Capitolo 19: Parole d’odio

Dagda era ancora in piedi, osservava l’orizzonte il comandante dei Tree Monks, nascosto nel suo manto dorato, riflettendo sulla sconfitta dei messaggeri, la dipartita dei soldati e la caduta di ben quattro fra gli esoterici, "Per fortuna", pensò, "hanno risparmiato Taranis e Rhiannon".

Un cosmo immenso proruppe dal lago dinanzi a cui si ergeva il comandante dei guerrieri celtici, "Sommo Mannanon, cosa ordina?", chiese il giovane eroe scozzese, inginocchiandosi dinanzi al dio che si rivelava a lui.

"Chiama a me tutti i fedeli soldati ancora vicini", ordinò la divinità celata nelle profondità del lago.

Passarono pochi minuti, poi Dagda tornò, con lui vi erano Ogma, Arawn, Gwyddyon e Nuada.

"Solo voi cinque siete rimasti dell’esercito a cui mi sono affidato?", li derise il dio.

"Sommo signore, i dieci essoterici sono caduti e ben quattro fra noi sono stati sconfitti", spiegò lo sciamano più anziano, facendosi avanti di un passo.

"Silenzio! So chi fra voi è caduto e chi no, ma vi avviso che i due risparmiati dai cavalieri nostri nemici, sono da considerare traditori", esclamò infuriata la voce divina.

"Che cosa?", ribatté di scatto Nuada, facendosi avanti, "Ma sommo Mannanon, sia Taranis sia Rhiannon sono stati sconfitti e feriti gravemente, altrimenti avrebbero sacrificato la vita per fermare i nostri nemici", controbatté il guerriero dall’arto d’argento.

"Taci, uomo, se non vuoi che marchi anche come traditore", ringhiò l’entità divina, espandendo il proprio cosmo e gettando indietro il combattente celtico.

Dagda fermò il volo del suo fedele guerriero, ponendosi dinanzi a lui e bloccandolo con le proprie braccia, "Lo scusi, grande Mannanon, Nuada è stato preso dal troppo affetto verso i propri compagni", affermò il comandante dei Tree Monks.

"Che quieti il proprio animo, poiché ricorderò ogni vostro gesto quando mi rivelerò completamente ed allora con un semplice gesto spazzerò tutti coloro che non mi sono stati fedeli, come un’onda devastante", affermò, quasi minacciando, la divinità marina.

"Ditemi piuttosto dove sono le due guerriere?", domandò poi il dio, allora Arawn si fece avanti, inginocchiandosi dinanzi al lago, brillante del cosmo divino.

"Ceridwen, la guerriera, attende in una posizione agiata i cavalieri d’oro di Atena, mentre la mia allieva Macha si è diretta verso i generali del suo nemico Nettuno", rispose lo sciamano dagli occhi rosso sangue.

"E la terza armata? Quella dei guerrieri nordici?", incalzò la divinità, "Sono ancora abbastanza distanti", rispose Dagda, inchinandosi vicino allo sciamano.

"Non è una buona risposta", lo zittì il dio, "Arawn, che mi sei sempre stato più fedele di taluni inetti, vai ad occuparti di loro", ordinò, rivolgendosi allo sciamano dagli occhi rossi, che parve sorpreso dalla richiesta.

"Io, mio signore?", balbettò l’esoterico, "Si, sciamano, tu", ribatté seccamente la divinità, "Bene, sommo Mannanon", concluse con un tono seccato Arawn.

"Tu, Dagda, resterai qui, in mia difesa, primo fra i miei cavalieri, mentre voi tre, disponetevi sulla strada dei cavalieri ed avanzate verso di loro se chi vi precede nella difesa cadrà. Non aspettate, avanzate", tuonò il dio celato nelle ombre acquatiche.

"Si, sommo Mannanon", risposero in coro i quattro guerrieri.

"Nuada", esordì poi la divinità, "Uccidi tutti i tuoi avversari, o fatti uccidere da loro, altrimenti ti considererò un traditore e con te, anche il tuo comandante che ha garantito riguardo la tua fedeltà", sentenziò la divinità.

Gli occhi del cavaliere dalla mano d’argento brillarono di un odio acceso, ma la mano e lo sguardo profondo di Dagda, suo comandante e guida, fecero quietare l’ira dello spadaccino scozzese.

Il gruppo si sciolse, Arawn corse via, diretto verso i cavalieri di Asgard, pronto ad attaccarli ed ucciderli tutti.

Ogma, Gwyddyon e Nuada, invece, lasciarono il loro comandante dinanzi al lago e si disposero all’esterno del muro di alberi che celava quel luogo consacrato.

"Sommi sciamani, per quale motivo dobbiamo continuare a seguire quel dio marino? Egli è sleale e soprattutto non tratta Dagda con il rispetto che dovrebbe. Il nostro comandante ha donato a lui il suo cuore, composto da venti parti, cioè da noi, i Tree Monks, e quel dio non fa altro che minacciarlo e minacciare tutti noi. Come possiamo sopportare ciò?", ringhiò Nuada, rivolgendosi ai due saggi interlocutori che aveva vicino a se.

"Nuada, quieta il tuo spirito", disse semplicemente Gwyddyon, "Come potrei? E come puoi anche tu? Belenos non era tuo amico ed allievo, come Rhiannon d’altronde?", domandò spazientito lo spadaccino, "Si, lo erano e lo sono tuttora, ma non possiamo odiare Mannanon perché ci ha chiesto di combattere per lui, noi siamo guerrieri celtici ed egli è un nostro dio, canalizza la tua rabbia contro i cavalieri che sono giunti qui, sconfiggendo tutti i tuoi compagni e subalterni, così servirai meglio il dio che ti guida", ribatté quietamente lo sciamano più giovane.

"Gwyddyon ha ragione", replicò Ogma, seduto vicino al fiumiciattolo che raggiungeva il lago, "noi non possiamo opporci a Mannanon".

"No, sciamano, io non posso oppormi al volere di Dagda", ribatté il guerriero, "ed il volere di Dagda è di seguire il suo destino, cioè di restare fedele agli dei celtici che lo hanno prescelto come nostro comandante. Mannanon è uno di questi dei", concluse lo sciamano.

Nuada scosse i propri capelli con la mano destra, quindi si sedette fra i due sciamani, preferendo il silenzio ad altre discussioni chiaramente inutili.

I generali dei mari, intanto, sentivano una minacciosa risata farsi sempre più vicina fra loro.

"Dove si trova?", esclamò Neleo di Hammerfish, guardandosi intorno, "Non so, generale", ribatté Tok’ra di Virgo, santo d’oro che avanzava con i guerrieri di Nettuno.

Le voci dei diversi cavalieri olimpici furono superate da un crepitio, un rumore pesante, che giungeva dalle loro spalle, "Reptile", esclamò allora Argo di Calamary, preoccupato per l’oracolo di Nettuno.

"Kano, Real", sussurrò contemporaneamente il santo della Vergine.

Poco distante, lungo lo stesso percorso, anche il mariner dell’Anaconda ed i santi d’argento del Pavone e della Lira sentirono la stessa temibile risata circondarli, "Chi potrà mai essere?", domandò il santo d’argento discendente da Orfeo, "non riesco nemmeno a capire dove si trova, dato l’eco di questo luogo", rifletté il cavaliere.

"Non sento la sua presenza nelle vicinanze", affermò Kano, "e tu, generale dei Mari?", domandò poi, rivolgendosi a Reptile, ancora ferito per lo scontro con Cernunnos.

"Nemmeno io so per certo dove sia, troppe poche energie mi sono rimaste", spiegò il custode della Colonna Antartica.

Un crepitio allora si parò dinanzi ai tre guerrieri stanchi e feriti, "Attenti", urlò all’improvviso Real della Lira, gettandosi indietro insieme al mariner ferito, medesimo gesto fece il santo del Pavone, così da evitare, come i suoi due compagni, una decina di tronchi, che caddero proprio dove loro si trovavano.

I tre furono coperti da polvere e foglie e non videro nitidamente la figura che si erse su uno dei tronchi, "Credo che questo vi fermerà per un po’, ma non preoccupatevi, poi tornerò da voi", disse una voce femminile, prima di scomparire, seguita da un’altra temibile risata.

"Dei tronchi sono caduti lungo il tragitto", esclamò sorpreso Argo di Calamary, osservando la strada che avevano percorso.

"Attento, generale", esclamò allora Tok’ra, spingendo via l’alleato dal luogo in cui era, per poi deviare con il proprio cosmo cinque piccoli, ma incredibilmente appuntiti rami di pioppo, che si conficcarono nel terreno intorno al cavaliere d’oro, chiudendolo in una fiamma nera.

"Uno è in trappola", disse una figura nascosta in un mantello nero, apparendo fra i tre generali dei Mari.

"Chi sei?", tuonò allora Neleo di Hammerfish, lanciandosi contro la nera figura con il martello d’oro.

"Sea Hammer", esclamò il comandante dell’esercito di Nettuno, cercando di colpire la misteriosa figura, che però fu più veloce di lui.

Un secondo e poi il generale di Hammerfish fu coperto dal nero mantello nemico e con un singolo calcio allo stomaco, fu gettato contro una serie di alberi, scomparendo nella folta selva che si frantumava al suo passaggio, sotterrandolo fra i tronchi ed i rami.

"Meno due", disse l’avversaria, rivelatasi come una ragazza dai capelli rossi.

"Ma non meno tre", esclamò Argo, "Calamary whips", tuonò poi, scagliando le sue due fruste, con cui bloccò l’avversaria.

"Fatti vedere in faccia, guerriera celtica", ordinò il generale del Pacifico Meridionale, ma con un suo grande stupore, l’avversaria divenne una fiamma, che diede fuoco alle fruste, poi alle sue braccia e quindi lo strinse in un gigantesco rogo, dove il mariner di Calamary sentì il proprio corpo venire meno.

"Pensava di prendermi, ma invece è stato catturato dal mio <Nightmare reclaim>", sogghignò l’avversaria, prima di scoppiare a ridere dinanzi a Kain di Shark l’ultimo nemico rimastole.

"Chi sei tu?", esclamò fra l’infuriato ed il timoroso il figlio di Ikki.

"Mi chiamo Macha del Pioppo e sarò la vostra carnefice, per il piacere del mio maestro Arawn", spiegò con tono minaccioso la ragazza.

Il generale del Nord Atlantico la osservò attentamente: aveva un’armatura di un verde così scuro da sembrare quasi nera.

I gambali coprivano dal piede fin quasi al ginocchio, lasciando scoperta le rotule e le bianche ed affascinanti gambe dell’avversaria. Il corpo era difeso da un’armatura temibile allo sguardo, moltissime zone aguzze e punte la contraddistinguevano, coprendo il tronco e la cinta quel poco che bastava per non mostrarne il corpo, ma lasciando scoperti degli angoli maliziosi, come malizioso era il suo sguardo, pieno di odio, rabbia, sete di sangue e desideri più perversi, che chiaramente la nemica non voleva nascondere.

Fra i capelli una piccola corona di spine e sulla fronte la testa di una gru stilizzata. Non aveva spalliere, ma le braccia erano interamente coperte da lunghe e sinuose difese nere, caratterizzate da lame laterali.

"Fatti avanti, cavaliere, sarai la mia prima vittima quest’oggi", lo sfidò con un minaccioso gesto della mano.

Kain si guardò intorno, sapeva che Neleo non sarebbe stato sconfitto facilmente da un singolo calcio, seppur incredibilmente forte, altrettanta fiducia aveva in Reptile e nei due santi d’argento, ma i suoi timori maggiori erano rivolti al cavaliere d’oro della Vergine, rinchiuso in una prigione di nere fiamme, e verso Argo, che ancora tremava per il colpo subito.

"Tutto bene, Tok’ra?", esclamò allora, rivolgendosi al santo d’oro intrappolato, "Non preoccuparti", gli rispose quest’ultimo, "Ci vuole molto di più di una piccola prigione di fuoco per vincermi", spiegò, uscendo dalla trappola, grazie al suo brillante ed immenso cosmo dorato.

"Allora dovrò sbrigarmi a sconfiggere questo tizio dai capelli blu se voglio pensare anche a te ed agli altri", rifletté con le labbra storte dalla noia l’avversaria.

"Se aspetti un attimo, il nostro scontro potrà avere inizio", esclamò il figlio di Ikki, risollevato dal sapere che anche il santo d’oro era sopravvissuto.

Kain concentrò il proprio cosmo, quindi diresse l’indice destro verso Argo e dalla sua falange partì una sottile luce dorata, che scosse il corpo del generale, lasciandolo cadere a terra, svenuto, "Genmaken", sussurrò il mariner di Shark.

"Hai liberato la sua mente con un colpo psichico? Bravo", esclamò divertita Macha, "sarà uno scontro piacevole", rifletté la Tree Monk del Pioppo.

"Preparati, guerriera, perché ora affronterai Kain di Shark, figlio di Ikki e primo cavaliere di Nettuno, anche detto lo Squalo d’oro", si presentò il mariner, preparandosi alla lotta.