Capitolo 3: Le catene si frantumano

"Ora toccherà a noi combattere, amici miei", disse Jabu dell’Unicorno, indicando i diversi guerrieri dalle bianche vestigia che stavano avanzando verso di loro.

"Si, Jabu, è il nostro turno", concordarono Ban e Geki, "June, tu resta ferma qui, ci occuperemo noi di questi guerrieri", propose Shun di Andromeda a sua moglie, "No, io sono una di voi e quindi non vedo perché dovrei restare ferma", obbiettò la sacerdotessa guerriero, "Perché io ti amo e non voglio vederti morta", spiegò semplicemente Andromeda, accarezzando la maschera della sacerdotessa del Camaleonte.

"Ban, tu apparirai alle loro spalle, Geki tu ti porrai dinanzi a loro, Shun, tu, che puoi muoverti alla velocità della luce, andrai alla loro sinistra ed io scenderò da questa parete e sarò alla loro destra, va bene?", chiese Jabu, dividendo le posizioni da cui attaccare i nemici. Nessuno si oppose a questo piano.

 

"Mio padre combatterà fra poco", disse un santo d’argento con le vestigia di Cefeo, alzando il capo verso il cielo, "Davvero?", chiese il nuovo santo di Perseo, "Si, percepisco perfettamente il suo cosmo vibrare", rispose il santo di Cefeo.

Marin, che guidava la prima delle tre barriere di Silver saints, osservò attentamente il figlio di Andromeda, Daidaros: aveva i capelli simili alla madre per il loro essere lisci, ma i suoi colori erano gli stessi di quelli paterni, indossava le vestigia che erano state di Albione, il maestro di Shun. L’altro interlocutore, Rabat, indossava le vestigia del feroce Argor, era il nuovo custode dello scudo di Medusa. Rabat aveva la pelle scura ed occhi grandi e verdi, ma nel medesimo tempo incredibilmente freddi; portava i capelli lunghi e spettinati, simili a serpenti, come amava definirli lui stesso. Marin si chiedeva come avesse potuto Shiryu allenare un guerriero così crudele nell’aspetto, ma malgrado questo si fidava di lui.

 

I titani camminavano come delle macchine perfettamente in fila verso il Grande Tempio.

"Fermi, cavalieri del male, questo luogo sarà la vostra tomba", li minacciò una voce alla loro destra.

Quattro figure apparvero incontro ai titani: un cavaliere dalle vestigia blu robusto e barbuto li bloccava la strada, un altro gigante dalle vestigia arancioni e dai lunghi capelli a coda di cavallo gli impediva di indietreggiare.

Un altro cavaliere con i capelli legati al medesimo modo ed un’armatura viola con un elmo a forma di testa di unicorno gli era apparso a destra, lui li aveva minacciati. Un quarto cavaliere aveva corti capelli verdi, che gli coprivano appena le orecchie e delle vestigia che apparivano dorate.

"Quattro guerrieri sistemino questi scocciatori, mi iniziano ad annoiare!", urlò la voce di Belinda dal centro del gruppo di guerrieri.

Quattro guerrieri con vestigia identiche a quelle dell’assassino degli steel saints si diressero verso i quattro santi di bronzo.

"Giusto per curiosità, cavalieri, chi siete?", chiese una voce maschile fra i titani, "Io sono Jabu dell’Unicorno", disse il guerriero alla loro destra, "Io Geki dell’Orsa", si presentò il gigante dinanzi a loro, "Io, Ban del Leone Minore", affermò il secondo gigante, "Ed io sono Shun, cavaliere di Andromeda", concluse il guerriero dalle vestigia dorate.

Gli scontri iniziarono.

Fu Geki il primo ad essere visibilmente in vantaggio, poiché bloccò il suo avversario nella sua fatale "Stretta dell’Orsa", con cui sembrava stesse cercando di stritolarlo.

Il nemico, però, non sembrava soffrire il colpo, né le sue vestigia risultavano danneggiarsi.

"Geki, attento", urlò Ban, impegnato a parare i colpi del suo avversario.

Il guerriero che si stava confrontando con il santo dell’Orsa minore, materializzò dalla sua mano una sfera di energia, che si avvicinava minacciosa al corpo di Geki.

"Lionet bomber", invocò allora il santo del Leone minore, scagliando una sfera di energia infuocata oltre il gruppo di nemici, per raggiungere e salvare l’amico, deviando il braccio del guerriero titano.

 

"I nostri maestri, Ban e Geki stanno combattendo, Laios", esordì poco distante il nuovo santo della Balena, Dao, "Si, ho percepito i loro cosmi, amico mio", confermò il suo compagno di addestramento Laios di Ercole.

I due erano dei ragazzi molto robusti. Il guerriero di Ercole portava lunghi capelli castani ed aveva un viso che esprime semplicità e bontà, mentre il suo compagno di allenamenti era molto più serio e cupo, forse per i suoi cortissimi capelli neri e per gli occhi grigi ed insensibili.

"Silenzio, ho percepito un cosmo indebolirsi", li esortò colui che guidava quel gruppo di guerrieri, il nuovo santo di Orione.

 

"Sei forse stupido, cavaliere?", chiese il titano dinanzi a Ban, mentre con un colpo secco gli sfondava il torace, approfittando della sua disattenzione.

"Ban, amico mio", urlò Geki, che lo osservò cadere a terra morente, "Non ti preoccupare per me, sono contento di poter morire per salvarti, dopo questi lunghi venti anni passati insieme ad allenarci per me sei diventato più che un fratello", queste furono le poche parole del santo del Leone Minore, mentre il suo avversario lo decapitava.

"No, Ban", urlò allora Jabu, subendo in tutta risposta un pugno in pieno stomaco, il primo, data la sua grande velocità.

"Questi guerrieri di infimo grado sono davvero patetici", disse la stessa voce che aveva tolto la vita ad Ichi dell’Idra, "Hai ragione", concordò un’altra voce, prima di iniziare a ridere.

"Thunder waves", urlò uno dei tre santi rimasti.

Gli urli mortali dei quattro guerrieri titani morenti, fermarono le risate delle due voci.

"Chi ha un cosmo così potente da uccidere con tanta facilità dei titani?", chiese Belinda.

 

"Papà", pensò Daidaros, seduto ad attendere il suo turno di combattere

"Fratello", affermò Ikki della Fenice, uscendo fuori dalla porta della prima casa dello zodiaco.

"Shun ha espanso il suo cosmo divino", affermò Hyoga, parlando con Seiya e Shiryu, "Si, amico mio, è vero", concordò Pegasus, "Ma temo che non potrà fermarli tutti da solo", concluse, calando il volto triste.

 

"Io ho un cosmo tale, vili titani. Io Shun della Divina Andromeda", affermò il santo divino, il cui cosmo si espandeva come un universo nascente da una nebulosa.

"Mia comandante", esordì una voce maschile dal gruppo, "lo lasci a me, la prego. Costui è troppo forte per dei semplici soldati", spiegò la voce, che i cavalieri di bronzo riconobbero come colui che gli aveva chiesto i loro nomi.

"Si, Sinope, a te l’onore del primo scontro", confermò Belinda.

Un titano si fece spazio fra gli altri, mostrandosi dinanzi a Shun.

Le vestigia di questo nuovo avversario erano chiaramente differenti da quelle di tutti i nemici visti finora.

Avevano la medesima composizione, ma coprivano interamente il corpo del guerriero divino, senza lasciare alcuna parte del corpo scoperta, inoltre sui gambali, le braccia ed il torace erano rappresentate delle immense fiamme, che sembravano confluire nelle mani. Il suo elmo aveva anche una fiamma piazzata sopra, anzi l’elmo stesso sembrava una piccola fiamma, posta a copertura del viso.

"Piacere, cavaliere dal divino potere, io sono Sinope, colui che domina la Fiamma Pura", si presentò il titano, chinando lievemente il capo.

Andromeda fu stupito nel vedere le movenze del suo nuovo avversario, i quattro titani che aveva visto combattere si muovevano in modo automatico ed erano molto freddi ed impersonale nel parlare, invece costui trasmetteva sapienza e rispetto.

"Facciamoci indietro, così Sinope avrà più spazio per eliminare costoro", ordinò Belinda, tutti i soldati seguirono immediatamente il nuovo comando.

"Sembri diverso da quei quattro", affermò Shun, "Ti prego, cavaliere, non mi confondere con dei semplici soldati, io sono un comandante di terzo grado delle armate dei titani", spiegò il nuovo nemico.

"Non so cosa significhi", li interruppe Jabu, "ma credo voglia di dire che ucciderti sarà un vero onore", esordì prima di correre incontro al nemico.

"Unicorn’s gallop", urlò il santo di bronzo, lanciando una serie di calci alla velocità del suono contro il nuovo avversario, che li parò tutti con la sola mano sinistra, "Cavaliere, non sei tu il mio attuale avversario", controbatté semplicemente il titano, prima di far schiantare Jabu contro una parete rocciosa con un semplice calcio.

Sinope si voltò nuovamente verso Shun, "Spero che nessuno ci disturbi più", affermò, avvicinandosi al santo divino.

"Non ti preoccupare di questo, preoccupati del mio colpo, invece", lo avvisò Andromeda, "Thunder waves", urlò il santo divino, scagliando le sue catene contro l’avversario.

Sinope fece un salto, così da evitare l’attacco, poi congiunse le mani.

"Pura fiamma dei cieli", urlò il titano. Le fiamme sopra le sue vestigia sembrarono brillare ad impulsi, infatti da prima quelle nelle gambe, poi quelle nel torace, dopo quelle sulle braccia ed infine si illuminarono le fiamme sulle mani del titano.

"Rolling defence", urlò il santo divino, mentre un caldo vento oltrepassava le sue difese.

"Le tue catene non sono di semplice bronzo, giusto, cavaliere?", chiese il titano, "Si, titano, sono natura divina, capaci di bloccare ogni attacco", rispose il santo divino.

"In effetti se non fosse stato per queste catene, il tuo corpo ormai sarebbe in cenere", affermò Sinope, movendo il suo bianco elmo, come per concordare con le parole dell’avversario, "ma non hai potuto salvare il braccio sinistro", concluse, indicando la catena di difesa, che si stava sciogliendo.

"Che cosa?", urlò spaventato Shun, prima di cadere a terra dolorante.

"Andromeda", invocò Geki, avvicinandosi ai due combattenti, "Stai indietro, cavaliere minore, non è uno scontro che ti riguarda, il tuo amico ha perso l’uso del braccio sinistro", spiegò Sinope, senza voltarsi verso il santo dell’Orsa Minore.

"Ora addio, cavaliere divino", lo salutò il titano congiungendo nuovamente le mani.

"Non esserne così certo", si intromise Geki, prendendo il capo dell’avversario con la sua "Presa dell’Orsa".

"Togliti di mezzo, se non vuoi farmi innervosire", lo minacciò Sinope, aumentando il suo cosmo.

Geki iniziò ad urlare dal dolore, ma incredibilmente non lasciò la presa.

Shun era ormai a terra, non riusciva a rialzarsi, sentiva il braccio bruciare, ma nessuna fiamma si era materializzata sul suo corpo.

"Adesso basta", esordì Sinope, "Cielo di fiamme", invocò.

Geki lanciò un ultimo urlo. Il suo corpo fu scagliato a terra a metri di distanza, ma fra le mani aveva i resti dell’elmo del suo avversario.

Shun guardò stupito il volto del suo avversario, era diverso da quello dei quattro che aveva ucciso antecedentemente: aveva lunghi capelli color della cenere ed occhi rossi come fiamme, i suoi lineamenti erano chiaramente marcati e molto nobili.

Geki non emetteva più alcun suono, nemmeno un lamento, "Geki, come stai?", urlò il santo divino, "E’ inutile che lo chiami, ormai il suo corpo è bruciato", affermò il titano.

"Come bruciato, io vedo ancora il suo corpo, né alcuna fiamma", ribatté il santo di Andromeda, "Nemmeno sul tuo corpo vi sono segni di fiamme, eppure percepisci il dolore prodotto dal mio attacco, vero?", chiese Sinope, "E’ il potere della Fiamma Pura, un fuoco divino che può oltrepassare qualsiasi metallo e bruciare qualsiasi corpo senza lasciar alcun segno, essendo invisibile", spiegò il guerriero di natura divina.

"Adesso, addio sul serio, cavaliere", affermò alzando la mano destra.

Una frusta lo bloccò, "Fermo dove sei, titano, o la mia frusta ti distruggerà il braccio", lo minacciò June, nascosta fino ad allora fra le rocce che li sovrastavano.

"Donna, non avrei voluto coinvolgerti in questo scontro, ma se veramente vuoi intrometterti, allora morirai", affermò freddamente il guerriero, movendo con tutta la sua forza il braccio destro e scagliando la sacerdotessa guerriero del Camaleonte contro una parete rocciosa.

Le vestigia di bronzo della moglie di Shun andarono in pezzi, come anche il suo corpo, "Nemes, amore mio", urlò Shun, sganciando le sue divine vestigia dal corpo.

Il cosmo di Shun si espanse come un vento potentissimo, riempì l’intera vallata, le pietre e le pareti rocciose stesse iniziarono a crollare, "Adesso basta, Sinope, non posso accettare tutta questa violenza", urlò il santo divino, "Quale potere, non riesco nemmeno a muovermi", constatò il titano, "Nebulosa di Andromeda, colpisci!", invocò Shun.

I titani alzarono un gigantesco scudo di energia combinata per difendersi dalla corrente offensiva, mentre Sinope fu catturato nella feroce "Nebula storm", che lo scagliò contro una parete rocciosa, da cui fu sotterrato.

Dopo alcuni minuti la corrente si quietò ed insieme ad essa il cosmo di Shun, ormai stanco.

"Sei stato abile, cavaliere", disse una voce da sotto le macerie, "ma le mie vestigia di titanio mi hanno salvato", concluse Sinope, mandando in cenere le rocce e mostrandosi con le vestigia chiaramente danneggiate.

"Ora addio", affermò nuovamente il titano, avvicinandosi ad Andromeda, "Cielo di Fiamme", urlò, scagliando una forte corrente calda contro il nemico. Una luce intensissima circondò il corpo di Sinope, per poi spegnersi.

Shun cadde a terra.

"Daidaros, figlio mio, abbi cura di te stesso, sappi essere saggio, non scagliarti subito contro costoro, non potrai avere molte possibilità da solo contro uno di loro se prima non raggiungerai il settimo senso, a cui sei sempre andato molto vicino.

Ikki, fratello mio, ricorda sempre ciò che abbiamo vissuto, non rischiare la morte per me, ma vivi per me, ti supplico fratello, giuramelo.

Hyoga, Shiryu, Seiya, voi, amici miei, guidate questi cavalieri, cresciuti nel nostro mito, a combattere il nemico, senza sacrificarli, poiché sono loro la speranza di domani.

E tu, Gallio, mio allievo, amico e quasi figlio, ti affido Daidaros, aiutalo nella sua crescita fisica e spirituale, tu che per lui sei come un fratello.

Vi saluto, amici e compagni, ora tornerò a vivere con la mia amata moglie June".

Queste furono le ultime parole che Shun trasmise attraverso il suo cosmo ad i suoi cari, poi cadde a terra, morto.

 

Tutti coloro che conoscevano Shun, il divino santo di Andromeda, piansero in quel momento, nessuno riuscì a dire niente, nemmeno Ikki, che ormai piangeva come un disperato.

 

"Sei stato un degno avversario, cavaliere divino, per onorarti, ti costruirò una teca con le mie Fiamme Divine", esordì Sinope, concentrando il suo cosmo.

Dopo questo gesto di rispetto, il gruppo di titani si mosse, Geki era ormai in cenere, Ban era decapitato, Nemes aveva il corpo in frantumi e Shun era circondato da delle Fiamme Divine.

Solo il corpo di Jabu emetteva ancora un soffio di vita.

 

"Preparatevi, cavalieri, adesso toccherà a noi", affermò Marin dell’Aquila, indicando i nemici che si stavano avvicinando.