CAPITOLO SECONDO. RICOSTRUIRE.

Castalia uscì in fretta dalla doccia, asciugandosi i folti capelli arancioni davanti allo specchio. Aveva una pelle morbida e vellutata, per quanto non dedicasse eccessiva attenzione alla cura estetica del corpo, un seno sodo e due belle gambe slanciate, risultato dei lunghi anni di addestramento e dell’esercizio fisico che tuttora non si faceva mai mancare. Per un momento si perse nello sguardo della ragazza che comparve di fronte allo specchio, e lo trovò spento. Quasi come le mancasse una luce, un motivo per andare avanti. Sospirò, colpevolizzandosi per quei pensieri che la distraevano dalla sua missione principale, e si preparò in fretta, indossando i suoi abiti, l’armatura di cuoio e di rame che utilizzava durante l’addestramento e la maschera da Sacerdotessa.

La mia prigione! Pensò, indossandola e coprendo così il volto in cui si era specchiata in quei pochi minuti dedicati a se stessa. Il volto che nessuno aveva mai visto, ad eccezione di due uomini che Castalia aveva sentito molto vicini. Per quanto adesso di uno non avesse più notizie, e dall’altro fosse stata costretta a separarsi momentaneamente, impegnato in missione per conto del Sommo Zeus. Il primo era suo fratello, di cui aveva perso le tracce anni addietro, quando aveva abbandonato Nuova Luxor per andare in Grecia e divenire una Sacerdotessa. Il secondo era Phantom dell’Eridano Celeste, il Luogotenente dell’Olimpo, a cui la donna si era unita qualche mese prima, durante la guerra tra Atene e il Monte Sacro, gettando via tutti i dubbi e rimpianti che riguardavano il terzo uomo della sua vita, quello che per molti anni avrebbe voluto considerare l’unico: Ioria, Cavaliere di Leo. Sbuffando, Castalia uscì dalla piccola casa del Grande Tempio dove abitava con Tisifone, nella zona dedicata agli alloggi delle Sacerdotesse, sbattendo la porta dietro di lei e trovandosi di fronte proprio la Sacerdotessa del Serpentario.

"Castalia!" –Esclamò Tisifone, stupita nel vederla così agitata. –"Stavo venendo a chiamarti! È l’ora della tua lezione!" –Aggiunse, indicando il campo di allenamento delle Sacerdotesse che sorgeva poco distante, dove tutti i giorni Castalia e Tisifone addestravano le loro allieve ai rudimenti del cosmo. Non erano molto numerose attualmente, poiché la maggioranza era stata barbaramente uccisa mesi prima, durante l’attacco di Flegias e dei bersekers di Ares al Grande Tempio. Ma le poche che erano riuscite a salvarsi, nascondendosi nelle grotte e negli anfratti interni della Collina della Divinità, non avevano perso la determinazione e la volontà di continuare a servire Atena, impegnandosi con uno slancio persino maggiore di quello che avevano dimostrato in precedenza.

"Sono pronta, Tisifone! Perdona il mio ritardo!" –Affermò Castalia, con aria distante.

"Ti vedo distratta! C’è qualcosa che ti preoccupa, Castalia?!" –Domandò Tisifone, scrutando la compagna con apprensione. –"Ci sono stati diverbi in passato tra di noi, e anche aperta ostilità! Ma grazie alla buona volontà di entrambe siamo riuscite a superare quei momenti, gettandoli indietro, e a stabilire un sereno rapporto! Perciò, se hai bisogno di confidarti con qualcuno, riguardo a qualche pensiero che ti turba, sappi che sono a tua disposizione! Non farti problemi con me!"

"Ti ringrazio per il pensiero, Tisifone! Ma non è un peso che posso permettermi di scaricare su altri!" –Commentò Castalia con un sospiro, prima di sollevare lo sguardo e dirigerlo verso settentrione, verso la Collina della Divinità, ove si stagliavano nel sole del mattino le Dodici Case dello Zodiaco e la residenza della Dea Atena.

"Si tratta di Ioria, non è vero?" –Esclamò Tisifone, avvicinandosi alla compagna, che subito si voltò zittendola, cercando di divincolarsi da quella conversazione scomoda. –"L’ho notato, sai, che non vi parlate più! Non vi siete più parlati da quando siete tornati dalla Tessaglia, il giorno dell’assalto di Ares all’Olimpo! Cos’è successo, Castalia? Perché sento così tanto dolore nel tuo cuore di donna?!"

"Il mio cuore appartiene ad Atena, Tisifone! Dovresti saperlo, poiché anche tu sei una Sacerdotessa Guerriero, proprio come me, ed entrambe abbiamo destinato alla Dea della Giustizia la nostra vita, e tutti i nostri sentimenti, precludendoci qualsiasi altra forma di amore!" –Commentò Castalia.

"Ciò non toglie che siamo pur sempre donne, e come tali capaci di amare in maniera meravigliosa!" –Rispose Tisifone, con una certa tristezza nel cuore. –"È sbagliato, lo so! Ma è anche umano! E non si può chiedere ad un uccello di smettere di volare!"

"Ogni tanto… vorrei davvero essere un uccello… essere un’aquila! Così, forse, sarei finalmente libera!" –Mormorò Castalia, mentre Tisifone le metteva una mano sulla spalle sorridendole. E lasciò la mente libera di volare lontano dalla casa delle Sacerdotesse, lontano dal Grande Tempio, lontano da quello stesso cielo che anche Ioria del Leone fissava in quel preciso momento.

In piedi, sulla rampa di scale che dalla Quinta Casa dello Zodiaco conduceva alla Sesta, il Cavaliere d’Oro, rivestito dalla sua corazza di cuoio, impiegata per gli usi quotidiani, si era fermato per un momento, ad osservare il cielo terso di quel mattino di settembre.

"Dove devo portarla questa?!" –Domandò una squillante voce maschile, distraendo Ioria dai suoi pensieri. Il Cavaliere di Leo si voltò e trovò Asher dell’Unicorno qualche scalino sotto di lui, che portava una colonna di marmo sulle spalle, stanco e sudato.

"Alla Sesta Casa! Abbiamo ancora molto da lavorare per farla tornare al suo antico splendore!" –Commentò Ioria, dando le spalle al ragazzo e incamminandosi, anch’egli con una colonna sulla spalla destra, lungo la scalinata delle Dodici Case.

"Metti un grande impegno nella riparazione della Casa della Vergine!" –Commentò Asher, seguendo Ioria lungo la scalinata. –"Sono tre giorni che portiamo materiali da costruzione alla Sesta Casa! E non abbiamo ancora iniziato a sistemare le case superiori! La settima poi è un immenso pantano! E la decima è da ricostruire totalmente! Maledetto Ares!!!"

"Ce ne occuperemo quando avremo finito alla Sesta Casa!" –Tagliò corto Ioria, giungendo nel piazzale antistante ad essa. –"Forse non saremo in grado di ricostruire lo splendore delle statue e degli arazzi che ornavano questa magione, né di far crescere nuovamente i profumati fiori del Giardino di Sala, ove niente è rimasto se non i due alberi sotto i quali Buddha morì, ma faremo tutto ciò che è nei nostri poteri e nelle nostre possibilità per onorare al meglio la memoria di colui che un tempo abitò tra queste quattro mura!"

"Sembra quasi che tu abbia un motivo personale per ricostruire questa Casa, Ioria!" –Commentò Asher, poggiando a terra la colonna che portava con sé. –"Qualcosa che va al di là della tua indiscussa fedeltà ad Atena!"

"Sia chiara una cosa, Asher!" –Esclamò Ioria, depositando la sua colonna e voltandosi con foga verso Unicorno. Lo afferrò per la maglietta bagnata di sudore, sollevandolo da terra e fissandolo negli occhi. –"Non sono tenuto a giustificare i miei comportamenti con nessuno! Tanto meno con un Cavaliere di Bronzo!"

"S... scusami!" –Balbettò Asher, intimidito da quell’improvviso attacco di ira di Ioria, che, accortosi di essere stato troppo irruento, lo depositò nuovamente a terra, dandogli le spalle e incamminandosi verso l’ingresso del tempio, dove un gruppo di soldati semplici stava lavorando, per sistemare le colonne della facciata.

"Ti sei mai sentito inutile, Asher?!" –Domandò Ioria, fermandosi improvvisamente. –"Ti sei mai sentito vuoto e stanco, sicuro che qualunque cosa farai sicuramente fallirai? Sicuro di non essere in grado di raggiungere gli obiettivi che ti sei posto?!" –Asher annuì in silenzio, conoscendo bene quella sensazione. Era la stessa che gli dominava il cuore da un paio d’anni, da quando aveva realizzato di essere troppo debole per difendere Atena, troppo inesperto nel combattimento per arrivare laddove Pegasus e i suoi quattro amici erano giunti, compiendo imprese al limite dell’umano e sfiorando l’ambita vetta delle Divinità. –"Se hai provato anche solo una volta ciò per cui il mio cuore si tortura da mesi, allora puoi capire perché desidero dare nuova vita alla Sesta Casa!" –Aggiunse Ioria, sospirando, mentre il vento del mattino gli scombinava i capelli castani.

Alla casa del compagno che non sono riuscito a salvare! Alla casa della promessa che non sono stato in grado di mantenere! Mormorò, ricordando quel terribile momento sull’Isola dell’Apocalisse, quando, dopo aver ritrovato Virgo, torturato da Ares e dai suoi figli bastardi, aveva dovuto dirgli nuovamente addio, incapace di fronteggiare la minaccia del Dio della Guerra e di portare in salvo colui che aveva dato la vita per permettere a lui e a Castalia di mettersi in salvo. Non mi perdonerò mai! Si disse, scuotendosi dai suoi rimorsi e incamminandosi verso l’interno della casa, per aiutare i soldati nei lavori di ricostruzione.

Aveva trascorso così i mesi successivi al termine della Grande Guerra contro Ares, mettendo tutto se stesso e tutto il suo tempo a disposizione del Grande Tempio, di quello stesso Tempio che fino a due anni prima aveva tanto odiato, in quanto luogo dove aveva perso un fratello e il ricordo di lui era stato infangato dall’infamia. Aveva aiutato i soldati e gli architetti di Rodorio a ricreare lo splendore delle Dodici Case e del Grande Tempio della Dea Guerriera, per riportarlo agli antichi fasti della creazione. Per tutto quel tempo Asher era stato al suo fianco, rifiutandosi di tornare in Giappone, come Pegasus aveva invece fatto per rivedere Patricia, ritenendo di non avere ormai più alcun legame con l’arcipelago asiatico. Ban, Geki, Aspides e Lupo erano morti, Mylock era morto, Villa Thule era stata distrutta, e di tutta la sua vita passata non era rimasto niente. Soltanto il ricordo.

Così Asher aveva scelto di rimanere ad Atene, ufficialmente per aiutare Ioria nei lavori di ricostruzione, ma segretamente per restare vicino ad Isabel, reincarnazione della Dea Atena, che aveva deciso di risiedere al Grande Tempio, sia per riposarsi dalle fatiche contro Crono e contro Ares, sia per cercare di accettare realmente quel ruolo di Divinità che spesso le andava stretto. Ma le occasioni per incontrare Isabel erano state molto limitate, poiché la Dea trascorreva alla Tredicesima Casa gran parte del suo tempo, limitandosi a ricevere saltuariamente rapporti da parte del Cavaliere d’Oro di Ariete, sullo stato di avanzamento dei lavori di ricostruzione e sulle condizioni dei suoi Cavalieri. E questo rendeva Asher molto triste. Salutò Ioria, lasciandolo ai suoi lavori, e discese nuovamente la scalinata delle Dodici Case, con la scusa di andare a prendere nuovi materiali, ma in realtà con l’intenzione di rimanere un po’ da solo. Così, come tanto amava stare.

Si era trovato bene, negli ultimi mesi, assieme a Ioria, il quale, nonostante fosse più grande di lui e appartenesse ad un rango più elevato, non aveva mostrato alcun problema a relazionarsi con Asher, trascorrendo insieme numerose giornate, impegnati nella manutenzione straordinaria del Grande Tempio. Un modo come un altro, rifletteva spesso Asher, per tenere impegnata la mente! E per non pensare! Anche Ioria, ironicamente, era solito pensarlo spesso, per quanto non lo desse mai a vedere. Se c’era una cosa infatti che Asher aveva imparato del Cavaliere di Leo era che non amava mettere in mostra i propri sentimenti e le proprie emozioni, preferendo tenerle per sé, quasi divorato dalla paura di poter essere ferito. Inoltre Ioria era uno dei pochi Cavalieri presenti al Grande Tempio che Asher conosceva e con cui poteva parlare un po’, essendo Castalia e Tisifone sempre impegnate ad allenare le future Sacerdotesse e mancando Pegasus e gli altri da parecchio tempo. Con quei pensieri in testa, Asher si allontanò dalle Dodici Case, con le mani nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo perso, dirigendosi in un’area appartata, che la Dea Atena ordinato di ricreare immediatamente al termine della Grande Guerra contro Ares: il cimitero del Grande Tempio.

Nascosto sul fianco orientale della Collina della Divinità da una lunga fila di cipressi, il cimitero del Grande Tempio era stato allestito nuovamente, dopo essere stato bruciato durante la Guerra Sacra contro Ade, su ordine di Tisifone, per mondarlo dall’oscurità che lo aveva inquinato, ed essere stato violato dai turpi eserciti di Ares. Là erano state sistemate le salme dei soldati e dei Cavalieri caduti durante le guerre contro l’Olimpo e contro Ares ed erano state erette lapidi e piccoli altari per celebrare gli altri, i cui resti ormai erano andati perduti. Là aveva parlato Isabel, di fronte a tutti i Cavalieri e i soldati sopravvissuti agli orrori dei massacri di Ares, terminata la Grande Guerra, per ringraziarli per aver donato la loro vita ad un sogno di giustizia, senza chiedere niente in cambio. Là, mentre Asher discendeva la scalinata di marmo delle Dodici Case, improvvisamente il terreno tremò per un istante, mentre due immensi boccioli di rosa, alti quasi due metri, sorgevano dal sottosuolo, aprendosi pochi istanti dopo e lasciando che due uomini, ricoperti da scure vestigia, ne uscissero.

"Stavo quasi per morire soffocato!" –Commentò uno dei due, uscendo dall’enorme bocciolo di rosa. –"Tu e le tue stupide idee!"

"Le mie stupide idee ci hanno consentito di entrare all’interno del Grande Tempio senza dover ricorrere ai nostri poteri!" –Esclamò l’altro, con voce soddisfatta, mentre i boccioli si richiudevano e sprofondavano nuovamente nel terreno, che subito si richiuse dietro di loro, come se mai ne fossero usciti fuori. –"Hai dimenticato il cosmo protettivo di Atena che avvolge l’intero Grande Tempio? Se avessimo usato il nostro cosmo saremmo subito stati individuati, mentre in questo modo, sfruttando il potere naturale della terra, siamo riusciti a penetrare all’interno senza essere scoperti!"

"Come fai ad esserne così certo, Menas?!" –Chiese il primo uomo, indispettito dall’arditezza del suo compagno, che ai suoi occhi pareva soltanto sfrontataggine.

"I boccioli delle mie rose si nutrono dei sali minerali presenti nel terreno e possono percorrere chilometri nel sottosuolo, alimentandosi con le loro possenti radici, in modo perfettamente naturale, senza dare adito ad alcuna forma di energia!" –Commentò Menas. –"E non dimenticare che questa missione è stata affidata ad entrambi, non soltanto a te, Siderius! Per quanto ti piaccia considerarla una tua prerogativa!"

"Cercherò di non dimenticarlo!" –Lo zittì Siderius, prima di incamminarsi verso la parete di roccia che sovrastava il cimitero del Grande Tempio, nascondendosi nella sua ombra, proprio mentre i passi lenti e stanchi di un ragazzo rompevano la monotonia di quel silenzioso paesaggio. –"Ecco la nostra preda!"

Asher era appena entrato nel luogo sacro dove riposavano i guerrieri che avevano dato la vita per Atena. C’erano tutti, o comunque ciò che era rimasto di loro: un ricordo scolpito nel tempo, che niente avrebbe cancellato. Micene, Gemini, Capricorn, Acquarius, Fish, Cancer, Scorpio. E prima di loro Noesis, Sisifo, Asmita, Manigoldo, Albafika, Serian di Orione. Un fiume di eroi che scorreva fin dagli albori del mito. Asher non dovette percorrere molti metri che si trovò di fronte le quattro lapidi che cercava. Le tombe di Geki, Ban, Aspides e Lupo, gli amici che avevano dato la vita, durante l’attacco di Flegias al Grande Tempio, per permettere ad Asher di salvarsi assieme a Kiki, per permettergli di continuare a lottare per Atena, come insieme avevano sempre desiderato fare. L’Unicorno si gettò a terra di fronte alle quattro tombe, crollando sulle ginocchia tra la polvere di quel mattino. A stento soffocò le lacrime e il senso di colpa che lo colpiva ogni volta in cui varcava il cancello del cimitero, trascinando con sé le immagini di quel giorno che ancora non riusciva a dimenticare. Di quel giorno in cui avrebbe preferito morire, piuttosto che continuare a vivere senza di loro.

"Un prezzo troppo alto è costata la mia vita!" –Commentò il ragazzo, afferrando una manciata di terra e stringendola tra le mani, fino a farla ricadere nel vento. Quindi sollevò lo sguardo e si perse negli occhi dei suoi compagni, che credette davvero di vedere lì, accanto a lui, pronti per lanciarsi assieme a lui in qualche nuova impresa, in qualche nuova battaglia. Come quando non avevano esitato a lanciarsi contro Mizar di Asgard, nei giardini di Villa Thule, nonostante fossero privi di armatura e di difese, per proteggere Lady Isabel. O come quando, unendo i loro cosmi, avevano cercato di contrastare lo strapotere del Dio Thanatos, per difendere Patricia. Ma adesso quei tempi erano passati e lui era rimasto solo. –"Solo!" –Mormorò Asher.

Era proprio così che si sentiva. Solo e svuotato. Proprio come Ioria gli aveva detto poco prima. Privo di un punto di riferimento verso cui indirizzare la sua vita. Quando era un ragazzino, impegnato nel duro addestramento ad Orano, aveva contato i giorni che lo separavano dal suo ritorno in Giappone, dal suo ritorno da Isabel. Per lei, per onorare la sua dinastia, e suo nonno che lo aveva accolto nella sua casa, dandogli un tetto e del cibo, e per amore di lei, nei cui sguardi riusciva sempre a ritrovarsi bambino, Asher era divenuto Cavaliere. Per Isabel, prima ancora che per Atena. Allo stesso modo aveva ingaggiato battaglia nella Guerra Galattica, per sollevarsi agli occhi della ragazza che, ancora senza saperlo, per lui era una Dea. La sua Dea. Prima ancora che la Dea della Giustizia. Ma con il passare del tempo, Asher aveva dovuto ammettere di non essere in grado di difenderla come avrebbe voluto fare, di essere soltanto un Cavaliere di Bronzo, debole e inesperto, e incapace di meritare il suo amore. Così, con il tempo, lentamente aveva iniziato ad abbandonare quell’idea, in maniera inconscia e non premeditata, lasciandosi dominare dalla triste consapevolezza di non essere all’altezza. Di non essere Pegasus.

Ciononostante, pur con tutte le difficoltà che avrebbe comportato, sarebbe rimasto a fianco di Isabel, al fianco della sua Dea, sempre pronto a dare la vita per lei e per i suoi ideali. Sorridendo, Asher si rimise in piedi, ringraziando gli amici per il conforto che anche quel giorno, come tutti gli altri in precedenza, erano riusciti a dargli, e sollevò lo sguardo verso il cielo terso, sicuro che Geki e gli altri lo stessero proteggendo da lontano. Un rumore alle sue spalle lo fece voltare, proprio per trovarsi di fronte due uomini sconosciuti, rivestiti da scure armature.

L’uomo sulla destra era alto e muscoloso, ricoperto da una corazza scura, dai colori nero e violetto, che copriva buona parte del suo corpo, ma era privo di elmo e questo permise ad Asher di osservarlo in faccia e riconoscerne i tratti marcatamente latini. Viso abbronzato, un bel ciuffo di capelli scuri, folte sopracciglia e occhi neri, segnati da una cicatrice che tagliava a metà l’occhio destro, senza però sfigurare il viso dell’uomo, dall’espressione seria e determinata. Il suo compagno era più basso di lui ed indossava un’armatura leggermente meno coprente, la cui forma ad Asher parve ricordare vagamente quella di una rosa in procinto di schiudersi, con tale nobile fiore inciso sul pettorale della corazza. Con folti capelli rosa, alcuni dei quali raccolti in treccine sparse sul lato destro del cranio, occhi marroni e pelle chiara, il secondo uomo era chiaramente più giovane.

"Asher dell’Unicorno?" –Esclamò il primo, con voce decisa, mentre Asher stringeva i pugni, fissando i due uomini con apprensione.

"Chi siete? E cosa volete da me?!"

"Siamo amici!" –Rispose il primo, spostando leggermente lo sguardo verso il suo compagno. Sornione. –"Puoi chiamarci in questo modo!"

"Amici?!" –Balbettò Asher, che non aveva mai visto quei due uomini e, per quanto non avvertisse in loro alcun cosmo, non poteva fare a meno di temerli e di stare in guardia.

"Precisamente! Amici, se ti comporterai bene e verrai con noi! Nemici, nel caso in cui tu voglia scioccamente opporre resistenza!" –Concluse il primo uomo, abbandonandosi ad un sogghigno che fece trasalire il Cavaliere dell’Unicorno.

"Come sarebbe a dire? Chi siete?!" –Esclamò Asher, lanciandosi avanti verso i due, che non ebbero alcun problema a spostarsi lateralmente, evitando l’affondo del ragazzo.

"Nemici dunque?! E sia! Ma non per nostra scelta!" –Commentò il più basso dei due, sollevando il braccio destro verso il cielo, mentre il terreno sotto i piedi di Asher parve tremare per un momento, prima che lunghi fusti di spine si sollevassero, circondando il ragazzo e stringendolo in un pericoloso abbraccio.

"Cosa succede? Cosa sono queste spine?!" –Gridò Asher, mentre la gabbia di rovi si chiudeva su di lui, stringendo con forza il suo corpo, affondando le spine nella sua giovane carne e lasciando che il sangue macchiasse i fusti evocati dall’uomo.

"Sono le spine del tuo martirio!" –Sentenziò l’uomo, stringendo la presa sul ragazzo, che venne stritolato dai fusti assetati di sangue, che penetrarono a fondo nel corpo di Asher, strappandogli un grido di dolore.

In quello stesso momento, sia Lady Isabel, distesa sul letto nelle sue Stanze, sia Ioria, sulla scalinata di marmo dietro la Casa del Toro, che Castalia e Tisifone, alla residenza delle Sacerdotesse, avvertirono infiammarsi il cosmo di Asher. E un cosmo estraneo che aveva violato in qualche modo la barriera protettiva di Atena. All’istante i tre Cavalieri si precipitarono verso il cimitero del Grande Tempio ed il primo a raggiungerlo fu Ioria del Leone, il quale, quando entrò al suo interno, trovò una macabra scena ad attenderlo: Asher era intrappolato in un groviglio di rovi, dai robusti fusti spinosi, che lo stavano dissanguando, mentre una lugubre chiazza di sangue aveva macchiato il terreno di quel luogo sacro.

"Maledizione! Asher!!!" –Gridò Ioria, accendendo il pugno del suo cosmo dorato e lanciandosi avanti, per liberare il ragazzo. Gli artigli del Leone, simili a fitta pioggia di luce, si abbatterono sui fusti bagnati dal sangue di Asher, distruggendoli all’istante, trinciandoli con la loro foga ardente, in modo da permettere a Ioria di avvicinarsi e portare l’Unicorno fuori da quella gabbia di sangue.

"È lui?!" –Domandò Menas, che si era nascosto nelle ombre del fianco del montagna, rivolgendosi a Siderius, in piedi accanto a lui. Ma non ottenne risposta e fu costretto a voltarsi verso il suo compagno, intento a fissare con attenzione i gesti del Cavaliere di Leo, mentre la sua mente tornava indietro, ad un tempo in cui sinceramente credeva di poter divenire immortale. Al tempo dell’umiliazione subita.

"Sì!" –Rispose Siderius, mentre le sue labbra si stendevano in un sogghigno perverso. –"Cavaliere di Leo! Hai un conto aperto con me! E non tarderà a venire il momento in cui mi presenterò per riscuotere il mio credito!"

Proprio in quel momento arrivarono correndo anche Tisifone e Castalia, gridando nel vedere il corpo martoriato del povero Asher, segnato da tagli e ferite profonde da cui copioso sgorgava il sangue. Ioria poggiò una mano sul petto del ragazzo, avvolgendolo in un caldo abbraccio con il suo cosmo dorato, nel tentativo di dargli tepore e sollievo da quell’inferno che pareva essergli penetrato dentro. Ma Asher sussultò, scuotendosi improvvisamente, quasi in preda ad un raptus isterico, sputando sangue e tossendo confusamente. Tirò un’occhiata furiosa a Ioria, prima di digrignare i denti, sfoderando aguzzi canini, e avventarsi sul collo del ragazzo. Ioria, d’istinto, lo sbatté a terra, premendo la sua mano sul petto del Cavaliere di Bronzo e abbracciandolo con il cosmo, che, non senza fatica, riuscì a spegnere la fiamma dell’ira ardente nei suoi occhi. Una fiamma che pareva intrisa di morte. E questo fece preoccupare ulteriormente Ioria e le due Sacerdotesse. Castalia si chinò sul ragazzo, sfiorandogli la fronte con la mano e sentendola bollente.

"Devo portarlo da Mur!" –Esclamò Ioria, tirandosi su, sorreggendo il corpo di Asher tra le braccia. –"Egli è esperto di medicina e saprà certamente come curarlo!"

"Sono d’accordo!" –Affermò seriamente Tisifone, chinandosi sul terreno macchiato di sangue per osservare i fusti di spine, distrutti dall’attacco di Ioria. Sembravano rovi normali, come quelli che crescono nelle regioni interne del Grande Tempio, anche a ridosso dell’Altura delle Stelle, ma Tisifone notò che le loro forme parevano inquietanti. –"Porta anche uno di questi!" –Esclamò la Sacerdotessa, afferrando un pezzo di rovo, facendo attenzione a non pungersi con le spine ancora assetate di sangue. –"È il caso che Mur lo analizzi attentamente! Noi intanto perlustreremo i dintorni, dando ordini ai soldati di stringere i controlli sui Cancelli!"

"D’accordo!" –Esclamò Ioria, prima di voltarsi verso Castalia e rivolgerle parola per la prima volta. –"Fate attenzione! Non voglio che vi accada qualcosa di male!" –Aggiunse, scattando via con il corpo ferito di Asher.

"Già una volta hai perso l’uomo che amavi!" –Esclamò allora Tisifone. –"Vuoi che la storia si ripeta un’altra volta?" –Aggiunse, cercando di stimolare l’amica ad esprimersi, a tirar fuori ciò che veramente provava.

Castalia osservò in silenzio Ioria scomparire in lontananza, prima di voltarsi e scattare via, subito seguita da Tisifone, attraverso i sentieri del cimitero del Grande Tempio, gettando via tutti i suoi pensieri, tutti i freni che le impedivano di vivere pienamente la sua vita. Le due Sacerdotesse raggiunsero l’ingresso orientale, ove alcuni soldati erano radunati, e chiesero loro informazioni su movimenti sospetti. Ma nessuno di loro aveva visto entrare alcun nemico. E questo sconcertò non poco le giovani donne.

In quello stesso momento Menas e Siderius, ancora riparati sotto l’oscuro fianco della montagna, da un’alchimia che pareva nasconderli ad occhio umano, sorrisero soddisfatti per la propria opera, fondendo i loro cosmi con l’ombra che li circondava e scomparendo in un turbinar di ebano.

Quando Ioria depositò il corpo ferito e febbricitante di Asher su un lettino nella Prima Casa dell’Ariete, Mur gli si avvicinò con aria preoccupata. Osservò i tagli profondi, in parte cicatrizzati grazie ai poteri curativi di Ioria, toccò la fronte e i polsi di Asher, sentendoli ribollire come fiamme e stimolando una reazione nervosa del ragazzo, che si agitò, contorcendosi su se stesso, mormorando parole rabbiose, quasi stesse gridando istericamente.

"Ouh!" –Esclamò Kiki, spuntando alle spalle di Mur. –"Come sta Asher, fratello?"

"Molto male, Kiki! Molto male!" –Commentò Mur, con voce calma ma preoccupata. –"Medicherò le sue ferite con piante medicinali specifiche per le reazioni febbrili, ma ho bisogno di analizzare immediatamente i rovi che lo hanno massacrato! Sono certo che sono intrisi di un terribile veleno! Nient’altro potrebbe condurre un Cavaliere così facilmente alla pazzia!"

"Veleno?!" –Strinse i pugni Ioria, imprecando per quella delicata situazione. –"Sei in grado di curarlo, Mur? Se tu non ci riesci, chi altri potrebbe?!"

"Farò del mio meglio, Ioria, per combattere questo virus letale che sta divorando dall’interno il Cavaliere dell’Unicorno!" –Esclamò Mur a bassa voce, incitando Kiki a portargli immediatamente tutto l’occorrente per i medicamenti.

"Ne sono certo! Ho fiducia nei tuoi poteri!" –Commentò Ioria, prima di allontanarsi, annunciando di dirigersi da Atena per informarla di questo triste avvenimento. –"Lo affido a te, abbine cura! Mi sono affezionato ad Asher in questi mesi trascorsi insieme, a parlare e a riflettere su quanto blandi siano i sogni degli uomini! È stato bello! È stato come avere nuovamente un allievo!" –E scomparve nel corridoio della Prima Casa, diretto verso l’uscita.

Rimasti soli, Kiki aiutò Mur a medicare le ferite di Asher, che si dibatteva continuamente, ringhiando come una fiera in gabbia e obbligando Mur a far uso del suo cosmo per placare i suoi istinti ribelli.

"Fratello! Non sapevo che Ioria avesse avuto un allievo!" –Commentò sbadatamente Kiki.

"Per la verità, neanch’io!" –Aggiunse Mur, sospirando.