Capitolo 3: Al grande tempio d’Atene

Tre figure apparvero poco lontano dal tempio dell’Ariete, ad Atene, uno di loro aveva un’armatura viola e nera, gli altri due erano un giovane dagli occhi color smeraldo ed una bellissima fanciulla dai capelli rossi.

"Il grande tempio dovrebbe trovarsi alla fine di questa strada", suggerì Maximo dell’Otre, "Si, credo, di si", aggiunse Tige del Pavone, "Allora andiamo avanti", li esortò Dafne del Flauto, "Carattere attivo, la ragazza", rilevò scherzosamente Maximo, mentre seguiva la fanciulla, che li precedeva.

"Spero di poterti veder combattere", esordì Maximo, rivolgendosi a Tige, "Poiché sono curioso di vedere quale immenso potere hai", continuò, "Non sono padrone di nessun potere immenso, ma le mie caratteristiche ti lasceranno di certo stupito, ebro", rispose il guardiano di Era, "Sono comunque curioso di vedere cosa sai fare e cosa sa fare il tuo amico scozzese, dato che prima, al castello di Didone, sembravate sicuri di potermi atterrare", affermò il guerriero di Dioniso, il goshasei non rispose, ma mostrò un sorriso sicuro al suo compagno, "Per gli dei!", esclamò poi Dafne, interrompendo i due.

Sia il guerriero di Era sia quello di Dioniso si voltarono preoccupati, ma solo dopo capirono che l’esclamazione della messaggera era prodotta dallo stupendo spettacolo che si trovava dinanzi: le dodici case dello zodiaco, costituite in tempi antichi per volere della dea della giustizia; il luogo dove risiedevano il suo sommo sacerdote ed i suoi dodici custodi, la casta più alta, quella d’oro.

"Chi siete voi, stranieri?", esclamò un guerriero che scendeva le scale della prima casa insieme a due compagni, "Rivelatevi", disse un suo compagno, "Siamo guerrieri sacri alle divinità olimpiche," esordì Dafne, "più precisamente ad Ermes, Dioniso ed Era", spiegò, "siamo qui per evitare che le armate di Ares riescano a recuperare l’elmo del dio, nascosto nel sacro tempio della Bilancia", concluse.

I tre si fermarono, mostrandosi, le loro armature erano chiaramente clothes sacre ad Atena, ma non erano armature d’oro, né si potevano ritenere d’argento, colui che li guidava aveva un’armatura violacea, che copriva parte del suo corpo, ed un elmo a forma di testa di cavallo, con un corno che lo sovrastava; ai suoi lati altri due guerrieri, uno aveva un’armatura verdognola, senza alcun simbolo particolare, che la rendesse riconoscibile, l’altro una cloth bianca con degli artigli che gli uscivano dagli avambracci.

"Il mio nome è Jabu dell’Unicorno", esordì il santo che li guidava, " e loro sono Nachi del Lupo e Ichi dell’Idra", continuò, presentando i suoi compagni, "E quelli alle nostre spalle?", chiese Maximo, guardandosi sia a destra sia a sinistra, "Siamo Geki dell’Orsa e Ban del Leone Minore", esordì un gigantesco guerriero con un’armatura arancione.

Una frusta si legò intorno al braccio di Tige, che, dopo aver guardato attentamente l’arma, senza però sembrar provare dolore, si voltò verso la sacerdotessa che impugnava tale strumento, "June", disse sorridendo, "Tige", ribatté lei con voce sorpresa.

"Nemes, conosci costui?", chiese Jabu, medesima domanda fece Maximo al suo compagno di battaglia, "Si," rispose lei, "siamo stati entrambi allievi di Daidaros di Cefeo sull’Isola di Andromeda, anche se lui non era lì per imparare il controllo di catene e fruste, ma per aumentare il suo controllo del cosmo", spiegò la sacerdotessa del Camaleonte, "Non è un santo di Atena, giusto?", chiese Geki, "No," rispose Maximo, "non siamo santi di Atena, poiché i cavalieri sacri ad Atena, per ciò che so, o sono morti, o rischiano di esserlo, sbarrandomi la strada", affermò divertito, "Maximo, non sono loro i nostri nemici", lo avvisò Dafne, "Si, giusto, ma più tempo perdiamo con loro meno possibilità abbiamo di recuperare i pezzi della divina armatura di Ares", ribatté l’ebro.

"Ora pagherai le tue parole, per nulla rispettose dei nostri compagni caduti", tuonò Jabu, "Cavalieri, atterriamo questi presuntuosi", ordinò; un sorriso soddisfatto si stampò sulle labbra del guerriero di Dioniso, "Almeno, vediamo di non ucciderli", suggerì Tige, "Va bene", concordò il gigante un po’ dispiaciuto.

"Unicorn gallop", urlò il santo dell’Unicorno, lanciandosi sull’ebro dell’Otre, il quale gli bloccò con facilità le gambe con le sue mani, poi lo fece girare diverse volte, tenendolo sospeso a mezz’aria, quindi lo lanciò sulle scalinate, distruggendogli una spalliera e facendolo svenire per l’impatto.

Tige evitò facilmente il "Lionet bomber" di Ban, poi si avvicinò a lui e con il pugno sinistro quasi toccò il suo stomaco: un’intesa luce verde, che partì dal guardiano, impedì il contatto epidermico fra i due, facendo volare in cielo il santo del Leone Minore, che ricadde, pochi secondi dopo, nel medesimo punto, ormai svenuto.

June scagliò la sua frusta contro Dafne, che, al pari di Wein, si mosse ad una velocità tale da scomparire dalla visuale della sacerdotessa guerriero, per riapparire alle sue spalle e colpirla alla base del collo con il taglio della mano, così da farla svenire.

"Prendi", urlò Nachi, lanciando un pugno energetico contro Maximo, ma il guerriero di Dioniso bloccò l’attacco con la mano destra, "Che volevi fare con questa carezza, cavaliere di classe umile?", chiese divertito l’ebro, poi tirò a se il santo del Lupo e con il gomito sinistro lo colpì in pieno volto, facendolo cadere a terra privo di sensi.

Geki avanzava verso Tige, ma il guardiano non sembrava spaventato dal gigantesco avversario, "Preparati, allievo di Albione, ora proverai il mio migliore attacco", annunciò il santo dell’Orsa prima di gettare le mani al collo del goshasei del Pavone.

"Questa è la <presa dell’Orsa>", spiegò il guerriero sacro ad Atena, mentre solleva in aria il suo avversario, il quale però non sembrava soffrire l’attacco, anzi all’improvviso i suoi occhi si illuminarono di una strana luce verde ed il santo dell’Orsa Minore fu scagliato lontano, andando a sbattere contro una parete rocciosa e perdendo i sensi.

Solo Ichi era rimasto in piedi, il santo dell’Idra si lanciò con i suoi artigli avvelenati contro l’anghellos, che però evitò l’attacco e lo colpì con cinque pugni, scagliati tutti in meno di un secondo, per poi atterrarlo con un montante, che lo gettò a terra, ormai svenuto.

"Adesso basta", tuonò una voce femminile. "Thunder Crow", urlò quindi, mentre una fascia di energia si scagliava contro l’ebro di Dioniso.

"Che cosa?", furono le uniche parole che Maximo riuscì a dire, quando capì cosa era accaduto: un’altra sacerdotessa guerriero aveva lanciato un colpo verso di lui, ma Tige si era posto come scudo umano; lo stupore sugli occhi del guerriero di Dioniso aumentò nel momento in cui capì che il guardiano di Era non aveva subito il colpo, ma che l’attacco si era spento su di lui senza provocargli alcuna ferita, "Ecco la mia dote", spiegò il goshasei al compagno a cui dava le spalle, "sono invulnerabile".

"Chi siete, invasori?", chiese una sacerdotessa guerriero dall’armatura azzurra, accompagnata da una dall’armatura violacea, "Non siamo invasori", la contraddisse Dafne, "siamo giunti qui, sotto ordine di ben tre divinità: Era, Ermes e Dioniso, i quali ci hanno ordinato di impedire che le armate di Ares recuperassero i pezzi delle divine vestigia del dio, di cui l’elmo è nascosto qui, nella settima casa dello zodiaco", spiegò la messaggera.

"Dite di non essere invasori", contestò la guerriera dall’armatura azzurra ed i capelli rossi, "ma avete atterrato i nostri compagni, i santi di bronzo che avevamo lasciato al grande tempio, mentre cercavamo segnali della nostra dea all’Altura delle Stelle", spiegò, "Non volevano cedere il passo", si giustificò Maximo, "Non avete ancora detto chi siete, però", sottolineò l’altra guerriera.

"Io sono Maximo dell’Otre, guerriero sacro a Dioniso," spiegò il gigante, "loro sono Dafne del Flauto, messaggera di Ermes, e Tige del Pavone, guardiano di Era", concluse indicando i suoi compagni, "E voi chi siete, sacerdotesse guerriero?", incalzò Tige.

"Shaina dell’Ofiuco, ma Tisifone è il mio nome di battaglia", si presentò la prima, "Io sono Marin dell’Aquila, guerriera d’argento sacra ad Atena", aggiunse l’altra.

"Sono Silver saints," spiegò Maximo, "uno scontro con loro sarebbe di certo più complesso di quello con questi bronze saints", sottolineò con il suo solito sorriso soddisfatto, "Ora lo vedrai, cavaliere di Dioniso", urlò Tisifone, prima di lanciare nuovamente il suo colpo.

"Maximo, non siamo giunti qui per combattere i santi di Atena, ma dovremmo reputarli nostri alleati nello scontro contro le armate della Guerra", spiegò Tige, mentre il "Cobra incantatore" lo investiva alle spalle, senza provocargli alcun dolore, "Probabilmente hai ragione," concordò l’ebro, "ma perché togliermi il piacere di conoscere un nuovo nemico e sconfiggerlo?", chiese, "Perché loro non sono i nostri nemici", cercò di spiegargli Dafne, mentre la sacerdotessa dell’Ofiuco si gettava contro il guardiano di Era.

"Cadi, cavaliere", urlò Shaina, mentre lanciava una serie di pugni verso il corpo di Tige, il quale non cercò nemmeno di difendersi, ma li subì senza riportare alcuna ferita, "Non siamo qui per combattervi", disse, dopo alcuni pugni, bloccando le mani della sacerdotessa d’argento, "ma per recuperare un oggetto che gli dei desiderano sia difeso da noi", spiegò.

"Non temere, guardiano del Pavone, noi prenderemo l’elmo sacro al sommo Ares", disse una voce: i cinque cavalieri ancora in piedi si voltarono verso colui che aveva parlato e videro una ventina di guerrieri con delle armature violacee, che impugnavano delle lance, "noi siamo qui per combattervi", continuò quello che guidava la spedizione, "noi siamo parte dell’Armata della Discordia, una delle quattro armate di Ares".

Il vero scontro stava per iniziare.