CAPITOLO DODICESIMO. LA LEGIONE DEL MARE.

Nesso del Pesce Soldato aveva raggiunto i compagni della Terza Legione, l’unica che al momento dell’assalto dei Kouroi era impegnata in una missione che non aveva niente a che fare con l’eterno scontro tra Ercole e Era. La Legione del Mare era infatti di stanza a Creta, nell’isola dove millenni prima regnava Minosse. Nell’isola che da oltre un secolo non conosceva pace, continuamente devastata da guerre violente.

Creta infatti era stata, nel Diciassettesimo Secolo, al centro di un violento conflitto militare tra la Repubblica di Venezia, che l’aveva occupata nel 1209, in seguito alla Quarta Crociata, e l’Impero dei Turchi Ottomani, la cui espansione verso occidente sembrava inarrestabile. I Veneziani, per difendersi, avevano costruito una serie di fortezze lungo la costa, nelle piccole isole attorno a Creta, in modo da controllare il traffico marino senza concedere possibilità di approdo. Ma nonostante tutto l’impegno e la loro profonda dedizione alla causa, i Veneziani erano stati sconfitti e dopo un lungo assedio Creta era caduta nelle barbare mani dei Turchi Ottomani nel 1669, eccezion fatta per tre forti che Venezia era riuscita a mantenere. Fino al 1715, quando la Guerra di Morea aveva segnato la definitiva capitolazione della Serenissima.

In uno di questi forti, situato sull’isola di Spinalonga, di fronte alle coste di Creta, la Terza Legione di Ercole stava operando da qualche anno, nascosta negli anfratti della fortezza e protetta dalle ombre degli imponenti bastioni. Al riparo dagli sguardi dei Turchi, la Legione del Mare aveva garantito il proprio appoggio alla popolazione cretese, stufa della barbara tirannia degli Ottomani, che soltanto auspicava una rivolta per liberare il paese da tale giogo e dichiarare la propria libertà. Ercole inizialmente era stato contrario all’inserimento di propri uomini in un tale piano di cospirazione, non perché osteggiasse la liberazione di Creta ma perché, come aveva sempre insegnato a tutti i propri guerrieri, gli Heroes avrebbero dovuto rimanere al di fuori di ogni conflitto scaturito tra i popoli della Terra, poiché i loro poteri, fisici e spirituali, dovevano servire a pacificarli e ad aiutarli, tutti, indipendentemente dalle loro posizioni ideologiche o da mere questioni di strategia politica.

"Non siamo i mercenari di nessuno!" –Aveva detto ad Alcione quel giorno d’autunno di quasi dieci anni prima. –"Né vi ho addestrato perché utilizzaste i vostri poteri ad uso e consumo personale!"

"Questo è vero, mio Signore!" –Aveva replicato Alcione, la Comandante della Terza Legione, in ginocchio nello studio della Reggia di Tirinto. –"Ma ci avete addestrato alla giustizia! Alla libertà! A combattere per tutto ciò che riteniamo santo! E io credo che non vi sia niente di più sacro che lottare, con tutte le nostre forze, per l’indipendenza di un popolo, per riscattarlo dalle disperate condizioni in cui attualmente versa e condurlo verso la luce della libertà!"

"Tieni molto a quella gente, non è vero, Alcione?!" –Aveva mormorato il Dio, capendo che non sarebbe stato facile smuovere l’Hero della Piovra dai suoi convincimenti.

"Io appartengo a quella gente, mio Signore! Oltre che a voi!" –Aveva aggiunto Alcione, con tono diretto ed efficace come sempre. –"E soffro nel sapermi inerme! Soffro nel restare qua, mentre la pioggia cade su Creta e lava via le lacrime di un popolo coraggioso ma vinto, senza poter agire! Concedetemi di andare, ve ne prego! Saprò ricompensarvi!"

"Ricompensarmi?!" –Ercole era esploso in una grossa risata, prima di voltare le spalle alla donna ed uscire sulla grande terrazza, sotto la pioggia scrosciante. –"Se con i tuoi gesti riuscirai a far cessare questa pioggia di lacrime che cade sull’intera Grecia, se con le tue azioni salverai uomini o darai loro anche soltanto una speranza, io non ti tratterrò!" –A quelle parole, Alcione era scattata in piedi, commossa di felicità, ringraziando il Dio per l’enorme concessione di cui le faceva dono.

"Ma non potrai usare i tuoi poteri, Alcione! Né potrà farlo nessuno degli Hero che ti accompagnerà in questa missione!" –Aveva precisato Ercole. –"Siate degli Eroi, non dei carnefici!" –E più non aveva parlato, rimanendo immobile, con le braccia incrociate al petto, ad osservare la pioggia ricoprire la Reggia di Tirinto. Si era voltato soltanto quando aveva udito richiudersi la porta dello studio, abbandonandosi ad una lenta riflessione, ad un piccolo viaggio nella memoria che gli aveva ricordato Alcione e il maestro di lei, il grande Linceo della Piovra.

Adesso, a distanza di anni, rifugiata nei sotterranei della fortezza di Spinalonga, Alcione ricordava quella conversazione avuta con Ercole e l’enorme bontà del Dio. Sorrise, prima di incupirsi, al pensiero che, per quanti anni fossero trascorsi, la ribellione contro i Turchi Ottomani ancora non aveva dato alcun frutto. La popolazione era timorosa e difficilmente osava mostrarsi apertamente ostile ai propri duci, preferendo agire con segretezza durante la notte. Spesso erano stati effettuati degli agguati e degli assalti contro le truppe turche, che avevano permesso di liberare nuovamente la fortezza di Spinalonga, ma questo era ancora troppo poco per poter essere considerato una vittoria.

"Mia signora?!" –Domandò una candida voce di donna, disturbando i pensieri del Comandante della Terza Legione.

Alcione si voltò e trovò Pasifae, Sacerdotessa del Cancro e sua fedele servitrice, in piedi sulla porta, con le mani giunte al petto. I lunghi capelli viola risplendevano alla debole luce delle candele dei lucernari affissi alle pareti, mentre la sua voce, resa più fioca dalla maschera che le copriva il volto, giungeva alle orecchie della sua Comandante, la donna che più di ogni altra stimava.

"Nesso del Pesce Soldato è qua! Ed ha una missiva per voi, da parte del Sommo Ercole!"

"Ercole?!" –Rispose Alcione, facendo cenno a Pasifae di condurre immediatamente Nesso al suo cospetto, immaginando si trattasse di qualcosa di molto importante. Come infatti si rivelò.

"Il Sommo Ercole ci ha affidato un incarico delicatissimo, mio Comandante!" –Spiegò Nesso, raccontando della guerra in corso tra Era e il Dio dell’Onestà e degli assalti ripetuti dei Kouroi. –"Dobbiamo trovare la Lama degli Spiriti, poiché da essa potrebbero dipendere i destini di questa guerra e le vite di molti uomini!"

"I destini di una guerra! Umpf!" –Esclamò Alcione, riflettendo tra sé. E si avvicinò alla finestra per guardare fuori, per lasciar vagare lo sguardo tra le robuste inferriate e perderlo nelle onde del mare poco distante. Proprio in quel momento che con i capi della ribellione era riuscita ad organizzare una serie di moti da far esplodere contemporaneamente in tutta l’isola, per mostrare l’avvampante vitalità del desiderio di libertà cretese, avrebbe dovuto abbandonare tutto e tutti. Abbandonare coloro che credevano in lei, che avevano accettato la sua guida, ponendo le loro stesse vite, il destino stesso della loro patria, nelle sue mani.

"Madre mia!" –Mormorò Alcione, ricordando l’energica figura di sua madre. E la notte in cui la perse. La notte in cui smise di credere nei sogni.

Era il 1711, la notte in cui Spinalonga venne conquistata dai Turchi Ottomani, che affondarono l’ultima resistenza veneziana, dilagando come una marea nera all’interno dell’isola. Era la notte in cui tutti i dissidenti vennero uccisi, sterminati con un sol colpo di scimitarra. I genitori di Alcione furono tra questi, e così altri amici e parenti di quella che all’epoca era solo una precoce bambina di tre anni. Una bambina che fu caricata su una barchetta insieme a pochi altri superstiti e affidata alle sorti del Mediterraneo, sperando che le correnti favorissero la loro fuga dall’Inferno.

"Non ricordo quanto tempo rimasi in mare! Forse un giorno, forse una settimana! Ricordo soltanto lo sguardo sereno dell’uomo che mi trasse in salvo, conducendo a riva la nostra barca e consegnandoci le chiavi di una nuova vita!" –Ricordò Alcione. –"Quell’uomo era Linceo della Piovra! E sarebbe divenuto presto il mio Maestro!"

"Comandante?!" –Ripeté Nesso, rendendosi conto che Alcione non lo ascoltava più.

"Perdonami! Stavo semplicemente pensando!" –Rispose la donna, senza dare troppe giustificazioni, come era suo solito.

"A cosa, se posso chiedere?" –Domandò Nesso, fissando il Comandante della Terza Legione, che si voltò verso di lui e gli puntò contro i propri occhi neri.

"Alla rotta migliore per l’Asia!" –Sorrise Alcione, ritrovando fiera baldanza. –"Pasifae! Raduna immediatamente tutti gli Heroes presenti a Spinalonga! La Legione del Mare lascerà immediatamente questa fortezza, per veleggiare verso Oriente, verso le terre sconfinate del Karakoram alla ricerca della Lama degli Spiriti!"

"Abbandoniamo questa gente?!" –Domandò poco dopo uno degli Heroes, quando furono tutti e dodici radunati nella sala principale del bastione di Spinalonga. –"Ma la loro rivolta dipende da noi! Si aspettano di vederci combattere al loro fianco, contro gli oppressori Turchi!"

"E noi non lo faremo, Gerione! Non adesso!" –Tagliò corto Alcione. "Per quanto grande sia il mio desiderio di lottare in mezzo alla folla, conducendo questi uomini valorosi verso la liberazione, è ancora più grande la mia devozione ad Ercole e alla causa da lui rappresentata! Rimanere qua, confinati su quest’isola, noncuranti della tempesta che è stata scatenata contro Tirinto, non servirebbe a nulla se non a favorire Era, mortale nemica del nostro Signore! E di tutti gli uomini!"

"Un non intervento significherebbe dare ad Era la possibilità di creare non una, ma mille altre Crete! Mille altre terre dominate dall’oppressione e dalla tirannide!" –Intervenne Nesso, per sostenere le tesi di Alcione.

"Parli bene tu, che non sei nato a Creta! Che non hai visto l’isola sprofondare nell’abisso della barbarie e dell’oltraggiosa tirannia degli Ottomani! Che non hai un’eredità familiare e un insieme di valori trasmessi dagli antenati a cui rendere conto!" –Lo zittì Gerione, Hero del Calamaro e secondo ufficiale della Legione del Mare. –"Cosa ti importa in fondo di quest’isola e della sua gente?"

"Non aggredirlo, Gerione!" –Esclamò bruscamente Alcione. –"Nesso sta soltanto facendo il suo dovere, servendo Ercole come tutti noi dovremmo fare! Come tutti noi faremo!"

"Sì, Comandante!" –Rispose Gerione, chinando il capo, ma continuando a guardare in maniera curva l’Hero del Pesce Sodlato.

"Comprendo il tuo dolore, mio caro amico!" –Esclamò la donna, avvicinandosi al suo primo ufficiale. –"È lo stesso che alberga nel mio animo! È lo stesso desiderio di giustizia, lo stesso anelito di libertà che ci ha legato a questa terra per tutti questi anni! E che ci ha impedito di lasciarla naufragare a se stessa! Ma siamo Heroes di Ercole, non semplici cospiratori, e dalle nostre azioni dipendono i destini di molti! Se con i nostri gesti riusciremo a salvare delle vite umane, che siano di Creta o che non lo siano, non avremo vissuto invano!"

Quindi Alcione incitò gli Heroes a prepararsi. Avrebbero lasciato l’isola immediatamente, dirigendosi verso Oriente, seguendo la mappa che Ercole aveva affidato a Nesso, redatta sulla base delle sensazioni provate da Tiresia dell’Altare. Alcione li osservò per un momento, mentre davano l’ultimo addio alla fortezza in cui avevano vissuto per quasi dieci anni, e sorrise loro, agli Heroes della Terza Legione. Agli Heroes della Legione del Mare.

Erano dodici, poiché due erano rimasti a Tirinto a servire Ercole come aiutanti, Artemidoro della Renna e Anfitrione del Camoscio, e Alcione ritenne che fossero un gruppo affiatato. Per lo meno alcuni di loro. Gerione del Calamaro era il suo secondo ufficiale, l’unico a cui gli altri avrebbero dato ascolto in assenza di Alcione, ed era anche suo amico di vecchia data, scampato anch’egli alla presa di Spinalonga, dopo aver visto cadere tutti i suoi fratelli in quella guerra, e desideroso di riscattarla, anche per onorare la loro memoria. Gli altri Heroes, oltre a Nesso, erano Arsinoe dello Scoiattolo, un po’ scontrosa ma molto efficiente, Pasifae del Cancro, Sacerdotessa fedelissima ad Alcione, da lei considerata Maestra e Dea, Proteus della Razza, un gran corteggiatore e fedele amico di Gerione, Ettore della Gonostoma, Galena del Pesce Angelo, Eretteo della Foca, Termero del Pesce Picasso, Scilla di Cariddi, Lica della Seppia e Miseno del Pesce Rombo.

Veleggiarono verso Oriente su una grande galea, sul cui albero maestro garriva libera al vento la bandiera con il simbolo di Ercole. Una clava intarsiata d’oro, avvolta in una corona d’alloro, simboli di potenza e di vittoria. Gerione era al timone, dirigendo i compagni verso la rotta migliore, da esperto navigatore quale era, mentre Alcione, seduta a poppa, osservava l’isola di Spinalonga farsi sempre più piccola, fino a diventare un’immagine sfocata in lontananza. Un’indistinta chiazza marrone che presto scomparve nel blu.

"Avete preso la decisione migliore, mio Comandante!" –Esclamò una voce stridente, avvicinandosi alla donna. –"È doloroso abbandonare i ricordi! Ma il nostro dovere di Cavalieri ci obbliga anche a questi sacrifici!"

"Miseno del Pesce Rombo!" –Affermò Alcione, riconoscendo uno dei suoi guerrieri. Un ragazzo di vent’anni o poco più, ma che pareva averne almeno una trentina, a causa del suo aspetto poco curato e di una leggera malformazione alla schiena, che lo rendeva piuttosto gobbo. E poco veloce.

"Non curatevi delle voci del popolo cretese! Non rattristatevi per le offese di vigliaccheria che ci rivolgeranno contro!" –Continuò Miseno, strisciando fino ad avvicinarsi ad Alcione. –"Se per qualcuno siamo dei codardi fuggitivi, per altri saremo degli eroi!"

"Vorrei poter vedere le cose con il tuo distacco, Miseno!" –Commentò Alcione, sospirando sbadatamente. –"Ma l’affetto che nutro per la mia patria è grande, ed ha reso molto difficile questa partenza!"

"Ma è l’affetto per Ercole che dovrebbe dominare il cuore di un Hero! O sbaglio?" –Domandò maliziosamente Miseno. Quindi aggiunse, al tacere della donna. –"Se volete tornare a Creta siete sempre in tempo per ordinare a Gerione di invertire la rotta! Gli Heroes vi seguiranno comunque, quale che sia la vostra decisione!"

"La decisione l’ho presa un’ora fa a Spinalonga, Miseno! E non intendo cambiarla!" –Precisò Alcione, alzandosi in piedi. –"Andremo fino in fondo alla nostra missione!"

Gerione guidò la galea per le acque del Mediterraneo fino a raggiungere le coste meridionali dell’Impero Ottomano, tenendosi sempre ad una certa distanza precauzionale. Sfruttò una corrente favorevole, portandosi a ridosso di una piccola baia disabitata, a una ventina di chilometri da Antiochia, dove attraccò pochi istanti più tardi, con l’aiuto degli altri Heroes.

"Dobbiamo essere prudenti!" –Commentò Gerione. –"Era ha spie dappertutto! E se davvero questa fantomatica Lama degli Spiriti è così preziosa per la guerra in corso, allora sono certo che farà di tutto per impedirci di venirne in possesso! Anche attraversare i deserti della Mesopotamia a dorso di cammello!"

"Parole scettiche le tue, Gerione! E un po’ sarcastiche!" –Gli rispose Alcione, mentre Gerione terminava le manovre necessarie per giungere a riva. –"Non credi forse che la Lama degli Spiriti esista?"

"Con tutto il rispetto, Comandante, io credo solo a quello che vedo! Leggende ne ho sentite tante, miracoli che uomini comuni avrebbero compiuto, lunghe marce nella notte, trasmutazioni di acqua in vino, Divinità trasformate in uccelli per sedurre affascinanti donne sulle rive di un fiume, eroi che giurano di difendere il loro paese fino alla morte, e che poi lo abbandonano!" –Esclamò Gerione, un po’ bruscamente. –"Ma quali sono soltanto favole e quali contengono azioni reali? Vogliate scusarmi se non sono più in grado di discernere il mito dalla realtà! Ma la vita mi ha reso diffidente e preferisco credere a questa Lama soltanto nel momento in cui la impugnerò!"

Alcione rimase in silenzio, ad osservare il suo primo ufficiale, il suo più vecchio e caro amico, che per lei valeva come un fratello, passargli accanto, dopo averle lanciato un’occhiata di sbieco. Aveva capito a cosa si riferisse. Aveva percepito la collera e la delusione di Gerione per aver abbandonato il suo popolo. Il nostro popolo! Mormorò Alcione, sospirando, prima di radunare tutti gli Heroes nella baia e indicare loro la direzione verso cui procedere.

"Verso Est! Avanzeremo spediti, senza mai fermarci! Fino alle montagne dell’Hindukush! Proteus della Razza e Termero del Pesce Picasso saranno i nostri esploratori, che ci precederanno, indicandoci la via!" –Esclamò Alcione, di fronte ai dodici Heroes. –"In marcia adesso! Ci vorranno un paio di ore prima di scorgere le vette immortali dell’Hindukush e del Karakoram!"

"Quanto tempo impiegheremo, mia Signora?" –Domandò timidamente Pasifae.

"Ogni minuto che riusciremo a guadagnare sarà una vittoria nei confronti di Era, Pasifae!" –Rispose Alcione, incitando tutti i suoi guerrieri ad avanzare. –"E sarà un prezioso aiuto per i nostri compagni che in Grecia stanno già combattendo!"

La Legione del Mare avanzò nei deserti della Mesopotamia, avendo cura di tenersi a distanza dagli insediamenti umani, fino a lambire i confini meridionali della catena montuosa che dalla Persia si estendeva fino alla Cina. Un’unica grande catena di rocce e di nevi millenarie, che soltanto osservarla metteva in soggezione. Senza dire niente, Alcione guidò i guerrieri lungo irti sentieri, che salivano sempre di più, snodandosi con coraggio lungo pendii scoscesi e baratri senza fondo, percorsi da violente correnti ascensionali. L’Hindukush e il Karakoram non erano territori facili da attraversare nemmeno per i guerrieri di Ercole, che dovevano cercare di limitare al massimo i loro poteri, onde evitare di essere scoperti da Era o da suoi seguaci.

"Rimanete lungo la parete! Non sporgetevi verso l’abisso!" –Gridò loro Alcione, continuando ad avanzare, mentre la vegetazione scompariva lentamente, cedendo il posto a muschio e sterpaglia e a sprazzi di neve

Dovettero arrampicarsi lungo ripide pareti di roccia, poiché spesso i sentieri terminavano bruscamente, distrutti da qualche improvvisa valanga o frana violenta, e inoltrarsi in silenziose vallate dove l’aria rarefatta rendeva altamente difficile la respirazione. Alcione utilizzò i tentacoli della propria Armatura, per aiutare alcuni Heroes, soprattutto i più giovani, a scalare tali vette, e Gerione fece altrettanto, liberando le fruste dell’Armatura del Calamaro e impiegandole come corde per arrampicarsi. Erano a seimila metri di altezza e a quattromila chilometri di distanza dal Mediterraneo, dal loro Mare, sulle cui rive erano nati e cresciuti e sulle cui onde si erano addestrati a vivere e ad essere Cavalieri di Ercole.

"Mi manca il sapore del mare!" –Esclamò Termero del Pesce Picasso, uno degli Heroes più giovani, ma anche più veloci, scelto da Alcione come esploratore per aprire le piste, arrampicandosi lungo una montagna.

"Manca molto anche a me!" –Rispose il suo compagno, Proteus della Razza. –"Se anni addietro mi avessero detto che un giorno avrei scalato le vette del Karakoram, avrei riso loro in faccia!" –Ironizzò Proteus, continuando a inerpicarsi sulla ripida parete di roccia.

"Puoi ben dirlo!" –Concluse Termero, allungandosi per afferrare uno spuntone roccioso, ma il terreno sotto i suoi piedi franò improvvisamente, facendogli mancare l’appoggio e precipitandolo verso l’abisso, che gli strappò un grido disperato. –"Aaaah!" –Gridò il giovane, di fronte agli occhi attoniti degli altri Heroes, che stavano tentando di arrampicarsi, molti metri più in basso degli esploratori.

"Termerooo!" –Gridò Gerione, srotolando una frusta della sua Armatura e allungandola fino ad afferrare un braccio del ragazzo, la cui discesa venne bruscamente interrotta, facendolo schiantare malamente contro la parete rocciosa. Dolorante, con il braccio sinistro fuori uso, Termero cercò di afferrare qualche spuntone sporgente, per stabilizzarsi, raggiungendo a fatica una cavità della montagna che sembrava offrire un momentaneo riparo. Liberò il braccio dalla frusta di Gerione, che si arrotolò nuovamente in mano al suo possessore, e fece cenno ai suoi compagni di scendere lateralmente verso l’incavatura, che era grande a sufficienza affinché potessero entrarvi tutti.

"Queste montagne sono insidiose!" –Mormorò Proteus della Razza, discendendo a fianco di Alcione. –"Spero di trovare la spada al più presto e di tornare al nostro quieto Mediterraneo!"

"Perché il mare non è forse pieno di pericoli, Proteus?!" –Ironizzò Alcione, raggiungendo la cavità nella montagna.

"Ma quelli siamo ormai in grado di affrontarli!" –Precisò Proteus.

"Affronteremo e supereremo anche questi! Il nostro dovere di guerrieri del Dio dell’Onestà ce lo impone!" –Concluse Alcione, prima di accertarsi delle condizioni di Termero, rannicchiato all’interno della cavità.

"Come sta il tuo braccio, ragazzo?" –Domandò Gerione, chinandosi sul soldato. –"Perdona il mio modo brusco, ma non ho saputo trovare di meglio per salvarti!"

"Non preoccuparti, Gerione! Preferisco essere vivo e con un braccio rotto, piuttosto che essermi schiantato in fondo a quell’abisso!" –Rispose Termero, mozzando a metà un sorriso tirato.

Pasifae del Cancro, alla vista del dolore che dilaniava il giovane eroe del Pesce Picasso, si chinò su di lui, avvolgendolo nel suo cosmo caldo e pieno di rassicurante tepore. Avvicinò il braccio destro all’arto ferito del ragazzo, sfiorandolo leggermente, di fronte agli occhi sgranati di Termero. Vampate di energia scossero il braccio del ragazzo, che sembrò ritrovare una certa vitalità.

"Il potere del cosmo deve servire anche per curare le persone!" –Commentò Pasifae, con voce calma e pacata. –"Forse non ti ridarà il braccio, ma allevierà il dolore, rendendolo sopportabile!"

"Grazie!" –Sorrise Termero, prima che le grida di Proteus attirassero l’attenzione di tutti quanti.

"Venite a vedere! C’è un passaggio tra le rocce!" –Esclamò, indicando un valico stretto che si apriva all’interno della montagna stessa. –"Guardate! È un passaggio angusto e obbligato, ma percorrendolo potremmo guadagnare tempo ed evitare di esporci al rigido clima delle vette!"

"E come sappiamo che conduce all’esterno e non si interrompe magari in qualche imprecisato luogo di questa immensa montagna?" –Replicò una decisa voce di donna.

"Diffidente come al solito, Arsinoe, eh?!" –Esclamò Proteus, toccandosi il naso un po’ scocciato. Ma in fondo gli piacevano quei continui battibecchi con la Sacerdotessa dello Scoiattolo, una donna apparentemente priva di qualsiasi interesse nei confronti del sesso maschile. –"Non senti questa corrente d’aria che lambisce le nostre gambe? C’è un passaggio! E conduce all’esterno!"

"Non mi fido!" –Ribatté Arsinoe, aprendo un dibattito tra i vari Heroes presenti.

"Neanch’io mi fido!" –Esclamò Gerione. –"Ma ritengo che le scelte siano piuttosto limitate!" –Aggiunse, affacciandosi nuovamente all’esterno e osservando il cupo cielo sopra di loro, percorso da violente correnti ascensionali. –"È in arrivo una tempesta! E renderà ancora più difficoltoso per noi superare queste impervie montagne! Forse, addentrarci in questo cunicolo, per quanto stretto e ignoto possa essere, è il male minore!"

"Gerione ha ragione!" –Gli fece eco una voce finora rimasta inascoltata. Una voce gutturale e profonda, quella di Lica della Seppia. –"Il freddo clima del Karakoram non è adatto ai nostri corpi, abituati al caldo sole del Mediterraneo! Ritengo opportuno sfuggire alle tempeste esterne e ai disagi che la scalata di queste montagne finora ci ha creato! Guardate Termero! Non possiamo pretendere che continui ad arrampicarsi con un braccio rotto!"

"Ehi!" –Brontolò immediatamente Gerione, avvicinando l’Hero della Seppia. –"Stai forse criticando le scelte decisionali del nostro Comandante? Avevi tu una strada migliore da consigliarci per superare le vette del Karakoram?"

"Calmati, Gerione! Non era mia intenzione criticare l’operato di Alcione! Ho semplicemente espresso un’opinione sincera, basandomi sui fatti! È comprensibile che tu sia nervoso, e tu ti senta colpevole, per il dolore causato a Termero, ma questo non deve impedirti di vedere i fatti con lucidità!"

"Colpevole?! Ma brutto…" –Esclamò Gerione, adirato, avventandosi sull’Hero della Seppia, ma la voce decisa di Alcione li richiamò entrambi.

"Smettetela di litigare come bambini! Non abbiamo tempo da perdere, né possiamo permetterci il lusso di concedere ai nostri nemici la possibilità di rintracciare la Lama prima di noi!" –Esclamò Alcione.

"Credete che siano sulle nostre tracce, Comandante?" –Domandò Arsinoe dello Scoiattolo.

"Ne sono più che sicura!" –Commentò Alcione a bassa voce, tirando uno sguardo verso l’esterno. O verso Lica, che si stagliava proprio all’ingresso della cavità nella montagna. Ma non aggiunse altro, incitando gli Heroes a rimettersi in piedi e a proseguire. –"Attraverseremo la montagna! Io vi farò da guida, sperando che la luce delle stelle giunga anche in questa oscurità per rischiarare il nostro cammino!" –Ed infilò a passo deciso nello stretto corridoio scavato all’interno della montagna.

Gerione la seguì immediatamente, anticipando Pasifae e tutti gli altri Heroes, fino a Miseno del Pesce Rombo. Lica della Seppia entrò per ultimo, voltandosi un’ultima volta verso l’esterno, prima di sorridere con un ghigno sinistro. Il gruppo di tredici guerrieri proseguì per una buona mezz’ora a passo svelto lungo il sentiero che correva all’interno della montagna, un sentiero che progressivamente pareva inclinarsi verso l’alto, talvolta restringendosi, in modo da rendere difficoltoso il passaggio ai guerrieri corazzati, talvolta allargandosi un poco, così da permettere a due uomini di proseguire affiancati. Ma mai interrompendosi. Sembrava un vero corridoio nella montagna, leggermente illuminato da un chiarore azzurro proveniente dalle pareti immortali che correvano al loro fianco.

"Chissà chi lo ha creato!" –Mormorò Proteus, avanzando a fianco di Arsinoe.

"Potrebbe essere un fenomeno naturale, magari dovuto all’erosione!" –Commentò la donna, senza troppa convinzione. –"O forse è stato realizzato secoli addietro da qualche gruppo di monaci che vivono in questi eremi dimenticati dal mondo?!"

Continuando ad avanzare, gli Heroes raggiunsero un leggero avvallamento del terreno, uno spiazzo leggermente più ampio i cui bordi erano delimitati da altissime pareti di ghiaccio, dal colore azzurro e limpido come il diamante. Gerione pregò i guerrieri di fare silenzio, poiché il soffitto era costellato di una miriade di stalattiti e il minimo rumore avrebbe potuto farle cadere rovinosamente su di loro. Lica della Seppia si fermò all’ingresso dello spiazzo, osservando i suoi compagni procedere a passo lento davanti a sé. Sogghignò, realizzando che quello era il momento che aveva aspettato. Concentrò il cosmo sui palmi delle mani, appoggiandole alle pareti ai suoi lati e lasciando che la sua energia vitale fluisse in quelle immense mura di ghiaccio eterno, infiammandole. Un boato scosse improvvisamente la montagna, rompendo il sepolcrale silenzio del Karakoram, mentre violente scosse sismiche fecero tremare il corridoio e le mura intorno, anticipando il rovinoso crollo di migliaia di stalattiti e dell’intero soffitto, che franò come una slavina sui dodici Heroes di Ercole.

Lica della Seppia, riparatosi all’interno del corridoio, osservò con soddisfazione la carneficina da lui prodotta, spostandosi il folto ciuffo di capelli blu dal volto con un gesto di vanitosa superiorità. Quindi balzò in alto, atterrando sul cumulo di roccia e di ghiaccio franato sui compagni, e scattò avanti, diretto verso l’uscita, determinato a ritrovare la Lama degli Spiriti e a possederla. Era mi pagherà a peso d’oro per avere quell’arma! Rifletté cinicamente il guerriero, prima di balzare verso il corridoio di uscita. Ma in quel mentre venne afferrato al volo da una frusta, che si arrotolò attorno alla sua caviglia destra, e tirato bruscamente a terra, fino a sbattere il viso contro il freddo ghiaccio eterno e a perdere l’elmo dell’Armatura. Rimessosi in piedi, Lica si voltò, trovando il volto adirato di Gerione del Calamaro fissarlo con occhi carichi di odio.

"Bastardo! Avevi forse intenzione di lasciarci morire congelati qua dentro?!" –Domandò il primo ufficiale di Alcione.

"Per la verità…" –Esclamò Lica, tirandosi i capelli all’indietro. –"La mia idea era di far crollare l’intera montagna su di voi! Ah ah ah!" –Rise di gusto, e quel suono metallico scosse nuovamente il monte, facendo franare altri cumuli di neve e roccia.

Gerione non perse tempo, lanciandosi contro Lica e sbattendolo a terra, avvinghiandosi al soldato in un serrato corpo a corpo. I due avversari rotolarono per parecchi metri nel corridoio di ghiaccio, finché un’improvvisa, ma ben accetta, luce non rischiarò i loro occhi, separandoli per un momento. Era l’uscita, ed era proprio a portata di mano. Lica tentò di superare Gerione, ma l’Hero del Calamaro lo afferrò al collo con una delle sue fruste, strattonandolo bruscamente. Ma il guerriero traditore agguantò la frusta e tirò Gerione a sé, scontrandosi con lui a mezz’aria. Nella colluttazione i due uomini rotolarono sul terreno ghiacciato, sbattendo frequentemente contro le pareti, facendo vibrare l’intera montagna, quasi come se piangesse, fino ad uscire all’aperto, su una terrazza che dava su una meravigliosa valle. Così bella che a entrambi quasi sembrò un sogno. Una valle illuminata dai caldi raggi del sole che tentava di farsi largo tra le nuvole del cielo freddo del Karakoram.

"Considera questa valle come il tuo paradiso Gerione, poiché qua morrai!" –Esclamò Lica, bruciando il proprio cosmo. Gerione fece altrettanto, pronto per avventarsi sul suo avversario, quando improvvisamente un raggio di luce sfrecciò nell’aria, separando i due concorrenti. Stupiti, Gerione e Lica videro un tridente dorato conficcarsi nel terreno in mezzo a loro, un tridente che risplendeva di una luce profonda, quasi provenisse dalle stelle.

"Chi viene a disturbare l’incanto di questa terra immortale?" –Esclamò una voce giovanile, mentre un ragazzo dai capelli scuri, rivestito da un’Armatura dorata, compariva su una sporgenza sopra di loro.