CAPITOLO SECONDO: PEDINE IN MOVIMENTO.

Splendida era stata un tempo Tirinto, che il mito canta da Proteo, fratello del Re di Argo, venne fondata. Nel cuore dell’Argolide, riparata da valli e monti e da robuste mura di ampio spessore, la città greca era stata ricostruita trent’anni addietro da Ercole stesso, dopo la distruzione operata da Argo nella prima metà del V secolo a.C. E il Dio ne aveva fatto la sua dimora, rinnovando i fasti che un tempo la accompagnavano, quando Esiodo la descriveva come santa e quando Omero la cantava nell’Iliade: Seguìa l'eletta de' guerrier, cui d'Argo mandava la pianura e la superba, d'ardue mura Tirinto e le di cupo golfo custodi Ermïone ed Asìne. Abbandonata dopo la distruzione, Tirinto era caduta in rovina, ma Ercole gli era rimasto legato, scegliendola come sede della sua magione, riportandola all’antico splendore di età micenea, spostandola semplicemente più a occidente, in una pianura tranquilla a ovest di Argo e di Micene, riparata da sguardi indiscreti.

Il Palazzo Reale era stato ricostruito e il Dio dell’Onestà vi dimorava, mentre tutto intorno, come in una fortezza medievale, si stendevano le palestre e gli alloggi dei suoi Cavalieri, i prodi Heroes, il mercato e i luoghi del commercio, le stalle e i vani dedicati agli animali, il tutto circondato da ampie mura dallo spessore di sette metri, sollevate da Ercole stesso, con l’aiuto di alcuni fidi compagni, utilizzando massi giganteschi. Dalla terrazza del Palazzo Reale, che sorgeva a ovest della fortificazione, Ercole osservava la sua piccola cittadina, i suoi operosi abitanti, sempre intenti in qualche opera di pubblica utilità, mai oziosi, mai inerti, incapaci di attendere indolentemente il passare fugace del tempo, ma sempre pronti a sbarrargli il passo.

Un uomo alto e slanciato, dai rosacei capelli al vento, parlava con enfasi, in mezzo al piazzale centrale della fortezza di Tirinto, circondato da un gruppo di giovani in armatura, estasiati, a bocca aperta, di fronte alle sue parole: storie di eroi e di battaglie che egli, questo è ciò che raccontava, aveva vissuto in prima persona.

"Gonfiale meno le tue storie, Agamennone!" –Esclamavano scherzosamente altri, passando vicino al gruppetto.

"Siete soltanto invidiosi!" –Rispondeva Agamennone del Leone, che adorava sentirsi chiamare per nome, simbolo di mito e fascinoso di leggenda.

"Raccontane un’altra!" –Lo incitavano i ragazzi, che adoravano trascorrere ore ad ascoltare i racconti di Agamennone, considerandolo una specie di leggenda vivente.

Poco distante gli operosi fabbri erano all’opera, impegnati a riparare corazze danneggiate negli allenamenti e a forgiare armi per gli Heroes, che Ercole voleva fossero impiegate soltanto in difesa, non per offendere.

"Siamo Cavalieri che combattono per l’onestà e la giustizia, e per difendere gli uomini, i più deboli, che non riescono a difendersi da soli!" –Amava ripetere il Dio ai propri Cavalieri. –"Non siamo assassini! Ma eroi!" –Aggiungeva sempre, fissando uno per uno i suoi compagni.

Quelle stesse parole, Ercole le ripeteva nella sua mente, osservando dall’alto, in una bella mattinata di sole, la sua piccola città, il suo piccolo mondo, da lui stesso forgiato e messo in vita. Per un momento una fitta corse lungo la sua schiena, facendolo rabbrividire. Gli sembrò che il sole venisse oscurato da una spessa coltre di nubi, da cui fulmini incandescenti scaricavano tempesta su Tirinto. In breve, dei racconti e delle storie, delle stalle piene di cavalli focosi, degli operosi fabbri e delle messi abbondanti, non sarebbe rimasto niente, e la città sarebbe caduta nuovamente in rovina. Come nel mito, così adesso.

Ercole si scosse, abbandonando la terrazza del Palazzo e rientrando nelle sue Stanze, un piccolo lussuoso appartamento adibito ad ufficio in cui il Dio amava trascorrere le sue giornate. Vi erano accumulati quadri e trofei, oggetti di ogni genere che aveva collezionato in ricordo delle sue imprese o che gli erano stati donati da uomini e donne comuni, in segno di riconoscimento per l’aiuto che dal Dio avevano ricevuto.

"Non vorrete appassire come quelle vecchie rose!" –Esclamò una acuta voce di donna, distogliendo il Dio dai suoi pensieri. –"Sono mesi che vi suggerisco di gettarle, ma come al solito amate fare di testa vostra!"

"Non criticare un ricordo, Penelope! Perché questo per me esse sono!" –Rispose pacatamente il Dio, carezzando un mucchio di rose seccate, sistemate in un raffinato vaso di vetro proveniente da Venezia.

"Qualcosa vi turba, mio Signore? Siete preoccupato per le aspre parole che Era vi ha rivolto contro?" –Continuò la donna.

Ercole sollevò lo sguardo e se avesse potuto guardare al di là della maschera d’oro bianco, avrebbe visto gli occhi di Penelope, Sacerdotessa del Serpente, puntarlo con determinazione. Ma era una donna e, come tutte coloro che sceglievano una vita di battaglia, al servizio di un Dio come Guerriere, aveva il volto coperto da una maschera che aderiva perfettamente al suo viso. Penelope era una donna alta e snella, ricoperta dalla sua Armatura degli Eroi, rappresentante un Serpente, animale incantatore ma al tempo stesso prudente e stratega. Le rifiniture meravigliose della sua corazza risplendevano di oro lucente, con rubini incastonati nella sua cintura, e un ondeggiante mantello di seta bianca che le scendeva lungo la schiena, sormontato da una morbida criniera arancione: i suoi capelli, lasciati crescere naturalmente, e a tratti un po’ selvaggiamente.

"Nestore ha ragione! Non ti si può nascondere niente! A volte credo anch’io che tu sia un’incantatrice!" –Esclamò Ercole, accennando un sorriso.

Non aggiunse altro e si affacciò nuovamente alla terrazza del Palazzo Reale. Cercò con lo sguardo il Monte Olimpo, non troppo distante in linea d’aria, eternamente avvolto da candide nubi velate, ma gli sembrò che un fulmine sfrecciasse nella sua direzione. Ripensò in fretta alla conversazione con Era, alla delusione maturata uscendo dalle Stanze della Regina degli Dei e ai timori espressi dai due Heroes che lo avevano accompagnato: Penelope, per l’appunto, e Nestore dell’Orso.

"È una strega! Ci ha ingannato!" –Aveva iniziato ad incalzare Nestore, non appena erano usciti dal Tempio di Era. –"L’invito, il banchetto… era tutto falso! Lei voleva soltanto un vostro rifiuto, mio Signore! Voleva sentirsi trattare male, umiliare di fronte ad altri testimoni, in modo da trovare un pretesto, uno sciocco motivo, un futile appiglio, per scatenare la sua ira repressa su di voi!"

"Modera i termini, Nestore dell’Orso!" –Lo aveva zittito il Dio, pur condividendo le sue ragioni. –"Per quanto viva in una vita di torto, insoddisfatta e incapace di provare anche solo per una volta il piacere e la serenità, Era resta pur sempre la Regina degli Dei, sorella e sposa del Sommo Zeus! E non è consigliabile entrare in guerra con lei!"

"Ma siamo già entrati in guerra, mio Signore! Lo siamo da secoli, ormai! Da quanto va avanti questa millenaria disputa tra voi? Eh? Da quando, voi sempre un bambino in fasce, quella strega tentò di uccidervi con due velenosi serpenti!! E adesso, decine di secoli più tardi, continua ancora a trarre piacere e godimento nel giocare con voi, suo sempiterno burattino!" –Aveva esclamato Nestore, prima di venire zittito da Penelope.

"Mio Signore, Ercole! Come vostro consigliere, suggerirei di non sottovalutare affatto la possibilità che la Regina degli Dei riversi la sua, indubbiamente malcelata, collera verso di voi e verso la città a cui avete ridato una vita! Sottostimare questo pericolo, senza approntare difese adeguate, sarebbe un rischio troppo grande! Per voi, e per tutti gli uomini che vivono sotto la vostra protezione!"

"Hai ragione!" –Aveva approvato Ercole, annuendo con il capo. –"Soltanto vorrei che…" – Ma le parole gli erano morte in bocca.

"Vorreste non dover combattere di nuovo? Vorreste non dover indossare nuovamente la vostra splendida Armatura, che Efesto forgiò nelle viscere del profondo Etna, e la Clava d’oro, simbolo di possanza e potere?" –Aveva esclamato Penelope, con voce gentile. –"Lo vorremmo anche noi! Ma, come la Guerra Sacra tra Athena e Ades ha recentemente dimostrato, pare che questo diciottesimo secolo non sia destinato ad essere un’epoca di pace!"

"Esisterà davvero un’epoca di pace?!" –Aveva esclamato il Dio, sollevando la testa al cielo terso di Grecia, lasciando Penelope e Nestore un po’ stupefatti.

"Co… Come?!" –Avevano balbettato entrambi.

"Esisterà davvero un’isola felice?!" –Aveva chiesto Ercole, ripetendo alla sua mente la stessa domanda che ormai da tempi immemori si faceva.

"Tu che ne pensi, Penelope?" –Domandò il Dio, abbandonando i suoi pensieri e ritornando nel suo studio, a Tirinto, di fronte all’Hero del Serpente.

"Credo che dovremmo prepararci per un assalto! Era non è tipo da accettare un "no" come risposta, anche alla luce della vostra sempiterna, e mai risolta, contesa!" –Esclamò la donna, con voce decisa e determinata. –"Con il vostro permesso, mio Signore, Nestore ed io ci siamo presi la briga di inviare messaggeri, al fine di riunire in fretta le sei Legioni di Heroes! Druso il fabbro ha già iniziato a lucidare e riparare Armature e armi da battaglia, e Neottolemo del Vascello veleggia già verso Tebe, per avvisare la Quinta Legione, di stanza in quella città!"

Ercole rimase per un momento in silenzio, con gli occhi leggermente sgranato, sorpreso dalla puntuale organizzazione messa in moto da Penelope.

"C’è qualcosa a cui non hai ancora pensato?" –Domandò, sorridendo.

"A voi, mio Signore!" –Rispose diretta Penelope. –"Sembra che vogliate evitare questa guerra!"

"Evitare una guerra?! Ah ah ah!" –Ercole esplose in una risata genuina, divertito dalle ingenue parole della sua consigliera. –"Mia cara Penelope, se tu avessi vissuto tutte le Ere del Mondo che ho conosciuto io, attraversando una doppia vita, da mortale e da Divinità, e conoscendo ogni sfaccettatura dell’esistenza, dal fatalistico concepimento alla smisurata forza che scoprii in gioventù, dalle leggendarie imprese cantate nel mito alla pazzia che mi pervase, dagli amori rubati alla schiavitù, e se tu vedessi aleggiare su tutto questo il fantasma di una Divinità che a nient’altro mira se non al tuo annientamento, forse neppure tu saresti così ansiosa di entrare in guerra! Perché la guerra, Penelope, a nient’altro porta che al dolore e alla sofferenza! In guerra muoiono i giovani, e i bambini perdono i padri, e le mogli rimangono vedove! In guerra tutti i legami familiari vengono recisi, e piedi barbari calpestano da invasori un suolo che finora avevano visitato da fratelli e da buoni vicini! E non vi è ingannevole gloria né traboccanti coppe di oro e diamanti che possano ripagare dalle sofferenze chi tanto ha patito!" –Esclamò Ercole, con una forte malinconia sul volto.

"Non vi ho investito del titolo di Heroes per fare di voi carne da macello, da utilizzare come scudo contro i miei nemici! Se Era vuole me, me avrà, e nessun altro dovrà sporcarsi le mani a combattere con lei!" –Concluse seccamente Ercole.

"Le vostre parole vi fanno onore, Dio dell’Onestà! Ma per quanto vi sia fedele, e dalle vostre parole io penda, non potrò ubbidirvi! Non questa volta! Né nessun altro Hero lo farà!" –Esclamò Penelope, ed in quel momento la porta delle Stanze di Ercole si aprì, e ne entrarono tre uomini rivestiti delle loro splendide Armature.

"Adone, dell’Uccello del Paradiso! Comandante della Prima Legione di Heroes!" –Esclamò il primo, inchinandosi di fronte al Dio.

"Marcantonio dello Specchio! Comandante della Seconda Legione!" –Affermò il secondo, imitando il compagno.

"Chirone del Centauro! Comandante della Sesta Legione!" –Concluse il terzo Hero, rimanendo in piedi, con le braccia incrociate al petto.

"Aggiungendo la mia Legione, la Quarta, guidata dal valoroso Nestore dell’Orso, e quella di Alcione, impegnata nel Mediterraneo, e di Tereo, di stanza a Tebe, avete sei Legioni, di quindici Heroes ciascuna, per un totale di novanta guerrieri a disposizione con cui affrontare la Regina degli Dei!" –Esclamò Penelope, passando davanti ai tre Comandanti inginocchiati. –"Non combatterete nessuna guerra senza di noi, mio Signore! Non abbiamo accettato il titolo per pura onorificenza, ma perché crediamo realmente in voi e negli ideali che rappresentate! E non abbiamo paura di correre in fronte alla morte, se la morte ci attenderà in uno scontro con l’olimpica Regina!"

"Parole fiere le tue, Penelope! Fiere ed incaute!" –La rimproverò bonariamente Eracle, prima di addolcire il suo sguardo con un sorriso. Un sorriso d’orgoglio. –"Alzatevi, Heroes di Ercole! Fuori da queste mura, dal protettivo cosmo che Tirinto difende, troverete la guerra, voluta da un nemico nient’affatto disposto ad ascoltare! Conosco troppo bene Era da credere che questo sia soltanto un capriccio! No! Questa è l’ennesima guerra che scatena contro di me, dopo secoli in cui il suo sguardo è rimasto lontano dalla Terra! Ma adesso, delusa probabilmente dalle mancate attenzioni del compagno e dalla faziosa vita olimpica, e invidiosa della prosperità di questa nostra piccola colonia, dove onestà e serenità sono le uniche leggi a cui prestare giuramento, ha deciso di volgermi il palmo contro, caricandolo di folgori incendiarie! Che venga pure! Troverà Ercole con la clava in mano, pronto a darle battaglia!"

"E troverà noi, gli Heroes, a protezione del nostro Dio!" –Esclamarono all’unisono i quattro guerrieri di Ercole, prima di incamminarsi all’esterno, seguendo il Dio dell’Onestà nei corridoi del Palazzo di Tirinto.

Non fecero in tempo neppure ad uscire all’aperto, nell’ampio cortile interno, limitato da un quadruplice portico, che tutti sentirono grida agghiaccianti risuonare nell’aria. Un suono greve, pesante, quasi provenisse dalle profondità dell’Inferno. Un suono che sapeva di antico.

"I Kouroi!" –Esclamò Ercole, chiamando a sé tutti i suoi Guerrieri.

In pochi attimi, tutti gli Heroes presenti a Tirinto quel mattino si allinearono di fronte al Dio dell’Onestà, disposti in cintura concentrica intorno a lui, suddivisi per legione di appartenenza. Non era l’esercito di Ercole al gran completo, poiché un’intera legione risiedeva a Tebe e un’altra era in parte impegnata in missioni nel Mediterraneo e in Grecia. Ma era un numero sufficientemente alto di cuori impavidi, capace di far emozionare Ercole per la devozione e per lo spirito di sacrificio, di sacrificio in suo nome, che parvero dimostrare.

"Che suoni grevi risuonano nell’aria, mio Signore! Cosa è uscito dalle viscere del mondo?" –Domandò un ragazzo, con l’aria un po’ imbarazzata.

"Dici bene, Argo del Cane! Perché queste voci appartengono a creature addormentate, travolte dalla polvere della dimenticanza e risvegliate adesso da Era!" –Spiegò Ercole ai suoi Guerrieri. –"Sono i Kouroi, antiche statue cerimoniali che un tempo adornavano gli ingressi dei Templi dedicati ad Era! Non hanno spirito né anima, e sono sorretti soltanto dal Divino Cosmo della Regina degli Dei! Pur tuttavia rappresentano un pericolo, per la nostra bella Tirinto, la cui luce risplende su tutta l’Argolide, e per le popolazioni circostanti, i cui mezzi di difesa sono incapaci di danneggiare quelle creature mostruose!"

"Ci occuperemo noi di quei giganti di pietra!" –Esclamò Nestore dell’Orso, battendo la mano destra sul pettorale robusto della sua Armatura. –"Ne faremo ciottoli di ghiaia con cui la Regina degli Dei potrà decorare il suo giardino nel Tartaro dove la sprofonderemo!" –Continuò, sprezzante del pericolo, tra le grida incitanti di alcuni Heroes a lui vicini.

"Non parlare di cose che vanno al di là della vostra competenza!" –Lo rimproverò Ercole, pregandolo di rimanere con i piedi per terra. –"E non sottovalutate questi Giganti! Sarebbe troppo facile pretendere che non nascondano qualche segreto! Sarebbe troppo semplice, e forse sciocco, immaginare che Era abbia soltanto animato delle statue di pietra!"

"Saremo prudenti!" –Esclamò Agamennone del Leone, il secondo ufficiale della Quarta Legione, chiedendo che venisse affidato a loro tale incarico.

"Sento una decina di cosmi oscuri muoversi nell’Argolide! Era deve aver risvegliato tutti i Kouroi di cui ha trovato traccia!" –Rifletté Ercole. –"Credo che ben più di una Legione dovrà occuparsi di questo problema!" –E si voltò verso Aureliano del Pittore, Hero della Sesta Legione, un uomo alto e dal viso sfregiato, pregandolo di avvicinarsi. –"Abbiamo bisogno di una mappa dettagliata della zona, su cui individuare i punti in cui i Kouroi si muovono!"

"Sono ai vostri ordini, mio Signore!" –Esclamò l’Hero, svolgendo una lunga tela.

La distese in terra ed iniziò a dipingerla, con alcuni pennelli che portava inseriti nella sua cintura, di fronte allo sguardo attonito, quasi burlesco, degli altri compagni. In pochi attimi un’accuratissima mappa dell’Argolide apparve sulla tela, ricreando perfettamente l’ampia pianura su cui sorgevano le città di Argo e di Micene, luoghi dove il culto di Era era molto acceso, e da cui i Kouroi erano risorti, e le mura fortificate del Palazzo di Tirinto, non molto distanti. Alcune macchie lampeggiavano sulla cartina disegnata da Aureliano, muovendosi velocemente in direzione della città di Ercole.

"Stanno arrivando! Tre a nord e tre a sud! E due sono ancora nelle città di Argo e di Micene, impegnati probabilmente a distruggere edifici e a generare il caos!" –Esclamò Ercole.

"Credo sia una tattica per tenerci impegnati su più fronti, mio Signore!" –Esclamò Nestore dell’Orso, ed Ercole concordò con lui, pregandolo di condurre alcuni Heroes a Micene, per mettere in salvo la popolazione civile e distruggere il gigante di pietra. Stessa cosa avrebbe fatto Agamennone del Leone, il suo secondo ufficiale, per la città di Argo.

"Mandate noi ad Argo!" –Esclamò improvvisamente una voce, rude e decisa.

Ercole si voltò ed incontrò il volto ombrato di Chirone del Centauro, seguito dai suoi Heroes, i Guerrieri della Sesta Legione.

"Chirone!" –Mormorò Ercole, osservando il volto scuro del Comandante fissarlo con un sorriso di sfida sul viso. –"No! Tu condurrai i tuoi Heroes a sud, per difendere Tirinto dai Kouroi che provengono da quella direzione! Mentre Adone e la Prima Legione si occuperanno dei Kouroi che vengono da nord! Andate adesso, ogni esitazione può esserci fatale!"

Agli ordini del Dio dell’Onestà, la Prima Legione e la Quarta, guidate da Adone dell’Uccello del Paradiso e da Nestore dell’Orso, si mossero immediatamente, rompendo ordinatamente le riga, mentre la Sesta Legione rimase immobile per qualche altro minuto ancora. Ercole si voltò nuovamente verso di loro e per un momento gli sembrò di percepire un oscuro cosmo sovrastare la figura di Chirone, quasi come se volesse scontrarsi con lui, prima che l’altezzoso Comandante gli voltasse le spalle, incamminandosi a passo svelto verso il Portone Principale della Fortezza.

"Non credere di aver vinto, sottospecie di elefante! La nostra sfida è ancora aperta! E non troverà risoluzione finché Ercole non si degnerà di concedere anche a noi un’occasione di gloria, smettendo di favorire voi, i suoi beneamati!" –Esclamò Chirone del Centauro, passando accanto a Nestore dell’Orso, che stava radunando i suoi Heroes di fronte al Portone della Fortezza.

Scontroso e ombroso, con il viso in parte nascosto dal suo elmo a maschera e da un folto ciuffo di capelli grigiastri, Chirone urtò deliberatamente Nestore, provocandolo com’era solito fare, amando rivaleggiare con lui per ottenere il posto privilegiato di Comandante scelto del Dio dell’Onestà, titolo che, seppure non ufficialmente, sembrava essere destinato a Nestore e alla Quarta Legione. La Prima nel cuore di Ercole! Commentò Chirone, accennando un sorriso malizioso, che teneva conto di precedenti che andavano al di là del puro valore militare. Senza neppure fermarsi, il Comandante della Sesta Legione uscì fuori dalle mura di Tirinto, conducendo i suoi guerrieri verso sud, in direzione del cosmo rabbioso dei Kouroi, che a grandi passi stavano avvicinandosi.

Nestore non diede molto peso alle provocazioni di Chirone, considerandole come sempre frasi dette tanto per dire, ma senza alcun significato valido. Egli non si sentiva affatto un favorito di Ercole, né il glorioso Comandante che Chirone pareva sempre cantare con un pizzico di invidia. Era soltanto Nestore, l’Hero dell’Orso, ed amava il suo Dio per la sua bontà e la sua onestà, come lo amavano tutti gli altri suoi compagni. E per questo amava svolgere il suo lavoro al meglio.

"Buona fortuna a tutti voi, amici!" –Esclamò Nestore, rivolgendosi ad un altro gruppetto di Heroes della sua Legione, diretto ad Argo sotto la guida di Agamennone. –"E tu!" –Aggiunse, indicando il suo secondo ufficiale con il robusto indice destro. –"Non essere avventato! Hai delle responsabilità!" –Esclamò, guardando Agamennone con cipiglio, riferendosi ai giovani Argo e Gleno, sentiti ammiratori delle gesta dell’Hero del Leone di Nemea.

"Non hai niente di cui preoccuparti, Nestore! I ragazzi ed io ce la caveremo egregiamente!" –Esclamò Agamennone, con serietà, prima di aggiungere con ironia. –"Ehi, in fondo si tratta solo di prendere a pugni una statua di pietra! Cosa mai potrà farci? Schiacciarci? Ah ah ah!"

"Non sottovalutare l’incarico che hai ricevuto, Agamennone! E attieniti al mandato, senza prendere decisioni di testa tua, senza avermi consultato in merito!" –Precisò Nestore, prima di allontanarsi, seguito da quattro Heroes: Teseo del Camaleonte, Giasone del Cavallo, Priamo della Lucertola e Asterione della Giraffa.

Agamennone a sua volta radunò un piccolo gruppetto di cinque Heroes della Quarta Legione, composto dalla Sacerdotessa Niobe del Falco, da Neleo del Dorado, dal solitario Tindaro di Cigno Nero e dai giovanissimi Argo del Cane e Gleno di Regula e e li condusse via, alla volta della città di Argo.

Nestore, che già sfrecciava verso Micene, li sentì allontanarsi, con una strana angoscia nel cuore. Dopo tanti anni era infatti la prima volta in cui non li accompagnava in missione. E di questo si dispiacque non poco. Ma doveva dare ad Agamennone la sua possibilità, l’occasione di dimostrare di non essere soltanto un cacciatore di gloria e di un nome scolpito sulle mura del tempo, ma un condottiero ed un abile guerriero, come egli, suo maestro e compagno, lo aveva istruito per tutti quegli anni.

"Non essere in pena per loro!" –Esclamò una voce, proveniente dal lato destro di Nestore, il quale però, voltatisi in quella direzione, non vide niente.

Soltanto dopo pochi attimi una figura iniziò a materializzarsi di fronte a lui, assumendo i tratti di uno degli Heroes a lui fedeli, Teseo del Camaleonte, le cui abilità mimetiche erano così grandi da riuscire persino a nascondere il suo Cosmo.

"Agamennone è un po’ avventato, non lo nego! Ma è anche coraggioso e valoroso! Sono certo che si farà onore! E renderà onore a tutta la Quarta Legione!" –Esclamò Teseo, sfrecciando a fianco del Comandante.

"Ne sono certo!" –Si limitò a rispondere Nestore, incitando i compagni ad accelerare la loro andatura. Micene era ormai vicina, e il cosmo oscuro della creatura di pietra sembrava aleggiare su tutti loro, dall’alto del colle dove sorgeva la cittadina greca.

"Eccolo!" –Gridarono alcuni Heroes, fermandosi ai piedi della collina, mentre un’ombra oscurava per qualche momento il sole.

Da dietro il colle tuonò improvvisamente una voce profonda e gutturale, facendo tremare i Guerrieri di Ercole per qualche secondo. Una voce che sembrava provenire dall’orrendo abisso del Tartaro. Una voce che anticipò l’arrivo del Gigante di Pietra, uno degli otto Kouroi disseminati nell’Argolide e risvegliati dal potere di Era.

Era un gigante altissimo, costruito interamente di pietra, una pietra grezza, non troppo lavorata, che aveva avuto origine dalle antiche statue del periodo ellenistico che erano state scolpite in onore ad Era, per ornare gli splendidi Heraion di Samo e di Argo. I Kouroi rappresentavano in origine giovani uomini nudi a figura intera, possenti e fieri, in posizione frontale eretta e con una gamba generalmente avanzata rispetto all'altra. Adesso erano diventati macchine distruttrici, prive di ogni raziocinio, che nient’altro erano in grado di fare se non distruggere tutto ciò che trovavano sul loro cammino, schiacciare, percuotere, sbriciolare con le loro immense mani, frantumare alberi ed edifici, portatori di un caos primigenio che Era aveva risvegliato in loro.

"Per Ercole!" –Esclamò un giovane Hero dai capelli azzurri, Priamo della Lucertola. –"Non avrei mai immaginato fossero così grandi!"

"E sembrano ben corazzati!" –Commentò Teseo del Camaleonte, osservando l’alone di cosmo divino che pareva circondare quelle immense figure di pietra vivente.

"Non ci faremo abbattere per così poco, no?!" –Tuonò Nestore dell’Orso, per rinfrancare lo spirito dei suoi compagni. –"Siamo Heroes di Ercole, e il nostro compito è far valere gli ideali di onestà e giustizia del nostro Dio! Avanti allora!" –E si lanciò contro il Kouros, accendendo il proprio cosmo.

Altri tre Heroes lo seguirono, iniziando a bruciare il loro cosmo, mentre un quarto rimase indietro, fermandosi a braccia conserte ad osservare il Gigante di pietra e i suoi compagni da lontano, per studiarlo meglio, convinto che lanciarsi frontalmente contro di lui non avrebbe prodotto alcun risultato utile. Infatti il Kouros, vedendo quattro bagliori luminosi ai suoi piedi sfrecciare verso di lui, batté le sue robuste braccia sul petto, emettendo violenti suoni gutturali, prima di sollevare l’enorme piede destro e calarlo con violenza a terra.

Nestore e gli Heroes riuscirono ad evitare di essere schiacciati al suolo, balzando in ogni direzione, ma il Gigante sollevava e abbassava la gamba continuamente, provocando continui smottamenti nel terreno, che rendevano sempre più difficile muoversi. Gli Heroes si unirono in gruppo, scagliando un violento attacco di energia cosmica contro il Kouros, ma rimasero stupefatti quando lo videro scivolare via, quasi fosse acqua, contro la sua immensa mole. Una goccia di pioggia sul marmo.

"Maledizione!" –Esclamò Nestore dell’Orso, saltando indietro, mentre l’enorme piede del Kouros sfondava il terreno di fronte a lui. –"Uno strano campo di energia sembra proteggerlo e renderlo refrattario ai nostri assalti!"

"Tutto questo non fa presagire niente di buono!" –Esclamò Priamo della Lucertola, ed anche il suo compagno, il timido Asterione della Giraffia, dovette dargli ragione.

In quella il Gigante si chinò sul terreno, affondando le sue immense mani nel suolo, sollevando enormi pezzi di terra e sradicando alberi, prima di gettare tutto sui guerrieri di Ercole, schiacciandoli al suolo, facendoli precipitare dentro piccoli crateri scavati dal suo pesante passaggio. Un colpo secco di mano del Kouros sul terreno aprì una fenditura, che spaccò la terra per centinaia di metri, facendo precipitare Priamo e Asterione al suo interno, mentre Nestore saltava da una sponda all’altra, cercando di evitare il continuo smottamento delle zolle di terra su cui poggiava il piede. Non vi riuscì e venne travolto da una vasta piattaforma di terra che il Gigante lanciò su di lui, schiacciandolo a terra, prima di poggiarvi con forza il suo immenso piede di pietra. In segno di vittoria batté le sue robuste braccia sul petto, prima di accorgersi che vi era ancora un uomo, ricoperto da scure vestigia, in piedi tranquillo di fronte a lui: Giasone del Cavallo, Hero di Ercole.