Capitolo 34: Il Re ed il Comandante

I due avversari si osservavano vicendevolmente e lo sguardo di tutti i cavalieri, ancora coscienti nelle vicinanze di quel piccolo lago sull’isola di Tir Na Nog, era come rapito dalla prestanza dei due contendenti.

Da una parte Dagda, il dorato comandante dei Tree Monks, ultimo dei guerrieri celtici ancora imbattuto, dall’altra Freiyr, Re di Asgard e comandante dei god warriors, ferito più nello spirito che nel corpo per la morte del suo amico e seguace Skinir.

L’uno combatteva per un puro ideale, che non sapeva manovrato da una falsa e meschina divinità, l’altro per il proprio Regno e per un’amicizia, antica di vent’anni con i santi di Atena.

"Sommo sciamano, lei è sicuro che mio figlio sia il prescelto? Colui che guiderà i celtici eroi?", ricordò Dagda, quelle che furono le ultime parole che sentì dire al proprio padre, "Si, suo figlio Dagda è stato prescelto dalle stelle, sarà lui la guida dei futuri Tree Monks", gli aveva risposto il Grande Maestro Sciamano che in quel periodo allevava Ogma, Arawn e, da poco, Gwyddyon.

Il futuro comandante abbandonò quella sera stessa il tetto paterno, per seguire il suo destino, all’età di cinque anni.

Quando uscì dalla casa, notò Gwyddyon, che seguiva fedelmente il proprio maestro, Arawn che li precedeva ed attendeva, rimase un giovane di dieci anni più grande di lui, un ragazzo dagli occhi azzurri, brillanti di una sincera gentilezza.

"Ciao", lo salutò allora il piccolo Dagda, spaventato dai repentini cambiamenti, "Salve, mio comandante", gli rispose il ragazzo, "Comandante?", ripeté il fanciullo, "Si, tu sei Dagda del Faggio, colui che è stato prescelto come nostro comandante e guida negli anni a venire, ed io ti sarò sempre fedele", gli rispose l’allievo sciamano.

"Sempre fedele? A me?", domandò spaventato il ragazzino, "Si, mio signore, ti sarò seguace, compagno in battaglia ed amico se lo vorrai", gli rispose il giovane, "Si, un amico, è da tanto tempo che non ne ho uno", replicò il ragazzino.

"Allora, mio comandante, considerami pure un tuo amico, io sono Ogma", si presentò quello che sarebbe diventato lo sciamano del Frassino.

Anche nella mente di Freiyr si facevano spazio i ricordi, la sua infanzia, passata in solitudine, nelle fredde lande di Asgard, riscaldandosi solo per l’affetto materno e per le storie che sentiva riguardo suo padre, il grande Siegfried di Dubhe.

Ricordava il giovane Re, i periodi di duro addestramento fra i ghiacci, quando riuscì a raggiungere la potenza e le doti necessarie per ricevere, per la volontà di Odino, le sacre vestigia del signore degli Asi.

Freiyr ricevette l’investitura a 17 anni, un tempo maggiore rispetto a quello di un qualsiasi cavaliere che si addestrava sotto l’occhio di un uomo, ma il giovane principe era scrutato solo dagli dei.

Due giorni dopo la sua investitura, Freiyr conobbe quello che la madre gli presentò come: "Tua guardia personale", un guerriero asgardiano, di tre anni più giovane, "Salve, mio principe, sono Skinir di Alioth", si presentò costui, inchinandosi dinanzi al figlio di Hilde di Polaris.

"Salve a te, guerriero di Asgard, sono lieto di conoscerti, anche se non capisco per quale motivo mia madre voglia che io, Freiyr di Dubhe, invulnerabile primo guerriero di Asgard, abbia una guardia personale", replicò il giovane principe.

"Non so, mio signore, ma questo è il volere di vostra madre, la celebrante di Odino", affermò il parente di Luxor, "So chi è mia madre, guerriero di Alioth", disse con voce sconsolata il giovane figlio di Siegfried.

Questo era stato il loro primo dialogo, ma con il tempo entrambi capirono quale fosse il vero significato di guardia personale, non qualcuno che difende il proprio padrone solo da nemici esterni, ma anche, e soprattutto da pericoli che provengono da egli stesso.

Il pericolo più grande che Freiyr doveva temere, allora, era la solitudine che nel suo cuore e nello spirito si era fatta largo spazio in tutti quelli anni di vita isolata. Fu proprio l’avvicinarsi dapprima di Skinir come servitore e poi come amico a rendere il giovane figlio di Siegfried un Re migliore.

Skinir di Alioth era stato il primo vero e grande amico di Freiyr.

Un’esplosione cosmica proveniente dal Lago scosse le menti dei due avversari, "Dagda, finisci i tuoi nemici", urlò la voce della divinità nascosta nelle acque.

"Il falso dio degli abissi si rivela di nuovo a noi tutti", ringhiò disgustato Myokas di Sagitter, percependo la voce ed il cosmo della divinità nemica.

"Non osare chiamare così il sommo Mannanon, cavaliere, e ricorda che dopo questo tuo alleato, sarai tu il prossimi a cadere", lo avvisò Dagda, voltandosi verso di lui

"Sono io il tuo nemico, comandante del Faggio", replicò allora Freiyr, sollevando la sacra spada Balmung sopra il proprio capo.

I cosmi dei due contendenti si sfiorarono, provocando scintille in tutta l’area circostante e sbalordendo i cavalieri presenti: la luce dorata emessa dal Tree Monk e quella azzurra, quasi bianca, del god warrior, sembravano così pure, ma, allo stesso tempo, così impetuose.

Dagda sollevò con un movimento maestoso le sue braccia, "Rami del Faggio", urlò il comandante dorato, mentre i fasci d’energia psichica correvano contro il suo avversario.

"Mi dispiace, comandante celtico, ma nessuno ti ha mai avvisato che un colpo già visto è inutilizzabile una seconda volta contro un nemico", lo avvisò Freiyr, saltando in dietro con una roteazione.

Il Re di Asgard compì una grande capriola e poi, appoggiandosi sui piedi, spiccò un salto in aria, "Odin’s Sword", urlò il primo guerriero del Nord, mentre dal palmo della mano destra fuoriusciva un campo di luce verde, che distrusse con estrema facilità i rami luminosi del Faggio, per poi correre contro il Tree Monk che li aveva prodotti.

"Certo che conosco questa regola base della lotta, sovrano nordico, e ne sono persino padrone", sbeffeggiò all’improvviso Dagda, bloccando con i propri poteri psichici la lama energetica che gli si dirigeva contro.

I due avversari erano ancora alla pari, nessuno aveva subito ferite ed i loro colpi erano stati reciprocamente battuti con abilità ed esperienza.

"Spiegami, Re di Asgard, per quale motivo tu, signore delle terre coperte dai ghiacci eterni, il cui popolo vive in una condizione persino peggiore di quella siberiana, vuoi aiutare questi cavalieri provenienti dalle splendenti e calde coste elleniche?", domandò incuriosito Dagda, preparandosi per un nuovo attacco.

"Tanti sono i motivi, comandante celtico, ma non so se sopravvivrai abbastanza da sentirli e capirli tutti quanti", gli rispose seccamente Freiyr, "Quali parole le tue, sovrano del Nord, il vero dubbio dovrebbe essere se riuscirai a dirmeli tutti prima di morire", replicò seccamente Dagda, espandendo il proprio cosmo dorato.

I due si prepararono ad una seconda carica, "Il primo motivo è un antico debito di gratitudine verso i maestri di alcuni di questi santi d’oro, che vent’anni or sono aiutarono mia madre, Hilde di Polaris, schiava dell’Anello del Nibelungo, che un dio dei Mari ellenico le aveva donato, senza chiedere niente in cambio, se non la salvezza dell’umanità intera", esordì il figlio di Siegfried.

"Gratitudine e riconoscenza, nobili sentimenti, questo è certo, che animano anche me, ma che io rivolgo agli dei celtici, che mi fecero dono di un grande destino", ribatté il Tree Monk del Faggio, prima di scatenare l’unicorno luminoso.

"Unicorno di Luce", invocò subito dopo Dagda, ma Freiyr non sembrò nemmeno prepararsi per la difesa, "Sembri non aver capito, come immaginavo", iniziò a replicare il Re di Asgard.

"Simboli della mia devozione verso Odino e le altre divinità di Asgard sono la sacra armatura del Nord, la divina spada Balmung e l’invulnerabilità che il sommo Signore degli Asi mi ha concesso e che io utilizzerò sempre per difendere il mio Regno e le divinità che lo governano", spiegò il figlio di Hilde, mentre l’Unicorno di Luce si annullava contro l’emanazione cosmica del sovrano asgardiano.

"Così grandi sono dunque i tuoi poteri?", domandò perplesso il comandante celtico, osservando il proprio attacco svanire nel vuoto.

"Il secondo motivo", continuò impassibile il Re asgardiano, mentre espandeva il proprio cosmo, "è un’implicita alleanza suggellata il giorno stesso in cui l’Anello maledetto fu spezzato. Nessun tratto o patto è stato mai firmato, forse un implicito segno di quest’alleanza fu il matrimonio fra mia zia Flare ed il santo divino Hyoga del Cigno, ma niente di più. Da allora, però, diversi guerrieri Asgardiani si allenarono presso santi di Atene, o loro alleati, e due figlie di Asgard sono diventate persino sacerdotesse d’argento in nome di Atena, rivelandosi degne del massimo rispetto dal loro popolo", aggiunse Freiyr, mentre portava i pugni al petto.

"Ora, dorato comandante, proverai il colpo massimo che mio padre mi ha trasmesso, preparati, a subire lo sguardo furibondo del Drago", minacciò il giovane Re, mentre due sfere d’energia si sviluppavano dalle sue mani.

"Dragon Blizzard Shock", invocò Freiyr, scatenando gli "Occhi del Drago", tecnica già usata da Siegfried.

"Tu parli di un’implicita alleanza che il tuo popolo ha fatto con coloro che vi hanno sconfitto, non so se sia giusto chiamarla alleanza, come fai tu, oppure servilismo del più debole, come farei io", replicò Dagda, sollevando uno scudo d’energia dorata, "noi Tree Monks non ci saremmo mai piegati dinanzi a coloro che ci hanno sconfitto, anche se lo avessero fatto per il nostro bene, non è questo il modo di agire di un guerriero celtico", tuonò il comandante aureo, mentre gli occhi del Drago si annullavano dinanzi alle sue difese psichiche.

"Come vedi, nemmeno io sono così facile da ferire", concluse beffardo il guerriero del Faggio.

"Non essere così sicuro di te, comandante celtico, poiché prima ora subirai i miei ultimi due attacchi", lo minacciò allora Freiyr, avvicinandosi con passo deciso.

"Due attacchi?", ripeté incuriosito Dagda, preparandosi al nuovo scontro, "Si, ed il primo sarà portato dalle mie parole veritiere, ora che ti esporrò il terzo motivo che mi ha spinto fin qui, contro di te, Dagda, comandante dei Tree Monks celtici", rispose Freiyr, fermandosi a pochi passi dall’avversario.

"Quale sarebbe questo terzo motivo?", incalzò il comandante dorato, "Il destino che tu condividi con mia madre", rispose seccamente il Re di Asgard.

"Che cosa?", balbettò il Tree Monk del Faggio, "Si, hai capito bene, come lei hai dei fedeli guerrieri che ti seguono ed una grande fede nei tuoi dei, come lei la cosa che reputi più importante è la tua terra natia, ma come lei sei stato ingannato da una divinità olimpica proveniente dai Mari ed hai sacrificato le persone a te più care.

Mia madre sacrificò Siegfried di Dubhe, mio padre, che lei amava, e gli altri sei guerrieri nordici precedenti, mentre tu hai sacrificato Ogma, che per te era un amico ed un maestro e gli altri Tree Monks, morti per servirti, non per servire quel falso Mannanon che si nasconde nelle acque.

Mia madre, però, fu resa schiava dal potere dell’Anello Maledetto, tu, invece, ti sei asservito volontariamente a questa finta divinità celtica, accecato dalla fede e dalle storie che avevi sentito riguardo al tuo destino. Questa differenza mi ha alimentato lungo questo viaggio sull’Isola di Tir Na Nog, la cecità che ti ha portato a far morire i tuoi compagni ed al sacrificio di Skinir, questo mi alimenta in battaglia", concluse Freiyr, prima di partire all’attacco.

Il comandante dorato era chiaramente contrariato dalle parole dell’avversario, "Ora proverai la potenza della sacra spada di Odino", urlò il Re di Asgard, "la Spada Balmung".

Diversi fendenti di luce bianchissima ed alcune stoccate furono scatenati contro il muro di luce che difendeva Dagda e, con grande sorpresa del comandante dorato, riuscirono a frantumarlo con facilità, danneggiando le vestigia del Faggio e soprattutto ferendo il corpo del guerriero celtico, che barcollò indietro, sanguinante.

Freiyr mosse velocemente le braccia e colpì più volte il nemico, finché questi non cadde al suolo, poco lontano dai mariners che egli stesso aveva atterrato.

"Ho accettato tutte le tue parole, giovane Re, ma non queste ultime. Non osare criticare la mia fede negli dei", esclamò furente Dagda, rialzandosi, "Pensi che non saprei riconoscere il sommo Mannanon se ne percepissi la presenza? Mi credi davvero così stupido? Ora proverai sulla tua pelle quale sia la vera forza data dagli dei celtici e dal mio destino", minacciò infuriato il comandante celtico, mentre Freiyr si accingeva a colpirlo con un affondo alla spalla sinistra.

Accadde però qualcosa di inaspettato, la lama sacra affondò nel braccio di Dagda, ma sembrò quasi che stesse semplicemente colpendo un miraggio, un’immagine riflessa su uno specchio d’acqua, mentre questo accadeva, inoltre, il corpo del comandante dorato, sembrò divenire sempre più vacuo, quasi si stesse perdendo nell’aria circostante e così fu.

Tutti videro Dagda divenire incorporeo, un cumulo di gas agli occhi di uno dei cavalieri che osservavano lo scontro, ma questo non gli impedì di brillare di una luce dorata e di oltrepassare, come una folata di vento, il suo avversario, per poi ritornare solido, dopo essere arrivato alle sue spalle.

"Void impact", sentenziò semplicemente il comandante dei Tree Monks.

Freiyr cadde al suolo, mentre sul suo corpo si aprivano diverse ferite, "Creare un attacco dal Nulla, diventando io stesso parte di questo momento della vita", spiegò seccamente Dagda, voltandosi verso il nemico sanguinante, "Come vedi, il mio attacco migliore non solo riesce facilmente a parare il tuo, ma può persino superare le grandi difese divine che i tuoi dei asgardiani ti hanno concesso", lo schernì il comandante dorato.