Capitolo 8: I seguaci del Serpente

Sulle bianche coste di Cartagine sei cavalieri erano giunti con la speranza di fermare la nuova minaccia che, dopo l’attacco avvenuto poco più di un anno prima per mano dei titani e l’assalto del Nero Sagittario, aveva distrutto la gioia portata dal periodo di pace che vi era stato.

Le sei figure camminavano sulla sabbia della spiaggia con discreta naturalezza, tutti eccetto uno, "Come facevi a vivere qui, Kain?", domandò la voce di Neleo, l’unico inesperto nel camminare su lunga distese desertiche fra i sei.

"Generale dei mari, non dovresti lamentarti della sabbia di questo luogo, anzi è una delle più belle e pure che vi siano, perché consacrata alla dea Era", spiegò in quel momento Joen del Pavone, Goshasei sacro alla Regina degli dei, "Non so, guerriero olimpico, io ho sempre creduto che fossero i nostri dei egizi i signori dei deserti", replicò con tono ironico Anhur, avanzando lungo la spiaggia a gran velocità, come quasi tutti i suoi compagni in quella battaglia.

Il dialogo fra i due fu però fermato da un gesto di Esmeria, figlia di Ikki e Regina della città sacra ad Era, "Hanno superato le mura", esclamò preoccupata la Beast Keeper, indicando un gigantesco cumulo di macerie a pochi passi da loro, "Sono entrati dentro la città?", esclamò preoccupato Kain di Shark, generale dei mari e fratello della Regina di Cartagine, "Si, temo di si", gli rispose la sorella, osservandosi intorno.

"Eppure è strano", continuò in quel momento Sekhmet, l’altra Pharaon che costituiva il gruppo di guerrieri, "Cosa?", domandò Joen, "Che non abbiano lasciato una retroguardia", osservò la guerriera egizia, "No, credo invece che vi sia, semplicemente, non riusciamo a vederla", la contraddisse Anhur, il suo comandante, "quindi ponete attenzione, cavalieri", suggerì infine il combattente di Selkit, continuando ad avanzare.

In quel momento, quando i sei si trovarono dinanzi al muro di macerie ed Anhur si preparò a superarle per primo, un cosmo immenso proruppe da quelle rocce, lasciandole esplodere e mostrando la figura che si nascondeva sotto di loro.

Un gigantesco guerriero dal volto nascosto in una maschera a forma di toro apparve dinanzi ai guerrieri. L’armatura ricordava in tutto e per tutto il corpo dell’animale, le zampe coprivano braccia e gambe, il tronco era nascosto in un singolo pezzo di metallo scuro, lavorato per rappresentare la figura di un uomo con la testa di toro, medesime immagini erano ritratte sui gambali e sulle coperture superiori. Non aveva spalliere quell’armatura ed un sottile gruppo di lastre metalliche nascondeva la cinta, il resto del corpo era invece custodito in nere bende, simili a quelle di una mummia, ma, all’apparenza, sporche.

"Il dio Ptah", esclamò sorpreso Anhur, saltando indietro appena in tempo per evitare le macerie, "Il guerriero di Selkit, lo scorpione", ringhiò quell’essere divino con un voce roca, sollevando le braccia dinanzi al corpo, così da mostrare i pugni ai nemici.

"Dobbiamo riuscire a superarlo", propose Esmeria, chiaramente interessata ad entrare nella città per difenderla dagli altri nemici egizi, "Lasciatelo a me", esclamò Kain, facendosi avanti fra i propri compagni.

"Fratello", replicò semplicemente Esmeria, chiaramente preoccupata, "Non ti preoccupare per me, sorellina, vai a difendere il luogo che ci vide nascere, di cui sei la degna Regina", suggerì il figlio maggiore di Ikki, "Si, ha ragione Kain", continuò Neleo, l’altro generale dei Mari, "ci occuperemo noi di costoro, questo gigante ed il suo amico, nascosto", spiegò il Mariner di Hammerfish.

"Ma che bravi, mi avete scoperto", ridacchiò una voce, tutti si chiesero chi fosse, finché una figura comparve lentamente, quasi prendendo forma dalla sabbia, un individuo dall’aspetto minaccioso il cui elmo sorrideva ai nemici sarcasticamente.

L’armatura sembrava crearsi in quel momento, prendendo forma dalla sabbia, con spalliere poco fatiscenti, apparentemente costituite da squame nere simili a piccole zampe, altrettante squame costituivano la copertura per braccia e gambe, mentre il tronco sembrava essere quasi una gigantesca coda che si chiudeva sul corpo del suo padrone, rappresentando un coccodrillo stilizzato al suo centro. L’elmo sembra la testa di quell’animale, le cui fauci non erano però allungate, bensì stilizzate sulla maschera.

"Sober, il coccodrillo che si agita minaccioso sul sacro Nilo", lo riconobbe subito Sekhmet, "Esatto, guerriera di Bastet, la gatta, sono proprio io, colui che domina la sabbia", si presentò la divinità nemica, il cui corpo presentava anche la presenza di bende per coprirlo.

"Lasciateli a noi", riprese poi Neleo, sollevando il proprio martello verso l’alto, per poi calarlo contro il suolo, così da occultare la vista ai propri nemici per alcuni secondi.

"Ptah, non farli passare", ordinò subito Sober, mentre il suo cosmo quietava la sabbia nei dintorni, ma ormai era tardi: servendosi della velocità della luce Joen, Esmeria ed i due Pharaons erano già entrati nella sacra città di Cartagine.

"Poco male, di loro si occuperanno altri", ridacchiò Sober, senza scomporsi troppo, "a noi questi due", continuò poi, prima di scomparire di nuovo nella sabbia.

"Ricordati, Neleo, mozzate le teste i loro corpi cadranno", avvisò Kain, guardandosi intorno, "Si, lo so", replicò il comandante dei Mariners.

"Ptah, voglio per me il monco", esclamò dal suolo Sober, prima di sollevarsi fra i due generali dei Mari, "si è lamentato della sabbia, quindi è un mio degno avversario", ridacchiò la divinità egizia, preparandosi alla battaglia.

Anche Kain e Ptah, intanto, erano pronti allo scontro.

Nello stesso tempo, oltre le mura difensive, i quattro guerrieri che ancora avanzavano, avevano trovato un nuovo nemico a fermarli, "Aker, il Leone a due teste", lo aveva subito riconosciuto Anhur, osservando la figura che avanzava verso di loro tra le nere fiamme di un innaturale incendio.

Era un uomo dal volto nascosto dietro una maschera rappresentante due mezze teste di leone fra loro congiunte malamente. L’armatura stessa era costituita dalla fisicità della bestia, le cui zampe coprivano gli arti al dio, mentre il corpo era custodito nel nero tronco dell’animale, mentre sulle spalle restavano altre due mezze teste della creatura famelica.

"Non possiamo lasciarvi passare, i nostri comandanti chiedono che noi, Aker, vi fermiamo qui, cavalieri, quindi decidete, morire, o combatterci", minacciò la divinità, sollevando le braccia in una posizione felina, "Costui parla al plurale?", domandò sorpreso Joen, "Si, nella nostra cultura Aker è un dio a due teste, quindi sono come due divinità in un solo corpo", spiegò Anhur.

"Bene, allora costui, o costoro, sarà il mio avversario", avvisò il Guardiano del Pavone, facendosi avanti verso il nemico, espandendo il proprio cosmo, "Regina, lei ed i due guerrieri egizi, avanzate, costui non avrà il tempo di rallentarla", spiegò il Goshasei, prima di lasciar esplodere il "Lighting waves" contro il suo avversario, che fu costretto a parare l’attacco multiplo con ambo le mani, movendosi ad una velocità superiore a quella del figlio di Tige.

"Cerca di sopravvivere", furono le uniche parole che Esmeria rivolse al suo fedele guardiano, prima di avanzare con i due alleati.

La battaglia fra Neleo e Sober, intanto, era iniziata. Il dio egizio si muoveva con facilità, nascondendosi nella sabbia, ma questo non aveva per nulla intimorito il generale dei Mari, "Seahammer", aveva piuttosto urlato il guerriero sacro a Nettuno, colpendo con l’energia del proprio martello il terreno circostante, così da sollevare la sabbia verso l’alto, creando un foro sul suolo.

"Davvero furba come tecnica, mortale, sollevare la sabbia verso l’alto, sperando così di trovarmi ed in effetti ci sei riuscito, ma devi sapere che la forza di Sober, il Coccodrillo, non sta solo nel celarsi nella sabbia, bensì si avvale di due tecniche così potenti e particolari che la maggioranza dei miei nemici, dalla notte tempi, preferivano evitare la battaglia con me se il terreno era costituito da sabbia", esclamò soddisfatto il dio, mentre il suo corpo si riformava in aria, diretto verso il nemico con le braccia spalancate.

"E sai perché?", continuò la divinità, "Perché i miei colpi sono dieci volte più efficaci su questo terreno", avvisò poi, aprendo le mani, "Crocodille’s bite", invocò poi il dio egizio.

In quel momento due fauci si allargarono ai lati di Neleo, che non riuscì ad evitare l’attacco, rimanendo rinchiuso dentro quella morsa d’energia e sabbia, "Sarai un lauto pranzo per la sabbia", ridacchiò Sober, atterrando al suolo, dinanzi alla bara sabbiosa.

"Non ne sarei così sicuro, dio delle sabbie", esclamò una voce da dentro le fauci, "Che cosa?", domandò Sober, "God’s Breath", invocò il Mariner in quel momento, sollevando l’intera sabbia intorno a se e scatenando un vortice di vento che travolse in pieno la divinità egizia, lanciandola in alto nel cielo.

"Ancora non capisci, cavaliere? Niente e nessuno può battermi qui, sul mio territorio naturale", ridacchiò la divinità, atterrando al suolo, scattando poi verso il nemico.

Neleo non riuscì a vedere i movimenti del nemico, "Sembra quasi che lui non si muova, ma scorra attraverso la sabbia", balbettò il mariner, non riuscendo ad evitare il colpo nemico, che lo raggiunse come un possente pugno, colpendolo in pieno stomaco e lasciandolo indietreggiare malamente.

Nell’indietreggiare, però, Neleo ebbe il tempo per tentare di colpire il nemico con il proprio martello d’oro, "Non ci riesci", ridacchiò Sober, "Ne sei convinto?", domandò Neleo, colpendo di nuovo il suolo con il martello, "God’s breath", invocò poi, quando la sabbia era ormai alzatasi nel cielo.

Sober, scomparso nel momento del colpo di martello, riapparve e, stranamente, fu travolto dalla corrente di vento, volando al suolo.

"Ho pensato che se tu fossi la sabbia, allora bastava colpire la sabbia e travolgerla poi con il mio attacco, non ti saresti più nascosto, o confuso, con i granelli, in quel modo saresti stato vulnerabile", spiegò Neleo, "ed effettivamente avevo ragione", concluse il generale dei Mari, sollevando il braccio con il martello.

"Crocodille’s bite", invocò allora Sober, ma questa volta Neleo fu più veloce ed evitò l’attacco nemico, spostandosi alle spalle dell’avversario e colpendolo con un movimento a falciare del martello, "Seahammer", invocò poi, investendo la pioggia di granelli, così da schiantare nuovamente Sober al suolo.

"Come vedi, dio egizio, sarà più difficile di quanto immagini vincermi", spiegò il comandante dell’esercito dei Mari, preparandosi a continuare la battaglia.

Anche lo scontro di Kain era ormai iniziato.

Ptah non era un nemico particolare come Sober, almeno questo sembrava a prima vista al generale di Shark, che finora aveva dovuto solo evitare dei semplici attacchi diretti, serie di puri pugni e calci, che con estrema difficoltà aveva saputo superare.

"Dunque, uomo", esordì il dio con la testa di Toro dopo un nuovo attacco andato a vuoto, "sei veloce, ti faccio i miei complimenti, ma mi chiedo quanto tu sappia superare la velocità della luce", si domandò la divinità con voce fioca.

"Mettimi alla prova", replicò il figlio di Ikki, ma, nel momento stesso in cui rispondeva riuscì appena a distinguere il nemico scattare verso di lui. "La velocità di Ptah rivaleggia con quella di Raizen", pensò il mariner, memore del suo l’ultimo nemico, ma, con sua grande sorpresa, Kain scoprì che vi era un abisso fra Raizen e Ptah, quel dio era riuscito a raggiungerlo con un pugno, scheggiando le vestigia rinate grazie all’Atanaton, ora danneggiate per mano di quel dio nemico.

Una nuova serie di attacchi furenti si scatenò contro il generale dei Mari, colpendolo più e più volte, "Genmaken", esclamò all’improvviso il figlio di Ikki, cercando di raggiungere il nemico con il proprio attacco, ma non vi riuscì.

"Ora addio, cavaliere", ringhiò Ptah, espandendo il cosmo, che si presentò con il fragore di un tuono, "Carica divina", invocò il dio, movendosi ad una velocità impareggiabile e raggiungendo con una spallata e poi con due pugni il figlio di Ikki, che volò in aria, ferito e stordito, per poi ricadere rovinosamente nella sabbia.

"Le tue vestigia sono resistenti, cavaliere, un tempo i nemici andavano a pezzi dopo la prima spallata", ridacchiò il dio egizio, preparandosi ad un nuovo attacco, ma stavolta Kain non attese fermo, "Golden Triangle", invocò il Mariner, quando l’avversario gli si lanciò contro, lasciandolo perdere nel nulla.

Passarono alcuni attimi di calma, in cui il generale di Shark osservò Neleo impegnato nella propria battaglia, finché un’essenza cosmica non si presentò alle spalle, raggiungendolo con un pugno alla schiena, così da lasciarlo cadere al suolo, sorpreso, più che ferito.

"So che sei un misero uomo, ma dovresti capire che io, al contrario di te, sono un dio, quindi posso muovermi in qualsiasi dimensione voglia", spiegò Ptah, espandendo il proprio cosmo simile ad un fulmine.

"Bene, divinità egizia, allora dovrò utilizzare qualcosa di più efficace, qualcosa che mi ha tramandato mio padre", minacciò Kain, sollevando il proprio cosmo, "Galaxian Explosion", invocò lo Squalo d’Oro, scatenando l’esplosione Galattica, un colpo utilizzato in più di un occasione e sempre molto efficace.

Ptah sembrò però deciso a resistere dinanzi a quell’attacco, bloccando il colpo con ambo le mani attraverso il proprio cosmo, ma l’Esplosione galattica riuscì a travolgerlo, scagliando lontano anche il suo nemico, però, entrambi i guerrieri erano ora a terra, storditi.

In quel momento, mentre Neleo si preparava a lanciare nuovi attacchi contro Sober e Kain si rialzava dinanzi a Ptah, un sibilo si alzò nell’aria, poi un soffio di vento e quindi, quando il generale di Shark si voltò, vide semplicemente il proprio comandante volare a terra, con una ferita sulla schiena, poi, qualcosa travolse anche il figlio di Ikki, gettandolo a terra stordito.

L’ultima cosa che Kain vide prima di svenire fu una figura nera che si alzava in aria, mentre i due nemici si allontanavano, scomparendo nel nulla.

Il terzo scontro, intanto, quello fra Joen e la divinità di nome Aker era già iniziato.

"Dunque tu osi sfidarci, mortale? Noi siamo fin troppo potenti per un essere misero come te", ridacchiò la divinità dal simbolo a due teste, "Parli fin troppo per un invasore", replicò con determinazione il Goshasei, espandendo il proprio cosmo.

"E tu ti rivolgi a noi con troppa disinvoltura", minacciò la divinità, aprendo le mani dinanzi a se e lasciando esplodere due fiammate nere verso il nemico, ma il cosmo del Guardiano di Era bastò per sedare quel fuoco, impedendogli di ferire il suo corpo.

"Che cosa?", si domandò il dio, "Non dovresti stupirti delle mie doti, dio egizio, io sono l’ultimo custode di Cartagine ancora vivo, Joen del Pavone, a cui la grande dea Era ha donato l’invulnerabilità", spiegò il Guardiano, preparandosi al contrattacco.

"Lighting waves", invocò il guerriero sacro ad Era, ma ancora una volta i veloci movimenti della divinità egizia bastarono a placare l’attacco nemico.

"Ti credi veramente invulnerabile?", domandò Aker, mentre parava i colpi nemici, "Forse noi potremo dimostrarti come queste tue barriere siano efficaci solo contro gli uomini, non contro gli dei", spiegò poi, lasciando esplodere la propria energia.

"Two lions roar", urlò con una voce duplice ed assordante la divinità egizia, lasciando esplodere due giganteschi fuochi delle proprie braccia, simili alle lingue di due leoni che si innalzavano verso il cielo quando le fiere ruggiscono.

Joen espanse il proprio cosmo, "High green wall", invocò poi, sollevando la barriera difensiva che più volte lo aveva salvato in battaglia, ma, con sua grande sorpresa la forza che utilizzava di solito in quel colpo risultò inefficace contro questo nuovo nemico. Il Goshasei fu costretto a concentrare ancora maggiore energia in quella barriera, così da riuscire a sostenere la potenza nemica.

In quel momento, mentre le fiammate si contrastavano con eguale potenza rispetto al grande muro verde, Joen sentì i cosmi di Kain e Neleo abbassarsi, non spegnersi, ma semplicemente quietarsi, come se fossero svenuti.

"Sembra che gli altri tre soldati del sommo serpente siano stati capaci di quietare i tuoi amici, per non ucciderli devono essere proprio stremati", ridacchiò Aker, il cui cosmo si stava chiaramente indebolendo.

"Tre?", si ripeté Joen, "ma io ho visto solo il coccodrillo ed il toro", rifletté, lasciando esplodere una quantità maggiore d’energia, probabilmente inaspettata, poiché riuscì ad annullare le fiamme nere e buttò indietro il nemico. Il figlio di Tige, però, rimase chiaramente indebolito per quest’ultimo attacco compiuto, difatti non si mosse dalla posizione in cui era.

"Se anche i tuoi compagni sono così forti, capiamo perché Sober e Ptah non hanno completato le loro battaglie, nemmeno con l’aiuto del terzo", rifletté la divinità, alzandosi illesa, "Chi è il terzo?", domandò Joen, "Io", sussurrò una voce alta alle sue spalle.

Il Goshasei sentì un sibilo nell’aria, poi cercò di voltarsi, ma in quel momento qualcosa di nero e veloce planò contro di lui, investendolo in pieno petto e lanciandolo a terra. In quel momento Joen era troppo debole per resistere a quell’attacco, quindi svenne, come i suoi due alleati prima di lui.

La nera figura si fermò dinanzi ad Aker, "Siamo lieti del tuo arrivo, Nechbet", la salutò il dio del Leone a due Teste, "Bene, mio alleato, però adesso, visto come sei ridotto, allontanati. Ricordi le parole di Apophis, il nostro re? Nessun sacrificio inutile il primo giorno, non ne abbiamo bisogno per la nostra vendetta su Ra", replicò il nuovo arrivato, "quindi torna alla caverna degli Horsemen, come già Sober e Ptah prima di te, io vado ad aiutare i nostri tre signori, se sarà necessario", spiegò la nera figura prima di rialzarsi in volo.

Aker osservò il corpo svenuto di Joen, "Ci rivedremo, Guardiano di Cartagine e quel giorni noi, Aker, avremo la nostra vittoria", sussurrò, prima di scomparire.

Altre battaglie, però, aspettavano ancora Cartagine in quel giorno funesto.