Capitolo 14: Curarsi le ferite

I tre anghelloi furono primi a tornare a Cartagine, Quiggon li guidava.

Entrarono nel nascondiglio della regina Didone, "Regina", esordì felice Dafne, "abbia recuperato il pettorale di Ares", disse.

I quattro attesero il ritorno degli altri, felici per il recupero del pezzo delle sacre vestigia, ma infelici per il tradimento dell’ebro.

Dopo circa mezz’ora due gruppi di forze cosmi arrivarono a Cartagine, "Sono qui", sentenziò Didone, capendo che ambedue i gruppi erano tornati.

Tuhon aprì le porte, il suo sguardo triste lasciava intuire che qualcosa non era andato come ipotizzato, "Che cosa è successo, fabbro?", chiese Wein avvicinandosi a lui.

Il guerriero di Efesto non parlò, ma si appoggiò al muro, entrò quindi Draka, anche con uno sguardo triste, dopo, insieme, Maximo e Tige, ambedue portavano dei corpi in braccio.

Nessuno parlò, tutti riconobbero i corpi senza vita di Ageia e di Duncan, "Chi è stato, Tige?", chiese Dafne, avvicinandosi al guardiano di Era, "Un berseker... ci eravamo separati", balbettò il guardiano, mentre altre lacrime scendevano dalle sue guance.

Maximo non diede spiegazioni maggiori, però chiese qualcosa: "Regina, ho bisogno del resto di questa triste giornata per seppellire colei che mi è stata compagna nella difesa di Dioniso".

Didone accettò e permise anche al suo guardiano di fare il medesimo gesto.

La giornata passò velocemente: Maximo, accompagnato da Wein, raggiunse le montagne della Beozia, in Grecia, dove arse il corpo dell’ebra della Vite e poi, secondo la tradizione delle baccanti, sotterrò le sue ceneri vicino a quelle delle sue sorelle. "Sai, Wein, ricordo ancora quando la conobbi," disse il gigantesco guerriero di Dioniso con le lacrime agli occhi, "è sempre stata molto coraggiosa e dedita al dovere, non sopportava che io e Navas la trattassimo come una ragazzina, sia per la sua età sia per il suo sesso, quindi, con il tempo, ci dimostrò il suo valore. Ora è morta ed anche Navas è andato dai suoi fratelli, ma ti giuro, anghellos, li vendicherò", concluse alzando il braccio destro verso il cielo, "Maximo, ti dovrò una brutta notizia quando torneremo all’accampamento", lo avvisò Wein, "Un’altra?", cercò di sdrammatizzare l’ebro, "Si, mi dispiace", concluse l’anghellos.

In Scozia, a Gleenfield, un paesino fra le highlands, Tige sotterrò il corpo di Duncan del Falco vicino a quelli dei suoi antenati. "Amico mio, ti vendicherò, te lo giuro qui, dinanzi alla tua tomba", affermò Tige, "Mi dispiace, Tige", disse Dafne, che lì lo aveva seguito. Il guardiano si voltò verso di lei, aveva gli occhi rossi per le lacrime, ma sorrise lo stesso alla fanciulla che fin lì l’aveva accompagnato, senza che le fosse stato chiesto. "Sai", aggiunse il guardiano, "il difetto maggiore del mio potere è che non posso percepire alcuna sensazione con il tatto, questo mi ha reso, agli occhi di tutti, un mostro. Poi sull’Isola di Andromeda conobbi un uomo che non mi considerava un mostro per questo, ma che cercò di aiutarmi a scoprire il perché di questo potere, senza però riuscirvi. Lasciata l’Isola di Andromeda, però, incontrai un uomo con due lame al posto delle braccia, Duncan, che riuscì a ferirmi ed a farmi percepire per la prima volta il dolore, che devo ammettere non mi dispiacque. Lui è stato più di un amico per me, poiché da allora siamo sempre stati insieme e siamo diventati come fratelli", questo diceva Tige, in preda al dolore, come se stesse vaneggiando.

Al tramonto i guerrieri della compagnia rimasti si riunirono a Cartagine.

Posero le armature in circolo intorno al pezzo delle vestigia di Ares: al centro della sala vi era il pettorale divino, dinanzi ad esso, proprio davanti all’entrata, l’armatura a forma di Anello, alla destra di questa il Caduceo, quindi lo Stivale Alato ed infine il Flauto; alla sinistra dell’Anello vi era l’Otre sacra a Dioniso, dopo di questa l’armatura a forma di Ciclope ed infine il Pavone, sacro ad Era.

In un’altra stanza vi era Didone, che riposava.

I sette cavalieri si sedettero fuori della sala, intorno ad un fuoco, fu Quiggon a prendere la parola e spiegò ad i suoi compagni gli incontri fatti a Capo Sounion.

"Non può essere vero, stai mentendo", urlò Maximo, quando seppe di Navas, "Credigli, ebro, io c’ero so che era Navas", si intromise Wein, "Voi tutti mentite", tuonò l’ebro di Dioniso, incapace di credere che il suo compagno li abbia tradito, ci vollero diversi minuti per convincerlo.

I guerrieri ritornarono a sedersi, tutti intorno al fuoco, Quiggon continuò il suo racconto, descrivendo il nuovo aspetto dell’ebro traditore e quello della berseker custode della Lancia di Ares; poi fu Draka a raccontare di Rakis, custode dello Scudo; infine Tuhon descrisse Sesar, custode della Spada.

"Sesar?", chiese ad un tratto Quiggon, perdendo il suo fare distaccato per alcuni secondi, "Si, perché?", chiese il fabbro di Efesto, "Perché se il suo cosmo era dorato e la sua pelle abbronzata e l’aspetto possente", suggerì il messaggero, "è qualcuno che conosco".

"Cavalieri", disse poi Maximo, che era rimasto fino a quel momento in silenzio, "vi prego, lasciate Navas a me, che paghi per il tradimento", spiegò con una voce piena di rabbia, "Sia", affermò Tuhon, "ma io chiedo per me Warril, per vendicare mio fratello", aggiunse il fabbro, "Allora, se dobbiamo parlare di vendette", si intromise Tige, "lasciate a me Rakis", concluse il guardiano con tanta rabbia in corpo.

"In fondo per battere i bersekers, basterà fargli perdere le armi", propose Draka, "No, guardiana di Era, niente di più sbagliato", obbiettò Tuhon, "Che cosa vuoi dire, fabbro?", chiese la guardiana dell’Anello.

Tuhon si alzò in piedi, "Vi ho già parlato dei poteri delle sacre vestigia, che servono ad aumentare in alcuni casi i poteri dei cavalieri che le indossano o dargli particolari facoltà", esordì il fabbro, "le vestigia dei bersekers hanno una funzione diversa, servono ad incatenare i loro cosmi", spiegò, "Che cosa?", urlò Dafne, "Le armature comprimono il cosmo ed impediscono che questo si sviluppi ed esploda, come quello di un qualsiasi altro cavaliere, durante gli scontri, rendendolo allo stesso tempo più ampio", spiegò Tuhon, "se perdessero l’armatura i loro cosmi esploderebbero con un’ampiezza impressionante e devastante, non so se riusciremmo a batterli anche il quel caso", concluse.

"Supponiamo di batterli", affermò Quiggon, "poi ci rimarrebbero altri baluardi da superare", spiegò, "Quali?", chiese Tige incuriosito, "I tre figli di Ares", "Chi?", chiese Draka, "Deimos, dio del Terrore, Phobos, dio della Paura ed Enio, dio dell’Urlo Furioso, i tre figli di Ares. Due di loro sono nati dal suo amore illegittimo con la dea Afrodite, dea dell’Amore, mentre il terzo, Enio, è figlio di Ares e della sua sorellastra, Eris, dea della Discordia", rispose.

"Come potremo battere delle divinità?", chiese Dafne, "Non lo so, forse il nostro tentativo di salvare il mondo degli uomini si fermerà prima di incontrare il dio della Guerra", rispose Draka, guardando la messaggera negli occhi.

"L’Urlo di Atena", disse come rubandolo al vento Quiggon, tutti lo guardarono stupiti, si chiedevano cosa volesse dire quella piccola frase, "Che cosa?", chiese Wein, l’unico abbastanza amico al messaggero del Caduceo, se così si potevano definire i due impassibili anghelloi, "E’ una tecnica disonorevole che i cavalieri di Atena conoscono, ma non possono usare. In teoria sarebbe possibile per qualunque guerriero, sacro a qualunque divinità", spiegò l’anghellos.

"In che consiste?", chiese Maximo, "Un minimo di tre cavalieri devo unire i loro cosmi attraverso il contatto delle mani e scatenarli contemporaneamente contro il nemico. Questo colpo potrebbe polverizzare anche una divinità, qualora la prenda in pieno", rispose Quiggon, prima di alzarsi.

"Adesso andiamo a riposare, cavalieri, poiché domani andremo a cercare i nostri nemici, nelle montagne della Mongolia", suggerì il messaggero, "Come vorresti trovarli?", chiese Tige, alzando lo sguardo verso l’anghellos, "Basterà usare il pezzo delle sue vestigia, in fondo l’armatura vuole tornare dal suo padrone", spiegò Quiggon, prima di andare nel luogo dovrebbe riposato quella notte.

"Giusto", concordò Tuhon, alzandosi per andare anche lui a riposare; subito dopo si alzarono Draka e Dafne, quindi Wein.

Solo Tige e Maximo erano rimasti intorno al fuoco, "Chi farà la guardia per primo?", chiese l’ebro, "Io, in fondo sono un Guardian Goshasei", scherzò l’altro, prima di salutare il guerriero di Dioniso ed andarsi ad appoggiare ad una parete.

Il gruppo si divise per riposare quella notte, poiché il giorno della battaglia finale era prossimo.