Capitolo 20: Intorno al Castello Nero

L’Isola della Regina Nera era ancora circondata dalla folta nebbia oscura che la dea Ate aveva sollevato in difesa del proprio castello e del percorso necessario a raggiungerla.

A chi avesse visto dal mare quest’Isola, sarebbe stato difficile distinguere la folta boscaglia dal nero muro divino, seppur, avvicinandosi alla spiaggia, sarebbero bastati i resti del Toro Nero per intuire la feroce battaglia che si stava tenendo in quel luogo.

Riflessioni su questa feroce battaglia vi erano anche nel nero castello della dea Ate, in cui i due comandanti dei Runouni, Shishio del Drago e Raizen della Tigre, discutevano con Sairon di Libra Oscuro, comandante dei Black Saints.

"Anche il Bufalo di Giada è morto", rifletté il nero guerriero, percependo spegnersi il cosmo di Zodd, "Si, anche l’ultimo dei sei posti lungo le strade è caduto", concordò Raizen, mozzando un’altra candela sul lato sinistro del candelabro a croce.

"Però non è ancora il momento di preoccuparsi, i nostri nemici si avvicinano al castello, ma ci sono ancora i guardiani esterni ed i cavalieri all’interno", rifletté rassicurato Sairon.

"Si, in effetti la sfortuna dei nostri nemici è che i tuoi cavalieri neri sono quasi tutti morti ed ora dovranno vedersela con noi Runouni", ribatté divertito Shishio del Dragone.

Il guerriero di Libra Oscuro si alzò in piedi ed avvicinò la mano sinistra ad un gambale, ma l’esplosione del cosmo del Runouni lo fermò, "Non combattiamo fra di noi", propose semplicemente Raizen, ponendosi fra i due comandanti.

"Hai ragione, Tigre di Smeraldo, ma ricorda al tuo parigrado che finora solo uno dei miei guerrieri neri è riuscito ad uccidere un nemico, mentre fra di voi si è mostrato persino un traditore", ringhiò Sairon, sedendosi nuovamente al suo posto.

"Su questo hai ragione, cavaliere della Bilancia Nera, inoltre fra i Black Gold Saints dinanzi al castello vi sono due allievi dei Runouni a noi sottomessi e questo è un punto a nostro vantaggio", rifletté Raizen, accomodandosi nuovamente anch’egli.

"Si, gli allievi di due di noi Runouni ed uno dei nostri subalterni più forti sono in attesa dinanzi al castello, inoltre non tutti i nostri nemici sono già arrivati ai quattro lati, alcuni sono ancora dispersi nella boscaglia", concordò Shishio, rivolgendosi al proprio parigrado.

"Gli avversari di Zodd vagheranno ancora alcuni minuti nella caverna sotterranea, soprattutto dopo le due ondate energetiche che hanno variato la sua forma interna", aggiunse il Dragone di Giada, "Il nemico di Sesshuan ed i suoi due compagni di viaggio sono feriti e rallentati dalla flora del luogo", continuò Raizen, "Ed i tre che avevano oltrepassato il Capricorno Nero tuo allievo, sono anch’essi rallentati dalla flora, nella più impervia delle sei strade da scegliere", concluse con tono sarcastico il Dragone di Giada.

"Si, tutto questo è vero, ma gli altri quattro gruppi sono ormai giunti hai lati del castello, quindi prepariamoci per dei nuovi scontri", suggerì Sairon, osservando fuori dalla finestra.

Il gruppo composto da Odeon, Neleo, Kain e Lorgash, dopo essersi riunito poco distante dall’entrata della grotta, continuò ad avanzare lungo quell’oscura e rocciosa strada.

"Voi vedete un’uscita?", domandò più volte il cavaliere del Capricorno, impaziente di sapere come si erano svolti gli altri scontri, e desideroso di avere il suo momento per combattere, "No, Lorgash", gli rispose Odeon, "piuttosto dovremmo fermarci qualche minuto, il tempo necessario perché io possa curare Neleo", propose il cavaliere del Leone.

"Non serve, santo d’oro, non ti preoccupare per me", replicò con tono gentile il fabbro dei Mari, prima di barcollare in avanti, sotto il peso delle ferite e della stanchezza accumulata nel triste scontro, "Invece, generale di Hammerfish, penso che sia necessario", suggerì Kain, sostenendo il proprio comandante ed appoggiandolo contro una parete rocciosa.

Il quartetto si fermò alcuni minuti perché Odeon del Leone d’oro potesse curare le ferite dell’alleato.

Lungo un’altra via due diversi gruppi si muovevano, con alcuni passi di distanza.

"Regina, non si preoccupi per il suo parigrado, non penso che un semplice guerriero nero possa qualcosa contro il Beast Keeper del Cielo Orientale", suggerì Joen del Pavone alla Regina di Cartagine, Esmeria di Suzaku, "Lo so, mio guardiano, ma non posso fare a meno di preoccuparmi in una guerra in cui molti amici e persone care sono già scomparse, come il tuo parigrado Connor", rifletté con tono cupo la figlia di Ikki.

"Esmeria, tu più di chiunque altro fra noi dovresti conoscere la potenza dei tuoi parigrado, malgrado Kaor di Byakko sia caduto, non per lo stesso motivo tu, o Koryo, dovrete cadere in questa feroce battaglia", esordì allora Golia del Toro, cercando di rassicurare l’alleata, "piuttosto, sarebbe saggio che accelerassimo il passo, il castello nero, che sembrava così vicino è invece ancora molto lontano", rifletté il cavaliere d’oro, osservando l’oscura figura di pietra che si stagliava all’orizzonte.


Poco lontano, su quella stessa via, tre cavalieri feriti camminavano barcollanti: Endimon del Fagiano, fra questi, era quello messo peggio, poiché l’intero suo corpo era dilaniato dalle ferite prodottegli da Araocle.

Vicino al Pretoriano di Venere avanzava Awyn della Vite, le cui gambe perdevano ancora molto sangue, dopo il sacrificio fatto per eliminare Nemes del Cane, la prima a cadere fra i Runouni.

Guidava il gruppo Koryo di Seiryu, che silenzioso avanzava stringendo l’impugnatura della propria spada ogni volta che la ferita prodotta dal suo nemico oscuro si faceva sentire con morsi di dolore.

Il trio avanzava, senza parlare, respirando affannosamente, ma deciso e compatto, lungo la stessa strada percorsa dai tre alleati.

Lungo un’altra via, tre figure femminili, accompagnate da un cavaliere dalle vestigia d’argento, avanzavano, sempre più vicini al nero castello di Ate.

"Cavaliere della Lira, sei sicuro di poter continuare lungo questa strada malgrado le ferite?", domandò con tono preoccupato Botan del Cancro, "Si, sacerdotessa d’oro", la rassicurò il discendente di Orfeo, "lo scontro con Koga della Scimmia non mi ha lasciato molte ferite, ma mi ha solo reso un po’ più affannoso il respiro, non è questo il problema", spiegò il santo d’argento, mentre la nera costruzione si faceva sempre più vicina e nitida ai loro occhi.

"Guardate, cavalieri, siamo arrivati al castello", esclamò sorpresa Elettra del Cavallo, ultima amazzone ancora viva, "Si, amica mia, ma siamo dal lato sbagliato, qui non vi sono finestre, né porte, probabilmente saremo sul retro della costruzione", osservò Clio delle Muse, guardando attentamente il nero maniero.

Una risata femminile e malefica, però, fermò i passi del quartetto di guerrieri e guerriere, una risata che a due di loro sembrò nota e risvegliò un triste ricordo di ciò che era avvenuto pochi giorni prima.

Una risata di sfida.

Anche un altro gruppo si era ormai avvicinato al castello oscuro, ma su un altro fronte, era il gruppo che aveva già avuto una perdita, quello composto da Daidaros, Ryo e Jenghis.

"Forza cavalieri, siamo prossimi alla meta, guardate dinanzi a noi, quello deve essere uno dei lati del castello di Ate", suggerì il Cavaliere di Libra, osservando l’imponente costruzione nera dinanzi a loro. "Si, Ryo, hai ragione, ma ti prego di una cosa, mio vecchio compagno d’arme e ne prego anche te, cavaliere di Cefeo, lasciate a me il prossimo nemico, in memoria di Obbuan", propose il berseker dell’Avvoltoio.

Proprio in quel momento un cosmo avverso si presentò a loro, un cosmo minaccioso per la furia con cui si mostrò, ma allo stesso tempo, conosciuto da tutti loro, un cosmo che sbalordì i tre guerrieri, prima ancora che ne potessero vedere il padrone, poiché era di qualcuno a loro molto caro e noto.

I tre eroi si fermarono ad osservare la figura appoggiata al nero castello che li attendeva con le proprie vestigia integre sul corpo, "Non è possibile", balbettò Jenghis, mentre l’Ascia gli scivolava di mano.

Un altro scontro era sul punto di iniziare.

Il gruppo di guerrieri provenienti da Asgard, intanto, era giunto alla salita, dinanzi a loro si ergeva il nero castello, "Guardate, l’entrata!", esclamò Gutrun di Mizar, osservando dinanzi a lei, oltre i due comandanti di quel gruppo di guerrieri: Camus e Freiyr.

I cinque guerrieri asgardiani continuavano la loro salita, il cavaliere d’oro ed il god warrior di Dubhe li guidavano, seguiti fedelmente da Gutrun e più indietro da Bifrost e Helyss, che, seppur ferita, cercava di avanzare da sola, malgrado il guerriero di Megrez volesse a tutti i costi aiutarla nell’ardua salita.

"Non mi serve una mano, cavaliere", ripeté più volte la sacerdotessa del Pittore, "Lo so, Helyss, ma mi sento più tranquillo a sorreggerti in questa strada, considerando che non sei uscita completamente illesa dallo scontro con l’Ariete Oscuro", ribatté cordialmente il fratello minore di Alberich, rivolgendo un sorriso alla maschera d’argento colorata d’azzurro.

I passi del gruppo furono fermati da un movimento della mano di Camus, Gutrun stessa, accortasene con alcuni secondi di ritardo, stava quasi per sbattere contro il proprio Re Freiyr, ma si fermò in tempo, "Cosa succede?", balbettò allora Bifrost, guardandosi intorno.

Non vi fu risposta alla domanda del god warrior, poiché l’ambiente stesso gli mostrò la spiegazione alla sua domanda: stava nevicando.

"Su un’isola tropicale così calda? Per di più ai piedi di un vulcano?", domandò sorpresa la guerriera di Mizar, "Guarda attentamente questa neve, come abitante di Asgard dovresti notare subito la sua diversità", suggerì sibillino il cavaliere dell’Acquario.

La figlia di Bud di Alcor osservò la neve e si accorse che non era candida, bensì era composta da cristalli neri, "Questa è…", balbettò la god warrior, "Si, è un segno di sfida, da parte di uno dei santi d’oro nero che ci attende dinanzi al castello", replicò Freiyr, re di Asgard, guardando dinanzi a se.

Anche l’ultimo gruppo di guerrieri era prossimo al castello nero, i due santi d’Atena ed i tre Pharaons che lo componevano si muovevano velocemente lungo la salita che li avrebbe portati al lato sinistro del nero maniero, solo Sekhmet sembrava rallentata dalle lievi ferite subite per mano di Daja del Leone Oscuro.

"Tutto bene, guerriera?", le chiese dopo alcuni minuti Kano del Pavone, "Si, cavaliere d’argento, non ti preoccupare, non basta una guerriera di quel livello per fermarmi", replicò la combattente egizia, "Lo so bene", rispose con gentilezza il santo d’argento, memore dello scontro contro Sekhmet avvenuto quasi un anno prima nella piramide di Ra.

Il dialogo fra i due fu interrotto da un bagliore oscuro, che si concentrò proprio dinanzi a loro, facendo barcollare indietro Anhur di Selkit, comandante dei Pharaons.

"Che sarebbe?", domandò il guerriero egizio, "Un campo spirituale, una barriera che in pochi sanno usare", spiegò con tono sorpreso Tok’ra di Virgo, "Anzi, che solo un allievo del grande Shaka, o di Kaor l’asceta potrebbe sollevare", concluse con una voce più calma il santo d’oro.

"Un allievo del grande Shaka?", ripeté sorpreso Kano, "Si, probabilmente proprio il padrone di questa barriera è l’assassino del nostro maestro Kaor, l’ultimo allievo di Shaka", rispose il santo di Virgo, rivolgendosi al compagno d’addestramenti.

"Ti sbagli, mia controparte dorata", esclamò allora una voce, prima che una figura iniziasse a delinearsi dinanzi al gruppo, uscendo dalla barriera dai neri bagliori.

Grande fu lo stupore negli occhi di Kano nell’osservare le nere vestigia della Vergine ed il loro padrone dagli occhi eburnei.

"Benvenuti, cavalieri, io sono Jango di Virgo Oscuro, allievo del grande Hyunkel, il sesto allievo di Shaka, il più forte e l’unico ancora vivo", si presentò il guerriero nero.

"Hyunkel? Tu Tok’ra ne avevi mai sentito parlare?", domandò sorpreso Kano, "No, però, i conti tornerebbero, se ci pensi, noi, allievi di Kaor l’asceta, eravamo in sei: io, tu, Adtula, Obbuan, Yakros e Teros, mentre finora avevamo sentito parlare soltanto di cinque allievi del grande Shaka", rifletté il cavaliere di Virgo.

"Esatto, mia controparte, proprio il mio maestro, Hyunkel il Runouni del Cavallo Cinese, era il sesto allievo del tuo predecessore. Io sono il suo unico allievo ed unico testimone della sua straordinaria potenza, che portò alla morte di Kaor di Byakko, detto l’asceta", replicò il Nero cavaliere di Virgo.

"Dunque tu eri presente alla morte del nostro maestro?", domandò Tok’ra, "Si, esatto", rispose con la medesima freddezza Jango.

I due cavalieri di Virgo ed il santo del Pavone si osservavano fra loro con estrema freddezza e passività, quasi non fosse in quel luogo che essi si parlavano, come se tutto intorno a loro, la stessa battaglia, l’assalto dell’esercito di Ate e dei Runouni, il rapimento di Shaina, la morte di Kaor non fossero cose di loro interesse.

Questo silenzio e distacco, però, fece innervosire visibilmente Anhur di Selkit e Sekhmet stessa, solo Sed rimase silenzioso a guardare.

"Cavalieri di Atena, volete attaccare voi costui, o sarà un nostro avversario?", tuonò all’improvviso il comandante dei Pharaons.

"No, io non mi sporco le mani con degli insetti che non conoscono la forza dello spirito, mio avversario sarà la mia controparte dorata", esclamò Jango, avanzando verso Tok’ra.

"No", rispose freddamente il santo di Virgo, voltando le spalle al nemico, "Che cosa?", urlò il nero guerriero, osservando il cavaliere d’oro allontanarsi.

"Non ti preoccupare, Vergine Nero, tuo nemico sarò io, Kano del Pavone, l’altro allievo di Kaor l’asceta", lo rassicurò il santo d’argento ponendosi fra i due cavalieri di Virgo.

"Bene, accetto", esclamò il nero guerriero, espandendo il proprio cosmo, medesima cosa fece il santo del Pavone, preparandosi allo scontro.