Epistola

 

Due, tre mesi… o forse sono anni? Non c’è molta differenza; mi sembra trascorsa un’eternità. Quando è il tuo spirito a percorrere distanze infinite, non conta il tempo trascorso, il punto di partenza e la distanza coperta; conta solo il punto di arrivo. E non sai mai quando hai iniziato il viaggio, solo a un certo punto senti di non poter più tornare indietro. Una bella mattina di sole, esci di casa, sorridente; cammini sorridente cammini…e d’un tratto hai paura a voltarti, avverti la vita solo nel suo dolore, nel male che sta nelle cose più comuni, percettibile, quanto a volte è impercettibile il bene, come una nuvola, o il volo di un falco. Tutto ti è estraneo, tutto ti è indifferente…e allora inizi a cercare una risposta ai tanti perché della tua esistenza, una risposta che hai cercato fuori di te, e che sai di non poter trovare se non in te. Avverti l’insopprimibile necessità di uscir fuori dal "male di vivere", e inizi a cercare, un luogo o un’entità, che non sai nemmeno se esistono, per dimostrarti che non vuoi arrenderti, che il tuo essere uomo si può esplicitare solo in questa lotta, impari, sì, ma non priva di speranza di successo. E così inizi a viaggiare. Tremi, ti senti soffocare, avanzi piano, costringendo un piede avanti all’altro lungo la strada stretta e buia che è la tua anima, sempre sul unto di voltarti, di chiudere gli occhi per non vedere, e poi d’improvviso il sole ti illumina dentro, e tu capisci perché te ne sei andato per cercarti, per ritrovarti.

E per me è lo stesso.

Ho vagato a lungo, combattuto da passioni che non riuscivo a dominare, e da una malinconia che non riuscivo appieno a spiegare. Mi sentivo sradicato dal mondo, in continuo contrasto con esso. Era un sentimento che mai avevo provato, che mi smarriva, mi faceva percepire ostile e lontano tutto ciò che mi circondava, che mi aveva spinto a tornare, a continuare, sempre.

Il promontorio indorato dagli ultimi raggi, e davanti a me il mare senza confini, liscio e increspato, iridescente; e in alto una volta celeste tersa, limpida, colorata. E l’aria profumata di sale s’insinua fastidiosa nei capelli, gonfia gli abiti; ma com’è piacevole sentirsene accarezzati, baciati, rinfrescati dopo la calura della giornata. Stanno rientrando i pescherecci stanchi, sereni nel loro placito dondolio di culla. Mi ricordo di antiche nenie. Li invidio. Molto. Invidio la gioia che sanno trovare in ogni cosa, la semplicità della loro esistenza dura,e serena. Invidio il riso impertinente di questi bimbi che, quando mi vedono, ora che mi conoscono, mi corrono incontro per coinvolgermi in uno dei loro giochi, in una di quelle infantili marachelle che a noi furono negate. Li invidio, ma sorrido, perché ho capito che è questo strana invidia che provo che mi ha sempre spinto avanti, nonostante lo strazio che il mio cuore provava ogni volta che qualcuno cadeva sotto la mia catena, ogni volta che una vita (che importa se di amico o nemico?) si spegneva. Chi sono io per giudicare chi deve vivere e chi morire? Nessuno. Quanto può essere devastante questa parola: nessuno….Ricordo il IX libro dell’Odissea. C’è la stessa parola, outoV ; in quel caso salvò la vita a qualcuno. Ma noi non possiamo nasconderci dietro un nome fasullo, perché noi siamo quel nome, noi non siamo Nessuno, noi abbiamo fatto qualcosa…abbiamo ucciso. È una realtà che non si vorrebbe mai accettare, dolorosa, angosciante, ma che c’è. E negarla non significa cancellarla, solo rifiutarla; per confinarla nel profondo del cuore e sentirla crescere lieve-lieve in fondo all’anima, venendone annientati.

Ho paura a soffermarmi sulla mia immagine riflessa, ho il terrore di rivedere sempre i volti di tutti coloro che sono morti…e non capivo più il senso di nulla, il senso di tutte le mie azioni, se mai ce ne era stato uno.

Adesso riesco a sorridere, di nuovo. Non ho dimenticato, ma quando vedo il viso gaio di questi bimbi e penso che era potrebbe essere una maschera di tragico dolore o, peggio, non essere, allora comprendo ancora cosa mi ha spinto ad agire in quel modo, mai perdonabile, neanche necessario. E per questo sarò sempre pronto a pagare. Ma continuo sempre a chiedermi perché bisogna combattere, e uccidere, per avere un po’ di pace… Quante volte mi sono posto questa domanda…E tu mi hai sempre detto che non esiste risposta, ed ora, anche se con l’amaro in bocca, lo dico anch’io. È una condizione necessaria. Solo questo. Un ossimoro insanguinato; ma non per volontà divina, ma per stupidità umana, perché è lei a causare sofferenza, forse senza neanche rendersene conto. Questo è il dramma. Come recitava Socrate? "L’uomo agisce secondo cultura. Il male che compie è dettato solo dall’ignoranza del bene". L’uomo non è malvagio, mai; solo ingenuo e superficiale. Questa è la sola certezza che ho.

Il sole è ormai tramontato e le ombre si allungano nere, mentre dai tetti si alzano sottili i fili di fumo; sento il suono tintinnante dei triangoli: chiamano i discoli alla cena. Li invidio, di nuovo; e di nuovo sorrido. Sorrido, e voglio pensare che ogni vita barbaramente spenta, ogni goccia di sangue versata ha contribuito a modo suo a quei sorrisi, a quella serenità.

Scintilla una cometa in cielo, e spande nel firmamento la cenere degli astri, portandosi via le mie paure, le mie angosce. Ormai non devo più cercare. Ho ritrovato quello che avevo perduto, mi sono ritrovato. E con me la voglia di vivere e sorridere.

Spero di rivederti presto, fratello.

Andromeda