Capitolo 3: In cerca di risposte

Un gigantesco gufo si alzò in volo ed oltrepassò il corpo di Eric del Corvo, il quale cadde a terra subito dopo, senza vita.

Quest’immagine turbò i sogni della Grande Sacerdotessa di Atene, Shaina, che si svegliò di soprassalto in piena notte.

La donna si guardò intorno, era nelle proprie stanze, presso la Tredicesima Casa del Santuario, da una finestra aperta, soffia il fresco vento caratteristico di fine estate, un vento piacevole, che rinfrescava.

Shaina, però, si accorse di avere i brividi, il suo corpo tremava per quell’incubo che le aveva interrotto il sonno, "Non era un semplice sogno, ma un messaggio, i cavalieri sono in trappola", balbettò fra se la guerriera dai verdi capelli, parlando con un filo di voce, quasi avesse temuto che il vento la stesse ascoltando.

Poche ore dopo, quando ancora albeggiava, la Sacerdotessa espanse il proprio cosmo, per chiamare a raccolta intorno a se i suoi otto difensori dorati, che in pochi minuti furono da lei, intimoriti da quel cosmo, che percepirono scosso da qualcosa di primitivo e temibile.

Golia corse fuori del proprio tempio dopo essersi vestito, raggiunse nella corsa Botan ed Odeon, i tre si congiunsero a Ryo e Tok’ra alla Nona Casa, in cui non vi era più Myokas, probabilmente già corso dalla sua somma guida, non appena aveva sentito quel cosmo così scosso.

I cinque trovarono i loro tre compagni delle case superiori fermi dinanzi alle immense porte che davano sulla sala centrale della Tredicesima Casa.

"Quietate i vostri passi, cavalieri", esordì Camus dell’Acquario, alzando il braccio destro, per rassicurare gli amici, "La nostra guida è al sicuro, ma deve annunciarci qualcosa di poco piacevole, ha detto quando sono giunto per primo qui", spiegò il custode dell’Undicesima Casa.

"Cosa, cavaliere?", domandò preoccupato Golia.

Era incredibile come in meno di un mese, colei che era stata sacerdotessa d’argento dell’Ofiuco, fosse entrata così profondamente nel cuore dei santi sopravvissuti, che vedevano in lei il volere e la benevolenza di Atena, oltre che la saggezza di una guerriera, simile, sotto molti aspetti, a loro.

"I cavalieri d’argento", sussurrò allora Tok’ra, spalancando gli occhi, per l’idea stessa che gli era balenata in mente, "Probabilmente si, amico mio", ribatté Lorgash, abbassando il capo con tristezza.

"Tutti abbiamo percepito quel cosmo amico spegnersi", balbettò Ryo di Libra, riferendosi ad Eric del Corvo, "Si, cavaliere della Bilancia, ma solo il suo si è spento, non posso credere che siano caduti tutti e sette", singhiozzò Botan, pensando alla propria compagnia d’addestramenti, la sacerdotessa del Pittore.

"No, gli altri non sono caduti, ma di certo saranno feriti e disarmati, se non in trappola", concluse Odeon del Leone.

"Amici, restare a fare congetture non aiuterà né noi, né i cavalieri d’argento, quindi varchiamo tutti insieme questa porta", esclamò subito dopo Myokas del Sagittario, aprendo le due grandi porte rosse.

Gli otto trovarono Shaina seduta sul proprio trono, quindi si inginocchiarono dinanzi a lei, ma subito notarono qualcosa che brillava alle sue spalle, dietro una grande tenda bianca.

"Custodi d’oro, vi ho qui chiamato perché un terribile incubo mi ha svegliato stanotte, ma come poi ho compreso, non era un semplice sogno, bensì realtà, che mi è stata trasmessa, seppur non so per volontà di chi", esordì la Sacerdotessa di Atene.

"Ho visto io stesso Eric del Corvo cadere, dopo aver riportato una vittoria contro un guerriero dalle vestigia marroni, caratterizzate dal medesimo nero volatile ritratto sulla copertura del braccio destro", affermò la donna.

"Era Hirihody", la interruppe Golia del Toro, "Lo temevo, cavaliere della Seconda Casa, ma non ero certa. Ciò vuol dire che gli altri santi d’argento sono in trappola, nelle mani dei Tree Monks", spiegò Shaina.

"Dicci dove andare, sommo oracolo, e mia grande maestra", supplicò Botan, "Come possiamo aiutare i nostri compagni d’arme?", chiese con viso basso.

"Purtroppo poche sono le mie conoscenze riguardo questi cavalieri scozzesi, ma so chi potrebbe esserci utili per conoscere la vera potenza e consistenza dei nostri nemici, e soprattutto, dove mai potremo cercarli", rispose con voce triste la Somma Sacerdotessa, prima di prendere una pausa.

"Chi, sommo Oracolo?", domandò Lorgash di Capricorn, alzando lievemente il capo.

"Skinir di Alioth, anch’egli allievo di questo Ogma è una delle due persone", affermò Shaina, riprendendo a parlare, "andrai tu, Camus, nativo di Asgard, nel sacro Regno, a chiedere aiuto al god warrior del Nord", ordinò la donna.

"Altra fonte molto autorevole è la fanciulla che incontrai vent’anni fa e che voi mi diceste essere in possesso di un libro d’oro scritto da uno dei tanti custodi della Dodicesima Casa. Dafne, un tempo oracolo di Tebe ed Anghellos di Ermes sotto il simbolo del Flauto. Cercherete sue notizie presso l’allieva, la nuova sacerdotessa di Ermes e presso suo figlio, Guardian Goshasei a Cartagine", spiegò Shaina.

"Somma sacerdotessa di Atena, se mi permette di parlare le impedirò un viaggio a vuoto", esclamò una voce, mentre una figura appariva dalle grandi porte rosse, era Kain.

"Chiedo scusa per l’intromissione", esordì il mariner di Shark, inginocchiandosi dinanzi a colei che era la guerriera dell’Ofiuco, "ma non avendo notato nessuno, mentre mi dirigevo verso il tempio che fu di mio fratello, sono corso subito qui, verso le case superiori, per sapere quale pericolo avesse fermato la ricostruzione dei dodici sacri templi e mi dispiace sapere che i santi d’argento sono in pericolo", affermò il generale dei Mari, "ma come ammenda, vi prego di ascoltarmi: a Cartagine, né Tige, né Dafne hanno più messo piede da molto tempo, lo so per certo, poiché almeno una volta la settimana raggiungo mia sorella ed insieme commemoriamo i nostri cari caduti, lì ho spesso la possibilità di parlare con Connor e Joen, i due Goshasei, e so per certo che il Guardiano del Pavone non vede i propri genitori da tempo", spiegò il fratello della regina di Cartagine.

"Ti ringrazio delle informazioni che ci offri, Kain di Shark, primo cavaliere di Nettuno", esordì Shaina, con il massimo della gentilezza, "ora resta tra noi, come un alleato, ed ascolta, se vuoi", lo pregò gentilmente.

"Lorgash, partirai solo tu, diretto a Tebe, per incontrare Edoné, l’allieva di Dafne, forse sa dove si trova la sua insegnante", ordinò poi Tisifone al cavaliere del Capricorno.

"Botan, mia giovane allieva, a te ed altri due cavalieri d’oro, volontari, sarà dato un altro compito, altresì importante", spiegò la Sacerdotessa di Atene, spostando con un velocemente movimento della mano la bianca tenda alle sue spalle.

I nove eroi presenti dinanzi a lei videro le custodie delle clothes sacre ad Atena, ve ne erano 14, quelle dei cavalieri d’oro sopravvissuti e quelle dei santi d’argento, eccetto l’armatura del Corvo.

"In tre vi dirigerete verso la fucina maggiore di Efesto, in Sicilia, nelle viscere del vulcano Etna, dove, spero che troverete il grande Fabbro, Sial, e gli chiederete di riparare le nostre sacre vestigia", ordinò Shaina.

"Si, mia maestra e guida", replicò la sacerdotessa del Cancro, "Se mi è concesso la accompagnerò io, che sono sufficientemente robusto da portare molte di quelle custodie", esordì allora Golia del Toro, alzando il capo, "Ed io, se mi è permesso", aggiunse Odeon del Leone.

"Bene, cavalieri, voi tre andrete in Sicilia, resteranno qui al grande Tempio Myokas, Ryo e Tok’ra. Tu, nostro alleato e figlio di Ikki, puoi anche tornare nel Regno dei Mari, dove sappiamo di avere quattro grandi e coraggiosi amici", concluse Shaina, prima che i cavalieri si dividessero, lasciandola sola, nella sua malinconia, prodotta dall’incapacità di non aver salvato i propri cavalieri d’argento.

Kain ritornò nel regno dei Mari a gran velocità e subito corse alla Colonna Portante, ai cui piedi era stato costruito un piccolo altare, in memoria dei tre generali caduti e dei soldati dei mari uccisi dai titani.

Qui, il mariner di Shark trovò Reptile, il sacerdote di Nettuno e generale della Colonna Antartica con le scales dell’Anaconda.

"Sacerdote dei Mari", lo salutò, "Kain, cosa turba la tua voce?", domandò l’esile figura con sguardo sbalordito, "I cavalieri d’argento di Atena sono caduti in trappola per mano di..", iniziò a parlare il figlio di Ikki, quando un rumore di metallo lo interruppe, "Per mano di guerrieri celtici", concluse la voce di Argo alle spalle del generale dell’Atlantico Settentrionale.

Kain si voltò di scatto e vide Neleo ed Argo dietro di lui, ma ciò che più lo sorprese fu che il custode del Pacifico Meridionale, indossava le sue vestigia di Calamary, perfettamente riparate e più brillanti che mai.

"Il dio Nettuno ha rivelato il suo cosmo a Neleo in piena notte", spiegò Reptile, costringendo Kain a voltarsi nuovamente, "Avvisandoci che un suo antico nemico si è rivelato in Scozia e che avrebbe attaccato i santi di Atena", raccontò il generale dell’Anaconda, "Quindi il nostro comandante ha deciso di riparare le scales dei mari che ci appartengono", concluse l’esile guerriero, mentre un sorriso si dipingeva sul volto di Kain, che non avrebbe mai sperato in una tale lungimiranza e coincidenza di voleri fra Atena e Nettuno.

Bastarono pochi minuti a Lorgash di Capricorn per raggiungere il tempio di Ermes a Tebe, dove da anni ormai il sommo oracolo del messaggero divino risiedeva.

Il cavaliere della Decima Casa varcò l’entrata del tempio e subito notò le immagini del dio che caratterizzavano le mura del tempio.

Lorgash avanzava in un luogo a lui ignoto, e per ben tre volte si ritrovò nuovamente nella stanza che aveva varcato entrando, finché un dolce e sublime cosmo, si espanse nelle stanze del Tempio, come una musica piacevole ed accattivante.

Il santo d’oro seguì questa melodia lungo il corridoio all’estrema destra dell’entrata, finché non si ritrovò in un grande spiazzo, che dava su ben cinque porte, allora la musica finì.

"Ti chiedo scusa, cavaliere d’oro, se non ti ho guidato subito qui", esordì una soave voce di donna, proveniente dalla terza porta alla destra di Lorgash, "ma inizialmente non avevo riconosciuto il tuo cosmo tagliente come la spada che custodisce nelle braccia", si scusò la figura, apparendo dal nulla.

Era Edoné, ma insieme non lo era: non indossava le vestigia del Flauto, né alcun simbolo battagliero, i capelli erano sciolti e ben curati sulle spalle, il corpo coperto da un magnifico mantello d’oro ricamato, che Lorgash osservò stupito, prima di inginocchiarsi dinanzi alla fanciulla.

"Ti prego, santo d’oro, abbiamo combattuto le stesse battaglie fino ad un mese fa, non merito questi tuoi segni di rispetto solo perché adesso non sono leggere vestigia da Anghellos a coprirmi, ma questo mantello d’oro, un dono di un lacedemone, affinché preghi per lui il dio Ermes lungo un suo viaggio", esclamò Edoné, prendendo per mano Lorgash ed invitandolo ad alzarsi con la massima gentilezza.

"Ti chiedo scusa se ho disturbato la pace di questo luogo", esordì il cavaliere d’oro, "Rispetto a ciò che avvenne poco più di un mese fa, a causa dei titani guidati da Bianca, la tua è una piacevole visita", ribatté gentilmente l’oracolo, "Cerco colei che ti addestrò e ti precedette come Sacerdotessa di Ermes", affermò poi Lorgash.

Edoné sorrise al giovane, "Mi dispiace, ma non posso esserti utile, non vedo più la saggia Dafne dal giorno in cui la cercai, prima della battaglia finale con Urano. Fu lo stesso dio Ermes ha ordinarmi di non cercarla, che era giunto il tempo per lei di dedicarsi a chi amava, non a chi adorava. Poi promise che anche per me sarebbe giunto quel giorno, prima o poi", rispose l’oracolo, prima che una lacrima di quieta speranza di gioia e pace, bagnasse le sue belle guance.

"Ti ringrazio, oracolo", disse semplicemente il santo del Capricorno, avvicinandosi all’uscita.

"Cavaliere", esordì poi lei, bloccando i suoi passi, "La porta all’estrema destra, non quella. Inoltre, mi chiamo Edoné, anche se non abbiamo mai combattuto fianco a fianco, se non a Sparta, questo è il mio nome", concluse l’allieva di Dafne, "Grazie, io sono Lorgash", sorrise il custode della Decima Casa, prima di allontanarsi, senza aver ricevuto alcuna notizia, ma con grandi speranze nel cuore, quasi donatele dal sorriso della seguace di Ermes.

Camus arrivò ad Asgard dopo appena un’ora, non si era mosso alla velocità della luce, perché la mancanza delle vestigia rendeva il corpo facile preda delle leggi della fisica, ma malgrado ciò era riuscito a raggiungere la sua terra natia in poco tempo.

Attraverso i boschi, un tempo custoditi di Fenrir ed Alberich, un cupo ricordo affiorò nel suo cuore quando vide la caverna vulcanica dove il defunto fratello aveva ricevuto l’investitura, poi, entrò nel castello, dove tutte le guardie si inchinavano al suo passaggio.

Era ormai passato un mese dal suo ultimo viaggio nella terra natia, al contrario di Kain di Shark, che tornava ogni settimana a Cartagine, per visitare le tombe dei propri genitori e dei fratelli, oltre che per salutare la sorella, lui, Camus dell’Acquario aveva un profondo terrore nel vedere i luoghi in cui era cresciuto, sapeva, dentro di se, che non avrebbe retto alla vista delle tombe della madre Flare, del padre Hyoga e del fratello Fasolt, sarebbe di certo scoppiato in lacrime, ma non poteva permettere che la perfetta unità fra il gelido cosmo e lo spirito si incrinasse, nemmeno per pochi minuti, questo era il suo pensiero da ormai un mese.

"Principe Camus", lo salutò una voce alle sue spalle, il santo dell’Acquario si voltò e vide Bifrost di Megres, uno dei tre god warriors sopravvissuti.

"Quanto tempo che non la vediamo in questi luoghi", esclamò il guerriero della stella Delta, "Desiderate vedere vostro cugino, il Re Freiyr?", domandò Bifrost, "No, amico mio, non è una visita di piacere questa, cerco Skinir, poiché una minaccia oscura Atene e solo lui può darmi delle notizie", rispose con voce cupa Camus.

"Seguitemi allora, Skinir è sempre con il Re, perciò o sono entrambi nelle stanze del trono, o dinanzi alla statua di Odino, a pregare insieme alla celebrante", esordì il cavaliere di Megrez, facendo strada al figlio di Hyoga.

I due trovarono il god warrior di Alioth ed il re di Asgard dinanzi alla statua del signore degli Asi, insieme a loro, genuflessa dinanzi alla divinità scandinava, vi era Gutrun, nuova celebrante del dio nordico.

I cinque rientrarono subito, poiché dalle poche parole di Camus fu immediatamente chiara la gravità della situazione.

"Dimmi, cugino, che cosa è successo?", tuonò Freiyr, quando tutti furono nella stanza de trono.

Il figlio di Hyoga raccontò dell’arrivo di un misterioso messaggero celtico di nome Hirihody, della partenza dei sette cavalieri d’argento e dell’incubo che aveva turbato la notte di Shaina, oltre che della certa morte di Eric del Corvo, e concluse con una domanda: "Dimmi quindi, Skinir, chi sono questi Tree Monks, presso cui vi siete addestrati?".

"La morte di Eric per mano del nostro comune compagno d’addestramenti è una notizia che mi rattrista, ma non come quella di sapervi nemici dei Tree Monks, e quindi del nostro maestro Ogma e del buon Dagda", esordì in lacrime il cavaliere di Alioth, "Non posso dirvi molto sulla loro struttura sociale, eccetto che sono divisi in quattro caste, due di essoterici, i messaggeri ed i soldati, e due iniziati, o esoterici, conoscitori di alcuni segreti e padroni di grandi poteri. Ai tempi del mio addestramento, solo gli iniziati sotto il nome di sciamani erano attivi, ve ne erano due, Ogma, il mio maestro, ed Arawn, suo compagno d’addestramenti, ma per qualche motivo, in tutta la Scozia, i diversi prescelti si addestravano, per entrare in possesso delle proprie armature e diventare Tree Monks", iniziò a ricordare Skinir.

"Finora hai nominato tre classi, amico mio: messaggeri, soldati e sciamani. Quale titolo manca? E di quale fra questi fa parte questo Dagda che il principe Camus ha nominato?", lo interruppe Bifrost di Megrez.

"La quarta classe è quella dei guerrieri, ma nessuna di queste può vantare il possente comandante celtico, Dagda, fra le proprie file, egli è al di sopra di tutti i Tree Monks, come il Re Freiyr è al di sopra di noi due, amico mio", rispose il guerriero di Alioth.

"Cavaliere, queste cose già Eric le aveva dette, ma una domanda più importante mi preme farti", ribatté Camus, "Dove possiamo trovare costoro?", chiese preoccupato, "I cavalieri d’argento potrebbero morire se non andremo a salvarli", spiegò.

"Helyss", sussurrò preoccupato Bifrost, ed a lui fece eco il suo re, nominando Zadra.

"Non so se potrete trovarli ancora lì, ma quando io ed Eric incontrammo il nostro maestro, la loro sede era un’arena, in cui si entrava da una grotta.

Arrivarvi è semplice, basta seguire un grande lago che dà sulle Highlands. L’estremità inferiore di questo lago bagna la città di Gleenfield, mentre la superiore raggiunge una piccola collina, lì troverete la grotta di cui vi parlo. Vi entrai solo una volta, quando il mio maestro mi mostrò come richiamare lo spirito del Lupo, immagino che Eric non vi sia mai andato in quel luogo", spiegò il successore di Luxor.

"Un’ultima cosa, principe Camus", esordì Skinir, mentre il cavaliere dell’Acquario salutava il cugino, prima di ripartire, "Fate attenzione, perché il mio maestro Ogma è buono di cuore e pieno di fiducia nel prossimo, ma il suo compagno d’addestramenti, Arawn, è l’esatto contrario, vile e spietato, capace solo di pensieri crudeli", lo avvisò il god warrior di Alioth.

Camus abbandonò il suo regno natio per tornare ad Atene con delle risposte.

I tre cavalieri d’oro, intanto, avevano raggiunto il Vulcano Etna, e vi si erano inoltrati, "Pensate che troveremo qui Sial?", domandò Golia, le cui spalle erano cariche del peso delle sei armature d’argento, "Lo spero, cavaliere", gli rispose Botan.

"Silenzio un secondo", li interruppe Odeon di Leo, "Ascoltate", suggerì.

Inizialmente sembrò a tutti un fruscio di sottofondo, poi lo distinsero meglio: era il ringhiare di qualche animale, seguito da passi, che sembravano fatti da un cavaliere, tanto risuonavano di metallo.