Capitolo 28: Gli ultimi guerrieri

I cavalieri d’oro correvano senza sosta lungo il corridoio d’alberi che si era sviluppato intorno a loro dopo l’incontro con Ceridwen, tutti loro erano preoccupati per Botan, poiché avevano percepito il suo cosmo esplodere contro la potentissima avversaria, ma quando quest’ultima si era spenta a seguito dell’attacco della Gold Saint, avevano percepito anche il cosmo della loro parigrado quietarsi lentamente fino a divenire quasi impercettibile.

Il silenzio vi era fra di loro, nemmeno Rabat e Daidaros parlavano, preoccupati per la sacerdotessa d’oro e per i loro stessi parigrado.

"Guardate, cavalieri", esordì all’improvviso Myokas di Sagitter, che guidava il gruppo nella corsa, "Un’ultima fila d’alberi sollevata a muro dinanzi a noi, probabilmente il comandante dei Tree Monks ed il falso dio che li guida saranno dietro questa difesa selvatica", suggerì Ryo di Libra.

Un sibilo fermò i passi di tutti i santi contemporaneamente, "Spostatevi indietro", ordinò all’improvviso Lorgash di Capricorn, saltando oltre i cavalieri del Sagittario e della Bilancia.

Il rumore distante si fece sempre più vicino e fragoroso, fino a divenire assordante, quando passò fra i cavalieri d’oro, sotto forma di un taglio nel suolo, talmente profondo da aprire quasi una voragine nella terra fra Lorgash e Myokas.

"Davvero bravi a percepire il pericolo", si complimentò una voce, fuoriuscendo dall’ombra.

"Chi è là?", domandò innervosito il santo del Sagittario, "Presentati, cavaliere", ordinò poi.

"Non cavaliere, bensì spadaccino, sono Nuada del Cedro, ultimo dei cinque guerrieri fra gli esoterici ancora imbattuto e pronto a vendicare l’onore e la vita dei miei compagni, oltre che a difendere Dagda, la nostra guida", si presentò il nuovo avversario.

I cavalieri poterono osservarlo avvicinarsi, aveva lunghi capelli di un verde piuttosto scuro, che gli scivolavano fino alla schiena liberi ed occhi chiari, che brillavano di determinazione.

Le vestigia erano completamente d’argento, costituite da gambali acuminati, che raggiungevano le ginocchia, una copertura per la cinta piuttosto semplice, però capace di coprire tutta la parte anteriore della gamba. La corazza era costituita da squame, simili alla pelle di un pesce e copriva interamente il tronco, le spalliere erano di forma semisferica, mentre le coperture per le braccia sembravano rami stilizzati.

La bianca mano destra impugnava una possente spada celtica, la cui lama era incredibilmente grande e temibile, ma maggiore fu la sorpresa nei cavalieri quando videro la sua mano sinistra: era fatta d’argento. Una gigantesca protesi artigliata era posta al posto della mano, un’arma terribile per chiunque vi si fosse trovato dinanzi.

"Uno spadaccino dunque? Mi dispiace, ma non possiamo stare qui a giocare con te", ribatté Myokas, oltrepassando con un balzo la voragine e dirigendosi verso il muro d’alberi.

"Fermo", ringhiò Nuada, movendo velocemente la gigantesca spada celtica, "Spostati, cavaliere", ordinò Lorgash, che fino ad allora era rimasto in silenzio ad osservare il nemico.

L’allievo più anziano di Seiya si mosse di scatto, improvvisando una capriola a mezz’aria e ricadendo al suolo con le vestigia macchiate di sangue all’altezza dello stomaco.

"Tutto bene, Myokas?", domandò allora Odeon del Leone, "Si, grazie, il sangue non è il mio", spiegò il cavaliere d’oro.

"Già, se non fosse stato per il tuo amico qui davanti, saresti stato fatto a pezzi dal mio fendente d’argento, mentre lui si è semplicemente graffiato le vestigia e prodotto un taglietto alla spalla", sentenziò semplicemente lo spadaccino del Cedro.

Solo allora i cavalieri d’oro e d’argento si accorsero che sulla spalla di Lorgash si era aperto una sottilissima fessura, da cui era partito uno schizzo di sangue.

"Sei stato più fortunato di quell’albero, cavaliere", ribatté Nuada, indicando l’immenso albero caduto alle spalle del santo di Capricorn, dilaniato dal fendente d’argento del Tree Monk.

"Non considerarti già il vincitore", replicò allora Lorgash, movendo il proprio braccio destro alla velocità della luce.

Un bagliore fu l’unica cosa che Nuada riuscì a vedere, prima che sulla sua spalla destra si producesse una ferita, simile a quella del nemico, e che tre alberi alle sue spalle cadessero per il potentissimo fendente del cavaliere del Capricorno.

"Sono anche io uno spadaccino e la sacra spada Excalibur è l’arma di cui sono padrone. Il mio nome è Lorgash di Capricorn", si presentò il cavaliere d’oro, preparandosi al duello.

Poco lontano, Botan si riprendeva lentamente dallo scontro avvenuto poco prima con Ceridwen, "Devo alzarmi, non posso fermarmi semplicemente perché mi sono macchiata di questo delitto, molti cavalieri prima di me sono stati costretti ad uccidere nemici verso cui provavano rispetto, non può essere la mia debolezza a sconfiggermi ora, quando la mia insegnante e grande Sacerdotessa Shaina ha ordinato di fermare questo dio nemico, che si è rivelato essere una divinità olimpica e non un nemico proveniente dalla Scozia", si disse la sacerdotessa del Cancro.

"Già sento il cosmo di Lorgash accendersi per un nuovo scontro, una battaglia con qualcuno di veramente potente, non posso permettermi di restare qui ferma come una stupida, devo farcela, devo alzarmi ed andare avanti", urlò allora la custode della Quarta Casa, rialzandosi in piedi e barcollando verso il corpo dell’avversaria.

"Ceridwen dell’Olmo, prego che tu possa riposare in pace, anzi farò di più per te", esclamò fra se la sacerdotessa d’oro, espandendo il proprio cosmo e scomparendo ella stessa nella valle della Morte, attraverso il proprio colpo.

Lungo un altro percorso, i guerrieri di Asgard, accompagnati da Camus, Golia, Helyss e Zadra, correvano verso il muro di alberi in cui si perdeva il fiume che avevano seguito.

"Dietro quella barriera si trova Dagda", esclamò Freiyr di Dubhe, che guidava il gruppo.

Un potente cosmo si rilevò però a loro, fermando i passi che avanzavano precipitosi, i cavalieri furono percossi da un brivido di terrore, come se tutta la loro fosse li avesse abbandonati.

"Magico sigillo", sembrò sussurrare il vento.

Improvvisamente delle gigantesche runes verdi apparvero sui pettorali delle armature di tutti loro, eccetto che di Skinir e Freiyr. In quel momento un’imponente figura comparve dal nulla dinanzi ai due god warriors.

"Maestro", balbettò Skinir, inginocchiandosi dinanzi al nuovo arrivato.

Freiyr osservò il nemico che gli si era posto davanti.

Le vestigia erano di un verde acceso, coprivano interamente il corpo con gambali e spalliere simili a cespugli rigogliosi, un pettorale perfettamente lavorato, rappresentante, al centro, il volto di una volpe, ed una lunga copertura per la cinta, simile quasi ad un kilt. Le coperture per le braccia, invece, erano dei semplici pezzi di metallo decorati con moltissime runes di diverso colore e significato.

Il volto era serio e freddo, gli occhi erano azzurri come il ghiaccio ed il mento squadrato si perdeva nel collo lungo della corazza. Sul capo portava una semisfera d’argento, che nascondeva i capelli, se egli ne avesse avuti. Una sottile barba castana cresceva intorno alle labbra ed al mento, senza prolungarsi però alle guance, dando un aspetto insieme nobile e severo a quell’individuo.

"Alzati, allievo traditore, poiché non è con questi falsi gesti di rispetto che fermerai la mia mano, preparati piuttosto alla lotta", ordinò l’uomo dalla fredda voce, "mentre tu, che sei miracolosamente riuscito a salvarti dal mio colpo fai un passo indietro", concluse, rivolgendosi a Freiyr.

"Chi è costui, Skinir?", domandò allora il re di Asgard, "Maestà, egli è Ogma del Frassino, mio maestro e grande sciamano di Scozia, ora, la prego, faccia un passo indietro, poiché le sue stesse parole lasciano intuire che egli vuole affrontarmi da solo, poiché mi reputa un allievo traditore", chiese con umiltà il successore di Luxor.

Freiyr fece un passo indietro, quando notò cosa era accaduto ai suoi compagni di viaggio, tutti fermi, senza muovere nemmeno un muscolo, per opporsi, o commentare, lo scontro che era sul punto di iniziare, "Che cosa gli hai fatto, sciamano?", tuonò allora il figlio di Siegfried.

"Ho paralizzato i loro cosmi ed i muscoli, attraverso quel sigillo che blocca gli impulsi nervosi", spiegò brevemente Ogma.

"Un colpo simile a quello di Arawn, quel maligno stregone", balbettò il god warrior di Dubhe, "Sbagli, ragazzo, non confondere la sottomissione psichica di cui era capace il mio compagno d’addestramento con ciò che posso fare io, paralizzare gli impulsi nervosi, lasciando il nemico immobile, ma pienamente padrone della propria mente", ribatté freddamente il grande sciamano, posizionandosi per lo scontro con il proprio allievo.

Lo sguardo freddo dello sciamano fu però scosso da un brivido di preoccupazione, "Qualcuno è arrivato a Dagda", si disse, preoccupato.

Gwyddyon era ancora seduto nella stessa posa, quando percepì un cavallo arrivare dinanzi a lui e fermarsi.

"Maestro", esclamò una voce a lui nota, mentre due dolci mani si appoggiavano alle sue spalle, "Non preoccuparti per me, Rhiannon, non sono ferito mortalmente, il mio avversario mi ha semplicemente annullato i sensi del tatto e dell’olfatto, difatti, non posso né sentire il tuo amorevole tocco, né il profumo del tuo destriero, tu piuttosto, come stai?", chiese alla fine lo sciamano del Tiglio.

"Bene, mio maestro, non si preoccupi, sono sana e salva ed intenzionata a difendere dai nostri potenti nemici il nostro comandante Dagda", rispose con voce preoccupata la giovane guerriera del Fico.

"Potenti e leali", aggiunse una seconda voce, "Esatto, Taranis, molto leali e giusti, proprio per questo, nobili guerrieri scozzesi che siete sopravvissuti al passaggio dei nostri nemici, vi prego di ascoltare il mio racconto prima di agire in questi che saranno gli ultimi scontri di questa lunga giornata", propose lo sciamano, invitando i due interlocutori a sedersi dinanzi a lui.

"Cosa vuole dirci, maestro?", domandò incuriosita la guerriera del Fico, "Una storia, che in parte ho seguito durante questa lunga battaglia, in parte ho origliato dai discorsi pieni di preoccupazione di Ogma e Dagda e quelli pieni di disprezzo di Arawn e Macha. Inoltre vi racconterò del mio scontro con il possente Tok’ra e del presunto pericolo cui siamo tutti soggetti", rispose l’esoterico cieco, prima di iniziare un lungo racconto.

Dagda, comandante dell’esercito dei Tree Monks, era fermo dinanzi al Lago dove si nascondeva il falso dio celtico, attendeva che i passi si facessero più vivi, così da mostrare i piedi che li producevano ed i nemici che essi preannunciavano.

L’attesa durò poco, ben presto i generali dei Mari ed i tre santi d’Atena si trovarono dinanzi al grande comandante di cui avevano tanto sentito parlare.

"Questi sarebbe Dagda?", domandò incuriosito Argo, sollevando le due fruste.

L’uomo dinanzi a loro aveva all’incirca 28 anni, portava corti capelli dorati ed i suoi occhi sembravano perle rosse di rara bellezza.

Non occhi iniettati di sangue come quelli di Arawn, bensì occhi più adatti al pianto ed alla tristezza.

Le vestigia che indossava, brillavano del colore dell’oro, proprio come quelle di Tok’ra.

Le spalliere erano placche d’oro che si espandevano longitudinalmente sulle spalle, la corazza era simile a quella del Leone sacro ad Atena, malgrado al centro vi fosse stilizzato un bellissimo albero sormontato da una stella. L’albero si prolungava in rami stilizzati sulla cinta, mentre le gambe erano coperte da lunghi pezzi di metallo lavorati, simili a quelli di un qualsiasi gold cloth per perfezione e bellezza.

La copertura per il braccio destro era simile al volto di un cavallo, che si concludeva in un gigantesco corno dorato, che si disperdeva sulle cinque dita della mano. Il braccio destro era invece custodito in un pezzo dorato lavorato come un ramo, che si concludeva in un bellissimo cespuglio.

Sul capo indossava, fra i dorati capelli, una corona simile a quella del cloth di Odino.

"Si, invasore, sono io Dagda del Faggio, comandante dei Tree Monks", rispose cupamente il nobile guerriero scozzese.

"Ti chiediamo di cedere il passo, comandante dell’esercito celtico, poiché il dio che tu difendi non è Mannanon, ma una divinità olimpica", esordì Neleo di Hammerfish, facendosi avanti verso Dagda.

Il giovane comandante sgranò gli occhi, come se fosse stato colpito da un pugnale, "No", disse poi, ritrovando la propria tristezza e freddezza.

"Se con le buone non vi siamo riusciti", esclamò Argo, lanciandosi contro il nemico, "Vedremo di fare con le cattive", ringhiò, "Tempest of whips", invocò subito dopo.

Gli occhi di Dagda si riempirono di odio, "Quale ardore nelle tue parole, generale di Nettuno. Attacchi me, comandante dell’esercito degli dei Celtici, dopo avermi offeso con una menzogna, inoltre porti al collo il simbolo del tuo dio, Nettuno, nemico di Mannanon. Ma più di ogni altra cosa, trovo offensivo che tu cerchi di colpirmi con le stesse armi che hanno ferito Ullifu, fedele soldato fra i Tree Monks", sentenziò con rabbia il comandante del Faggio, mentre sollevava la mano sinistra.

"Rami del Faggio", invocò subito dopo, lasciando il proprio avversario a mezz’aria.

"Con la sola forza della mente potrei rigettarti al suolo, ma non trovo che questo renderebbe giustizia al dolore provato dal soldato dell’Ulivo, quindi è giusto che tu provi la potenza del mio colpo minore", concluse, chiudendo il pugno.

Le fruste che costituivano l’armatura di Calamary e le stesse braccia di Argo si estesero verso l’alto, fino al loro limite, per poi riabbassarsi con violenza.

Il generale del Pacifico Meridionale urlò per il dolore del colpo subito dalle sue stesse fruste, che lo investirono al petto ed alla schiena, prima che egli ricadesse rumorosamente al suolo.

"Chi di voi vuole cadere dopo di lui? Non mostrerò pietà verso chi ha ucciso un mio amico e seguace", minacciò cupamente il comandante.

"Costui ha una grande potenza psichica, oltre che una tristezza che strugge il cuore più freddo", rifletté sorpreso Reptile, osservando il nemico.