Epilogo: Il Sole calò

"Attaccami, Atena", urlò Titanio, osservando la dea della Giustizia.

La dea, però, non ascoltava il suo nemico, poiché, proprio come il sommo Zeus, era occupata ad osservare gli scontri di Hades e Nettuno.

Il dio dell’Ade aveva più volte tentato di scagliare lontano il suo nemico e lo stesso aveva cercato di fare il signore dei Mari, ma nessuno dei due era riuscito nel suo intento: Ganimede ed Oberon continuavano a restare fermi dinanzi ai loro nemici.

L’Oscuro titano non era freddo, ma incredibilmente cupo, non parlava, se non per bisbigli, né si muoveva, finché Hades continuava ad attaccare, ma la sua armatura era incredibilmente resistente.

"Ora, dio olimpico, dovrai dire addio alla tua sete di vittoria", sentenziò il titano, scandendo ogni parola con una lentezza che raggelava il sangue.

"Taci, verme blasfemo", tuonò la divinità degli inferi, scatenando nuovamente il suo cosmo. Oberon aprì la mano destra dinanzi a se, "Specchio Nero", bisbigliò.

Un gigantesco muro nero si formò dinanzi all’Oscuro titano. Sembrò quasi che un’onda lo investisse, creando su una superficie d’acqua nera dei cerchi concentrici, poi la vibrazione si mosse con un andamento opposto e fu Hades a cadere a terra, perdendo la corona che indossava sul capo.

"Maledetto", tuonò il dio dell’Oltretomba, alzandosi in piedi e colpendo il nemico con la spada. L’arma della Morte non riuscì a superare le vestigia di titanio quasi nero, ma vi rimase conficcata, "Porto pure io un’arma", disse cupamente Oberon, aprendo la mano destra.

Un arco si materializzò nel pugno destro del titano, "Nera faretra", bisbigliò il nemico invasore, colpendo il dio dell’Ade al volto con l’arco.

Hades cadde a terra, il suo volto perdeva moltissimo sangue.

"Il mio magnifico corpo, costui ha ferito il mio volto", tuonò il dio, rialzandosi e lanciando la spada contro il nemico.

Oberon pose la "Nera faretra" dinanzi a se, dall’arma partì una freccia del medesimo colore, che polverizzò la spada di Hades.

"Ora, addio, divinità della Morte", sussurrò Oberon, arrivando con uno scatto sul nemico.

Hades fu alzato in piedi e poté vedere la maschera funeraria che il titano indossava, "Oscuro Signore", urlò una voce che non sembrava nemmeno quella del nemico, tanto era profonda e lontana.

Il volto di Hades diventò improvvisamente nero, tutto il suo corpo assunse quel colore, smagrendosi orribilmente. Alla fine il corpo del dio cadde a terra, senza vita, solo un piccolo bagliore giungeva dalla bocca, bagliore che ne fuoriuscì sotto forma di una sottile fiammetta, "L’anima di Hades si è staccata dal suo corpo", sentenziò Oberon, allontanandosi dal nemico sconfitto.

Nettuno non aveva osservato lo scontro di Hades, poiché era impegnato nel suo duello. Ganimede era un essere determinato e freddo, si divertiva a giocare con Nettuno, evitando il suo cosmo.

"Ora, dio dei Mari", esordì il titano, dopo aver superato gli attacchi del divino nemico, "subirai la mia prima tecnica, che sarà sufficiente per eliminarti", sentenziò il Glaciale guerriero.

"Questa tecnica non è nota quasi a nessuno, ho imparato questo colpo segreto da Hebe, colei che sostituì alla corte di Zeus", affermò il titano, aprendo le mani dinanzi a se, "Calici celesti", tuonò poi.

Due correnti d’energia fredda si scagliarono contro Nettuno, che cercò di deviarli con il suo cosmo, ma non vi riuscì, rimanendo congelato alle gambe. "Come puoi tu, un semidio?", balbettò la divinità dei Mari.

"Non sono più un semidio olimpico sono uno dei tre comandanti titano di 1° Grado", ribatté Ganimede, "e questa è solo la prima delle mie tecniche, con la seconda ti paralizzerò le braccia, mentre la terza ti eliminerà", lo avvisò il Glaciale titano.

"Ora subirai il mio secondo colpo", continuò Ganimede, "Gelido torpore", tuonò, prima di ispirare.

Il Glaciale titano soffiò sul dio dei Mari. Un’aria azzurra e grigia partì dalla sua bocca, investendo in pieno la divinità, dalle cui mani, ormai congelate, cadde il tridente. Ora Nettuno aveva tutti e quattro gli arti paralizzati.

"Bene, dio dei Mari, quali sono le tue ultime parole?", domandò il titano con una freddezza crudele, "Perché hai lasciato il divino Zeus per il vile Urano?", balbettò Nettuno, "Per il potere", rispose semplicemente Ganimede, alzando le braccia sopra la testa.

"Quella posizione", affermò spaventata Atena, "Esatto, dea della Giustizia, è il colpo dei tuoi sacri cavalieri dell’Acquario, ma 1000 volte più potente, e 1000 volte più freddo", spiegò il titano.

"Aurora execution", tuonò poi, scagliando la gelida corrente su Nettuno.

Fu un attimo, poi il dio dei Mari e la sua armatura di scales divennero di ghiaccio.

"Ora spero che mi concederai l’attenzione che merito", esordì Titanio, dopo aver osservato le due vittorie degli altri titani.

"Vuoi morire, vile invasore?", domandò infuriata Atena, disgustata da quello spargimento di morte, "Bene, vedrò di accontentarti!", tuonò la dea, "Atena exclamation", ruggì, mentre dalle sue mani partiva una potenza tale da disintegrare l’intero Santuario.

Il vestito che copriva il petto del nemico andò in cenere, mostrando il corpo del guerriero invasore, incredibilmente muscoloso e possente, senza nemmeno un graffio, "Sembra scolpito nell’acciaio", balbettò la dea, "No, non sono d’acciaio, ma di titanio, come il mio stesso nome dice. Sono Titanio, comandante supremo delle armate di Urano, primo fra i titani, e primo anche fra altre fazioni dell’esercito del sommo signore del Cielo", tuonò il nemico, "e ti eliminerò con solo tre colpi", concluse, saltando contro Atena.

Dalla mano destra del guerriero bianco fuoriuscirono tre lunghissimi aculei, "Artigli di titanio", tuonò il nemico, conficcando nell’Egira, lo scudo di Atena.

"Pensi che questo scuderello possa difenderti?", domandò Titanio, facendo una lieve pressione con il braccio sinistro, così da mandare in frantumi la difesa della dea.

Isabel era visibilmente spaventata dal nemico, "Cosa c’è dea Atena, paura? Non ci sono qui quei cinque che ti diedero la forza di battere l’ormai defunto Hades", la derise Titanio, "non sai dove trovare la forza per vincermi?", domandò ancora ironicamente, "Tu non sei niente senza gli uomini!", tuonò alla fine, mentre anche dalla mano destra fuoriuscivano degli artigli.

"Sfondamento degli artigli", urlò il titano, lanciandosi contro la dea, che ampliò il suo cosmo.

Nemmeno il dolce, ma potente cosmo di Atena poté fermare Titanio, che frantumò le vestigia divine della dea con i suoi sei artigli, lasciandola indifesa dinanzi a se.

"Quello scettro non ti serve a niente, tu non puoi nulla contro di me", esordì il titano, indicando l’oggetto di Nike, attraverso cui la dea espandeva il suo cosmo, "Tu non vali niente da sola!", tuonò Titanio.

Atena lanciò lo scettro contro il petto del nemico, il quale non si mosse, ma subì in pieno il colpo.

L’orrore si dipinse sul volto di tutti quando il possente scettro andò in pezzi, senza scalfire il corpo bianco di Titanio.

"Ora, il mio ultimo colpo, quello che farà di me la nuova divinità della Giustizia", esordì il nemico, "Sentenza di Titanio", urlò, mentre gli artigli sulla mano destra si illuminavano di una luce verde.

Gli artigli si conficcarono nel petto di Atena, colpendole il cuore. Dopo pochi secondi, gli artigli persero il colore verde, ma si sentì il rumore di una piccola esplosione.

Titanio ritrasse il braccio ed un’esplosione squarciò il petto della dea. Il sangue calò sul ventre e sulla schiena di lady Isabel, "Seiya, Shiryu, Shun, Ikki, Hyoga, perdonatemi", furono le ultime parole della dea, prima di morire.

"Sei rimasto solo tu, Zeus", esordì Urano, avanzando verso il sommo padre degli dei, "Si, vecchio, e sono pronto a sconfiggerti", ribatté infuriato il dio, sollevando il suo scettro.

"Vecchio?", ripeté divertito il Nemico, sollevando la mano destra, "Pantes Theoi", tuonò il dio antico.

All’esterno, sulle dure rocce del monte Olimpo, i corpi senza vita dei semidei brillarono di una luce intensissima, che poi si allontanò da loro, dirigendosi verso il castello di Zeus.

All’entrata del castello di Zeus, le teste mozzate di Apollo ed Artemide si illuminarono di una forte luce, che poi le abbandonò per dirigersi verso l’interno del castello.

La stessa luce illuminò i corpi senza vita di Dioniso, Efesto, Ermes ed Eolo, lungo i corridoi dorati.

Medesima luce fuoriuscì anche dalle ceneri di Ares e di Era, dirigendosi, insieme alle altri luci, verso Urano.

Una luce intensa partì anche dal corpo senza vita di Atena e dalla statua di ghiaccio che un tempo era Nettuno.

Alle diverse luci si unì l’anima di Hades, che rassomigliava incredibilmente alle sfere luminose assieme a cui circondò Urano.

"Le riconosci, vero Zeus?", domandò il dio antico, "Le anime dei miei figli e fratelli", affermò infuriato il padre degli dei, minacciando il nemico con lo scettro.

"Esatto", affermò Urano, prima che le diverse sfere entrassero nel suo corpo.

Il sommo Zeus vide qualcosa che non aveva mai nemmeno immaginato nei millenni di vita passati a regnare: il corpo del suo Nemico stava mutando.

La pelle del dio riprendeva lo splendore e la bellezza propria di un giovane essere immortale che vive sull’Olimpo, i capelli brillavano di un verde più vivo e si erano allungati fino alla cinta. L’intero corpo era diventato più muscoloso, mentre i suoi occhi si accendevano di una rabbia crescente ed il suo cosmo aumentava a dismisura.

"Fatti sotto adesso, piccolo insetto, figlio di Crono", tuonò Urano, "Muori, vile antenato infido", urlò Zeus, scatenando il potere del suo Fulmine.

Il divino Nemico volò verso i suoi tre seguaci, ma si fermò, aprendo le ali dell’armatura, "No, tu morirai, infido nipote", tuonò in risposta il dio, scatenando il proprio cosmo, che gettò a terra il sommo padre degli dei, lasciandolo disarmato.

"Io sono Urano, il sommo dio, colui che rappresenta il Cielo, nessuno può opporsi a me", spiegò il dio, appoggiando la mano sul petto di Zeus, "ora torna a me, come avrebbe dovuto fare tuo padre", sentenziò infine.

Il corpo del sommo Zeus fu assorbito in una luce intensissima, poi più niente. Solo lo scettro, che Urano gettò di lato, restava del padre degli dei, la cui vita era stata riassorbita dal sommo dio del Cielo.

Sul mondo calavano le ombre di una tirannica divinità.

Ó Pavone per qualsiasi personaggio inedito

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