Prologo

Un nero corridoio di grossi mattoni risuonava dei veloci passi di una singola figura.

"Mio sire", esordì questa figura, inginocchiandosi dinanzi ad un uomo seduto su un nero trono di pietre.

"Mio sire", ripeté la figura, "Egli è tornato", affermò timoroso.

"Egli?", ripeté infastidito l’uomo sul trono, "Si, mio sommo signore, Urano. Egli è di nuovo nel piano dei mortali", spiegò il giovane dalle vesti d’oro.

"Davvero? Come hanno preso questa notizia gli altri due suoi nemici?", chiese divertito l’uomo sul trono.

"Non so cosa sia accaduto nel lontano Oriente, ma sul monte Olimpo è in corso una guerra, che porterà al duello finale fra Urano e Zeus", rispose l’uomo in ginocchio.

"Alzati pure, mio divino seguace, e richiama i tuoi pari e coloro che ti sono superiori, poiché se anche il figlio di Crono, che pose il Sigillo dell’Olimpo, cadrà, Urano avrà in se le anime degli dei olimpici morti, oltre che quelle degli Asi e delle altre divinità defunte durante il Ragnarok", esordì il dio, alzandosi dal suo trono.

La figura si alzò in piedi, delle catene d’oro adornavano il collo ed il petto, congiungendosi alla cinta come auree bretelle, dei guanti del medesimo materiale coprivano le mani, mentre un sottile manto di seta copriva le gambe muscolose. Il volto del divino servitore era nascosto nell’ombra, ma era facile intuirne la natura non umana, come le immense ali bianche che gli si aprivano sulla schiena.

"Vai, ora, Horus, chiama i tuoi genitori e gli altri tre dei che mi sono più vicini", ordinò il dio alzatosi dal trono. La figura alata scomparve subito dopo.

"Marito, fraterno cognato", chiamava una voce femminile in un gigantesco castello di marmo e smeraldo, "ascoltatemi", urlò costei, trovandosi nella stanza più grande dell’intero palazzo.

Questa stanza era poco adornata, solo tre troni vi erano, quello sull’estrema sinistra era ancora vuoto. Dietro la terna di troni, un sedile più grande, su cui erano deposti dei segni di commemorazione.

"Dimmi, divina sposa, cosa ti turba?", esordì uno dei tre, "Urano è di nuovo fra noi", sentenziò la dea.

"Come può essere?", incalzò il terzo dio presente nella stanza, "Si, fraterno cognato, Egli è sceso sulla terra e tuttora combatte Zeus, sul monte Olimpo, dove si deciderà anche parte della nostra storia, poiché se il sommo figlio di Crono vincerà, saremo tutti liberi, ma se, com’è più probabile, sarà l’antico Padre a vincere, anche il Sigillo dell’Olimpo, dopo quello d’Asgard non sarà più fattibile e noi tutti dovremo combattere per vivere", spiegò la dea.

"Anche quello stupido che vive nelle terre desertiche dovrebbe aver saputo ciò", sentenziò il divino marito, alzandosi, "spero che decida di intervenire, se lui preferirà la difesa, anche noi ci occuperemo solo di difenderci, capito?", ordinò il dio, avvicinandosi alla moglie.

"Shiva, tu sei il benevolo, quindi non serve che chieda a me, cosa dovremo fare, poiché a te ed a tuo fratello e mio cognato, Visnù, è stato dato il vero potere", rispose la dea.

"Zeus non è più", tuonò una voce dal monte Olimpo, "Ora, io, Urano sono nuovamente il signore dei Cieli e delle terre Greche", continuò a tuonare il sommo dio.

"Sentite tutti, Iapetus sarà il nuovo signore della Guerra, che alzerà massacri in mio onore. Ganimede, il padrone dei mari e di tutto ciò che vi vive; Oberon dominerà sulla morte e su coloro che vi saranno soggiogati. Infine la Giustizia sarà determinata da Titanio, il mio primogenito", ordinò Urano.

"Ora andate, miei titani, insieme alla seconda mia armata, e trovate coloro che posero le altre parti della gabbia, oltre agli ultimi superstiti ribelli", sentenziò il dio.

"Il giorno è giunto dunque", affermò un uomo dal nero abito nella stanza con il nero trono, "giusto, mio sommo signore, Ra?", chiese al dio seduto sul trono.

"Si, Thot", rispose il dio Sole, "è giunto il giorno in cui difenderemo l’Egitto dal vecchio nemico", spiegò Ra, lasciando un velo di tristezza nei suoi interlocutori, "Richiamate i sette guerrieri e le loro armate", ordinò infine il dio, prima di licenziare i suoi seguaci.

"Se Ra non farà niente per attaccare Urano, nemmeno noi rischieremo la vita per questo", esordì nel tempio dalle mattonelle di marmo Shiva, "richiameremo le 4 armate indù ed i venerabili Beast Keepers, ma niente più di ciò", sentenziò il dio induista.

In un luogo, quasi nelle profondità ultime della terra, più di cinquanta uomini si erano ritirati per recuperare le forze e curare corpi ed armature, dopo lo scontro con Urano.

"Cavaliere del Leone, messaggero del Caduceo, presto correte", tuonò una voce, "Rhadamantis si è svegliato", avvisò.

"Dove mi trovo?", domandò appena sveglio il judge di Wyburn, "Sei nelle profondità della terra, in una delle cento caverne dei fabbri sacri ad Efesto", rispose una figura accanto a lui, "Che cosa?", urlò lo spectre cercando di alzarsi, "Non fare sforzi inutili, sei rimasto fra la vita e la morte per cinque giorni, non ti consiglio di alzarti ancora", gli suggerì Odeon del Leone, mentre cercava di curarlo.

Rhadamantis si era svegliato, ignaro che la vera guerra contro Urano non era nemmeno iniziata ancora.