Capitolo 7: La compagnia è completa

Tige, Maximo e Dafne ritornarono al castello di Didone con l’elmo di Ares, "Siete tornati dunque?", chiese una voce dalla porta del castello, "Si, Duncan, perché?", chiese Tige, riconoscendolo, "Sai, vecchio mio, ormai vi davamo per dispersi", rispose scherzosamente, prima di stringere in un fraterno abbraccio il parigrado.

"Amico mio", continuò poi il guardiano del Falco, "abbiamo recuperato le sacre vestigia. Draka e gli altri due hanno convinto i fabbri a seguirli", raccontò, "Anche se siamo stati io e Navas a combatterli", rilevò Wein, mostrandosi da dietro la porta.

L’anghellos si avvicinò a Dafne e vide che lei portava in mano l’elmo, "Avete recuperato l’elmo", disse, "molto bene".

"Chi lo porta alla regina?", s’intromise Duncan, "Può farlo Dafne", rispose un’altra voce; tutti si voltarono e videro Quiggon, "Salve, anghellos del Caduceo", lo salutò la messaggera, che si voltò verso i due compagni d’avventura e disse: "Andrò io a consegnarlo alla regina Didone", quindi si diresse verso l’interno del castello.

"Poco male", disse Duncan scherzosamente, "già Draka ed Ageia sono dalla regina, come guardia privata", spiegò.

"Dov’è Navas?", chiese Maximo, "Credo che sia rimasto con i due fabbri", rispose il guardiano del Falco, "venite, andiamo da loro", suggerì, facendo strada ai compagni, mentre scherzava con Tige.

Il quintetto avanzava nel castello, Duncan e Tige li guidavano, parlando fra loro, gli altri tre erano in silenzio.

"Ma Dafne non è molto portata per la battaglia?", chiese l’ebro dell’Otre, interrompendo il silenzio nella seconda fila.

I due messaggeri si guardarono quasi sorridendosi, cosa strana sui loro volti, "Al contrario, ebro di Dioniso", rispose poi Quiggon, "Dafne è più semplicemente disgustata dalla violenza", spiegò.

"Dafne amava la musica e credeva che il sommo Tiresia le avrebbe semplicemente insegnato a prevedere il futuro oltre che ad affinare il suono del flauto", raccontò Quiggon. "Quella ragazza era allieva di Tiresia? L’oracolo cieco di Tebe?", chiese Duncan, "Si, guardiano di Era, lei è nata in Spagna, ma il sommo oracolo la portò in Grecia a 10 anni e per 5 anni le insegnò a combattere ed a controllare i poteri che le sono propri: la musica e la velocità", spiegò Quiggon, "lei considerava casa il labirinto in cui abbiamo recuperato le nostre sacre vestigia", aggiunse, "lì è cresciuta, senza però amare il destino che le era stato dato", concluse.

I cinque si trovarono poi dinanzi alla fucina del castello, che aveva ripreso vitalità dopo l’arrivo dei due fratelli fabbri.

"Fratello, passami quella tenaglia", sentirono urlare da fuori le porte della fucina, "devo sistemare questo elmo orribile", "Non posso, Hyth, ti starei sistemando l’elmo, quindi sono occupato", rispose una seconda voce, "Perché non te lo fai passare dall’ebro?", aggiunse.

I cinque entrarono, "Tige, Maximo, vi presento Hyth e Tuhon, i due fabbri di Efesto", esordì Duncan, mentre Quiggon e Wein si sedevano su due sgabelli vicini a Navas, "Salve, sono Hyth", disse il primo, che stava rilavorando un elmo color platino, "Salve", disse seccamente il secondo, mentre il guardiano del Falco avvicinava anche al suo compagno ed all’altro ebro degli sgabelli.

Hyth immerse l’elmo color platino nell’acqua fredda, "Da quanto tempo non vengono usate queste armature?", chiese a Duncan, "Saranno secoli, giacché i guerrieri delle diverse divinità non hanno più collaborato fra loro da molte guerre e le ali dei guardiani del Falco non tagliavano più carni umane dalla loro ultima collaborazione con la dea Atena", rispose il goshasei del Falco, "Ed in tutti questi secoli non avete mai pensato a ripararle?", chiese stupito, "No", disse Tige con semplicità.

Hyth prese l’elmo e lo depose in una custodia, "Non vi dispiace se vi adorniamo le armature di qualche decorazione? Credo che il problema principale di alcune divinità sia stato di aver fatto costruire le clothes per i loro guerrieri senza abbellirle", disse prendendo un gambale da un’altra custodia.

"Fai pure, senza eccedere però", avvertì Wein, "Che intendevi quando dicevi che le armature sono state fatte dalle diverse divinità, credevo le avesse fatte tutte Efesto?", chiese Duncan.

"Non ho detto che le diverse divinità hanno costruito le armature dei loro soldati, ma che le hanno fatte costruire. Nettuno ha ordinato agli abitanti della dispersa Atlantide di costruire con l’Orialcon le vestigia per i suoi sette generali; Hades le ha fatte costruire da Lune di Barlog, allievo di Minosse ed unico abile costruttore di armature legato alle schiere del dio della morte; Athena, invece, le ha fatte costruire dagli abitanti dell’Isola di Mu, il cui re è diventato il primo santo d’oro della casa dell’Ariete e tutti i discendenti degli abitanti dell’Isola, sommersa da un maremoto hanno poi preso il suo posto", concluse Hyth.

"Tutte le armature sono fatte di Orialcon?", chiese Navas, "Si, ma vi sono poi altre leghe, che caratterizzano le diverse armature, dandole poteri e caratterizzazioni distinte", spiegò Tuhon, mentre restituiva l’elmo al fratello.

"Che vuoi dire?", chiese Wein, incuriosito dal discorso.

Tuhon prese l’elmo al fratello, quindi ne prese altri due dalle custodie, "Mi puoi dare il tuo elmo?", chiese a Maximo, il quale glielo consegnò, "Prima differenza: il peso", esordì, "le armature normali, quali quelle dei santi di Athena, o dei mariner, o degli spectres, hanno un peso simile a quello di quelle di voi guardiani e degli ebri, mentre le armature dei messaggeri sono molto più leggere, per non pesare sui loro corpi e sulla loro velocità, mentre le nostre sono molto più pesanti delle normali", spiegò, quindi invitò il gruppo di spettatori a soppesare i diversi elmi.

Fu Duncan il primo a provare, quando prese l’elmo color acqua notò che era incredibilmente leggero, ma la sua espressione cambiò quando prese quello di Hyth, "Come fate a resistere con questi elmi? Sono pesantissimi", affermò, "Proprio con il loro peso la nostra forza aumenta", spiegò Hyth, "ed anche la nostra velocità", aggiunse Tuhon.

"Che altre differenze hanno le diverse cloth?", chiese poi Tige, "Le differenze sono tantissime," rispose Tuhon, "ad esempio: le armature di Athena possono resistere fino a temperature elevatissime, senza riportare danni e soprattutto possono concentrare i cosmi dei cavalieri", spiegò, "Che vuoi dire?", chiese Duncan, "Semplice, le armature dei cavalieri di Atena posso riflettere il cosmo, cioè aumentarlo; quelle dei generali di Nettuno, invece, resistono alle forti pressioni acquatiche ed aumentano la loro concentrazione, così da sviluppare il loro cosmo, seppur in maniera minore rispetto a quelle dei santi", aggiunse.

"E le nostre?", chiese Maximo, "Quelle dei guerrieri di Dioniso hanno una caratteristica davvero inimitabile", disse Hyth divertito, "quale?", chiese l’ebro dell’Otre, "Avvicinati, te la mostro", disse il fabbro.

Maximo si avvicinò a Hyth. Il fabbro gli caricò un colpo di martello sul ventre, spaccando la corazza e facendolo volare alcuni passi lontano; tutti si alzarono, pronti all’attacco, "Aspettate e guardate l’ebro", suggerì Tuhon; tutti si voltarono e videro del sangue sgorgare dalla corazza, che però si stava ricostituendo, "Le armature di Dioniso sono bagnate nel sangue del dio, il vino, così ogni volta che si danneggiano si ricostituiscono automaticamente", concluse, mentre l’ebro si rialzava illeso.

"Grazie della notizia, anche se avrei preferito scoprirlo in modo diverso", disse Maximo.

"Scusate se vi disturbiamo", si intromise una voce femminile, mentre tutti ridevano della frase dell’ebro; tutti si voltarono e videro Ageia e Dafne, "La regina suggerisce di lasciarli lavorare", disse l’ebra, "Va bene", ribatté Tige, "Cavalieri, seguiteci, vi mostreremo le vostre stanze, così lasceremo i fabbri al loro lavoro", concluse il guardiano del Pavone, "Noi ebri dobbiamo consegnare momentaneamente le armature", aggiunse la baccante rivolta ai suoi compagni.

Il gruppo si sciolse.

Le ore passarono, tutti i diversi cavalieri, eccetto i fabbri, avevano le loro stanze al terzo piano del castello, costituito da cinque piani.

Ageia e Dafne erano nella medesima stanza, in cui sembra gli fosse difficile convivere, poiché la messaggera di Ermes non parlava né si agitava, restava seduta a giocherellare con delle corde, con cui aveva creato una piccola cetra, mentre la guerriera di Dioniso si agitava e camminava avanti ed indietro per la stanza, "Come fai a stare così serena?", chiese all’altra, "di norme le baccanti, prima di ogni battaglia, danzano e si agitano per rinvigorire Dioniso in loro", spiegò, "Perché non ci ubriachiamo?", chiese ancora, senza però aver risposta alcuna.

In un’altra stanza, Duncan e Tige parlavano fra loro, come vecchi amici quali erano, "Secondo te, sopravvivremo?", chiese il guardiano del Pavone, "Vecchio mio, mi diventi uno sconfitto?", lo schernì l’amico, "ti ricordi chi siamo? Il guardiano invulnerabile ed il possessore delle sacre Taizan, chi ci può battere?", concluse il guardiano del Falco. "Speriamo, Duncan, speriamo", disse Tige, spostando, con uno sbuffo, un ciuffo nero dalla faccia, "Non ti preoccupare", esordì lo scozzese, "piuttosto, dimmi, come combatte la ragazza di cui quel gigantesco ubriacone ha parlato male?", chiese, guardando l’amico con i suoi occhi simili a zaffiri, "Dafne," rispose il guardiano dagli occhi color smeraldo, "è aggraziata ed agile", concluse, "Ah, capisco", disse il goshasei del Falco, "diciamo pure che non hai guardato come combatteva, eh?", chiese Duncan, scoppiando a ridere, i due iniziarono a litigare scherzosamente.

Nella stanza accanto non vi era la medesima agitazione: Quiggon era seduto nella posizione del loto, imparata dal suo maestro Shaka, e meditava silenzioso, mentre Wein guardava fuori della finestra, ripensando al suo maestro, morto per mano di un santo di classe umile, al suo compagno d’arme, morto per la medesima mano ed a quel santo, chiamato Crystal, che lui non aveva mai conosciuto, ma che sapeva scomparso insieme ai suoi compagni ed alla loro dea nell’Ade.

Maximo e Navas invece, dopo aver bevuto del vino, scherzavano fra loro con semplicità.

Dopo circa cinque ore di attesa, Draka chiamò i diversi cavalieri nella sala del trono di Didone, lì vi erano già i due fabbri, senza le loro corazze addosso, e le diverse custodie.

"Bene, cavalieri", esordì la regina, "ecco le vostre sacre vestigia, venite qui, uno alla volta per indossarle", disse.

"Per primi i guardian goshasei", chiese.

Il primo fu Duncan: le sue vestigia, color platino erano arricchite con alcuni zaffiri. Il falco si scompose per ricomporsi sul suo padrone: le zampe divennero i gambali, la coda si chiuse come cinta, il corpo del volatile si pose come tronco della corazza, due occhi erano stati disegnati all’altezza del petto di Duncan, mentre lo zaffiro brillava sulla gola; le immense ali si divisero, parte si chiuse a copertura per le braccia, parte si pose sulla schiena, come vere e proprie ali, seppur il guerriero non era abile a volare; infine l’elmo era costituito dalla testa del Falco, fra gli occhi dell’elmo, brillava inoltre un altro zaffiro.

Tige si fece avanti, dopo il suo compagno, lo scrigno si aprì ed apparve il pavone bianco con diversi smeraldi che lo abbellivano. L’armatura si smontò, per ricomporsi sul corpo del guardiano: le zampe si ricomposero come gambali, poi il corpo della corazza si ricompose sul suo, decorandolo con tre smeraldi, che sembravano come pupille di occhi; l’immensa coda del pavone si posizionò sulle braccia e sulla schiena del guerriero, alcune piume andarono sulla cinta ed infine la testa del volatile sacro ad Era divenne l’elmo del guardiano; voltandosi, inoltre, si potevano notare che alcune delle piume della coda dell’animale sembravano pronte ad aprirsi.

Draka fu l’ultima dei tre guardiani ad indossare l’armatura, a forma di anello, che si aprì su di lei per coprire cinta, gambe, tronco, braccia e spalle con dei metalli angolari, che splendevano, anche per i diamanti che li adornavano; una corona bianca le cingeva i lunghi capelli dorati.

Toccò poi ai tre ebri di Dioniso,che riebbero le loro armature, quindi fu il turno degli anghelloi.

Per primo andò Wein, di fronte cui smontò un’armatura a forma di stivale alato, che si ricompose sul suo corpo, coprendolo quasi totalmente, nell’aspetto ricordava l’armatura del suo dio, malgrado non avesse il caduceo ed il mantello, inoltre era di coloro azzurro, non del colore caratteristico delle armature divine.

Fu quindi il turno di Dafne, che ricevette l’armatura del flauto, uno strumento musicale a più siringhe, che si compose sul suo corpo, in modo molto simile all’armatura di Syren Sorrento, seppur di colore diverso e con alcune lievi, ma basilari differenze, che facevano risaltare la femminilità della messaggera, che adesso aveva anche il suo strumento musicale in mano.

Un terzo scrigno sacro ad Ermes si aprì, mostrando il Caduceo, il bastone costeggiato da serpenti sacro al messaggero degli Dei, che lui, nel mito, cedette al figlio Asclepio, così da farne il dio della medicina.

L’armatura si ricompose su Quiggon, i due serpenti divennero il tronco ed i copribraccia, la parte inferiore del bastone divenne i gambali e la cinta, mentre la superiore le spalliere e la corona.

Infine anche i due fabbri ripresero le loro sacre vestigia di ciclopi.

"Bene, cavalieri delle diverse divinità", esordì Didone, guardando gli splendidi giochi di luce che producevano le vestigia: rosso e grigio metallizzato per i fabbri, viola, adornato da nero, verde o oro, per gli ebri, azzurro, adornato da bianco ed oro, per gli anghelloi, ed infine platino adornato con verde, azzurro ed oro, per i suoi tre guardian goshasei, "Adesso, la compagnia dei cavalieri è costituita", concluse, nella gioia generale.

La gioia fu però interrotta da un grido, che proveniva dall’esterno. Dafne fu la prima a guardar fuori, "Vi sono degli invasori", esordì: tutti guardarono fuori e videro guerrieri diversi dai nemici combattuti a Tebe, Atene e Cartagine; costoro avevano vestigia verdi ed impugnavano asce, inoltre erano circa un centinaio.

Una seconda armata stava per attaccare.