CAPITOLO TREDICESIMO: LA LAMA DEGLI SPIRITI.

"Chi viene a disturbare l’incanto di questa terra immortale?" –Esclamò una voce giovanile, mentre un ragazzo dai capelli scuri, rivestito da un’Armatura dorata, faceva la sua comparsa su una sporgenza della montagna. Gerione lo osservò e notò subito come nonostante la sua giovane età, non superiore ai vent’anni, emanasse un’aura cosmica abbagliante, quasi divina.

"Chi sei tu, straniero?" –Domandò Lica, distanziandosi con un balzo all’indietro da Gerione.

"Straniero è chi invade una terra, non chi vive in comunione con essa, assaporando ogni respiro della natura che lo pervade!" –Rispose il ragazzo, richiamando a sé il Tridente dorato, che aveva conficcato nel terreno per separarli.

"Sono Gerione del Calamaro, Hero di Ercole della Terza Legione!" –Si presentò il secondo ufficiale di Alcione. –"E questo traditore è Lica della Seppia, responsabile di aver fatto crollare la montagna sopra i miei compagni, rimasti adesso intrappolati all’interno del corridoio!"

"Il sentiero del silenzio? Erano secoli che qualcuno non lo attraversava!" –Commentò il ragazzo.

"È dunque questo il suo nome?" –Domandò Gerione, affascinato.

"Fu costruito dai monaci del Kashmir secoli or sono, quando ancora avevano rapporti con le popolazioni delle valli inferiori, prima di rinchiudersi nel loro ascetismo! Era un sentiero di preghiera e di silenzio, un luogo mistico dove i monaci veneravano la grande montagna sacra, entrando proprio all’interno del suo cuore!" –Spiegò il ragazzo, prima di sollevare lo sguardo, adirato, verso Lica della Seppia. –"E tu hai profanato tale luogo, rompendo il silenzio di questa terra, facendo gridare la montagna sacra come mai aveva strillato finora!"

"Gri.. gridare?!" –Balbettò Lica.

"Non avete sentito il grido disperato delle montagne immortali risuonare in quest’aria sepolcrale? L’urlo di una terra violata e infangata da un tradimento!" –Tuonò il ragazzo, con voce decisa, fissando Lica con crescente disprezzo.

"Ma si può sapere chi sei, tu?" –Esclamò questi, sprezzante.

"Sono Dauko di Libra, Cavaliere d’Oro di Athena! E sono un profondo conoscitore e estimatore di questi luoghi, in cui spesso ho passeggiato, temprando il mio fisico e il mio spirito nel gelido silenzio di queste vette!" –Esclamò il ragazzo, espandendo il proprio cosmo dorato. –"Ero seduto nella mia valle, molte miglia a est da qui, immerso nella mia meditazione, quando ho udito un grido di dolore lacerare il mio animo! Il segnale che qualcuno aveva varcato le soglie del regno delle nevi eterne e ne aveva sporcato l’immacolato ghiaccio! Così sono accorso per punirvi! La montagna non lascia impunito chi si burla di lei, chi vuole usarla per i suoi scopi, senza rispettarla!" –E nel dir questo liberò anche il secondo Tridente dorato, scagliando entrambe le armi verso Lica della Seppia, che venne spinto indietro, fino a schiantarsi contro la montagna, quasi fosse un crocifisso, con le braccia bloccate tra le punte dei tridenti.

"Ehi! Che stai facendo? Lasciami andare, maledetto!" –Gridò Lica, agitandosi per liberarsi.

"Corri a liberare i tuoi compagni! La montagna apprezza i visitatori che onorano la sua natura, ma sa essere anche crudele! Non resisteranno a lungo sepolti nel ghiaccio eterno del Karakoram!" –Esclamò Dauko, rivolgendosi a Gerione, che si tuffò nel corridoio, lasciando il Cavaliere di Libra di fronte a Lica della Seppia.

"Non osare metterti contro di me, Cavaliere di Athena! Resta fuori da questa guerra se tieni alla tua vita!" –Gridò Lica rabbioso, espandendo il proprio cosmo.

"Ne farei volentieri a meno, Hero della Seppia, di un’altra guerra! Poiché quella che si è appena conclusa mi ha distrutto nel profondo, ferendomi l’anima come niente prima di allora! I miei compagni, il mio allievo, la mia Dea, tutti sono scomparsi, travolti da un destino spietato che non ci ha lasciato scelta!" –Commentò Dauko, con una certa tristezza nella voce.

"E tu li raggiungerai presto se oserai intralciare i miei piani!" –Esclamò Lica, facendo esplodere il proprio cosmo, che turbinò nell’aria sotto forma di un vortice nero, che gli permise di liberarsi dalla prigionia, scagliando via i Tridenti dorati e spingendo indietro lo stesso Dauko.

"Non osare infangare il ricordo dei miei cari!" –Ringhiò Libra, mentre il suo cosmo dorato avvampava attorno a sé. –"Uomini che hanno dato la vita per difendere la giustizia e la libertà di questo mondo, impedendo che una perenne oscurità calasse su di noi!" –E nel dir questo, mosse velocemente le braccia davanti a sé, mentre la maestosa sagoma di un dragone verde, dalle scaglie dorate, scivolava intorno a lui. –"Colpo Segreto del Drago Nascente!" –Gridò, liberando il proprio colpo segreto.

Il Drago di luce sfrecciò nell’aria, dirigendosi verso Lica, il quale, per difendersi, incrociò le braccia avanti a sé, mitigando in parte l’impatto, ma venendo comunque spinto indietro, fino a schiantarsi contro la parete di ghiaccio. Crollò a terra, tra i frammenti di roccia e ghiaccio che cadevano su di lui, respirando a fatica, e quando riuscì a rimettersi in piedi incrociò lo sguardo accusatorio del suo Comandante, Alcione della Piovra, e di tutti i suoi compagni.

"Alcione!!!" –Ringhiò Lica a denti stretti, furibondo nel vedere che tutti si erano salvati.

"Dispiaciuto?!" –Ironizzò il Comandante, con voce rattristata. –"E dovresti esserlo, poiché il tuo stupido gesto ha ucciso uno dei tuoi compagni!" –E si scostò leggermente, per permettere a Lica di vedere Proteus della Razza che sorreggeva con entrambe le braccia il corpo privo di vita di Galena del Pesce Angelo, uno degli Heroes più giovani. –"Una stalattite gli ha perforato la scatola cranica! È morto sul colpo! Senza un grido! Senza un’invocazione di aiuto! Silenzioso come è arrivato tra noi, Galena se ne è andato!" –Concluse Alcione, il cui tono di voce era molto gelido, prima di portare nuovamente lo sguardo su Lica. –"Cosa devo fare di te, Lica? Devo credere davvero che hai venduto l’anima ad Era? Poiché nessun altro motivo, se non la pazzia, potrebbe chiarire il tuo gesto!"

"Sei un bastardo!" –Ringhiò Gerione, liberando le sue fruste e schioccandole con forza sul terreno. –"Pagherai per il tuo tradimento! Il sangue di Galena non sarà stato versato invano!" –E fece per avventarsi su Lica, ma Alcione lo fermò, afferrando il suo braccio sinistro e chinando il volto.

"Gerione! Vorrei che tu vendicassi Galena! Ma non c’è tempo! Se non troviamo al più presto la Lama degli Spiriti, vi saranno altre vittime in questa folle guerra, altri caduti innocenti!" –Spiegò Alcione, liberando il braccio dell’amico.

Gerione rimase titubante per un momento, combattuto tra l’obbedienza al suo Comandante, e la veridicità delle sue parole, e il desiderio di vendicare Galena, regolando una volta per tutte i conti con quello sbruffone di Lica. Con quel traditore. Quindi abbassò le braccia, richiamando le sue fruste, lasciandosi scappare un sospiro. In quel momento, approfittando della situazione, Lica bruciò al massimo il suo cosmo, generando un immenso vortice di energia, scuro come la notte, nero come l’inchiostro oleoso e denso che le seppie liberano, e al centro di quel vortice sogghignò crudelmente, prima di dirigerlo contro i suoi compagni.

"Vortice nero!" –Gridò con rabbia, mentre il gorgo di energia corvina si abbatteva sui guerrieri di Ercole, travolgendoli e scaraventandoli in alto, di fronte agli occhi soddisfatti del soldato traditore. Improvvisamente però l’avanzata del vortice venne interrotta ed esso sembrò schiantarsi contro un muro invalicabile, una barriera di energia lucente che non era in grado di superare, sospinto indietro da un potere crescente, la cui matrice, Lica era in grado di percepirlo chiaramente, scaturiva dalla forza delle stelle. In un luccichio dorato, Dauko della Libra si era piazzato di fronte ad Alcione e agli altri Heroes di Ercole, proteggendoli con lo Scudo d’Oro della Bilancia e con il suo ardente cosmo di luce. Con un colpo secco di braccio, deviò la traiettoria del vortice, rinviandolo indietro e travolgendo il suo stesso creatore. Lica venne risucchiato dal nero gorgo di energia, stritolato dalla sua stessa creazione, fino a quando, comprimendosi su se stesso, il vortice non esplose, scaraventando via il guerriero, che precipitò nell’abisso della montagna ghiacciata emettendo un grido disperato.

"Per Ercole! Che orrore!" –Commentò Arsinoe dello Scoiattolo, osservando la sagoma di Lica della Seppia scomparire nelle nebbie della vallata immortale.

"Ha avuto la fine che meritava!" –Esclamò Gerione, prima di avvicinarsi al Cavaliere d’Oro con un sorriso e posargli una mano sulla spalla. –"Hai difeso me e i miei compagni, nonostante tu non sappia neppure chi siamo! Hai rischiato la vita per proteggerci! Grazie! Non lo dimenticheremo mai!"

"Io so chi siete!" –Commentò Dauko, ricambiando il sorriso. –"Uomini dal cuore puro! Come i compagni che hanno combattuto con me nell’ultima Guerra Sacra! Vedervi, e sentire il vostro cosmo, caldo e sincero, ha risvegliato in me sensazioni già note, emozioni che il mio cuore aveva già provato!"

"Ti siamo doppiamente debitori, Cavaliere di Athena!" –Intervenne Alcione. –"Ancora una volta dimostri di essere degno del titolo che porti! Vorrei che anche noi riuscissimo ad esserlo!" –Aggiunse, con un sospiro.

"Credo di potervi aiutare!" –Esclamò Libra. –"Ho sentito che cercate la Lama degli Spiriti! Io so dove si trova! Posso condurvi al luogo dove è custodita!"

"La riconoscenza di Ercole e di tutti gli uomini liberi della Terra è con te, Cavaliere d’Oro!" –Affermò Alcione, inginocchiandosi di fronte a Libra. A tale vista, gli altri Heroes fecero altrettanto, imbarazzando non poco il Cavaliere di Athena. –"Conducici nel luogo sacro dove la Lama è celata, ti prego! La guerra contro Era incombe ed essa è la nostra unica speranza!"

"La speranza di tutti coloro che combattono per la giustizia è un fuoco che nessun nemico riuscirà mai a spegnere!" –Commentò Libra, prima di incamminarsi lungo il sentiero, seguito dagli Heroes di Ercole. Il corpo di Galena del Pesce Angelo venne momentaneamente sistemato all’interno del Sentiero del Silenzio, in un anfratto di ghiaccio, dove nessuno avrebbe turbato il suo riposo. Pasifae, Sacerdotessa del Cancro, recitò per lui alcuni versi di un antico poema mortuario, prima di proseguire la cerca della Lama degli Spiriti.

Il sentiero scese leggermente verso valle, ampliandosi in modo da permettere a due o tre uomini di camminare accanto, ma le raffiche di vento che arrivavano dall’abisso erano ugualmente impetuose, obbligando i dodici guerrieri a camminare con passo deciso e vicino alla parete rocciosa, finché non giunsero ad un ampio spiazzo, nascosto tra immacolate cime di bianco. Un tetto sull’intera Asia Centrale, da cui, nelle giornate di pieno sole, si poteva navigare nell’azzurro di quel deserto fin dove l’occhio poteva volare. Libra si rivolse allora ad Alcione, proponendo che i suoi compagni si accampassero momentaneamente in quel luogo, abbastanza riparato dai freddi venti ascensionali e abbastanza largo per diventare un terreno di scontro. Anche lui, come Alcione, aveva sentito infatti due cosmi ostili avvicinarsi violentemente.

"I discendenti di Mu non amano troppo la compagnia!" –Sorrise Libra, pregando Alcione di seguirlo. –"L’ultima sanguinosa Guerra Sacra ha raggiunto anche questi incontaminati lidi, macchiando di rosso le bianche vette del Karakoram, ferendo al cuore i sentimenti di uomini di pace e di cultura come essi sono da decine di secoli! Da quando Mu, il continente perduto, sprofondò nel Pacifico, trascinando verso l’abisso tutta la sua conoscenza e tutti i vizi di coloro che avevano contribuito a farlo affondare!"

Alcione seguì il Cavaliere di Libra lungo un irto sentiero, correndo velocemente ma poggiando i piedi con attenzione al suolo. Era friabile, molto scosceso, e Alcione temette che sarebbe franato in un istante. Attraversarono una zona di nebbie, dove scheletri di migliaia di cavalieri giacevano ammassati, mescolati alla neve e alla roccia, seppelliti sotto la polvere del tempo. Come per magia, i secolari guardiani dello Jamir si animarono, mentre le ossa distrutte si univano tra loro, ergendosi a difesa del passaggio, ma Libra, che ben conosceva quei luoghi e i loro pericoli, incitò Alcione a proseguire in linea retta, caricando il pugno destro del suo cosmo lucente. Il Drago Nascente aprì la strada lungo un ponte stretto, avvolto dalle nebbie, il cui fondo era costellato di rocce aguzze dove centinaia di corpi avevano trovato la morte. L’Hero della Piovra inghiottì a fatica, alla vista di quel macabro panorama e si chiese se anche qualche Cavaliere di Ercole un tempo avesse osato attraversare il Deserto dei Cavalieri e giungere fin là, a seimila metri di quota, dove l’aria rarefatta rendeva difficile la respirazione. Strinse i pugni e corse dietro a Dauko di Libra, superando il ponte sul niente e giungendo su una rocciosa sporgenza al termine della quale si ergeva un singolare palazzo a cinque piani.

"Il palazzo di Mu!" –Esclamò Libra, avvicinandosi alla costruzione. Era un edificio a base esagonale, composto da cinque blocchi sovrapposti, le cui dimensioni diminuivano col procedere verticalmente. Aveva varie finestre ad ogni piano ma nessun ingresso. –"Tutto ciò che rimane della saggezza e delle conoscenze dell’antico popolo del continente dimenticato di Mu è racchiuso qua dentro, tra le mura di questa torre!" –Commentò Libra, accennando un sorriso, travolto dai ricordi.

"Sembra che tu conosca bene questo popolo!" –Affermò Alcione, a cui parve di scorgere una nota di tristezza nello sguardo del Cavaliere d’Oro.

"Un amico mi ha istruito al riguardo!" –Rispose laconicamente Dauko. –"Un amico che, come me, è sopravvissuto agli indicibili tormenti della Guerra Sacra!"

"Mi dispiace!" –Commentò Alcione, incapace di trovare altro da dire. Libra si scosse improvvisamente, accantonando i tristi pensieri che, come sirene dall’incantevole voce, tentavano ogni volta di farlo naufragare sull’isola dei suoi ricordi.

"Muoviamoci!" –Esclamò, avviandosi verso la base della torre. –"Siamo attesi!"

Alcione avrebbe voluto dire qualcosa, sorpresa dal fatto che Libra stava dirigendo i suoi passi verso il muro della costruzione, ma ancor più sorpresa dal fatto che le sue gambe lo stessero seguendo. Per un momento chiuse gli occhi, immaginando di sbattere il viso contro il robusto muro, ma quando li riaprì scoprì di trovarsi all’interno del palazzo, in una grande sala esagonale dove l’unica fonte di luce erano i raggi del sole che debolmente entravano dalle finestre. Il Comandante della Terza Legione sgranò gli occhi, guardandosi intorno stupefatta, mentre ad ogni passo qualcosa scricchiolava sotto i suoi piedi.

"Sono pezzi e resti di Armature distrutte!" –Commentò Libra. –"Questo posto è il laboratorio dell’esercito di Athena e la suprema arte di riparare le corazze deriva proprio dal popolo di Mu!"

"È sempre un piacere rivederti Dauko!" –Esclamò infine una voce, leggera come il vento, attirando l’attenzione di Alcione. –"Ed è un piacere ancora maggiore sentire che parli bene di noi, i discendenti di Mu!" –Aggiunse la voce, con un sorriso, mentre una figura parve uscire dalle ombre della stanza e dirigersi verso di loro, avvolta in una lunga tunica argentata. Era una donna, e il suo viso era segnato da profonde rughe, simbolo di esperienza e di conoscenza del mondo, e due nei violetti risplendevano sulla sua fronte, mentre lunghi capelli grigi scivolavano sulla veste, rilucendo d’argento alla luce del sole.

"Venerabile Maestro del Jamir!" –Si inginocchiò Libra, mentre la donna si avvicinava, scivolando nell’aria quasi fosse una foglia, leggera come un respiro, come gli occhi grigi che posò immediatamente su Alcione della Piovra, riconoscendo l’Armatura che aveva indosso. –"Perdonate la mia intrusione! Non era mia intenzione disturbare il vostro operato ma…"

"Non essere infantile, Dauko! Il nostro operato è l’operato di Athena! L’operato di tutti i cuori impavidi che combattono per la giustizia!" –Rispose il Venerabile Maestro, titolo onorifico che spettava al più anziano tra i saggi della colonia di Mu, che perdeva il proprio nome per assurgere a guida dell’intera colonia.

"Questa ragazza… questo Cavaliere…" –Esclamò Libra, non sapendo bene come introdurre Alcione.

"So chi è!" –Commentò improvvisamente la donna, puntando Alcione con i suoi penetranti occhi grigi, capaci di scrutare a fondo l’animo di qualsiasi essere umano e leggere i segreti nascosti dentro di lui. –"E so cosa sta cercando!"

"Davvero?!" –Esclamò infine Alcione, cui tutta quella situazione la straniava non poco, per quanto l’alone di mistero e saggezza che la donna e tutto il palazzo del Jamir parevano emanare la affascinassero e non la rendessero affatto inquieta, bensì rilassata. –"Voi sapete dove si trova.. la Lama degli…" –Ma Alcione non riuscì a terminare la frase che la voce della donna, fattasi adesso imperiale, la sovrastò, fermando ogni suo movimento.

"È qui!" –Esclamò il Venerabile Maestro, sfoderando una lama lunga e sottile, nascosta tra le vesti argentee che la ricoprivano: la Lama degli Spiriti. L’elsa era celeste, decorata con un diamante luminoso, che la leggenda racconta sia stato bagnato dalle sincere lacrime di una donna, che pianse così tanto per la perdita dell’amato, da riversare nelle sue lacrime tutta la sua vita, tutto il suo dolore, al punto da cristallizzarlo dentro tale gemma. La lama che era nata in seguito, all’interno della cui elsa il diamante era stato incastonato, era imbevuta delle stesse qualità della pietra. Aguzza e tagliente come un’arma da battaglia, ma carica di dolore e rancore, come soltanto un uomo sapeva provare. Perciò, ammonì la Saggia del Jamir, la Lama doveva essere usata con parsimonia, senza farne eccessivo utilizzo, poiché ogni volta che veniva brandita, essa era capace di assorbire i sentimenti del suo portatore, fino a svuotarlo di ogni emozione, fino a svuotarlo di tutta la sua energia cosmica, di tutto il suo cosmo. –"La Lama degli Spiriti attinge il cosmo del corpo dentro cui affonda!" –Spiegò il Venerabile Maestro. –"Ma porta con sé qualcosa anche di colui che la impugna! Non dimenticare mai, Alcione, la guerra è il Tao dell’Inganno! Come scrisse il venerabile Maestro Sun, autore dei più interessanti trattati militari sulla guerra che nell’Antichità vennero redatti, e di cui qua, nella Biblioteca di Mu, alcuni esemplari sono conservati!"

"Non abuserò del suo potere!" –Commentò Alcione, chinando il capo. –"Non è per fare stragi di uomini che la userò, ma per difenderli, per abbattere i Kouroi di Era, che la Dea dell’Olimpo ha diretto verso la nostra città!"

"A quale città ti riferisci? Qual è la tua città?" –Domandò pungente il Venerabile Maestro. Ma prima che Alcione potesse rispondere, l’Hero sentì lo sguardo della donna trafiggerle il cuore e carpire tutti i suoi segreti. Il Saggio del Jamir percepì l’ansia annidata nell’animo della giovane Comandante, la frustrazione per aver assistito impotente alla perdita della sua natia terra ed essere stata troppo debole e inesperta per organizzare la sua riconquista. Un senso di colpa che si trascinava dietro da sempre, e che quel giorno, dopo aver lasciato Creta, non aveva smesso di divorarle il cuore per un solo momento, spingendola ad andare avanti tra le lacrime.

"Non possiamo salvare il mondo!" –Commentò tristemente la donna, accennando un sorriso. –"Ma possiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per evitare che sprofondi in una notte senza stelle! Ho visto troppi giovani armarsi e morire, anche qua, davanti ai miei occhi stanchi, per poter credere ancora che non vi saranno più guerre, che l’umanità possa vivere in pace, poiché spesso, quando non sono gli Dei ad istigare gli uomini alla violenza, sono gli stessi uomini a lanciarsi gli uni contro gli altri, spade contro spade, accecati dall’avidità di ricchezze e della brama di gloria! Ma voi siete Cavalieri sinceri, fedeli alle Divinità che vi hanno investito di tale titolo, e confido che la speranza possa accompagnarvi e assistervi, molto più di quanto ha assistito me, dimenticandomi tra la polvere di un tempo passato!"

"Venerabile Saggio…" –Commentò Libra, rimettendosi in piedi.

"Lascia stare, Dauko! Non ascoltare le farneticazioni di una vecchia sciocca! Fossimo nati in epoche diverse, o sotto un diverso destino, avrei anche potuto provare l’ardire di lamentarmi per la mia condizione! Ma siamo servitori di Athena, non fragili donne in attesa del ritorno dell’amato! Dell’unico uomo che abbiamo mai amato!"

Alcione sorrise, ringraziando il Venerabile Saggio del Jamir, che voltò loro le spalle, scomparendo evanescente nelle ombre della grande sala, prima che la candida voce di Alcione lo richiamasse un’ultima volta.

"Chi era quell’uomo?" –Domandò il Comandante della Terza Legione.

"Si chiamava Linceo! Linceo della Piovra!" –Sorrise il Venerabile Saggio, scomparendo in uno scintillio di luce.

Alcione sorrise, non troppo stupita da quella rivelazione, ricordando l’energica figura del suo predecessore, del suo maestro: Linceo della Piovra, il primo tra gli Heroes di Ercole. L’unico che aveva seguito il Dio in ogni battaglia, restando al suo fianco e proteggendo le sue spalle, laddove la pelle del Leone di Nemea non bastava più. Linceo era stato il precettore di Ercole, l’uomo che la sera, di fronte al rassicurante fuoco di bivacco, stimolava la fantasia del Dio narrando storie di tempi antichi e di eroi leggendari. Storie di miti e credenze popolari, del Mediterraneo e delle terre desertiche di Oriente, dove Linceo amava recarsi periodicamente, affascinato dalle civiltà che erano sorte in quella regione del mondo. In uno dei suoi viaggi, in cui si era spinto più ad Est di quanto mai avesse fatto in precedenza, giungendo a lambire le terre monsoniche dell’India, aveva incontrato una donna, il cui aspetto fisico, differente da quello del resto degli abitanti del continente indiano, tradiva la sua diversa origine. Una donna affascinante, quanto misteriosa. L’aveva seguita, l’aveva conosciuta, l’aveva compresa. E soprattutto l’aveva amata, provando per la prima volta nella vita un sentimento simile. Un sentimento così potente e devastante che sembrò quasi oscurare l’affetto e la lealtà che lo legavano ad Ercole.

Linceo della Piovra e la discendente del popolo di Mu si amarono intensamente ma, essendo entrambi saggi e ben consapevoli dei loro rispettivi ruoli, convennero un giorno sulla necessità di interrompere la loro relazione, poiché essa li avrebbe sviati dal loro compito supremo. E l’ordine del mondo non poteva essere cambiato, neanche per l’amore di due esseri mortali.

"Soprattutto per l’amore di due esseri mortali!" –Gli aveva detto quel lontano giorno la discendente di Mu, prendendogli le mani tra le proprie. –"Cosa ne sarebbe di tutti i nostri ideali, ai quali abbiamo prestato fede? Cosa ne sarebbe dell’equilibrio del mondo, per il quale abbiamo sempre combattuto, con la forza delle spade e con la potenza delle culture antiche? Condanneremmo tutto ad un sempiterno rogo soltanto per soddisfare le nostre passioni, pur profonde e sincere che siano?" –Gli aveva domandato, abbassando le mani e allontanandosi.

Ma Linceo l’aveva richiamata a sé, sollevandola leggermente da terra, facendola danzare nel vento dello Jamir, prima di portarla di fronte al suo viso, prima di cercarle la bocca con la propria e darle l’ultimo bacio, con la promessa di rivedersi un giorno, quando i destini del mondo si sarebbero compiuti.

"Se esiste davvero un Paradiso per tutti coloro che combattono per la giustizia e per difendere la luce, allora io so che ci incontreremo di nuovo!" –Si era congedato così, Linceo della Piovra. –"Che sia l’Elisio, o il Paradiso dei Cavalieri, o il Dilmun dei Sumeri, o il Giardino dell’Eden, noi ci incontreremo nuovamente, prima che l’ultima notte scenda su questa Terra!" –Non si rividero mai più. Ma entrambi continuarono a pensare l’uno all’altra, e quando ciò non accadeva deliberatamente avveniva inconsciamente, poiché il loro stesso esistere, il loro stesso essere, il loro ruolo nel mondo, era così intrecciato da renderli partecipi delle emozioni dell’altro. Da sentire che l’altro viveva dentro il loro cuore. Ora e per sempre.

Rientrato in Grecia, Linceo aveva trascorso gli anni successivi in una residenza nella campagna argiva, ad addestrare giovani per farne guerrieri e a dispensare consigli all’amico Ercole, il quale, per quanto fosse un Dio agli occhi di tutti, non poteva fare a meno di sentirsi umano, e come tale bisognoso di confidarsi con un amico. Forse l’unico che poteva davvero definire tale. Col tempo, Linceo iniziò ad invecchiare, come è nel destino degli uomini, dapprima lentamente, poi inesorabilmente, mentre Ercole, sempre al suo fianco, sempre attento ai suoi consigli fraterni, rimaneva giovane e bello, aitante come una statua greca, come anche Linceo era stato decenni prima. La vecchiaia portò all’antico Hero della Piovra molte soddisfazioni, soprattutto riconoscimenti letterari ottenuti per alcuni componimenti epici che aveva redatto, e per traduzioni dalle lingue orientali, di cui era ottimo conoscitore. Ma gli regalò anche una figlia. Una bambina dagli occhi neri, e dalle lunghe ciglia, che Linceo trovò per caso, in una malandata scialuppa arenatisi lungo le rive del fiume che correva vicino alla sua villa.

Linceo si prese cura di lei, aiutato dalle badanti al suo servizio, e rimase al suo fianco per tutti gli anni della sua giovinezza e della sua adolescenza, osservandola crescere, osservandola diventare bella. Diventare donna. Aveva tre anni e pochi mesi, Alcione, quando Linceo la salvò dall’inferno, dalle fiamme di Spinalonga che ardevano dentro i suoi occhi, dal ricordo e dal tormento dei genitori e degli amici perduti. Adesso ne aveva trentasette, ma sembrava non dimostrarli affatto. Aveva il fisico ben proporzionato di una ventenne: alta e slanciata, con il petto all’infuori e fianchi stretti, aggraziata e atletica al tempo stesso, priva di lineamenti mascolini.

"Linceo ha regalato a me qualcosa della sua immortalità!" –Amava ripetere Alcione, sorridendo all’anziano maestro, che non soltanto le aveva insegnato le arti del combattimento, ma le aveva ridato una vita, seguendo e indirizzando i suoi passi verso la giustizia e l’altruismo, valori che Alcione vedeva incarnati in terra proprio dal venerabile Linceo.

Ercole aveva ammirato la donna in tutto il suo splendore, e nella sua aggraziata agilità, che ne faceva una degna combattente, l’erede de facto dell’Armatura della Piovra, a cui Linceo fece dono al termine dell’addestramento, tra le lacrime di Alcione. Lacrime di gioia, dovuta alla soddisfazione per aver ottenuto un simile riconoscimento; lacrime di speranza, poiché grazie a ciò che aveva imparato Alcione era convinta di poter liberare nuovamente Creta; ma anche lacrime di dolore, poiché la stanchezza sul volto di Linceo era indiscutibile.

Qualche giorno dopo Linceo si era spento, con il sorriso sul volto, nella sua villa nell’Argolide, circondato dalle persone di cui si era preso cura per tutti quegli anni. Da Ercole e dagli Heroes, dalle badanti e dagli inservienti del podere, e da Alcione, a cui parve di rivivere la morte dei suoi genitori, tanto grande era l’affetto che aveva provato per Linceo in quegli anni. Ercole le aveva messo una mano su una spalla, incitandola a continuare lungo la strada che Linceo le aveva indicato.

"Sei una degli Heroes, adesso! La Comandante della Legione del Mare!" –Le aveva detto, con un sorriso di fiducia, prima di lasciarla da sola, al capezzale del padre perduto. Alcione gli aveva sfiorato il volto, con una carezza, come egli era solito fare con lei quando era una bambina, e aveva giurato di combattere anche per lui.

Quel ricordo accompagnò Alcione fuori dal palazzo di Mu, dove sentì nuovamente avvampare i cosmi di Gerione e degli altri Heroes della Terza Legione, impegnati duramente in battaglia. Anche Libra aveva sentito due cosmi ostili piombare su di loro, poco prima che giungessero alla colonia dei discendenti di Mu, e Alcione convenne che il lungo braccio di Era si era esteso fino a quelle montagne, mondandole con il sapore di un’amara battaglia.

"Andiamo!" –Le disse Libra, incitandola a proseguire. Ma Alcione rispose con un sorriso.

"Hai già fatto abbastanza per noi!" –Commentò, di fronte allo sguardo incuriosito di Dauko. –"E le parole non bastano per la riconoscenza che provo per te! Adesso torna alla tua terra, Cavaliere di Libra! Torna al compito che Athena ti ha assegnato, poiché esso è il tuo destino!"

"Vorrei aiutarvi ancora…" –Rispose Dauko, improvvisamente incerto sul da farsi. Le parole che Alcione gli aveva rivolto parvero turbinare tra le sue emozioni, rendendolo per un momento insicuro. Aveva una missione, che Athena gli aveva affidato, che era costata la vita a tutti i suoi compagni, e avrebbe dovuto eseguire tale incarico.

"Questa non è la tua guerra, Cavaliere d’Oro! Hai già combattuto per difendere la giustizia! Lascia agli Heroes di Ercole questa nuova battaglia!" –E sorrise, prima di sfrecciare via nel vento, inseguendo le scie cosmiche dei suoi compagni. Dauko rimase ad osservarla scomparire nella nebbia del Jamir, prima di darle malinconicamente le spalle e incamminarsi verso i Cinque Picchi.