Capitolo 1: Le due oscure armate

"Ascoltatemi, oscure potenze, udite la voce di colei che più di tutti vi ama, udite la voce di Ate, che dell’Ingiustizia è sovrana. Innalzati, mio nero castello, emergi dalle profondità di questo luogo che tutti chiamano Inferno, ma che altri non è se non la mia Isola, l’Isola della Nera Regina", invocò la dea Ate, il cui cosmo ormai sormontava l’intera Deathqueen Island.

Un boato proruppe, sembrò quasi che uno dei vulcani maggiori stesse per eruttare in tutta la sua furia, ma, anziché lava dal cratere, uscì una costruzione in pietra nera dal terreno, un castello, se tale si poteva definire, malgrado assomigliasse di più alla bocca di Cerbero, innalzata verso il cielo.

"Ora, dopo la mia nera residenza, vengano a me i miei dodici neri cavalieri, vi ho richiamati dai luoghi in cui attendevate silenti. Mostratevi a me, che possa osservare la potenza del mio esercito e compiacermi di ciò", ordinò la dea, mentre l’immenso portone del castello si apriva e lei lo varcava.

Pochi secondi dopo, dodici nere figure apparvero alle sue spalle, le loro armature sembravano dorate, ma l’oro che le costituiva era sporco, come fuligginoso, un oro nero, di terrore ed oscure minacce forgiato. Le vestigia, se osservate attentamente, sarebbero risultate molto particolari per un occhio esperto, ma, se chi le guardava era un inesperto, o comunque qualcuno ignaro della loro vera natura, avrebbe potuto scambiarle per le dodici armature dei santi d’oro di Atena.

"Dunque voi dodici siete i miei eletti in quest’era?", domandò la dea dell’Ingiustizia, seduta sul proprio trono, "Si, somma signora", esclamò uno di loro, facendosi avanti.

Nere ali sormontavano le sue spalle, immense le spalliere e cuneiformi, una corona che finiva in ali di pipistrello e delle vestigia che ricordavano più la combinazione fra un uomo ed un rapace, che un vero centauro alato.

"Io sono Zoras del Sagittario Nero, suo servitore ed abile arciere", si presentò il Nono Nero guerriero.

"Tu sei il capo fra loro? Il mio secondo?", domandò incuriosita la dea, osservando il volto del proprio suddito. Lunghi capelli corvini scendevano sulle robuste spalle, una sottile e scombinata barba adornava le guance, gli occhi simili a quelli di una vera aquila: grossi, feroci e blu. Un ghigno malvagio adornava le labbra.

"No, non è lui il tuo secondo, nostra nobile signora, bensì io, l’ultimo discendente degli Alchimisti a te fedeli", rispose un secondo individuo.

Le nere vestigia di costui erano adornate da armi, una lunga lancia, due cerchi seghettati sulle braccia, fruste, mazze e sfere. Sull’elmo, stilizzata, la bocca di un volatile nero, "Io sono il tuo secondo, io, Sairon dell’Oscura Bilancia", si presentò il guerriero nero. Aveva lunghi e ricci capelli azzurri, occhi viola e due nei ne segnavano la fronte.

Lo sguardo era ambiguo ed osservava con occhi taglianti la dea che avrebbe dovuto adorare con umiltà, "Questi", aggiunse poi Sairon, rialzandosi, "è il mio allievo, Madrake del Nero Ariete, oscuro è il Montone che lui simboleggia, da opporsi al Bianco Montone che adorna il cielo della Prima Casa dello Zodiaco", lo presentò il guerriero dell’Oscura Bilancia.

Un giovane, appena diciottenne, si fece avanti, aveva corti capelli neri ed occhi del medesimo colore, due tatuaggi segnavano la fronte, simili a fulmini oscuri, si aprivano sulle ampie tempie dell’Oscuro Santo di Ate, le cui vestigia ricordavano vagamente quelle che appartennero a Sion, Mur e Kiki, ma, allo stesso tempo, il Nero Montone era molto più spaventoso della sua aurea nemesi.

"Sarebbero dunque queste le tue legioni?", domandò all’improvviso una voce di donna, che si diffuse per l’intero castello.

I dodici cavalieri neri, che non erano riusciti a presentarsi interamente, si guardarono intorno, "Immenso è il cosmo di costei", esclamò la figura che indossava le vestigia degli Oscuri Gemelli, "Esatto, cavaliere", ribatté la dea dell’Ingiustizia, "quella che percepite è la nostra alleata, la divinità, che mi ha liberato dai miei ceppi divini, ha permesso a voi di adorarmi e ci darà tante altre piacevoli sorprese", esclamò soddisfatta la divinità.

"Ne siete sicura, nobile Ate?", domandò perplesso Sairon, diffidente verso questa seconda dea, "Si, Oscura Bilancia, anzi, i servitori della mia alleata dovrebbero essere ormai qui, aprite le porte del castello, che ricevano una degna accoglienza", ordinò la divinità in tutta risposta.

Dodici cosmi esplosero dentro la sala in cui Ate parlava con i propri Black Saints, "Siamo già qui a dire il vero", esclamò una voce d’uomo.

Delle luci verdi, brillanti e calde come fuochi, si accesero intorno ai santi d’oro nero, "E vi abbiamo circondato", affermò un secondo uomo, fra quelli presenti.

"Rivelatevi, cavalieri", ordinò colui che indossava le vestigia della Vergine Oscura, "Non rivolgerti con un simile tono al tuo maestro ed ai suoi parigrado, Jango, non lo accetto da te", lo rimproverò una delle dodici luce, facendosi avanti.

Lentamente il bagliore fece posto ad una sagoma muscolosa ed elegante, delle vestigia di un bagliore smeraldo ed insieme aureo brillavano sul corpo di quell’uomo che il Black Saint di Virgo salutò come: "Maestro".

"Jango, costui è il tuo maestro?", domandò Sairon, rivolgendosi al suo parigrado, che finalmente si mostrò a tutti. Ma anche altri cavalieri d’oro nero riconobbero fra i misteriosi interlocutori i loro maestri, sbalordendo ancora di più il guerriero dell’Oscura Bilancia.

Le nere vestigia della Vergine esaltavano il volto violaceo del cavaliere oscuro, gli occhi, simili a noci in un eburneo albero, risplendevano di luce sinistra e cupa, i capelli, corti ed argentei, si vedevano appena sotto l’elmo nero, adornato, non da lunghe sbarre auree, ma da sei lame oscure.

"Egli è Hyunkel, il sesto allievo di Shaka", lo presentò Jango della Vergine Oscura, "Esatto mio discepolo, questa è la mia identità e Greengold Runouni sono", concluse la figura.

"I dodici guerrieri d’oro verde?", esclamò sorpreso Zoras, osservando le fiamme di luce smeraldo, "Si, i dodici Runouni, samurai vagabondi provenienti dall’Asia e seguaci, d’ora innanzi a questa dea Antica come il mondo e forse di più", ribatté la prima delle voci che si erano presentate.

"Non è il momento di socializzare questo", tuonò all’improvviso la voce della dea, il cui cosmo s’incrementò immensamente per la rabbia, "Vi sono stati affidati dei compiti ed è tempo che li portiate a termine, emanate le nostre sfide, come messaggeri di morte e distruzione, quindi portateci i tributi che richiediamo. Una vita che già è stata ed i cinque corpi dei campioni oscuri", ordinò la divinità Ancestrale.

I dodici bagliori scomparvero nel nulla non appena la loro guida finì di parlare, lo stesso fecero i santi d’oro nero, dopo che Ate gli fece un cenno con il capo.

Era ormai passato un anno dallo scontro con Urano a cui Kaor di Byakko non aveva partecipato personalmente per difendere le sacre divinità asiatiche cui era consacrato. I suoi sensi, acuiti dalla conoscenza del cosmo ultimo, avevano seguito in ogni momento tutti gli allievi che gli erano rimasti, specialmente Tok’ra di Virgo, abilissimo e saggio successore del suo maestro, il grande Shaka della Vergine. Kaor gli era stato vicino con lo spirito durante l’intera battaglia sull’Isola di Tir Na Nog e lo sarebbe stato in qualsiasi altro caso, ma, quel giorno, percepì dei cosmi esplodere in un luogo lontano, nel pieno dell’Oceano Pacifico. Cosmi di divinità ed esseri che in diversi modi potevano essere definiti, ma di certo, non pacifici.

Due di questi cosmi, inoltre, si diressero verso il luogo da lui custodito, il Cielo Occidentale, dove dominava la Tigre, Byakko.

L’asceta sentì i cosmi di diversi soldati dell’Indù Army spegnersi per mano di queste due figure, che velocemente avanzavano verso di lui, certamente per sfidarlo.

Un boato, poi la porta andò in frantumi, qualcuno era entrato negli stessi corridoi che avevano visto il passaggio di Jink di Genbu alla guida dei cavalieri delle diverse divinità olimpiche.

Due figure corsero lungo quel corridoio, per nulla spaventate dal ruggito della Tigre del Cielo Occidentale, alla fine gli arrivarono dinanzi.

"Chi siete voi, che osate disturbare Byakko, uno dei venerabili Beast Keepers?", domandò l’allievo di Shaka, alzandosi in piedi con la propria lancia in mano.

"Non sprecare i pochi minuti che ti restano in messinscena patetiche, mio vecchio compagno d’addestramento, poiché nessuno più di me potrebbe riconoscere con facilità il cosmo di Kaor, uno dei sei allievi di Shaka della Vergine, anzi, mi offende il fatto che tu non mi abbia già riconosciuto", esclamò una voce possente, la stessa che aveva quietato le esclamazioni dell’Oscura Vergine sull’Isola di Deathqueen.

"Hyunkel, mio vecchio compagno, dunque i miei sensi non erano confusi?", ribatté seccamente Kaor, appoggiando sul trono a forma di fiore di loto la maschera, "Quale furia infernale ti ha risvegliato, consegnandoti le vestigia d’oro verde?", domandò beffardo il Beast Keeper.

"Trovo offensivo che un semplice guardiano offenda me, guerriero vagabondo senza alcun dio, fino a pochi giorni fa. Ora sono Hyunkel del Cavallo, seguace di un’Ancestrale divinità e Runouni al suo servizio", si presentò finalmente il sesto allievo di Shaka.

Il corpo possente era coperto da verdi vestigia, gli zoccoli del Cavallo coprivano le braccia e le gambe dell’uomo, la muscolosa corporatura del magnifico destriero costituiva il tronco dell’armatura. Il petto virile e parte delle spalle erano intravedibili, poiché l’armatura erano costituita da spalliere e pettorali congiunti dagli stessi legacci che un possente destriero potrebbe portare alla bocca. La testa del destriero costituiva in parte il dorso della cloth ed in parte l’elmo.

Portava lunghi capelli legati a coda di colore biondo, occhi simili a grandi laghi azzurri costituivano lo sguardo di quell’uomo.

"Ricordi quando trent’anni fa ci allenavamo sulle rive del Gange a seguito del grande Shaka di Virgo? Noi due eravamo la terza coppia di allievi, insieme a Sheeva, Argora, Sesar e Quiggon.

Quando fu il momento delle investiture, però, malgrado la nostra superiorità su tutti i compagni, il sommo santo della Vergine decise di dare ai due più inetti le vestigia d’argento. Sheeva divenne Pavone, con le vestigia di quella costellazione, mentre Argora, con le vestigia dell’Indiano, si fece chiamare Loto. Da inetti vissero, perdendo in quasi tutti gli addestramenti con noi, da inetti combatterono, due contro uno fu il loro ultimo scontro, e da inetti morirono, per mano di un singolo santo, Ikki della Fenice.

Dopo di loro, vi erano Quiggon e Sesar nel cuore del nostro maestro, due stupidi, che decisero di seguire Ermes ed Ares, due divinità così diverse per due uomini tanto simili e tanto stupidi.

Hai saputo quale è stata la loro fine? Sono morti per mano di un dio, mentre si combattevano reciprocamente, deprecabile come morte", raccontò divertito Hyunkel.

"A noi, invece, il sommo Shaka consigliò di restare in Asia e così facemmo. Tu, Kaor, diventasti asceta e fosti scelto da Shiva il Benevolo per custodire il cielo Occidentale. Hai avuto tanti allievi e fra questi, per quel che so, vi è anche il nuovo santo della Vergine sacro ad Atena, il nuovo Shaka. Io, invece, fui prescelto da Shiva per diventare un guerriero vagabondo, sotto il segno del Cavallo Cinese, ma in questi anni ho sviluppato ancora di più la mia forza, diventando ciò che sono e ho avuto un mio allievo, che ora ti presento", concluse, indicando la figura nell’ombra, "lui è Jango della Vergine Nera, sacro ad Ate", affermò, indicando il proprio discepolo.

"Dimmi, vecchio compagno", replicò allora l’asceta con una freddezza temibile, "Sei giunto fin qui solo per raccontarmi notizie a me già note?", domandò con tono beffardo.

"No, a dire il vero, sono qui per ucciderti, così da recapitare, attraverso il tuo cadavere, un messaggio a Suzaku e Seiryu, gli ultimi due Beast Keepers rimasti", rispose soddisfatto il Runouni, scambiando un’occhiata con il vecchio compagno.

Kaor, sentite tali parole, avanzò verso Hyunkel, sostenendo con ambo le mani la possente lancia di cui era padrone, "Sono pronto allo scontro, vecchio compagno", replicò seccamente, espandendo il proprio cosmo. Medesima cosa fece il guerriero dalle verdi vestigia.