CAPITOLO TERZO. L’ATTACCO DEI KOUROI.

Quando i sei Heroes della Quarta Legione, guidati da Agamennone del Leone di Nemea, arrivarono in prossimità della cittadina di Argo, distante pochi chilometri dalla splendida Tirinto, un terrificante spettacolo si palesò di fronte ai loro occhi. Gli abitanti della città si erano rifugiati in massa nel kastro, il castello fortezza che dominava la sommità della collina di Larissa, edificato dai Franchi sulle rovine dell’antica Acropoli. E da quelle mura stagliate contro il sole uscivano disperate grida di terrore. Il Kouros, il Gigante di Pietra, che un tempo ornava l’ingresso dell’Heraion di Argo, era stato risvegliato dal cosmo di Era ed aveva iniziato immediatamente a distruggere tutto ciò che aveva trovato sul suo cammino.

La popolazione, per mettersi in salvo, aveva tentato di raggiungere il vicino porto di Nauplia, a cavallo o fuggendo disperatamente a piedi, ma il Kouros aveva fatto strage dei loro pallidi tentativi di fuga, obbligando i rimanenti superstiti a rifugiarsi sull’alto colle di Larissa e a caricare i cannoni. Ma a niente potevano le loro armi da fuoco. Le palle di cannone sembravano punture di zanzara sulla sua immensa massa e sortivano l’unico effetto di alterarlo ulteriormente, spingendolo a distruggere ogni cosa. Così, quando i sei Heroes di Ercole arrivarono, lo videro intento ad assediare il forte, percuotendo il terreno con le sue mani, provocando violenti terremoti e smottamenti, che facevano vibrare l’antica fortezza fino alla base.

"Quella gente ha bisogno di noi!" –Esclamò l’uomo che guidava la piccola pattuglia di Eroi: Agamennone del Leone, secondo ufficiale della Quarta Legione di Ercole.

Era un uomo alto, con folti capelli rosa, rivestito da un’Armatura rappresentate il Leone di Nemea, una delle prime fatiche di Ercole ai tempi del mito. E non era un caso che fosse proprio lui, il valoroso Agamennone, come amava farsi chiamare, a fregiarsi di tale titolo, poiché il giovane, pochi anni prima, aveva ricevuto in dono da Ercole stesso un reperto prezioso, che il Dio aveva conservato per millenni, in attesa di un uomo giusto e ardito, e sufficientemente folle, a cui poterlo cedere.

Al suo fianco vi erano altri cinque Heroes della Quarta Legione, quasi tutti molto giovani, soltanto uno di loro, Niobe del Falco, elegante Sacerdotessa, fedelissima di Penelope e sua profonda ammiratrice, superava i vent’anni. Tutti gli altri non ne avevano neppure diciotto. Ma possedevano una grande grinta e notevole audacia, sorretti da un profondo desiderio di combattere per Ercole e compiere grandi imprese in suo nome, per essere un giorno cantati negli annali e nelle leggende, come oggi ancora venivano cantate le imprese del loro Dio.

"E noi non ci faremo attendere!" –Esclamò una giovane voce, quella di Argo del Cane, subito affiancato dall’amico e compagno di avventure, Gleno di Regula.

"Corriamo a distruggere quel Gigante!" –Lo seguì Gleno.

"Frenate il vostro entusiasmo, giovani rampolli!" –Esclamò Niobe del Falco, pregandoli di essere prudenti, non avventati. –"Siamo qua per proteggere gli abitanti di Argo dalla furia di quel bestione! Non per combinare guai!"

"Lasciali fare!" –Intervenne Agamennone. –"Sono giovani! È normale che vogliano combattere, che vogliano emergere!"

"Sono d’accordo!" –Intervenne improvvisamente Tindaro di Cigno Nero, un taciturno guerriero che li aveva accompagnati, recentemente inseritosi nella Quarta Legione. –"Un Eroe non deve avere esitazioni o tentennamenti di sorta! Ma lanciarsi a testa alta in battaglia! Qualunque siano le condizioni!"

"Per lanciarsi in mare, bisogna essere in grado di nuotare!" –Commentò saggiamente Niobe, senza prestare attenzione alle parole di Tindaro, ci cui troppo non si fidava. –"E voi ne siete capaci?" –Si rivolse quindi ai giovani Heroes, che pendevano dalle labbra di Agamennone, in attesa di un suo cenno per iniziare la battaglia. Ma la conversazione fu interrotta da un violento smottamento del terreno. Il Kouros infatti li aveva notati ed aveva iniziato a muoversi nella loro direzione, schiacciando il suolo con i suoi enormi piedi di pietra.

"Attenzione!!!" –Gridò Agamennone, ordinando agli Heroes di separarsi, per non essere schiacciati.

Argo e Gleno furono lesti a balzare verso destra, seguiti da Tindaro del Cigno Nero, mentre Niobe, Agamennone e il sesto Hero, Neleo del Dorado, scattarono indietro, evitando la furia animalesca del Gigante, che passò oltre. Senza aspettare altro, Agamennone concentrò una sfera di energia nel palmo della mano destra, scagliandola contro la schiena del nemico, davanti allo sguardo pieno di ammirazione dei giovani Argo e Gleno. Ma la sfera si infranse contro il corpo del colosso, squagliandosi come neve al sole sulla sottile, ma insormontabile, barriera di energia cosmica che ricopriva tutti i Kouroi, e che altro non era se non il Cosmo Divino di Era.

"Cosa?! Incredibile!" –Mormorò Agamennone.

"Fai provare me stavolta!" –Gridò Argo, bruciando il suo cosmo. Gleno fece lo stesso ed insieme si lanciarono contro il Gigante, il quale, avvedutosi di loro, piccoli insetti ai suoi piedi, abbassò il capo, fissandoli con i suoi enormi occhi di pietra.

Agamennone fece appena in tempo a vedere una luce rossastra brillare come fosse una stella, prima che un lampo di energia scattasse dagli occhi del Kouros dirigendosi verso i due giovani Heroes.

"Nooo!" –Gridò Niobe, gettandosi contro i due ragazzi, afferrandoli e facendoli rotolare sul terreno erboso, sottraendoli così ai raggi distruttori del Gigante di Pietra.

"Niobe!" –Esclamò subito Argo, aiutando la ragazza a rimettersi in piedi. –"Sei ferita?" –Aggiunse, ma il Kouros fu subito su di loro.

"Maledizione!" –Esclamò la Sacerdotessa, rialzandosi ed espandendo il suo cosmo, simile ad un maestoso uccello che vola verso l’infinito. –"Assaggia gli Artigli del Falco, mostro preistorico! Volo del Falco!!!" –Gridò Niobe, lanciandosi in alto e liberando violenti fasci di luce, simile a fitta pioggia, diretti verso il volto del Gigante. Ma il Kouros non la prese troppo sul serio, colpendola distrattamente con la mano sinistra mentre era in volo e scaraventandola lontano, contro alcune rocce distanti, dove il corpo indebolito della Sacerdotessa si schiantò poco dopo.

"Niobeee!" –Gridarono Argo e Gleno, sentendosi responsabili.

"Non possiamo più esitare!" –Esclamò Agamennone, vedendo che la situazione si faceva pericolosa. Espanse il proprio cosmo e sfrecciò avanti, spiccando un agile salto fino a portarsi sopra il palmo della mano sinistra del Kouros.

Il Gigante, avvedutosene, scrollò la mano, cercando di liberarsi dell’indesiderato ospite, ma Agamennone fu abile ad aggrapparsi alle sue dita con forza, cercando di non essere scaraventato via. Ai suoi piedi, gli altri Heroes pensarono di distrarre il Kouros, attirando la sua attenzione con sfere di energia che diressero verso una gamba di pietra, sperando magari di farlo cedere e barcollare. Ma anche stavolta i loro colpi non lo raggiunsero, scivolando via, come acqua, senza intaccare la gelida pietra del Kouros.

"Di pietra sei fatto, e pietra tornerai ad essere!" –Gridò Agamennone, spiccando un nuovo balzo, usando il dito a cui era aggrappato come leva e lanciandosi in alto, davanti al viso del Gigante, che parve quasi abbandonarsi ad un’espressione di sorpresa. –"Artiglio del Leone di Nemea!" –Esclamò, portando avanti il braccio destro, avvolto da fulmini incandescenti.

Ad Argo del Cane, e agli altri Heroes riuniti ai piedi del colosso, parve di vedere la splendida sagoma di un leone con le fauci spalancate scagliarsi contro il viso del Kouros, completamente avvolto da un bagliore di stelle. L’attacco raggiunse il Gigante nell’occhio sinistro, obbligandolo a chiuderlo in fretta, ma non così in fretta da poter evitare di essere ferito da alcuni sprazzi di luce. D’istinto, il Kouros reagì, afferrando Agamennone con la mano destra e stringendolo nel suo pugno, fino a sentire le ossa scricchiolare sinistramente, prima di gettarlo a terra, scaraventandolo contro un mucchio di rocce.

"Capitano!!!" –Gridarono Argo e Gleno, correndo verso l’Hero del Leone, mentre il Kouros si agitava selvaggiamente, battendosi le mani sul petto, preso alla sprovvista da quell’assalto improvviso, che era riuscito a ferirlo, anche se pur minimamente, all’occhio.

"Non è dunque invulnerabile!" –Mormorò tra sé Niobe, raggiungendo Agamennone e gli altri e sincerandosi delle condizioni del suo capitano.

"Sto bene!" –Mormorò Agamennone, con qualche graffio sul viso e le vesti un po’ strappate. E Niobe e gli altri dovettero dargli ragione, pur sgranando gli occhi per la sorpresa. –"Non è così facile superare le mie difese!" –Commentò, scuotendo la polvere dalla propria Armatura.

Niobe lo osservò per un momento, notando un baluginare di stelle che ricopriva la corazza dell’Hero, e ricordò la leggenda del Leone di Nemea, un leone dalla pelle coriacea e invulnerabile.

"Sei come il Leone della leggenda!" –Commentò, avendo compreso la natura del suo potere.

"Più che altro, ho la sua stessa pelle!" –Sorrise Agamennone, prima che il Kouros fosse nuovamente su di loro, scalciando, muovendosi selvaggiamente, battendo i piedi con forza sul terreno e agitando le braccia a mulinello, in modo da togliere sempre di più ai guerrieri di Ercole la possibilità di avvicinarsi a lui.

"Sei riuscito a colpirlo! Le sue difese sono dunque superabili?!" –Esclamò Niobe, balzando di lato, evitando un assalto del Gigante.

"Purtroppo no! C’è una protezione divina che circonda questo Kouros, che nessuno di noi ha il potere per superare! A meno che non si disponga di un manufatto, dono di un Dio, le cui origini sono altrettanto divine!" –Commentò Agamennone, saltando a sua volta, e riunendosi con la Sacerdotessa del Falco. Sollevò il braccio destro e mostrò il pugno alla ragazza, la quale inizialmente rimase un attimo stranita, non capendo a cosa si riferisse. –"Ricordi la leggenda del Leone di Nemea, e il modo in cui Ercole lo vinse?"

"Il Leone di Nemea era un animale gigantesco, figlio di Echidna e Tifone, che terrorizzava l’Argolide! La sua pelle era indistruttibile e non poteva essere trapassata da alcuna freccia o spada!" –Rispose Niobe, ricordando gli insegnamenti della sua maestra, Penelope del Serpente. –"Per sconfiggerlo, Ercole entrò nella grotta in cui il Leone si era insediato, dopo aver bloccato una delle due uscite! Gli si gettò addosso, stordendolo con la sua clava, e quindi lo strangolò!"

"Esatto! E sai cosa ne fece Ercole di quella pelle che nessuna lama poteva scalfire?" –Domandò Agamennone, con un sorriso di orgoglio sulle labbra. –"La tagliò e la indossò, come armatura impenetrabile, utilizzando proprio un artiglio dello stesso Leone! Ed in me, nel mio braccio destro, rivive quell’artiglio, capace di trapassare qualsiasi difesa e raggiungere il cuore di tutte le cose!"

"Capace anche di superare l’alone protettivo del Gigante?" –Si chiese Niobe, non troppo convinta della cosa.

"Questo è qualcosa su cui dovremo lavorare!" –Commentò Agamennone, prima di essere distratto dalle grida dei suoi compagni.

Argo e Gleno infatti si erano nuovamente lanciati all’assalto, scagliando ripetute sfere di energia contro il Kouros e venendo sistematicamente respinti. Neleo del Dorado era dovuto intervenire più volte per salvarli, per toglierli dalla traiettoria dei violenti raggi di energia che il Gigante lanciava dagli occhi, mentre Tindaro di Cigno Nero pareva disinteressarsi completamente della battaglia. Si era avvicinato soltanto ad Agamennone alla fine della sua conversazione con Niobe, rimuginando qualcosa tra sé, mentre osservava con crescente cupidigia ed interesse il braccio destro dell’Hero del Leone, quasi fosse un tesoro da conquistare.

"Ragazzi!!! Attenti!" –Gridò Agamennone, scattando avanti, subito seguito da Niobe. I due Heroes scagliarono un violento attacco energetico contro il volto del Gigante, ma essendo troppo distanti non produssero risultato alcuno, se non quello di essere scaraventati di lato con un rozzo calcio da parte del Kouros. Agamennone, in volo, afferrò Niobe, mettendola davanti a sé, prima che la sua schiena impattasse malamente contro una roccia sporgente, frantumandola e precipitando al suolo.

"Agamennone!!!" –Esclamò agitatamente Niobe, cercando di rialzarsi. Schiaffeggiò il capitano, stordito dall’impatto, prima di ringraziarlo per averla protetta.

"Dovere di ogni uomo, prima ancora di un Cavaliere!" –Commentò Agamennone, rimettendosi in piedi, con la schiena dolorante, ma con l’Armatura ancora completamente integra. Argo e Gleno rotolarono fino ai piedi dei due Heroes, scaraventati lontano da un colpo brusco di mano del Gigante, che aveva incrinato in alcuni punti le corazze dei due giovani. Argo aveva lividi su tutto il corpo e Gleno sanguinava pure dal labbro inferiore, notevolmente ingrossato, ma erano entrambi determinati a non arretrare di un solo passo.

"Il nostro nome sarà scolpito nel cielo stellato, come quello di Ercole e dei nostri comandanti! Il valoroso Agamennone, nel cui onesto cuore risiede l’ardita fiera di Nemea! La timida ma risoluta Niobe, Sacerdotessa del Falco! Possano le tue ali portarti sempre più in alto! E il vigoroso Nestore dell’Orso, che ci ha accolto tra le sue truppe, permettendo a due ragazzini inesperti di imparare a vivere!" –Commentò Argo del Cane, mettendosi di fronte al suo Capitano. Gleno fece altrettanto, aprendo le braccia, proprio mentre la mostruosa sagoma del Gigante oscurava il sole, ergendosi proprio di fronte ai quattro Heroes.

***

In quello stesso momento, dal suo maestoso Tempio sul colle dell’isola di Samo, Era osservava gli eventi svolgersi sul muro interno della terza cella dell’Heraion. Appeso ad esso vi era un magnifico arazzo, tessuto per lei dalle abili cucitrici dell’isola, che mostrava Ercole, il Dio dell’Onestà, circondato dalle sue Legioni. Novanta simboli stilizzati che rappresentavano tutti gli Eroi che combattevano per lui, e per i suoi sciocchi ideali di correttezza, come Era ripeteva periodicamente per disprezzarli.

Ai piedi dell’arazzo, sedute sopra tre vecchi sgabelli, consumate dal tempo e dall’invidia, tre scarne figure rinsecchite, avvolte in logori mantelli scuri, con il volto oscurato dalle tenebre, filavano e svolgevano un lungo fuso, collegato direttamente all’arazzo, in attesa di tagliare con le loro lucide cesoie lo stame della vita.

"Tre donne siedono in cerchio a uguale distanza! Ciascuna sul proprio trono!" –Esclamò la temibile Regina degli Dei, parafrasando Platone. –"Sono le Moire, figlie di Ananke, colui che domina il destino! Sull'armonia delle Sirene Lachesi canta il passato, Cloto il presente, Atropo il futuro!"

Le Moire non risposero, né sollevarono il capo, disinteressate a tutto ciò che passava loro attorno. A niente prestavano attenzione, a nessuno sembravano essere fedeli, garanti perfette dell’equilibrio del mondo. Disincantate verso la vita, disinteressate verso la morte, indifferenti agli uomini e, in parte, anche agli Dei. Tessevano, filavano e, quando era tempo, tagliavano.

Argo, il Sacerdote di Era, entrò in quel momento nella terza cella, inchinandosi di fronte alla Regina degli Dei, che gli sorrise, compiaciuta dell’andamento del proprio piano di battaglia. Sedette sul trono, ascoltando Argo che parlava ai suoi piedi, percependo la sua gioia nel sentire gli Heroes di Ercole in pericolo.

"Presto cadranno tutti quanti, sconfitti, schiacciati, pressati al suolo dalle sovrastanti forze dei Kouroi! Cosa possono degli uomini contro il potere divino? Come osano soltanto credere, soltanto immaginare, di poter levare lo sguardo verso l’alto senza rimanere abbagliati dallo splendore dei campi di melograno e dalle affascinanti ruote del pavone, simbolo sacro alla Regina degli Dei!" –Esclamò Argo, mentre Era gli sorrideva beffarda.

"Osserva, mio Sacerdote!" –Esclamò Era con enfasi, indicando l’arazzo. –"Presto la tela di quest’arazzo inizierà a disfarsi! Lentamente, ma inesorabilmente, tutti gli uomini che si sono autoproclamati Eroi cadranno, vittime del fato inesorabile che gli Dei hanno imposto loro! Ed Ercole, che adesso si erge al centro, con la clava in mano, perderà quel suo sorriso di tronfia superbia e rimarrà solo! Soloooo!!!" –Gridò Era, e la sua voce parve un suono agghiacciante che scosse l’intera isola di Samo.

"È il castigo che meritano gli insolenti e gli ingrati! E nessuno lo merita più di Ercole!" –Commentò Argo. –"Pur tuttavia, mia Regina, se desiderate accelerare i tempi, io sono ai vostri ordini! Sempre pronto per ogni missione che vogliate affidarmi! Basterebbero le mie dita per porre fine all’inutile esistenza di quegli uomini che si sono autoproclamati Eroi!"

"Ne sono certo, grande Sacerdote! Nessuno ha più brama di servirmi di te!" –Esclamò la Dea, con un tono divertito dal totale servilismo di Argo, che nascondeva in realtà un cinico odio profondo verso gli uomini e i loro protettori divini. –"Ma lasciali fare! Lascia che sprechino le loro insulse energie a scagliarsi contro le mura di pietra rappresentate dai miei Kouroi! Così, quando privi saranno di risorse ed inermi si prostreranno ai miei piedi, vinti, basterà un dito, un fulmine dalla mia mano, per condannare all’oblio eterno quella patetica stirpe di Eroi! Quella stupida generazione di mortali che ha osato sfidare la collera celeste!" –Si infervorò Era, espandendo il proprio cosmo. –"Assicurati che Iris sia arrivata a destinazione! Non voglio lasciare ad Ercole nessuno spazio di manovra! Lo attaccherò su tutti i fronti ed egli non riuscirà a tamponare le ferite! Una su tutte, quella che sarà mortale, quella che gli strapperà il cuore! Poiché non vi è fronte su cui lanciare migliore attacco che non su quello dei suoi sentimenti! Ah ah ah!" –Ghignò la Regina degli Dei, seduta scompostamente sul suo alto scranno.

Mentre nel Peloponneso Orientale la guerra era in corso, e Argo e Micene erano sotto assedio da parte dei Kouroi, e altri Giganti muovevano le loro possenti gambe di pietra verso Tirinto, qualche miglia ad ovest, in un’isola del Mar Tirreno meridionale, Iris raggiungeva la metà del suo viaggio: la grotta che la sua Signora in persona aveva scelto millenni prima, come luogo di custodia.

"Cosa ti conduce nella mia dimora, Iris, Messaggera degli Dei?" –Esclamò un uomo, apparendo all’ingresso della grotta: Eolo, Dio dei Venti.

Era alto e robusto ed indossava eleganti vesti dal colore celeste, che gli conferivano un aspetto regale e al tempo stesso leggiadro. Il volto chiaro era dominato da occhi dal colore argentato, capaci di mutare d’intensità al variare dell’esposizione solare, creando affascinanti giochi di luce. Era figlio di Ippote e da Zeus in persona aveva ricevuto il dominio sulle isole poste a Nord della Sicilia, da lui poi chiamate Eolie.

"È vento di guerra ciò che muove i miei passi! E nessuno meglio di te, che dei venti sei signore e sovrano incontrastato, può comprenderlo, oh possente Eolo!" –Esclamò Iris, inchinandosi di fronte al Dio.

"Nonostante non mi aspettassi una tua visita, Messaggera degli Dei, avevo udito, portate a me dal Vento dell’Est, notizie di una nuova guerra in corso ad Oriente! Non vi è dunque pace su questo pianeta? Solo pochi mesi fa Athena e Ades hanno deposto le armi, incontrando entrambi il riposo celeste, e adesso qualcuno ancora si ostina ad anticipare l’inesorabile? Forse gli uomini sono così convinti di essere superiori agli Dei, e quindi immortali, da poter combattere continuamente senza incorrere nel rischio della morte?" –Rifletté Eolo, tastandosi la folta barba grigia.

"Pare che gli uomini abbiano perso il senno, Sommo Eolo! Istigati da qualcuno che un tempo era anch’egli un uomo, per quanto fosse figlio di Zeus, si ostinano a volgere i pugni contro i Celesti Signori dell’Olimpo!" –Rispose Iris. –"Egli, rifiutandosi di compiere una missione che la mia Signora gli aveva affidato, adducendo nient’altro che frivoli scusanti, ha oltraggiato l’Olimpo e la Dea che riverisco, la stessa a cui voi, possente Eolo, siete devoto! La stessa che qua mi ha inviato per domandarvi aiuto!"

"Aiuto?! E quale aiuto può dare un Dio inferiore come me alla tua Regina? Posso dunque pretendere di interferire con il fato, di inserirmi nella millenaria contesa tra Ercole ed Era?!" –Esclamò Eolo, che, in cuor suo, avrebbe preferito rimanerne al di fuori, per non avere complicazioni.

"L’aiuto di un amico!" –Rispose Iris decisa. –"E l’aiuto di un Dio riconoscente alla sua protettrice, la stessa che vi permise di sedere tra gli Dei dell’Olimpo, intercedendo presso il Sommo Zeus, suo fratello e sposo!" –Aggiunse Iris, e ad Eolo sembrò più un ordine che una richiesta di aiuto.

Per quanto non fosse pienamente convinto, Eolo era un Dio, legato ad Era da un tributo di riconoscenza, che in quel momento sembrò pesare sul suo animo come un debito. Sospirò, annuendo con il capo, prima di chiamare a sé i suoi figliastri. Splendenti, avvolti nelle Vesti Divine che Efesto aveva forgiato per loro millenni prima, apparvero i Quattro Venti, figli di Astreo, il Cielo Stellato, e di Eos, l’Aurora: Borea, il Vento del Nord, Euro, il Vento dell’Est, Zefiro, il Vento del Sud, e Austro, o Noto, il Vento dell’Ovest, in uno scintillio di luci che parve per un momento oscurare l’iridescenza delle vesti della Messaggera degli Dei.

"Quali nuove, Dio dei Venti?" –Esclamò Borea, con forte ansia di sapere. –"Perché ci hai convocato d’urgenza?"

"Per combattere!" –Iris anticipò Eolo, facendosi spazio tra i quattro Venti Divini. –"Per la Regina degli Dei, che in persona mi ha chiesto di nominarvi suoi alfieri scelti! I combattenti del Monte Olimpo il cui nome sarà inciso nelle stelle per aver eliminato colui che agli Dei ha osato ribellarsi!"

"La Divina Era?!" –Esclamò Zefiro, inginocchiandosi insieme ai compagni alla vista della Messaggera degli Dei. –"Quale onore!"

"Siamo al suo servizio!" –Incalzò Austro. –"Indicaci la meta e noi là ci recheremo!"

"La meta è Tirinto, residenza di Ercole!" –Tuonò Iris, con decisione. –"E gli ordini della mia Signora sono straordinariamente semplici, come semplice è il suo candore e la sua personalità! Radere al suolo quell’imborghesita città, sterminando i guerrieri bastardi che la proteggono, prima di condurre il corpo inerme di Ercole di fronte ad Era, osservarlo prostrarsi ai suoi piedi ed implorare perdono, per tutte le offese che le ha recato, per le umiliazioni che le ha impartito, non ultima l’affronto causatole nel rifiutare la proposta della mia Dea di distruggere il Santuario di Athena!"

"Ercole si è rifiutato?! Ah ah!" –Risero Austro e Zefiro. –"Tipico di quel cialtrone! La sua adorazione per gli uomini e per Athena è sempre stata grande, e questo fa di lui un uomo più che un Dio!"

"Ciò nonostante…" –Intervenne per la prima volta Euro. –"Non sarà una battaglia facile! Ercole è nemico potente, dotato di straordinaria forza e resistenza, che gli deriva dal possente Zeus! E gli Heroes sono numerosi e ben addestrati, allievi di un maestro dotato di carisma e capaci di insegnare loro le migliori tecniche di attacco e di difesa, oltre che di dare loro uno scopo per cui valga la pena vivere!"

"Hai intenzione di tirarti indietro?" –Lo derise Borea. –"Vuoi offendere anche tu la Regina degli Dei?!"

"Sto solo valutando la situazione! Noi siamo in quattro, contro novanta guerrieri ed Ercole stesso, la cui forza è pari a quella di un Dio dell’Olimpo, a noi decisamente superiore!" –Precisò Euro.

"Non dovrete curarvi molto degli Heroes! E neppure di Ercole stesso!" –Esclamò Iris, con un sorriso beffardo. –"La mia Signora ha ideato un piano perfetto! I Kouroi che marciano su Tirinto sono sorretti dal suo Divino Cosmo e non vi è niente che possa fermare la loro avanzata! Non vi è colpo segreto, pur potente che sia, che possa distruggere gli atomi che compongono i loro robusti corpi! A meno che non si possieda la chiave per cacciar fuori il loro cuore! Gli Heroes sono destinati ad essere schiacciati come insetti! E voi sarete là, ad anticipare quel momento!" –Li incalzò Iris, prima che un rumore, quasi come di cocci, disturbasse l’attenzione di tutti.

Un ragazzetto dai capelli mori e ritti, con il volto sbarbato e l’aria timida e impacciata, spuntò poco dopo all’ingresso della caverna, scusandosi con Eolo per il rumore provocato.

"Mi.. mi dispiace, Signor Eolo! Stavo pulendo le Anfore, come mi ha ordinato… Devo averle urtate e sono cadute… ma non sono rotte! Non si preoccupi!" –Balbettò, di fronte allo sguardo irato del Dio dei Venti e di Borea e degli altri fratelli.

"Ne farai mai una giusta, Nesso?!" –Lo derisero Austro e Zefiro, mentre Borea balzò sopra di loro, giungendo proprio davanti al giovane. Lo afferrò per la maglietta che aveva indosso e lo sbatté con forza contro la parete rocciosa, schiaffeggiandolo più volte.

"Mio Padre ti ha assunto per fare un lavoro di precisione, stupido bamboccio! Intendi forse mancargli di rispetto?" –E lo picchiò di nuovo, gettandolo a terra, con il volto arrossato dagli schiaffi ricevuti.

"No! No! Mi dispiace! Non succederà più!" –Gridò spaventato, rientrando di corsa nella caverna, per sistemare le anfore di Eolo, dove il Dio custodiva i venti.

"In tal caso non ci sarà una prossima volta! Poiché non sarai più vivo per permettere che ciò accada!" –Tuonò Borea, prima di ricongiungersi ai suoi fratelli.

Iris sorrise, indicando loro la strada da percorrere, prima di scomparire a cavallo di un arcobaleno di luce, seguita da Eolo e dai quattro Venti.

Nesso, il garzone assunto mesi prima da Eolo con il compito di pulire la caverna e lustrare le anfore, rimase da solo, ad osservare le scintillanti ali colorate degli Dei dei Venti scivolare nel cielo terso del Tirreno. Quando furono lontani, scomparsi ormai nell’orizzonte, gettò via il panno inumidito e corse fuori dalla caverna, inerpicandosi per gli irti pendii dell’isola di Lipari. Senza prendere mai fiato, corse fino al mare, raggiungendo la costa piena di scogli e sporgendosi avanti, proprio su uno di essi.

Canticchiò qualcosa, un motivetto simile ad un fischio, che ad orecchi umani niente avrebbe potuto significare, e pochi attimi dopo un folto gruppo di pesci apparve nel mare di fronte a lui, quasi attirati dal suo canto, che nient’altro era se non un richiamo. Aveva udito abbastanza, della conversazione tra Iris e i quattro Venti, e compreso che le sorti della guerra erano quanto mai incerte, soprattutto in assenza di un modo per fermare i Kouroi.

"Ercole non resisterà a lungo! E i miei compagni sono in pericolo!" –Si disse il giovane moro, e senz’altro esitare si gettò in mare, iniziando a nuotare nelle calme acque del Mar Tirreno.

Mesi prima, quando Eolo lo aveva assunto come garzone, affidandogli ingrati compiti, spesso umilianti, che Borea e gli altri non volevano eseguire, aveva creduto che Ercole gli avesse assegnato il peggior incarico della sua vita, forse per liberarsi di lui. Ma adesso, con le parole che aveva udito, aveva cambiato opinione su se stesso e sulle finalità del suo incarico, poiché ora, Nesso del Pesce Soldato, Hero di Ercole della Terza Legione, era in possesso dell’unico modo per abbattere i Kouroi, dell’unico modo per assorbire l’energia Divina.