Capitolo 11: Il fedele Pretoriano ed il giovane santo

"Rivelati, pretoriano", incitò Daidaros, l’unico rimasto in piedi dopo la potentissima scarica di vento grazie alle sue possenti catene d’argento.

Il misterioso guerriero che con una sola folata aveva atterrato i figli illesi di Ikki, oltre che diversi guerrieri stanchi da lotte precedenti, aveva un’armatura dorata e di smeraldo, portava corti capelli castani ed i suoi occhi splendevano di una luce verde.

"Mi chiamo Endimon del Fagiano, discendente d’Adone e secondo Pretorian Venus", si presentò il guerriero di Venere, "e tu?", domandò in seguito.

"Daidaros di Cefeo, figlio ed allievo del possente di Shun di Andromeda", disse semplicemente il cavaliere, "ora ti chiedo, cedi il passo, facci incontrare la tua dea, non abbiamo intenzione di esserle nemici", spiegò il santo d’argento.

"Non mi interessano i vostri propositi, cavalieri, non posso permettere che qualcuno disturbi la mia dea, per alcun motivo, se mai voi la incontraste, poi sarebbe facile per chiunque arrivare fin qui ed è mio dovere impedire che Venere rischi anche solo per pochi secondi la sua immortale vita", spiegò il pretoriano.

Da queste semplici parole, Daidaros capì di non trovarsi di fronte un altro essere vanesio come Anchise, ma un guerriero completamente fedele a Venere, senza alcun dubbio sulla propria volontà di sacrificarsi.

"Cavaliere, sei deciso a combattere, giusto? Ebbene, a malincuore accetto", sentenziò Daidaros, alzando le sue catene.

"Mi dispiace, santo d’argento, ma morirai", sentenziò Endimon, prima di scomparire da dinanzi al figlio di Shun.

"Fagiano cacciatore", tuonò la voce del Pretoriano. Daidaros non riuscì ad intuire i movimenti dell’avversario e fu scagliato a terra, come investito da una folata di vento, dalla grandissima potenza, tale da incrinare le sue vestigia di Cefeo.

"Capito qualcosa dell’attacco subito?", lo schernì Endimon, avanzando verso il giovane, che si rialzava.

"No, ma posso ritentare", ribatté Daidaros, preparando le sue catene al nuovo attacco, "Si, ma stavolta userò una tecnica più potente, poiché sembra che tu sia di così facile incrinatura", lo avvisò il Pretoriano, prima che un gigantesco tornado lo circondasse completamente.

Il tornado si affievolì, per poi dividersi in due folate di vento, che passarono alla destra ed alla sinistra del figlio di Shun. "Torpedo clones", sussurrò Endimon, dinanzi al suo nemico.

Daidaros fu sbalordito da ciò che vedeva: sei immagini del pretorian del Fagiano lo avevano circondato, tutte simili al guerriero che era dinanzi a lui, "Non cercare nemmeno di capire quale io sia veramente, io sono tutte e sette le figure", spiegò Endimon.

"Fagiano cacciatore", urlò nuovamente il guerriero, ma stavolta tutte e sette gli Endimon scomparvero nel nulla, per poi colpire contemporaneamente Daidaros e gettarlo a terra, ferito al volto.

Il figlio di Shun si rialzò subito, "Sei determinato, cavaliere, ma non posso permetterti di conoscere Venere, né posso permettervi ormai di uscire da questo luogo a lei consacrato, troppo pericolo proviene dall’apertura di quelle porte", sentenziò il Pretoriano, che a malincuore sembrava combattere il coraggioso Daidaros.

"Sai, pretoriano, tu sei il combattente perfetto per provare le veritiere parole di mio padre", esordì il giovane santo d’argento.

"Daidaros", urlò una voce alle spalle dei due sfidanti: i cavalieri si erano ripresi.

"Abel, Kain, amici, costui è Endimon, il secondo Venus Pretorians, e vi chiedo di farmelo affrontare da solo, sarà il mio scontro", spiegò il santo d’argento, indicando una delle sette figure, "Ma sono dei gemelli", balbettò Maya, osservando le sette figure, "No, solo uno è reale, gli altri sono illusioni, amazzone", gli ribatté Abel di Gemini, "Esatto, cugino e sarò io a svelare le loro identità", concluse il Silver saint.

"Che cosa stavi dicendo prima sulle parole di tuo padre?", domandò uno dei sette cloni, "Si, sulla lealtà verso la propria catene e l’unità che si deve avere con tale oggetto", continuò Daidaros, mentre i ricordi gli ritornavano alla mente.

L’Isola di Andromeda, un luogo ameno e desertico, che suo padre aveva voluto ricostruire con un piccolo tempio, dedicato alla dea e diverse zone per gli abitanti delle diverse piccole città li presenti.

Shun, suo padre, aveva addestrato diversi cavalieri dalle grandi capacità, quali Gallio, Argo, Awyn, Hamer e lui stesso. "Ogni volta che vi trovate dinanzi ad un nemico più veloce di voi, o qualcuno che sappia ingannarvi e si nasconda dietro qualche trucco o illusione, ricordate, miei allievi, le vostre catene sono capaci di tutto, anche di trovare un nemico nell’oscurità", gli spiegava spesso il santo divino di Andromeda.

"Più si è vicini al settimo senso più mi sarà facile guidare la mia catena contro costui, senza ucciderlo", si disse il giovane Daidaros.

"Cavaliere, non mi sembri molto attento al nostro scontro", sentenziò perplesso Endimon, ma il figlio di Shun non lo ascoltava, aveva gli occhi chiusi ed il capo chino.

"Percepite il cosmo di Daidaros, si espande sempre più", osservò stupito Kain, "nostro cugino diventa sempre più potente, proprio come suo padre prima di lui", si congratulò il giovane mariner di Shark.

Il cavaliere d’argento espandeva un cosmo del medesimo colore di quello paterno ed incredibilmente potente, "Ora, miei catene", sussurrò il giovane figlio di Shun, "trovate il vostro bersaglio", ordinò, "Nebula Chain".

Le due catene di Cefeo volarono verso le sette figure di Endimon, evitandone alcune e colpendo in pieno uno solo, il secondo da sinistra, che volò a terra, mentre le altre figure si dissolvevano nel nulla.

Endimon era a terra con una lieve ferita al volto.

"Sono quindi riuscito a risvegliare i tuoi poteri assopiti nell’attacco, vi riuscirò anche nella difesa?", lo beffeggiò il Pretoriano, rialzandosi in piedi e scomparendo da dinanzi agli occhi di tutti.

"Fagiano cacciatore", urlò il guerriero di Venere.

"Circular defense", tuonò Daidaros, "diventa una trappola per fagiani", ordinò.

All’improvviso le catene d’argento, che roteavano intorno al cavaliere, si mossero verso il terreno, ponendosi intorno a Daidaros ed intrappolando il Pretoriano, che con uno scatto, si trovò paralizzato alla gamba sinistra, da una specie di tagliola, che lo fece zoppicare a terra.

"Sei molto bravo, non credevo di dover utilizzare la mia tecnica più potente contro qualcuno che non fosse un santo d’oro", si congratulò il Pretoriano rialzandosi e sollevando le braccia.

"Pheasent flap", urlò Endimon, scatenando una potentissima folata di vento, superiore a quella che aveva sbilanciato i cavalieri precedentemente.

Le catene si mossero di scatto, agganciandosi a due colonne ai lati di Daidaros, mentre i cavalieri furono schiacciati contro le pareti del lungo e singolo corridoio.

"Amico mio, trova in te la forza, proprio come tuo padre!", urlò Gallio, scacciato contro la parete.

Le parole del santo di Scorpio furono come un fischio assordante nelle orecchie di Daidaros che vide passare dinanzi a se tutta la sua vita, l’infanzia con i genitori e l’amico dai rossi capelli, gli anni dell’addestramento ed i giorni prima dello scontro con i titani. Poi un pensiero passò nella mente del cavaliere, che solo la dea che Endimon proteggeva poteva aiutarlo nella sua vendetta.

"Padre, guida la mia mano ed il mio cosmo", urlò Daidaros, "Nebula storm", tuonò in seguito e la nuova versione della "Nebulosa di Andromeda", esplose dinanzi ad Endimon.

Le due correnti schiantarono i diversi spettatori contro le pareti del corridoio, la grande porta d’entrata del tempio iniziò a tremare, mentre la seconda porta, quella che dava su un’altra sala, volò via, spazzata dal vento.

Le due forze si pareggiavano e nessuno sembrava capace di vincere l’altro, finché qualcuno non arrivò dall’altra sala.

"Endimon, che succede?", chiese una soave voce femminile.

Sentendo quella voce, il Pretoriano del Fagiano quietò le ostilità ed anche Daidaros, vedendo la bellissima figura, spense il suo cosmo, come privo di ogni desiderio violento.

I cavalieri osservarono la nuova arrivata: aveva lunghi capelli biondi, occhi verdi e dei bellissimi lineamenti. Il suo corpo sinuoso ed affascinante piegava a se qualsiasi mente maschile e così accadde anche ai cavalieri presenti nel corridoio.

"Mia signora", sussurrò il Pretoriano, inginocchiandosi, mentre i sette cavalieri erano immobili dinanzi a lei, con la bocca spalancata e gli occhi stupefatti, solo le due amazzoni ed Edoné si avvicinarono mestamente alla dea.

"Siamo un gruppo di cavalieri al servizio delle divinità che Urano ha ucciso, dea dell’Amore", si presentò l’anghellos del Flauto, "siamo giunti qua per richiederle un aiuto".

"Riguardo cosa, giovane musicista?", domandò incuriosita Venere, con un magnifico sorriso splendente come perle sul volto.

"Vorremmo sapere tutto il possibile sul Simbolo del Comando che Zeus istituì nella notte dei tempi, per imprigionare Urano", supplicò la giovane messaggera di Ermes.

"Si, io c’ero quel giorno. Ero sempre stata parte d’Urano, ero nata dalla sua evirazione, fuoriuscendo dalla schiuma del mare, per questo mi sentivo particolarmente legata a quel padre, che per prima voleva assorbire proprio la mia anima. Poi Zeus ebbe l’idea: utilizzò quei Simboli, che fino ad allora solo lo stesso Urano aveva usato una volta. Buffa coincidenza", rifletté la dea.

"Si, ma come si svolse il rituale?", balbettò indispettita Edoné, "Salimmo tutti sulla vetta del monte Olimpo, eravamo io, Nettuno, Hades, Era e Zeus, oltre la stanza con il trono del padre degli dei, poi il rito iniziò", ma qualcosa fermò le parole della dea, un’esplosione di energia che mandò in frantumi la porta esterna del tempio.

La luce, che fino ad allora aveva ricoperta Venere si assopì, "Che succede?", tuonò Abel, che come gli altri cavalieri sembrava essersi ripreso dal momento di paralisi per il fascino della dea.

"Questo è il cosmo di Anchise", disse stupito Endimon, notando la porta in frantumi.