritrovare la concentrazione che aveva perso improvvisamente poco prima. In una maniera così brusca che lo aveva spaventato.

"Maestro! Perdonate Fiore di Luna! È soltanto preoccupata e straziata dall’angoscia!" –Esordì Sirio, con voce pacata.

"È soltanto una ragazzina stupida!" –Esclamò Libra, con voce tagliente. –"Un’egoista che antepone la propria felicità, la soddisfazione dei primordiali istinti di lussuria del suo corpo, al benessere dell’umanità! Cosa ne sarebbe dei popoli liberi e della pace se nessuno combattesse per difenderli?"

"Maestro, avete ragione, ma non siate così severo! È una ragazzina, certo, ma è dolce ed è stata un sostegno per me in questi anni!"

"Una palla al piede, niente di più! Ecco cos’è stata quella mocciosa! Rimpiango il giorno in cui l’ho salvata dalla tempesta! Avrebbe meritato di morire con i suoi genitori affogata nel fiume!" –Sbraitò Libra, arrabbiato.

"Ma… Maestro! Come potete dire una cosa simile? Vergognatevi delle vostre parole! E vi professate un servitore di Atena e della giustizia?!" –Esclamò Sirio, incredulo, mentre Libra si metteva in piedi, lanciandogli un’occhiata furba.

"Non sei molto diverso da lei, Sirio! Uno smidollato! Così attaccato all’amore da non vedere più con i tuoi occhi ma con quelli di lei!" –Continuò Libra, con tono volutamente provocatorio.

"Basta! Non permettetevi più di parlare dei nostri sentimenti, di sentimenti che non conoscete!" –Ringhiò Sirio. –"Per duecentocinquanta anni non avete provato mai emozione alcuna, distaccato spettatore di un amore che non conoscete! E volete accusare me di essere un debole solo perché il mio cuore batte per qualcosa di più che non servire ciecamente la mia Dea?! Siete meschino!"

"E tu sei un debole! E per questo…" –Sogghignò Libra, mentre un inferno di luce esplodeva nei suoi occhi. –"…devi morire!" –Aggiunse, muovendo la gamba destra di scatto e sollevandola verso il collo di Sirio. A tale vista, il ragazzo fu svelto a balzare indietro, venendo raggiunto solo superficialmente dall’improvviso attacco del suo maestro, che non riusciva neanche più a riconoscere. Trasformato in un mostro di fattezze orribili, con marcate rughe di ira che gli solcavano il volto, Libra sembrava davvero una tigre pronta ad azzannare il suo nemico. E a Sirio, nonostante tutto, nonostante la follia insita in quell’assurdo scontro, quella caccia sanguinaria esaltava i sensi, stimolava i suoi istinti, risvegliando il sopito drago di Oriente.

"Fatti avanti, bamboccio! Mostrami la forza di quest’amore di cui tanto parli! Io ti mostrerò la forza della solitudine!" –Gridò Libra spavaldo, gettando via la veste che aveva addosso e rimanendo solo in pantaloni. Sirio fece altrettanto, prima di lanciarsi contro il suo Maestro, nello stesso tempo in cui anch’egli si mosse. Si scontrarono a mezz’aria, colpendosi sul viso e ricadendo a terra per la spinta dell’altro, ma subito si rimisero in piedi, toccandosi le guance doloranti. –"Hai un bel destro! Ti ho insegnato bene!"

"Tacete e combattete!" –Gridò Sirio, la cui ira stava emergendo sempre di più, incapace di controllarla con distacco, come sempre era stato in grado di fare, grazie alla meditazione e alla pace interiore. E senza aggiungere altro si lanciò verso Libra, muovendo i pugni velocemente, prima il destro poi il sinistro, e poi di nuovo, e di nuovo ancora, costringendo l’uomo a schivargli e ad arretrare, fino a ritrovarsi sul bordo dello spuntone roccioso. Libra incrociò le braccia avanti a sé, proprio mentre Sirio caricava nuovamente il pugno destro, e parò il suo attacco, fermandogli poi il braccio, per spezzarlo. Ma Sirio fu svelto a colpirlo alle gambe con un calcio secco, che gli fece perdere stabilità, prima di spingerlo indietro con una ginocchiata, facendolo precipitare di sotto dalla sporgenza rocciosa. Soddisfatto, il ragazzo si scosse le mani e si sporse per osservare il lago sottostante, dove il corpo di Libra avrebbe dovuto galleggiare. Ma non c’era niente, soltanto l’immenso scrosciare della Cascata del Drago. E quando capì, fu troppo tardi.

Libra era riuscito ad aggrapparsi ad una sporgenza del terreno, dondolandosi con le gambe e dandosi la spinta per ritornare di sopra, balzando contro Sirio e colpendolo in pieno petto, fino a sbatterlo a terra. Quindi fu su di lui, lo afferrò per il lungo vestito e gli sputò in faccia. Esprimendo tutto il disprezzo che provava per lui. O forse per se stesso, per non essere in grado di reprimere quell’istinto animale che lo stava sopraffacendo sempre di più. Mostrò il palmo della mano destra al ragazzo, sogghignando perversamente e allungando le unghie delle dita fino a creare artigli simili a quelli di una tigre.

"Mira gli artigli che ti strapperanno il cuore, Sirio!" –Ringhiò Libra, calando la mano su di lui. Ma Sirio fu abile a balzare indietro, mentre gli artigli strappavano via la sua veste, lasciandogli solo qualche unghiata sul petto. –"Sangue!!!" –Mormorò Libra tra sé, alla vista di alcune gocce rosse scivolare sul corpo del ragazzo. E ciò lo fece eccitare ancora di più, inebriato da quell’aroma che pareva stuzzicare i suoi istinti più primordiali.

"Colpo segreto del Drago Nascente!!!" –Urlò improvvisamente Sirio, scagliando il suo colpo segreto con la gamba sinistra, sollevandola di colpo e dirigendo l’attacco verso Libra, che non poté far altro che incrociare le braccia avanti a sé e pararlo con il cosmo.

"Occasione sprecata, tocca a me adesso!" –Ringhiò Libra, portando avanti il pugno destro e caricandolo della sua energia cosmica. Sirio fece altrettanto e lo scontro tra i due poteri generò una piccola esplosione che scaraventò entrambi indietro, sbattendoli a terra, sempre più arrabbiati, sempre più vittime dei loro istinti.

L’esplosione venne udita anche nelle vallate circostanti e fece sorridere Menas della Rosa, in piedi su un altopiano poco distante, soddisfatto del suo operato. Arrivare non visto ai Cinque Picchi non era stato un problema, utilizzando i bozzoli dei suoi fiori per passare sottoterra. Né lo era stato disseminare il giardino della pagoda di semi di rabbia, che in pochi attimi avevano dato vita a rigogliosi cespugli di rose rosse, le stesse che avrebbero ucciso Sirio e il Cavaliere suo maestro. Come era nei piani di Flegias. Ciò di cui Menas non aveva però tenuto conto, e che non poteva sapere, era che Ascanio fosse refrattario a quell’aroma.

Un colpo energetico lo raggiunse alla spalla destra, sbattendolo a terra e frantumando il coprispalla della sua nera corazza. Stupito, Menas si rimise in piedi, tastandosi la spalla sanguinante, per trovarsi di fronte un ragazzo, di non più di trent’anni, con un volto scuro e uno sguardo determinato, avvolto da una lucente aura cosmica.

"È a te che devo quest’inutile spargimento di sangue?!" –Esclamò l’uomo, avanzando a passo deciso verso Menas. –"Ho sentito scontrarsi i cosmi del Cavaliere del Dragone e del mio Maestro, e dubito che volontariamente quei due generosi e pacati uomini si affronterebbero!"

"Dubiti bene, uomo!" –Sogghignò Menas, mostrando una rosa rossa sul palmo della mano. –"E ti mostrerò in che modo ho agito! Così!!!" –Gridò, scagliando un mucchio di rose, dai petali color sangue, contro Ascanio. –"Rosa di rabbia!!!" –Ma Ascanio, per niente impressionato da quell’assalto, si limitò a far esplodere il cosmo e a travolgere tutte le rose di Menas, distruggendole e spargendo a terra i loro petali. –"Non gioire nell’apparenza di una facile vittoria! Le rose di rabbia continuano il loro venefico effetto anche estirpate, anche se i loro steli fossero recisi e i loro petali gettati al vento! Porterebbero comunque gli uomini alla pazzia!"

"È dunque questo il loro potere?!" –Commentò Ascanio. –"Terribile arma! Agisce sulle pulsioni nascoste degli uomini, tirando fuori i loro istinti primordiali, facendoli diventare bestie pronte ad azzannarsi! La tigre e il dragone! Un lago di sangue!" –Rifletté raggelandosi.

"Presto anche tu scivolerai nei tormenti della bestialità furiosa, Cavaliere senza nome! La tua aria superba non ti salverà!" –Sghignazzò Menas, ma Ascanio fugò ogni dubbio, atterrandolo con un semplice movimento del braccio e schiacciandolo a terra con il suo cosmo.

"Dubito che su me, addestrato agli antichi misteri di Avalon, istruito dal Signore dell’Isola Sacra in persona, tali poteri possano avere effetto! Non vi è droga o effluvio che io non abbia sperimentato e saputo domare! E la tua rosa di rabbia non fa certo differenza!" –Esclamò Ascanio, calpestando alcuni petali con il tacco delle calzature. –"Tuttavia sono in pena per Sirio e il Maestro! Devo tornare ad aiutarli!"

"Ormai saranno già morti!" –Ridacchiò Menas. –"Gli animaleschi spiriti della Tigre e del Drago li avranno condotti verso gli abissi di Ade, in mezzo a tormenti atroci! Come bestie si saranno azzannate, sfregiando i loro corpi e inebriandosi dell’odore del sangue, odore che nient’altro effetto avrà avuto se non quello di aizzarli ancora l’uno contro l’altro, sempre di più, fino a divorarsi corpo e anima!"

"Sei un miserabile! Soltanto i vigliacchi combattono in questo modo!" –Esclamò Ascanio, espandendo il suo cosmo. –"Parli di sangue e di istinti con un distaccato fascino che mi fa pensare che tu sia immune, come me, a questo artifizio!"

"E lo sono infatti! Nel mio sangue scorre il siero della rosa di rabbia, dal Gran Maestro di Ombre in persona iniettatami! Nessun onore potrebbe essere più grande di quello che mi vede suo servitore personale, l’araldo della grande ombra!"

"Il Gran Maestro di Ombre? Chi è costui?" –Rifletté Ascanio, ma Menas parve non aver più voglia di parlare. Concentrò il cosmo sul pugno destro e si lanciò avanti, per colpire il ragazzo in pieno viso, ma Ascanio fu svelto ad evitarlo, spostandosi di lato. –"Troppo lento! Il tuo genio non funziona con me!" –E travolse Menas con un’onda di cosmo, paralizzando i suoi movimenti. –"Adesso parla! Chi ti ha inviato ai Cinque Picchi? Sei al servizio del figlio bastardo di Ares, che i Cavalieri Celesti miei compagni cercano di catturare da settimane?"

"E se anche fosse?!" –Sogghignò Menas, cercando di liberarsi dalla prigionia mentale di Ascanio. –"Flegias vi sterminerà tutti e sulle ceneri di questo mondo sorgerà un impero di tenebra, di cui egli sarà sovrano incontrastato, ambasciatore dell’ombra e del caos!"

"Dunque è così! Non ha rinunciato ai suoi folli progetti di dominio!" –Rifletté Ascanio. –"Devo rientrare sull’Olimpo e conferire subito con Phantom e con Zeus!"

"Mi dispiace per te, ma non andrai da nessuna parte!" –Esclamò Menas, con gli occhi che gli luccicavano di rabbia. In quel momento il terreno tremò sotto i piedi di Ascanio e numerosi fusti di rovi sorsero attorno a lui, avvinghiandosi stretti al suo corpo e lacerando le sue vesti con le loro spine aguzze. Ascanio tentò di dibattersi, per sradicare quei rovi assetati del suo sangue, e nel farlo abbandonò la presa mentale su Menas, che fu di nuovo libero di muoversi. –"Stritolatelo, rovi di sangue!" –Gridò, aumentando il numero dei fusti spinosi, che si attorcigliarono attorno al corpo del ragazzo, proprio come avevano fatto con Asher il giorno prima. Lo afferrarono per gambe e braccia, bloccandogli i movimenti e affondando nella sua giovane carne.

"Non penserai di battermi con così poco! Non ho neanche bisogno della mia Armatura per sconfiggerti!" –Esclamò Ascanio, espandendo il cosmo, con i muscoli tesi per lo sforzo, e annientando tutti i rovi, che vennero inceneriti da un’onda di luce. Menas la osservò, impressionato dall’immane potenza, e gli parve di vedere la sagoma di un dragone rosso dipingersi davanti a sé. Un dragone con le fauci aperte, che Ascanio diresse contro di lui. –"Attacco del Drago di Sangue!!!" –E travolse Menas, trapassando il suo corpo da parte a parte e gettandolo a terra, con l’armatura in frantumi e ferite aperte ovunque.

"Ma… maledetto…" –Rantolò Menas, respirando a fatica e realizzando di non essere all’altezza per un avversario del genere. Lui era solo un guerriero di basso rango, dalla potenza ben lontana da quella dei Capitani dell’Ombra, specializzato in agguati e infiltrazioni, scelto da Flegias proprio perché sapeva arrivare e andarsene non visto. Ma in battaglia i suoi poteri erano minimi. –"Tuttavia non mi arrendo… no, non deluderò il Gran Maestro di Ombre!" –Ringhiò, rimettendosi in piedi.

Ascanio lo osservò ma non provò alcuna ammirazione per la sua tenacia, considerandola soltanto un passo avanti lungo i gradini dell’inferno. Portò il braccio destro davanti al petto, lasciando che i serpenti intrecciati si illuminassero e invadessero l’intero altopiano, stritolando Menas in un abbraccio di luce. Quindi fece per colpirlo al cuore con un pugno, per porre fine alla sua straziante agonia, quando una bomba di energia esplose proprio su di loro, scaraventandoli indietro di parecchi metri. Ascanio rotolò sul terreno roccioso, prima di rimettersi agilmente in piedi e gettar via la maglietta strappata. Di fronte a lui, magnifico e terribile, si ergeva un nuovo avversario, dal cosmo oscuro come le tenebre.

Alto più di tre metri, un colosso dalle spalle robuste, ricoperto da un’armatura nera dai riflessi violacei, con otto teste di drago disseminate sul corpo che le davano un’aria inquietante. Ma Ascanio, che quel simbolo ben conosceva, essendo anche il suo, ne provò rispetto, più che timore. Quell’uomo era Orochi, il più forte dei sette Capitani dell’Ombra.