Capitolo 33: Barriera multiforme

L’alba era ormai giunta, ma sembrava quasi che le nuvole si volessero opporre a questa realtà, poiché avevano oscurato interamente il cielo ed una pioggia incessante percuoteva da alcuni minuti ogni parte del globo, quasi com’era successo vent’anni prima, quando il possente signore dei Mari aveva tentato la conquista della terra.

Questo scenario aveva accompagnato i diversi guerrieri delle divinità olimpiche e di quelle a loro alleate nel momento in cui si erano divisi, per dirigersi ognuno in un luogo diverso, incontro a destini distinti, ma tutti uniti dalle medesime speranze di salvezza.

In Egitto, dinanzi all’immane piramide nera consacrata al dio Ra, apparvero i primi quattro inviati di questa alleanza: due di loro conoscevano bene quel luogo dove ben presto sarebbe scoppiata una grande battaglia, ma gli altri vi erano nuovi, giacché mai prima d’ora avevano calpestato quella terra sabbiosa. Ad accogliere i quattro vi era Thot, il saggio dio dal volto d’Ibis.

"Benvenuti, guerrieri di Cartagine, e bentornati, fedeli Pharaons consacrati a Ra", li salutò il dio egizio, "Sommo Thot", ricambiarono con un inchino Sekhmet ed Anhur, salutando la divinità a loro sacra.

"Il grande Ra ha accettato che la sua somma Piramide fosse il luogo di questa che, spero, sarà l’ultima battaglia contro Apophis e gli dei che lo seguono", iniziò a spiegare il dio, "ma, come consuetudine, cinque dei sette cunicoli sono stati otturati diverso tempo fa, quindi non potrete distribuirvi ordinatamente lungo il percorso, come era abitudine di voi Pharaons", concluse, invitandoli a seguirlo.

"Quali cunicoli?", domandò, però, Esmeria di Suzaku, fermando il passo di tutti.

"Questa piramide è costituita da sette vie che conducono presso il Sommo Ra. Le due più esterne erano custodite da Bes di Anukis e Knuhum di Hebet, entrambi morti durante l’assalto dei titani seguaci di Urano, poi vi erano quelle custodite da Sed di Vepvet, morto durante la battaglia contro i cavalieri neri, e quelle di Knosus di Uptat e Ihi di Khepri, caduti entrambi in questi giorni di scontri", spiegò Anhur, rivolgendosi alla figlia di Ikki.

"Presso di noi Pharaons è usanza che, dopo la morte di un guerriero, la sua armatura venga sepolta nel cunicolo che lui custodiva fino all’investitura del suo successore", aggiunse Sekhmet, "quindi ci sono solo due vie per raggiungere il nostro Signore Ra", spiegò infine.

"Se vi sono solo due vie dentro la piramide", esordì allora Joen, "io aspetterò qui il primo nemico", suggerì il Goshasei, "Che cosa?", domandò subito dopo Esmeria, "Si, mia Regina, è il metodo migliore. Io costituirò la prima barriera, poi, all’interno della Piramide, voi tre vi dividerete come preferite per combattere chiunque riesca a superarmi", rispose semplicemente il Guardiano di Era, mentre dei cosmi oscuri e potenti si presentavano nell’ampia duna bagnata dalla pioggia.

"Presto, entrate, qui resterò io", suggerì il Goshasei, mentre i tre guerrieri suoi alleati seguivano Thot verso l’interno della Piramide, "Attento", fu l’avviso di Esmeria, prima di scomparire all’interno della costruzione.

Passarono pochi attimi, poi Apophis ed i suoi tre alleati apparvero dinanzi al Goshasei, che li attendeva quietamente, "Mortale, cosa fai tu qui? Perché non c’è uno dei due Pharaons a sfidarci?", tuonò il dio dal capo di Serpente, "Per il semplice motivo che loro attendono all’interno della Piramide, insieme alla mia Regina, ma questo non è problema per voi, dei egizi, poiché sarò io il vostro avversario", minacciò il guerriero consacrato ad Era.

"Togliti di torno, insetto", minacciò Seth, avanzando verso il nemico, ma una mano lo fermò, "Lascialo a noi, Seth, egli è già sopravvissuto due volte ad uno scontro con la nostra persona, è tempo che gli mostriamo di cosa siamo capaci", minacciò Aker, mostrandosi al nemico.

"Che ne dici, mortale? Concederai ai nostri padroni ed al nostro pari di passarti, come noi ieri lo abbiamo permesso alla tua Regina? Oppure preferisci affrontare due divinità insieme? Noi e Seth?", incalzò beffardo il dio con i volti di Leone.

Joen rifletté alcuni secondi, poi con volto deciso si rivolse ai suoi quattro avversari, "Sia, permetterò ai tuoi tre alleati di proseguire, dinanzi a loro troveranno poi due cunicoli e fra questi dovranno scegliere che via percorrere, ma tu, Aker, preparati a cadere qui, oggi", minacciò il giovane Goshasei, mentre il suo cosmo verde splendeva intorno a lui.

I tre dei lasciarono subito quello che sarebbe diventato di nuovo un campo di battaglia, dopo lo scontro avvenuto circa un anno prima fra Bes di Anukis, Rabat ed Osol.

Quando i due nemici si ritrovarono da soli, nessuna parola passò fra loro prima che lo scontro iniziasse, ma si scatenarono subito in furiosi attacchi.

"Two lions roar", invocò il dio egizio, scatenando le due lingue di fuoco dalle proprie braccia, "High green Wall", invocò il Goshasei, sollevando la barriera di luce verde dinanzi a se, così da parare quei possenti attacchi, che però, risultarono chiaramente indebolire il cosmo del figlio di Tige.

"Malgrado le tue parole, Guardiano di Cartagine, sembra che nemmeno oggi tu riesca a controllare la tua quantità di energia nella difesa, chissà, forse questo luogo sarà veramente lo scenario in cui finiremo il nostro scontro con te", lo derise il dio egizio, lanciando di nuovo il medesimo attacco.

Questa volta, però, nel sollevare la propria barriera, Joen gli diede una forma diversa, a cupola, coprendo interamente la propria persona da tutti i lati. Questa nuova forma del "High green wall", sembrò parare l’attacco nemico senza spendere una quantità d’energia eccessiva rispetto a quelle precedenti.

"Che cosa?", esclamò sorpreso Aker, "Una nuova forma di difesa, un suggerimento di un amico che come me ha dovuto tramutare la propria difesa per sconfiggere Ptah, il tuo alleato", spiegò il Goshasei, memore delle parole che quella notte gli aveva detto Golia, del racconto su come gli fosse tornato in mente il loro comune maestro e padre di Joen, Tige.

"Una cupola che funziona come un conduttore elettricamente indotto, se tu, divinità egizia antica, sai cosa ciò voglia dire", lo derise Joen, "Two lions roar", esclamò infuriato Aker, scatenando di nuovo il medesimo attacco, che ancora una volta andò spegnendosi sulla superficie semisferica, che non consumò nuova energia del Goshasei, usufruendo della stessa che lo aveva sollevato.

"Come può essere?", tuonò Aker, scatenando nuovamente lo stesso attacco, che ancora una volta fallì dinanzi a quella difesa che non spendeva eccessivamente l’energia del Goshasei.

"Un conduttore ha un equilibrio al suo interno dato all’assenza del campo elettrico, proprio per questo le cariche si dispongono equamente sulla superficie esterna, per poi portare ad una differenza di potenziale, e quindi ad un aumento della carica sulla superficie, solo quando sono vicini ad un corpo che ha già una sua carica elettrica. In quei casi, sulle superfici del conduttore adiacenti al corpo carico, si disporrà una carica eguale in modulo, ma opposta nel segno a quella del corpo carico che gli si avvicina. Medesima cosa fa questa barriera a cupola, su cui l’energia si dispone equamente finché tu non la attacchi, così da aumentare nel punto colpito, diminuendo in zone dove il pericolo è minimo", spiegò il figlio di Tige, "questa tecnica mi permettere di trattenere una quantità sufficiente d’energia da utilizzare nei colpi", concluse poi, espandendo il proprio cosmo verde.

"Lighting waves", esclamò il Goshasei, scatenando le onde di luce che si lanciarono contro il dio egizio, travolgendolo e gettandolo al suolo.

Aker, però, si rialzò subito, chiaramente illeso, "Malgrado questo colpo aumenti sempre di velocità ogni volta che lo subiamo, pensi davvero che un attacco così elementare, che rivediamo già per la terza volta, ci possa far del male? Noi siamo divinità!", esclamò il dio egizio, espandendo nere fiamme intorno a se.

"Grazie alla tua stessa spiegazione, potremo superare la tua barriera, con il nostro secondo colpo, che sembra tu non contemplassi nei tuoi studi", tuonò la divinità, "Occhi dei Leoni", invocò poi, mentre le quattro sfere di fuoco si lanciavano contro Joen, fendendo l’aria e la pioggia che intorno ai due nemici cadeva.

Le nere sfere fiammeggianti corsero verso il loro bersaglio, che non si mosse dalla posizione in cui era, "High green wall", esclamò però il Goshasei, disponendo intorno a se una barriera diversa dalla precedente, non una cupola, bensì un sottile mantello verde, che ne copriva interamente la figura, ma maggiore per densità d’energia, una tale quantità da indebolire chiaramente il giovane guardiano, che riuscì, però, a salvarsi dall’attacco nemico.

"Un’altra forma alla tua barriera?", esclamò sorpreso Aker, "Si, divinità egizia, molteplici sono gli aspetti che posso dare alla mia difesa, questa è una delle cose tramandatemi dagli insegnamenti paterni, ma non è l’unica", affermò con determinazione Joen, espandendo di nuovo il suo cosmo.

"Dobbiamo ammettere che sei un grande avversario, Guardiano di Cartagine, ma ormai le tue forze stanno per finire, quindi devi accettare la resa e la morte che da essa dipenderà, poiché noi, Aker, vinceremo su di te e su qualsiasi difesa disporrai", avvisò con tono deciso il dio egizio.

"Great Bomb", tuonò in tutta risposta il figlio di Tige, scatenando la grande sfera di luce esplosiva che corse inesorabile verso il proprio bersaglio, "Occhi dei Leoni", replicò la divinità avversa, scagliando anch’egli il suo attacco contro il nemico.

Aker fu travolto dall’attacco nemico, cadendo rovinosamente al suolo, mentre una gigantesca duna si creava intorno a lui a causa dell’esplosione subita. Joen, però, non ebbe maggiore fortuna, poiché le sfere di fuoco lo travolsero, ormai privo di difesa alcuna, lanciandolo in aria e lasciandolo ricadere rovinosamente al suolo, quasi privo di forza.

Passarono alcuni minuti di silenzio, in cui solo il rumore della pioggia sulle vestigia dei due rompeva quella che sembrava una quiete di morte in quel deserto.

Poi si alzò il primo dei due, il dio che aveva una forza sconosciuta agli uomini, la forza che gli permetteva di sollevarsi in piedi in quel momento ed avanzare verso il suo nemico ancora al suolo, "Sei stato abile, Guardiano di Cartagine, ma ora conoscerai la morte", sussurrò fra se Aker, mentre barcollava verso l’avversario.

Joen, aveva sentito quelle parole, ma la sua mente correva a ricordi lontani, al giorno dell’investitura, avvenuta un anno prima della guerra contro Urano.

Ricordava con tristezza quel giorno il Goshasei del Pavone, lì aveva visto per la prima volta insieme i quattro Guardiani di Era, tutti intorno alla Regina Didone ed al suo sposo, Ikki della Fenice.

Vi era Medea dell’Anello, che la stessa Regina aveva addestrato in vista di quel giorno in cui avrebbe occupato il posto di Draka, caduta contro il dio Phobos, "A te, mia giovane allieva, dono le vestigia dell’Anello, di limpido splendore composte, degne di una Regina e quindi anche di chi, fra i mortali, dovrà difendere la Sovrana degli dei", aveva detto la moglie di Ikki, mentre le candide vestigia aveva ricoperto la guerriera proveniente da Asgard.

Subito dopo era stato il turno di Rume, ultimo dei figli dei regnanti di Cartagine ed allievi di Ikki, il più giovane e quindi di diritto il custode delle vestigia del Gabbiano. "A te, figlio mio, dono le vestigia del Gabbiano, l’animale che più di altri ama i suoi figli e quindi simbolo del legame famigliare consacrato ad Era, oltre che armatura che da sempre si tramanda al discendente più giovane del nostro casato, tu, Rume, futuro re di Cartagine", gli augurò allora la Regina, ignara del triste destino di suo figlio e del fortunato ritorno della figlia.

"Dopo la Comandante ed il membro della famiglia reale è il turno delle armi sacre ad Era", aveva poi esclamato la Regina, invitando il giovane Joen e colui che sarebbe diventato il suo più caro amico a farsi avanti.

"Per primo lo Scudo di Era, che fin dalle ere mitologiche è stato il Pavone sacro alla dea. Tu, Joen, figlio ed allievo di Tige, sei il nuovo Goshasei del Pavone, a te dono queste verdi vestigia, sappi, proprio come tuo padre, difendere fino all’ultimo la famiglia regnante e la dea a cui sei consacrato", gli augurò la Regina, mentre le vestigia si congiungevano al suo corpo.

"E dopo lo Scudo, la Spada, custodita nelle ali del Falco, che tu, Connor, discendente di Duncan ed allievo del Drago Divino di Atena, sei stato addestrato a controllare ed usare in nome della tua dea e Regina, Era", aggiunse poi, mentre anche l’ultima armatura si univa al suo padrone.

Quel giorno stesso, Tige aveva voluto parlare al figlio, per dargli l’ultima lezione come precedente Goshasei del Pavone.

"Come tu ben sai, figlio mio, noi Goshasei abbiamo un cosmo che alimenta in modo diverso dagli altri i nostri colpi", aveva iniziato, "se potessimo descrivere questa sensazione che anche tu hai già conosciuto, sarebbe simile ad un bicchiere che lentamente si svuota poiché ne beviamo l’acqua.

Devi però sapere che, come gli altri guerrieri, anche noi possiamo superare il limite concessoci, come il Re Ikki ha saputo bruciare la sua stessa forza vitale, raggiungendo lo stato di santo Divino, così anche noi Goshasei possiamo, io stesso lo feci, non ricevendone gli stessi effetti", spiegò il sopravvissuto della guerra contro Ares avvenuta vent’anni prima.

"Allora che successe, padre?", domandò il giovane Joen, "Fu quando combattemmo i figli di Ares, allora, dopo lo scontro con Rakis, in cui avevo speso tutta l’energia nell’attacco massimo che ti ho tramandato, non avevo più modo di difendere né me, né i miei alleati, ma, come tu stesso ben sai, resta in noi una quantità latente d’energia, una difesa interna che ci permette di rimarginare possibili ferite che subiamo in quel momento. Ebbene, figlio mio, io, in quella battaglia, utilizzai anche quella quantità latente, la feci esplodere, scatenandola in una barriera, misera in confronto alle precedenti, ma sufficiente a difendere me e tua madre Dafne dal colpo di Phobos, che cercò di eliminarla con un suo attacco.

Ricevetti delle cicatrici da quello scontro, dei segni che mi lasciò l’attacco del dio della Paura sulla schiena e questo sulla mano, che mi fece Deimos, il più potente dei figli di Ares", raccontò Tige.

"Quindi anch’io posso subire delle cicatrici se uso quest’energia latente?", domandò sorpreso Joen, il cui corpo non aveva mai riportato la minima ferita in maniera indelebile da quando il suo cosmo si era risvegliato durante gli allenamenti.

"Si, figliolo, ma non è questa la cosa importante, piuttosto, devi sapere quando e contro chi usare questa forza ultima, poiché una cicatrice è un danno minimo, ma saresti più vulnerabile del normale in questo caso", concluse il passato Goshasei, rivolgendo al suo figlio e successore.

Fu questo ricordo a ridare determinazione agli occhi di Joen, mentre gli artigli di Aker si conficcavano nel suo collo, sollevandolo dal suolo.

"Sei stato un ottimo avversario, mortale, ma è tempo per noi di ucciderti", avvisò il dio egizio, "Non ancora", sussurrò Joen, "c’è", balbettò con un filo di voce, prima che Aker lo tirasse a se, "Cosa?", domandò il dio, pronto a finire il nemico, "C’è un’ultima forma di barriera", ripeté il Goshasei, mentre una forza nuova prorompeva dal suo corpo.

Le mani di Joen si strinsero al collo del dio, "Una barriera offensiva", esclamò il guardiano di Era, lasciando esplodere nuovamente il suo colpo, "High green wall".

L’esplosione di luce, minore rispetto alle precedenti, si fece strada attraverso il collo del nemico, dilaniandolo e staccandolo dal resto del corpo, lasciando ricadere Joen al suolo, con delle ferite al collo ed attorniato dalla cenere, l’unica cosa che restava del suo nemico, il dio del Leone a due Teste.

"Mi auguro che la Regina stia bene", sussurrò il Goshasei, poco prima di svenire, vittorioso, nella landa di sabbia, sotto la pioggia battente.