Capitolo 32: I due concili

Il Tramonto era sceso su quella calda giornata, al Grande Tempio di Atene tutti coloro che erano sopravvissuti ai diversi scontri erano adesso seduti nelle stanze del Sommo Sacerdote, le stesse dove la sera prima avevano già discusso.

Il gruppo era seduto intorno ad un tavolo, Mamiya era l’unica in piedi, aveva una lunga pergamena in mano, Dorton, il cui braccio sinistro era fasciato, la invitò a sedersi vicino a lui.

Fu Ryo di Libra il primo a prendere la parola, "Cavalieri, questa che è appena passata, è stata una giornata dura per ognuno di noi. Molti nemici sono caduti, ma anche degli amici ed alleati ci hanno lasciato, ognuno ha perso qualcuno a cui teneva e che vedeva come un fratello, magari", esordì il santo della Bilancia, riferendosi a Koryo di Seiryu che aveva perso la vita contro Kaspian.

"Ma da queste battaglie non dobbiamo restare segnati per sempre. Ci sono costate delle vite, ma anche gli eserciti al servizio degli Horsemen sono diminuiti di numero. Morrigan adesso può contare solo sulle sue sorelle, Apophis ha solo tre servi con se e medesima cosa vale anche per Indra, quindi, sconfitti loro, i Quattro Cavalieri resteranno soli", osservò il figlio di Shiryu, "Ma sono proprio quei quattro il nostro problema più grande", obbiettò Neleo di Hammerfish.

"Lo so, generale dei Mari, ma per questo i due Runouni nostri alleati hanno cercato e trovato una pergamena dove, forse, sono nascosti i segreti per sconfiggerli", replicò con voce cupa il santo della Bilancia, invitando Mamiya a prendere la parola.

La giovane guerriera di Giada iniziò a leggere da quel testo antico, "Chiunque sia tu, che oggi inizi a leggere da quest’antica pergamena, sappi, giovane amico, che ciò che qui vedrai riportato sono fatti avvenuti in un’era in cui gli uomini combattevano fra loro seguendo il dovere di decine di divinità distinte, che degli uomini facevano le loro legioni.

In questo breve trattato, narrerò della più grande minaccia che mai abbia solcato la terra, gli Horsemen, i quattro Cavalieri che portano la fine, l’Apocalisse, io, Shew del Cane, sono l’ultimo rimasto dei dodici Runouni che li sconfissero.

Quando l’ordine di cui faccio parte fu costituito, la Guerra con gli Horsemen era già iniziata da decine di secoli, essi erano immortali, ma la loro non era una vita eterna simile a quella degli dei, che si compiacciono dell’eternità e la sfruttano per guidare gli uomini, questi quattro esseri erano immortali grazie all’anima di Caos che li lasciava vivere attraverso le loro armature, solo una cosa costoro amavano: la distruzione.

Il nostro primo incontro con i Quattro, portò alla morte di due di noi, il Bufalo e la Capra, persero la vita in una battaglia assurda, in cui le nostre semplici forze non bastarono per abbatterli tutti, né furono sufficienti a scoprire il mezzo che sarebbe poi servito per vincerli.

Questo mezzo, come ora è stato da me definito, è qualcosa di incorporeo, ma che potrei definire Volontà divina. Solo ciò che è di natura non mortale, infatti, può scalfire ed uccidere i Quattro, come poi scoprimmo. Questa scoperta, però, non ci concesse facile vittoria. Affrontammo i nostri nemici con armi divine, ma questo non bastava ancora, dovevamo trovare in noi i loro opposti, solo la dualità dei Quattro cavalieri sarebbe stata utile per sconfiggerli.

Per primo cadde Kaspian, la Pestilenza. Contro di lui in due persero, per primo il Serpente, poi, subito dopo, la Scimmia, Goki, che, armato del bastone del Tuono, dono di un dio Nipponico, riuscì a trovare in se la Determinazione di un dio, l’unica arma che poteva finire quel Cavaliere.

Poi fu il tempo di Silas, contro di lui altri due di noi caddero, per primo il Cinghiale, ma dopo di lui, fu Marrida della Tigre, con la Sciabola sacra di Visnù a sconfiggere quell’essere, trovando in se la Quiete di un Dio.

Contro il più terribile dei Quattro, Kronos, fummo tutti sorpresi, poiché né le armi divine, né le esplosioni ultime dei cosmi potevano niente, la Lepre, il Gallo ed il Topo caddero senza poter far niente, fu poi Raoh del Cavallo, il Re Nero, come lo soprannominò poi il mio comandante, a sconfiggerlo, con la Sapienza e la Pace di un dio, spegnendosi con lui.

Per ultimo rimase Adam, la Morte, e proprio contro di lui andò colui che mi comandava, Shin del Drago, che si era sacrificato, impossessandosi del Soffio del Fuoco, che solo chi aveva accettato il baratro fra la vita e la morte poteva usare. Così, nel vedere i miei compagni cadere, seppur riportando anch’io delle ferite, sono sopravvissuto a quella Guerra, mio caro lettore, solo per informare il mondo che quel pericolo sarebbe potuto tornare in un’era in cui le guerre divine erano immani, oppure quando il destino degli uomini era pronto a finire", concluse Mamiya.

I cavalieri si fissarono tutti fra loro, nessuno aveva intenzione di prendere la parola per primo, mentre la Runouni del Topo si sedeva di nuovo.

"Dunque è questo il motivo per cui Koryo è morto?", domandò all’improvviso Jenghis, che sedeva su una piccola poltrona, chiaramente ferito per i colpi subiti quel giorno da Varuna, "Si, perché egli immaginava che una volontà divina avrebbe finito ciò che la sua Spada era riuscita ad iniziare, cioè superare le difese di Kaspian", rispose Tok’ra di Virgo con voce cupa.

"Ed allora noi che dobbiamo fare?", domandò Lorgash, "Trovare Sapienza, Quiete e Determinazione divina, oltre a quel Soffio di Fuoco?", incalzò il cavaliere di Capricorn, "Non so che cosa vogliano dire quelle parole di preciso, santo d’oro", replicò Mamiya, "ma credo siano un livello di consapevolezza quasi superiore all’ottavo senso", concluse.

"Che intendi dire?", aggiunse subito Botan, chiaramente sorpresa da quella teoria, "l’ottavo senso è la conoscenza ultima, che vince la morte stessa", spiegò la Sacerdotessa d’oro, "Si, questo è esatto, ma credo che i sensi mortali siano gli unici la cui soglia di definizione sia chiaramente distinguibile", ipotizzò Mamiya.

"Mi spiego meglio", aggiunse poi la Runouni, "conoscete le frequenze delle onde elettromagnetiche? Vi sono delle bande che vanno delle microonde ai raggi gamma, ebbene, penso che per i sensi sia lo stesso. I cinque sensi sono le fasce più basse, poi vi è l’intuito, il sesto, quindi la conoscenza ultima del piano mortale, il settimo, infine, l’ottavo, che fa avvicinare sempre di più agli dei. Ebbene, come il limite della frequenza delle onde gamma non si sa quale sia, così, non possiamo sapere quale sia la massima conoscenza data dall’ottavo senso. Non è qualcosa che penso si acquisti in poco tempo, se non ad un livello intuitivo, ma credo che, dopo molti addestramenti, potremo controllare questa conoscenza ultima senza problemi", concluse la guerriera di Giada.

"Se ho ben capito", esordì Anhur, "tu ci proponi di allenarci per riuscire a battere i Quattro Cavalieri in futuro?", domandò il Pharaon, senza però ricevere risposta, "Perché per ora non pensiamo ai loro servi? Indra, Morrigan ed Apophis?", concluse allora il guerriero egizio con voce nervosa.

"Si, anche loro sono un problema, ma non possiamo andare tutti ad affrontarli", osservò Camus dell’Acquario, "Anche domani Kronos, o qualcuno dei suoi fratelli, potrebbero attaccarci qui al Santuario", suppose Odeon di Leo.

"Su questo hai ragione, cavaliere del Leone, e proprio per questo volevo proporre a tutti voi di dividerci in più gruppi, di cui due sarebbero rimasti qui, uno per sorvegliare i feriti, l’altro per trasportarli in un posto sicuro, che Golia mi ha detto conoscere", concordò Ryo di Libra, riprendendo la parola.

"Che posto è?", domandò Elettra, che malgrado le ferite erano seduta con gli altri a quel tavolo, "Un luogo dove siamo già stati, almeno io, Botan, Odeon e Neleo, il luogo dove Sial ha riparato le nostre vestigia insieme a tre seguaci di Efesto, le sue ancelle, come si definiscono loro. Un luogo che reputo abbastanza sicuro, date le decine di caverne che lo compongono", spiegò Golia del Toro, prendendo la parola.

Nessuno obbiettò alla proposta.

"Bene", esordì Ryo, "allora, vorrei chiedere innanzi tutto, a Mamiya, Botan e Tok’ra di comporre il gruppo che trasporterà i feriti, sono i più adatti, grazie alle loro doti di telecinesi e teletrasporto", iniziò il santo di Libra, ricevendo l’assenso da tutti e tre, anche dal santo di Virgo, sorprendentemente.

"Dorton, Golia, Neleo, Kain, potete occuparvi voi di difendere il Santuario? I feriti più gravi sono pochi: i cinque santi d’argento, Bifrost, l’amazzone, la baccante e Jenghis", continuò il figlio di Shiryu, ricevendo questa volta qualche opposizione.

"Noi santi d’argento siamo pronti a combattere, non vogliamo restare qui", esclamò per prima Zadra, le cui parole furono incoraggiate dai suoi quattro parigrado, "No, sacerdotessa dello Scultore, le tue mani con le ossa fratturate non sono pienamente d’accordo con lo spirito deciso che hai. Tua sorella non ha poi così tanta forza in corpo, oltre al gran numero di ferite che la ricoprono, medesima cosa vale per Daidaros e Kano, infine, Real, è ancora privo di vista, quindi non posso chiedervi di unirvi a nessuno dei gruppi di guerrieri", replicò Odeon di Leo, invitando la Malefica Scultrice a sedersi.

Real della Lira non obbiettò a quelle parole, ma, vicino a lui si alzò Bifrost, "Ammetto che i cinque santi d’argento siano feriti, cavalieri d’oro, e che voi vogliate il loro bene, ma non potete chiedere a me, servitore di Asgard di seguire i vostri ordini, non accetterò di restare qui ad attendere la fine di una guerra", esclamò il God Warrior.

"No, Bifrost, tu non devi seguire le richieste dei santi di Atena nostri alleati", concordò Freiyr, "ma devi obbedire ai miei ordini e come tuo Re, concordo con le parole di Odeon, tu non verrai sui campi di battaglia domani", esclamò con voce decisa il figlio di Siegfried, "Io ed i due guerrieri celtici sconfiggeremo definitivamente Morrigan, tu aspetterai qui, poiché fin troppi sudditi di Asgard sono caduti senza che il loro Re potesse fare niente per impedirlo", concluse prima di voltarsi verso Zadra e Helyss.

"Se posso chiedere a voi, sacerdotesse d’argento, come figlie della mia stessa terra, un favore, vorrei che anche voi restate qui, al Santuario, a curare le ferite che avete ricevuto con la vostra vittoria", propose il Signore di Asgard, ricevendo il consenso di tutti e tre i suoi interlocutori, che, seppur con dispiacere, dovettero accettare quelle parole e si piegarono al volere dei più.

"Io e Daidaros, però, non resteremo qui", incalzò allora Kano del Pavone, "poiché entrambi ancora non abbiamo ancora trovato vittoria sul campo di battaglia, né abbiamo ferite così gravi da doverci fermare", affermò il cavaliere d’argento.

Nessuno dei presenti seppe che replicare, nemmeno i due con la maggiore influenza sui cavalieri, Tok’ra e Kain. Ryo guardò con attenzione fra i suoi pari e gli alleati seduti a quel tavolo, nessuno si oppose a quella replica, "Bene, allora seguirete me e chiunque altro verrà in India, a combattere Indra ed i suoi seguaci", esclamò il santo di Libra.

Fu allora Neleo a prendere la parola, "Noi, cavalieri, non resteremo qui al Santuario", esclamò il mariner, "né io, né Kain, abbiamo un oggetto da recuperare, un’arma che potrà esserci utile nella battaglia finale con gli Horsemen, almeno così speriamo", spiegò il generale di Hammerfish.

"Che cosa volete fare?", domandò Esmeria, rivolgendosi al fratello, "Partiremo domattina e cercheremo di recuperare il Tridente di Nettuno, nascosto nel Regno dei Mari, probabilmente ci vorrà l’intera giornata, dato il luogo in cui è custodito", rispose il figlio di Ikki alla sorella.

"Andate pure", concordò Golia, "per difendere il Santuario ci penseremo io e Dorton, spero che ce la faremo", spiegò con un gentile sorriso il santo del Toro, "Io vi aiuterò", esclamò allora Jenghis, intromettendosi nel dialogo, "non sono di certo così malconcio da dover star sdraiato l’intero giorno", concluse, impugnando la propria Ascia.

Nessuno obbiettò a queste parole.

"Bene, allora se voi agirete così, ora ho solo da chiedere come ci divideremo per i tre luoghi in cui dobbiamo andare", affermò Lorgash, prendendo la parola.

"Noi due, Pharaons, andremo in Egitto a difendere il nostro signore Ra da Apophis, che solo l’invasione della sua Piramide da parte di una divinità nemica aspettava per attaccarlo", rispose prontamente Anhur di Selkit, mentre Sekhmet si alzava insieme a lui, "Io li seguirò, perché i seguaci del dio Serpente devono pagare l’invasione di Cartagine", aggiunse Esmeria, "Anch’io, come guardiano di Era e servitore della sua Regina, andrò con loro", concluse Joen del Pavone.

"Noi due torneremo in Scozia, per difenderla da Morrigan e le sue sorelle", esclamò Rhiannon del Fico, "E speriamo che il Re di Asgard venga con noi, poiché su di lui pesa il destino del sommo Dagda", aggiunse Taranis.

"Che vuoi dire?", domandò il figlio di Siegfried, "Il nostro signore, il Tree Monk del Faggio aveva segnato nel suo destino di guidarci contro Morrigan, solo lui avrebbe potuto ferirla e sembra che adesso tu debba condividere quel destino che per colpa di Pontos è stato sradicato. La dea della Distruzione lo ha capito, ha paura di te", spiegò il guerriero celtico del Nocciolo, "Accetto con onore di continuare ciò che Dagda non ha potuto mai compiere a causa del nostro scontro", rispose semplicemente Freiyr.

"Allora saremo noi cavalieri d’oro a raggiungere l’India e combattere contro Indra", osservò semplicemente Lorgash, guardando Camus e Ryo, che concordarono con lo sguardo, "E noi due saremo con voi", concluse Daidaros di Cefeo.

Il concilio si sciolse dopo queste ultime decisioni, i cavalieri si divisero per andare a riposare quelle poche ore che gli restavano prima dell’alba.

In un altro luogo, la caverna in cui gli Horsemen ed i loro alleati erano nascosti, un altro concilio era in atto.

"Finora abbiamo perso più seguaci di quanto ci aspettavamo, inoltre i nostri nemici sembrano essere fin troppo potenti per voi", esordì Kronos, chiaramente infuriato, "ma, domani, sarà l’ultimo giorno concessovi per dimostrare che non ci sbagliavamo nell’allearci con voi. Se ci deluderete di nuovo sarà peggio per voi", continuò l’Horseman rappresentante la Guerra, prima di fermarsi dinanzi ad Indra.

"Dio delle Tempeste, hai per caso dei dubbi sul nostro modo di fare?", domandò con voce dura il Cavaliere, "Pensi che non dovremmo spazzare via l’intera razza mortale e quella immortale che ti ha rinchiuso? Vorresti per caso sfruttarci per poi ritorcerti contro di noi?", tuonò Kronos, bloccando la gola di Indra ed iniziando a strozzarlo.

Kumara aveva appena avvicinato la mano alla propria lancia quando un gesto del suo signore lo fermò, "Non ti preoccupare, Kronos, non ti deluderemo di nuovo, non stavolta, ormai ho capito chi fra me e voi è più potente", sussurrò con un filo di voce il dio delle Tempeste, prima che l’Horseman lo lasciasse.

In quello stesso momento Kaspian si avvicinò ad Apophis, "Serpentello, tu, invece, sembri esserti preoccupato solo del tuo tornaconto", osservò l’Horseman rappresentante la Pestilenza, "ora che hai ciò che volevi, il diritto di entrare nella piramide di Ra, devi portarci un trofeo", sussurrò l’assassino di Koryo, "vogliamo la testa del dio del Sole egizio", concluse, mentre la sua mano si appoggiava sulla spalla del dio Serpente.

"Oppure scoprirai quale liberazione ci sia nell’essere decapitati", concluse Kaspian, mentre il suo cosmo spingeva Apophis ad inginocchiarsi per il dolore.

Dinanzi a Morrigan, intanto, si pose Adam, la Morte, "Kronos mi ha detto che tu hai paura del tuo destino, dell’unico mortale che può ucciderti e questo è ovvio, specialmente in una divinità la paura di morire è grande, ma sappi che se non ci darai la testa di questo mortale, vincendo la tua fobia, allora scoprirai che non solo quell’individuo può strapparti via il respiro della vita", concluse freddamente l’Horseman dalla candida armatura, mentre la dea celtica tremava dinanzi a quelle parole.

"Ora andate, nostri seguaci", ordinò Kronos, "poiché sorgerà quest’oggi la prima delle albe senza sole a cui la terra è ormai destinata. Immani nuvole copriranno il Cielo in tutto il mondo, niente più bagliori, né di luce, né di speranza, dovranno rinfrancare i cuori degli uomini", tuonò il Cavaliere della Guerra, prima che il loro esercito si allontanasse, disperdendosi verso i luoghi decisi per i loro nuovi attacchi in quello che sarebbe stato il terzo giorno di battaglie.