Capitolo 11: La prova

Quando ormai erano sulla soglia della Nera Torre, il gruppo di cinque guerrieri sentì il cosmo del loro alleato allontanarsi nel cielo con quello della sua nemica, per poi spegnersi, per sempre, insieme alla nemica.

"Endimon", balbettò Awyn, voltandosi, decisa a correre dall’alleato, furono però le mani di Botan di Cancer a fermarla, "Purtroppo per il nobile Pretoriano non c’è più niente che noi possiamo fare, baccante di Dioniso", sussurrò con voce strozzata la sacerdotessa d’oro di Atene.

Nel gruppo scese per alcuni secondi un silenzio tenebroso, quasi un momento che i guerrieri si diedero per ricordare il compagno di molte battaglie caduto per fermare una dea che a loro bloccava il passaggio.

Fu il santo di Virgo a scuotere i suoi compagni, "Non permettiamo che il sacrificio di Endimon sia vano, entriamo in questa Torre e corriamo a fermare i nostri nemici, che Indra ed i suoi seguaci conoscano la forza che è stata capace di fermare Urano, Pontos e Gea, combattiamo, cavalieri, facciamolo per il Pretoriano che si è sacrificato", propose Tok’ra, avanzando verso le immani porte della nera costruzione, "Si", risposero in coro gli altri, dopo alcuni attimi di silenzio.

L’avanzata dei cavalieri fu fermata quasi subito da un cosmo immenso e minaccioso che si presentò loro, "Noto che cinque dei sei vili esseri che ci osano attaccare hanno superato Rama", esordì una voce rude, "Bene, miseri mortali, vi chiedo di attaccarmi in fretta, poiché il solo vedere degli esseri ignobili come voi, mi disgusta, quindi sbrigatevi ad avanzare, cadrete tutti, come quel vostro stupido simile", minacciò la divinità, uscendo dall’ombra.

Era un uomo massiccio, con immani muscoli su tutto il corpo e delle vestigia che ricordavano un bufalo. Le zampe costituivano la copertura per gli arti, il corpo dell’animale, copriva il petto e la cinta, fin sotto la vita, mentre la testa della bestia copriva completamente il volto della divinità, che impugnava una frusta ed una sfera chiodata nelle mani, "Sono Yama, un dio guerriero seguace di Indra", si presentò l’essere.

"Cavalieri, voi avanzate, costui è mio", ringhiò all’improvviso Awyn, oltrepassando i propri alleati e mostrandosi al nemico.

Yama scoppiò in una fragorosa risata, "Voi pensate davvero che una donna potrebbe battermi?", domandò divertito, "Io il più potente guerriero mai esistito fra gli dei battuto da una donna, che idea folle. Se mai una fanciulla riuscisse a rubarmi una vita in battaglia, io stesso mi concederei agli dei miei nemici per ritornare nella prigione che mi avevano dato, vergognandomi di me stesso per tale sconfitta", ridacchiò con estrema baldanza la divinità guerriera, rivolgendosi a Koryo e Jenghis, "Che resti un uomo a combattermi, non questa donna", ordinò infuriato.

"Ivy chains", urlò in tutta risposta Awyn, "Stupida, non mi hai preso", la derise Yama, "Non ti volevo prendere infatti", replicò quietamente l’ebra di Dioniso, tirando a se le catene e lasciando cadere due colonne della Torre sul nemico, che fu momentaneamente sepolto dalle macerie.

"Andate, cavalieri, ci rivedremo alla fine di quest’avventura", ordinò la baccante, mentre i compagni si allontanavano lungo il nero corridoio.

Il cammino dei quattro cavalieri rimasti continuava nel lungo corridoio, "Ma quando finirà? Non vedo alcuna scala verso i piani superiori?", domandò perplesso Jenghis, rivolgendosi a Koryo, "Non so cosa risponderti, non avevo mai visitato prima questa nera costruzione, quindi non so com’è costruita", rispose il Beast Keeper, continuando a correre a fianco dei compagni di battaglia.

Due figure dai cosmi divini, però, li fermarono, obbligandoli ad indietreggiare dinanzi ai loro cosmi, "Salve, cavalieri", esordì l’essere sulla sinistra, "Siamo lieti di vedere che ci sono dei nuovi nemici per noi, divinità indiane", continuò quella sulla destra, che sembrò essere una voce femminile.

Il gruppo di guerrieri poté notare le due figure, abbastanza simili per altezza e prestanza fisica, ma diverse per vestigia. Sulla loro sinistra, infatti, vi era un uomo dalle azzurre vestigia, simili alla pelle di un serpente, che con le sue squame copriva il corpo del guerriero lasciandolo sembrare quasi che fra corpo ed armatura non vi fosse differenza alcuna, eccetto per una piccola copertura all’altezza dell’inguine.

Sulla destra vi era invece una donna, la cui armatura raffigurava una tigre, che con gli arti copriva braccia e gambe della stessa dea, per nasconderne poi il tronco e la cinta nel corpo della bestia ed il volto in una maschera simile alla testa dell’animale stesso. Impugnava una gigantesca ascia questa dea e sulle sue spalle brillavano due splendidi coltelli d’oro, che sembravano quasi delle spalliere in quella magnifica armatura dorata.

I suoi occhi erano verdi e spenti, mentre i capelli scendevano lunghi dietro l’elmo, di un colore simile ad argento. Al contrario, il suo alleato sembrava essere calvo e gli occhi erano simili a quelli di un grande serpente, rossi e taglienti.

"Sono Varuna, dio dell’Acqua", si presentò quel guerriero simile ad una serpe, "mentre lei è Durga, una divinità guerriera al servizio di Indra", continuò presentando la propria alleata.

"Bene, divinità indiane, cedete il passo, o desiderate la battaglia?", domandò Jenghis, sollevando l’Ascia che custodiva, "C’è bisogno di chiederlo?", ribatté divertita Durga, mentre ambo gli dei avanzavano lentamente, "No, direi di no", continuò Koryo, avvicinando la mano destra alla propria spada.

"Tok’ra, Botan, voi, che siete padroni delle teletrasporto, spostatevi oltre questi dei quando noi li attacchiamo e continuate fino ad Indra, quello è il nostro bersaglio principale", suggerì il Beast Keeper di Seiryu, scambiando un’occhiata con i due gold saints, "Siete sicuri?", domandò semplicemente Botan, "Si, sacerdotessa d’oro, non ti preoccupare per noi, siamo sempre allievi di Shiryu il Dragone, servirà qualcosa di più di questi dei indiani per ucciderci", replicò con tono scherzoso il berseker dell’Avvoltoio, preparandosi ad attaccare i nemici.

La battaglia scoppiò pochi attimi dopo, quando Jenghis si lanciò con tutta la propria forza su Varuna, cercando di investirlo con l’"Ascia della Guerra", e, nello stesso tempo, Koryo incrociò la propria spada con l’arma di Durga, in quel momento i due santi d’oro lasciarono il luogo di questo nuovo scontro, continuando lungo il nero corridoio.

I due cavalieri di Atena continuarono la loro corsa, ma non per molto, un cosmo superiore ai tre appena incontrati, forse addirittura alla somma dei tre stessi, li fermò, mostrandosi sotto forma umana.

Un uomo, che nemmeno gli rivolse la parola, coperto da una splendida e brillante armatura, era dinanzi a loro, le vestigia richiamavano chiaramente un Pavone, come figura guida. Le piume del magnifico animale ornavano e coprivano le braccia e le gambe del dio, il corpo era nascosto in una corazza verde con riflessi violacei, le stesse piume avevano quel colore e si dilungavano in una lunga coda intorno alla cinta del guerriero. Una coda così lunga da coprire quasi le gambe dello stesso fino alle ginocchia. Questa divinità portava una corona con il capo dell’animale stilizzato, aveva occhi violacei e lunghi capelli verdi e fra le mani impugnava una bellissima lancia d’oro, che teneva sollevata sopra il capo, in posizione di guardia.

"Mi chiedo perché Varuna, Yama e Durga vi abbiano lasciati passare, cavalieri dalle vestigia d’oro, li avete per caso ingannati in qualche modo, oppure avete lasciato i vostri compagni a morire per mano di dei minori?", domandò improvvisamente la divinità, interrompendo il silenzio.

"Tu giudichi loro dei minori?", domandò Tok’ra con fare quieto, "E come dovrei chiamarli se non così?", replicò l’altro, "Il bufalo è un’idiota che non conosce la vera essenza della guerra, il Serpente è un fedele seguace di Indra a lui sottomesso da millenni, la Tigre, invece, adora me ed il mio comandante perché le diamo la possibilità di incontrare nemici sempre più forti. Io sono secondo solo al grande Indra ed a mio padre, il potente Shiva", spiegò la divinità.

"Sei figlio di Shiva?", domandò sorpreso il santo di Virgo, "Si, mi chiamo Kumara, il prode guerriero armato di lancia", si presentò l’essere divino, preparandosi alla battaglia.

Il cosmo della divinità circondava minaccioso quello dei due santi dorati, "Costui non è certo potente come Urano, o Gea, ma percepisco chiaramente in lui la forza superiore a quella di un titano, o di qualsiasi uomo contro noi abbiamo combattuto prima", osservò titubante Tok’ra, "Proprio per questo, sarò io ad affrontarlo, tu, cavaliere, corri verso Indra", suggerì Botan, ponendosi dinanzi al nemico ed espandendo il cosmo dorato che la circondava e cercando di fermare i movimenti del nemico.

"Ti ringrazio, sacerdotessa d’oro", esclamò il santo di Virgo, pronto ad avanzare, quando un tuono interruppe i suoi passi, echeggiando in tutto il piano terra di quella nera Torre.

"Fermi, uomini", urlò una figura, apparendo dal nulla.

"Sommo Indra", esclamò Kumara, liberandosi facilmente dalla presa nemica.

I due cavalieri d’oro allora videro il comandante di quell’esercito di divinità, aveva le vestigia simili al corpo di un elefante, che lasciavano libere solo le mani. La copertura era più che integrale, nascondendo sotto immani orecchie le spalle e le gambe nei corni bianchi della bestia immane. La corazza non era però nera, bensì bianca, fatta di candido avorio ed il volto era appena coperto da una maschera che stilizzava la testa di un elefante, lasciando il capo, rasato, scoperto agli occhi di tutti.

"Sommo signore delle Tempeste, perché è sceso in campo, li avrei battuti da solo", assicurò Kumara, rivolgendosi con immenso rispetto al proprio comandante, "Vedi, figlio di Shiva, so per certo che non avrai difficoltà contro costoro, ma volevo comunque vedere i volti degli uomini che osano sfidare gli dei, poiché uno di loro ha persino tolto la vita alla saggia Rama, sacrificandosi per compiere un atto così empio e degno di infamia, quindi ero curioso, se così vogliamo dire, di conoscerli e vederli battersi per la vita", spiegò il dio indiano, allontanandosi dal punto della battaglia, dopo aver fatto un cenno al suo braccio destro.


Lo scontro fra Awyn e Yama, intanto era già iniziato. Il dio guerriero non aveva avuto molte difficoltà nel rialzarsi da quella serie di macerie e da subito si era lanciato contro la nemica con ambo le sue armi, "Ora proverai la potenza di un dio che non ha alcun problema ad eliminare i mortali come meritano", esclamò divertita la divinità, schioccando la frusta.

"Frusta stritolatrice", urlò Yama, movendo la propria arma contro la nemica, che fu sorpresa dalla velocità della divinità e presa nella stretta nemica.

"Ora, donna, proverai la pressione che solo la frusta di Yama sa scatenare, gusterai della terribile morte che molti miei nemici prima di te hanno incontrato", la avvisò con tono derisorio il dio indiano, mentre le spire dell’arma si stringevano sempre più dolorosamente sul corpo. A stento l’ebra di Dioniso riusciva a trattenere le urla di dolore che quella presa provocava su di lei.

"Perderai la vita, donna, senza poter far niente per evitarlo", affermò il dio, prima di ridere della propria avversaria.

"Queste sarebbero le divinità indiane?", pensò fra se l’ebra, "Contro un essere simile a costui è caduto Endimon, l’amico con cui ho oltrepassato il nero bosco dell’isola di Deathqueen? Colui con cui ho perso lo stesso sangue nella precedente battaglia? Anche lui, come Noa e Remor prima, è caduto dinanzi ad un nemico infame? Questa sarebbe il dovere dei cavalieri? Cadere contro tali esseri? Non posso e non voglio crederlo", urlò fra se la baccante, espandendo il proprio cosmo, mentre le vestigia si ricomponevano sulle ferite aperte e sanguinanti.

"Grapes boom", urlò a quel punto Awyn, sollevando abbastanza le braccia da raggiungere i piedi del nemico e lanciandolo, così, lontano da se, tanto da dover lasciare la presa sulla frusta.

"Come hai osato, donna?", tuonò Yama, rialzandosi in piedi con l’elmo danneggiato ed una guancia ferita, "Ti ho dimostrato, dio indiano, che le donne che tanto disprezzi non sono poi così inferiori a te", replicò Awyn, apparendo chiaramente ferita, per i diversi tagli che si erano aperti sul suo corpo, ma pronta a continuare la battaglia.

"Ora proverai la furia della mia mazza", ringhiò il dio indiano in tutta risposta, ma l’ebra era già pronta, "Rolling defense", urlò per difendersi l’allieva di Shun, quando dinanzi a lei accadde qualcosa di strano, il nemico scomparve e con lui l’intero corridoio, non vide più niente a parte la bianca roccia delle montagne indiane, che si apriva di nuovo davanti ai suoi occhi, "Ma cosa?", si chiese la giovane prima di svenire per le ferite riportate.

Dentro la Nera Torre, intanto, anche il combattimento di Jenghis e Koryo era iniziato contro le due divinità nemiche.

L’attacco del Berseker era andato a vuoto contro il dio dalle vestigia di serpente, che come acqua si era decomposto dinanzi al colpo, per poi ritornare in se, mentre la forza della spada di Seiryu stava ancora confrontandosi con l’ascia della Tigre indiana.

"Non preoccuparti per Durga, lei sa dare la morte, come me d’altronde, solo in modo più brutale", esordì pochi attimi dopo Varuna, rivolgendosi a Jenghis, "Non mi preoccupo per il Beast Keeper di Seiryu, lui è stato scelto per affrontarvi, quindi non cadrà contro di voi, ma tu, Serpente, dovresti avere più coscienza di chi affronti", replicò l’allievo di Shiryu, lanciandosi di nuovo all’attacco.

"Davvero? E chi saresti tu di così minaccioso?", domandò freddamente Varuna, "Sono Jenghis dell’Avvoltoio, ultimo berseker vivente di Ares e custode dell’Ascia della Guerra", si presentò il guerriero, lanciando l’attacco energetico della propria arma.

Il dio dell’Acqua oltrepassò il proprio nemico prendendo forma liquida e raggiungendolo alle spalle, "Interessante, ma per questo dovrei temerti particolarmente?", domandò perplesso l’essere superiore riprendendo forma solida, "Sono pur sempre una divinità che deve affrontare un uomo, non credi di essere troppo avventato nelle parole e nei gesti, mortale?", incalzò poi, mentre dal suo corpo iniziava ad evaporare dell’acqua, in modo molto simile ad un cosmo che si amplia.

"No, non sono troppo avventato, io combatto per qualcosa che non voglio sia distrutto, quindi posso permettermi persino di sfidare gli dei, Ares stesso non ha mai contraddetto il mio modo di portare avanti il credo nelle battaglie, accettando che io continuassi a combattere solo per cause che ritenevo giuste", spiegò il berseker, mentre, improvvisamente, l’aria intorno a lui si faceva pesante e la figura del nemico sembrava quasi scomparire, una pioggia adesso lo toccava in quel nero corridoio, sciogliendosi a contatto con le vestigia dell’Avvoltoio e rendendolo debole.

"Poison Rain", sussurrò Varuna, "questa è la prova, uomo, che tu non sei ancora capace di battermi, finché avrai questi semplici poteri, nessuno può bloccare l’acqua con un’Ascia, specialmente se quest’acqua è avvelenata, come quella in cui mi posso tramutare io, o che posso sviluppare come una pioggia fragorosa", spiegò la divinità indiana, avanzando verso il nemico.

Koryo stesso era impegnato in una dura prova di forza con la divinità a lui avversa, "Sei abile, guerriero, non per nulla sei uno dei Beast Keeper, ma dimmi, dove si trovano i tuoi tre compagni? Byakko, Genbu e Suzaku?", domandò Durga, facendo forza sulla propria ascia.

"La Tigre dell’Ovest e la Tartaruga del Nord sono cadute in passate battaglie, mentre la Fenice doveva difendere qualcosa di più prezioso per lei", rispose il guerriero di Seiryu, cercando di superare in abilità e forza la divinità nemica, ma in quel momento il cosmo della dea esplose, gettando indietro Koryo.

"Come qualcosa di più importante?", tuonò poi Durga, "Più importante del proprio dovere di guerriero cosa c’é?", incalzò, "La famiglia e la casa, che Suzaku ha ed a cui io ho rinunciato anni fa. Quella stessa famiglia che io rivedo nei compagni d’addestramento che ora sono compagni di battaglia ed in coloro che come me credono negli uomini", spiegò Koryo, rialzandosi di scatto e ponendo la spada nella custodia, pronto per lanciare il suo attacco.

"Intanto, mi accontenterò di affrontare te, Seiryu, Drago Celeste dell’Est", esclamò la dea, sollevando l’ascia con ambo le mani.

"Ascia Indiana", urlò Durga, "Shuten Shatsu", replicò Koryo, scattando in avanti alla velocità propria di quell’attacco. Ma ancora una volta accadde qualcosa di strano: la potenza del colpo di Seiryu si perse sulle bianche rocce, distruggendone una decina prima che il Beast Keeper si accorgesse di essere al di fuori della Nera Torre, fra le montagne indiane, insieme a Jenghis, apparentemente stordito, ma vivo, salvo dal colpo di Varuna, e vicino ad Awyn, svenuta e ferita.

Tok’ra e Botan cercavano in tutti i modi, intanto, di evitare i fendenti che Kumara lanciava loro con la propria lancia, dei colpi splendidi per potenza e precisione, che se non raggiungevano il nemico con la punta, lo avrebbero fatto con l’asta ad essa congiunta nella rotazione dell’arma fra le mani del dio.

Dopo alcuni minuti di accanita battaglia, i due santi d’oro erano più che stanchi, quasi stremati per la velocità con cui il dio li attaccava, specialmente Botan, inadatta a scontri così lunghi e fondati sulla forza puramente fisica, si trovava in difficoltà ad affrontare quel dio avverso, ma nessuno di loro aveva potuto fare a meno di percepire i cosmi dei loro alleati scomparire, uno dopo l’altro.

"Hai sentito anche tu il cosmo di Awyn andarsene e subito dopo anche quelli di Koryo e Jenghis?", domandò perplessa la sacerdotessa d’oro, "Si, ma non credo che siano morti, ho avuto come la sensazione che qualcosa li spostasse, qualcosa di molto vicino", bisbigliò il santo di Virgo in tutta risposta, poco prima che un altro attacco di Kumara rapisse la loro attenzione.

Il dio si mosse con velocità, affondando la lancia fra i due e cercando di dividerli, per poi tentare una spezzata orizzontale con la lama dell’arma, prima verso destra, poi lungo la sinistra, dirigendosi contro ambo i nemici e cercando di decapitarli.

Con veloci movimenti, però, i due si spostarono sui lati, "Cancer light", esclamò allora Botan, incapace di attendere oltre e decisa a tentare almeno un attacco, l’unico offensivo che lei avesse.

Kumara, però, aprì semplicemente la mano, fermando l’attacco nemico, "Tutto qui?", domandò con tono superbo, "No, dio indiano, quella era solo la distrazione", replicò Tok’ra, espandendo il proprio cosmo, "Abbandono dell’Oriente", aggiunse poi il santo d’oro, lanciando il proprio attacco fondato sulla concentrazione verso la divinità nemica, che lo bloccò spezzandolo con la propria lancia.

"Sempre insoddisfatto mi trovate, cavalieri", replicò con tono più serio il figlio di Shiva, avanzando verso il santo di Virgo, "Per cosa combattete? Per gioco, o per dovere, se aveste principi più profondi, forse sapreste battermi", li ammonì la divinità.

In quel momento, però, un cosmo dorato circondò Kumara, "Chele del Granchio", esclamò Botan, mentre Tok’ra si preparava ad un nuovo attacco.

"Noi combattiamo per la Giustizia e per gli uomini. Da millenni, da quando Atena è giunta sulla Terra, lei ha sempre creduto che gli esseri umani avessero il diritto di vivere in pace senza che un dio scegliesse il loro destino a proprio capriccio, o secondo i pareri avuti in brevi momenti di vita con gli uomini", spiegò il santo di Virgo, aumentando il proprio cosmo, "ed ora, divino Kumara, preparati a subire di nuovo il mio attacco", continuò poi, "Abbandono dell’Oriente", urlò in seguito, lanciando di nuovo quel colpo, che fu però fermato da un fulmine.

"Bravi, cavalieri d’oro, avete superato la prova", esclamò Indra, alzandosi in piedi, "Prova?", ripeté Botan, "Si, mi è sorta questa curiosità di vedervi in azione quando Rama è morta, ma, sentendo i vostri pensieri e quelli degli altri guerrieri che affrontavano i miei soldati in questa Torre, ho deciso che per oggi vivrete", spiegò il dio delle Pioggie, "ma, se tenterete di nuovo di opporvi a me, non ci sarà più pietà nel mio cuore per voi, che siete pur sempre uomini, seppur guidati da puri principi, quindi cadrete", minacciò il dio indiano, prima di sparire da dinanzi agli occhi dei due santi d’oro che si ritrovarono con i loro tre compagni di battaglia.

"Che cos’é successo?", domandò Koryo, "Indra, ci ha risparmiato la battaglia perché ha letto bontà e giustizia nei nostri cuori", rispose perplesso Tok’ra, "Non è quindi una divinità maligna?", domandò allora Jenghis, "Non lo so", replicò il santo di Virgo, "ma parleremo di questo con i nostri compagni, poi decideremo cosa fare", propose infine il cavaliere d’oro, prima di lasciare l’India con i propri alleati.