Capitolo 24: Triplo Scontro – 3° Parte

Correvano senza sosta Zong Wu dell’Auriga e Gwen del Corvo; aveva raggiunto la sala dai drappeggi verdi senza gravi problemi, rallentati, inizialmente, solo dai lamenti di dolore di Menisteo, che spingevano entrambi a tornare indietro, sfidando il loro senso del dovere e quanto precedentemente al compagno d’arme, ma ambo i guerrieri sacri alla dea Atena si fecero forza e continuarono ad allontanarsi.

Oltrepassata la porta che precedentemente non avevano scelto, quella chiusa, i due furono fermati da un violento sussulto del terreno, un’esplosione che scosse tutto intorno a loro, quasi raggiungendoli, fermata solo dalle molte pareti che ormai li distanziavano dal loro parigrado.

"Il cavaliere di Eracles…", balbettò preoccupata la sacerdotessa d’argento, fermandosi appena la violenta scossa fu conclusa.

"Egli è forte, coraggio… ha deciso spontaneamente di restare indietro per darci modo di raggiungere il Sovrano di questo esercito verde, per dimostrare a lui ed all’altro suo pari che non noi siamo causa delle morti che li stanno dilaniando, o almeno non di quelle più orribili di cui ci accusano. Solo rivelando loro che Ea era ancora vivo quando ci ha lasciato, potremo svelare gli inganni intessuti dal principe Sin.", affermò il santo dell’Auriga, senza voltarsi, ma la sacerdotessa poté notare senza fatica come le mani di lui si stringessero a pugno, fino a sanguinare.

"Una missione ci è stata affidata dal sommo Sacerdote di Atene, scoprire cosa avveniva in queste terre e, se mai fosse stato pericoloso per gli uomini, fermarlo.

L’avvento di questo Giudice Divino sarà sì un pericolo per gli uomini, quindi va impedito, ma, altresì, gli uomini che questa divinità venerano non sembrano essere privi di coscienza, però l’odio che provano per noi, accusandoci erroneamente di morti che mai abbiamo commesso, impediscono il dialogo.

Questo lo sai anche tu, Sacerdotessa, sai che dobbiamo andare avanti, poiché rivelare gli inganni di Sin può fermare questo spargimento di sangue e molti altri; come noi, anche il cavaliere di Eracles lo sa, per questo è rimasto indietro, quindi non deludiamo le sue aspettative.", concluse Zong Wu, ricominciando ad avanzare, seguito da Gwen, mentre i boati dello scontro che ancora continuava fra i due guerrieri poco distanti echeggiavano dietro di loro.

***

Il mare di luce verde che riempiva l’ambiente, sembrava diventare sempre più compatto, tanto che Husheif di Reticulum e Dorida della Sagitta erano ormai immobili, incapaci anche solo di spostare le gambe, come se quella emanazione cosmica avesse in se una consistenza, la stessa dell’acqua, o, più correttamente, della sabbia del deserto, cosa che risultò poco gradita specialmente al cavaliere egizio, che ancora ricordava lo scontro della sera precedente con Beletseri di Etemmu.

"Ora basta…", borbottò, dopo alcuni attimi, la sacerdotessa guerriero, sollevando il braccio destro, carico dell’infuocato cosmo di cui era padrona.

"Io non sprecherei così le mie forze, ma se vuoi, accomodati pure, Sagitta.", osservò ironico Husheif, volgendo verso di lei lo sguardo, "Che vuoi dire? Basterebbe un’ondata delle mie frecce di Fuoco per disperdere, almeno in parte, questa marea d’energia che ci blocca!", sbottò infastidita la sacerdotessa, "Al contrario, sarebbe solo uno spreco di forze il tuo, forze che ben presto ci potrebbero essere ben più utili.", la ammonì l’altro, sollevando poi una mano.

Acuendo la vista, Dorida poté notare i sottili fili d’energia cosmica che dalle dita del parigrado scivolavano fin nella luce verde, attraversandola come se non esistesse nemmeno.

"Fin da subito ho cercato di aprirmi un varco con le mie tele, ma inutilmente, nessuna consistenza ha questa marea, come la definisci tu.", spiegò il cavaliere d’argento, "Ma com’è possibile ciò? Noi siamo qui bloccati, i nostri movimenti sono nulli e dici che questa sostanza che ferma i miei passi, in realtà, non esiste?", sbottò nervosa l’altra.

"Esatto, Sagitta, non vi è niente che ci ferma, se non noi stessi e l’effetto che questa illusione ha sulle nostre menti.", spiegò, con voce chiaramente irritata, Husheif, "Illusione dici?", ripeté stupita Dorida.

"Sì, sciocca, un’illusione, questo ci ferma: il cosmo dell’Ummanu che qui si trova, perché sono certo che sia già in questa sala, ci sta bloccando attraverso questa manifestazione, questa illusione che ci fa sentire paralizzati, quando, al contrario dovremmo poterci muovere. Per quanto, però, la mia mente capisca questo, ed il mio corpo voglia muoversi, la volontà non riesce da sola a vincere questo inganno!", ruggì nervoso il santo d’argento.

"Uno degli Ummanu, già qui?", domandò preoccupata la sacerdotessa della Sagitta, guardandosi intorno, "Un vile codardo, che ha nemmeno la forza di rivelarsi, intrappolandoci in questo modo subdolo!", continuò innervosito Husheif.

A quelle nuove parole, però, accadde qualcosa di sorprendente: la marea di luce verde parve animarsi, come se, al di sotto della stessa si trovasse qualcosa, sgomento proruppe dalla voce di Dorida nel notare una sagoma scivolare massiccia e rapida fra quelle che sembravano acque di smeraldo, poi, in un istante d’innaturale silenzio, un ruggito proruppe dagli abissi, rivelando una sagoma mostruosa, una creatura a forma di pesce, dalle immense mascelle, ricolme di sottili denti affilati, pinne taglienti quanto lame, sei in tutto, che adornavano un corpo sinuoso di serpente, che mal s’accompagnava alla mascella, rendendo quella creatura acquatica un vero e proprio mostro.

Una folata di fuoco scaturì, allora, dalla mano della sacerdotessa guerriero, attraversando l’essere squamato, perdendosi sulla parete dietro di questo, prima che una sottile risata riempisse l’ambiente.

"Mi scuso per l’inganno, ragazza, ma le parole del tuo pari mi avevano oltremodo offeso, volevo vedere se avesse il coraggio che accusava mancarmi.", esordì una voce, accompagnata da una figura, che prendeva forma fra quelle acque, una forma verde come le stesse.

"Porgo comunque voi i miei complimenti, per aver compreso che tutto ciò altro non era se non inganno, ma, altresì, mi devo dire deluso dalle vostre maniere, di certo non buone; difetto inatteso in cavalieri di Atena quali voi siete.", continuò la figura illuminata, avanzando.

"Cavalieri di Atena? Dunque tu Ummanu sai chi noi siamo. Se ciò è vero, vuol dire che l’anziano consigliere fin dal suo Sovrano è infine giunto.", osservò Husheif, ma, a quelle parole, la misteriosa figura nemica si fermò.

"Strani discorsi i tuoi, guerriero di Grecia, eppure proprio voi, invasori, avete massacrato il Saggio Ea, primo Consigliere di Re Marduk, a voi il Principe Sin ha sottratto il suo corpo martoriato, lasciando indietro Mummu a combattervi. Cosa vuoi ottenere mentendomi su questi fatti?", domandò incuriosito l’Ummanu.

"Di cosa vai parlando, guerriero? Noi non abbiamo infierito su Ea, anzi, egli una volta sconfitto ha con noi parlato, discutendo sulla correttezza del richiamare questo Divino Giudice! Sin, il vostro Principe, lo ha richiamato per tornare indietro, mentre Mummu ci è rimasta nemica, poiché traditrice al proprio Re ed alle vostre stesse schiere, come di certo lo è anche quell’Annumaki!", tuonò di rimando Husheif.

"Parole folli e senza senso le tue, cavaliere, di cui non capisco la necessità. Pensi forse di ingannarmi così? Inutile progetto il tuo!", replicò deciso l’avversario.

"Non ingannarti è il mio fine, ma rivelarti una verità ineluttabile!", ribatté deciso il santo di Reticulum, "Di ineluttabile qui vi è solo la sorte che vi toccherà, poiché avete dinanzi a voi un nemico temibile in me, Kusag di Labbu!", esclamò alla fine l’Ummanu, rivelando il proprio nome e, subito dopo, il proprio aspetto.

Lunghi i capelli cinerei s’agitavano dietro di lui, adornando le vestigia verdi come smeraldo, vestigia composte da squame, che ricalcavano il pesce serpente visto poco prima in quella strana illusione; le sei pinne costituivano le due protezioni per le gambe, le infinite fauci composte da molti denti coprivano per intero gli avambracci, incastonandosi gli uni con gli altri, il corpo per intero protetto dalle squame, che sembravano prendere forma di una grande pinna dorsale, disposta sul petto e, infine, una maschera a celare il volto, una maschera dalle fisionomia del pesce, i cui grandi occhi sembravano catturare tutto nel loro sguardo.

"Flechas ardientes!", furono le prime parole di Dorida, che subito scatenò il proprio attacco contro l’Anunnaki che li stava fronteggiando, ma i dardi infuocati non raggiunsero mai il bersaglio, perdendosi poco prima di toccarlo, come spinti via da una corrente d’energia che li deviò contro le pareti attorno a Kusag.

"Che cosa?", esclamò stupita la sacerdotessa guerriero, "Sì, devo ammettere che di buone maniere non siete di certo padroni, cavalieri. Attaccare senza nemmeno prima presentarsi, che delusione; di più m’aspettavo da due guerrieri sacri ad Atena, signora di Giustizia in Grecia.", sbottò divertito l’Ummanu di Labbu, ancora immobile dinanzi ai due nemici.

"Ancora una volta sembri parlare dell’ordine dei santi di Atena come se lo conoscessi, ma mi chiedo da dove provenga questo tuo essere saccente, Kusag di Labbu.", osservò pacato Husheif, bloccando con un gesto del braccio l’attacco che già la sacerdotessa guerriero si preparava a lanciare contro il nemico.

"Giusta curiosità la tua, cavaliere, a cui risponderò, ultimo gesto di cortesia nei vostri confronti, prima di prendere le vostre vite di invasori.", concordò, sotto la maschera di pesce, l’Anunnaki.

"Dovete sapere che non sono originario di queste terre, mio padre lo era, ma la sua natura di commerciante lo portò, ben presto, ad iniziare a viaggiare, stando sempre più distante dalla propria casa.

In uno dei suoi viaggi, egli incontrò una donna, che sposò e dalla cui unione nacqui io, una donna della Libia, con cui crebbi, finché mio padre non decise di iniziarmi all’arte dei mercanti. Purtroppo per il mio genitore, però, per quanto fossi di certo un ragazzino acuto, la mia sete non si dirigeva verso il denaro, bensì verso la conoscenza, così iniziai a leggere quanti più testi potessi, imparando le diverse scritture.

E, un giorno, leggendo un antico testo, scoprì l’esistenza di qualcosa chiamato Cosmo, una forza interna, che scaturisce dall’uomo ed è frutto, prima di tutto, della conoscenza che egli ha di se e del mondo intorno a lui. Inutile dire che ne fui affascinato, desiderando ardentemente scoprire tutto su questa forza e, durante le mie ricerche, trovai che vi erano anche dei guerrieri capaci di usare questo potere, fra tutti, i più rinomati eravate voi: cavalieri di Atena.

La mia passione, a quel punto, si tramutò in ossessione per il potere e la conoscenza, tanto che disperatamente provai a trovare il fantomatico Santuario della dea dove si riunivano i suoi santi, ma inutilmente.

Arrivato poi al mio ventesimo anno di età, compii un lungo viaggio di diversi mesi con mio padre, raggiungendo le lontane terre dell’India; a quel tempo era molto più esperto nel controllo del cosmo, o almeno era ben capace di avvertirlo, così non mi fu difficile scoprire due forti fonti di questa mistica energia, che scoprii essere due uomini: uno, più anziano, aveva fama di asceta da chiunque di lui parlasse, l’altro, invece, era il suo allievo, un silenzioso ragazzo, che mai mi rivolse la parola nei giorni che passai fra loro.

Giorni in cui cercai di fare miei i segreti dell’anziano asceta, che scoprii essere un cavaliere di Atena, proprio come l'allievo era aspirante a quel titolo, ma mi fu impossibile essere addestrato da quel vostro pari, che mi scacciò, affermando che non per gli avidi di potere è fatta la padronanza del cosmo e solo i cuori privi di rancori e vizi possono raggiungere l’essenza ultima della conoscenza.

Inizialmente ammetto di averlo odiato, quel vecchio che ritenevo egoista, poi, con il passare dei giorni e dei mesi, nel viaggio di ritorno, riflettei molto sulle parole di quel saggio e compresi che non il desiderio di sapere deve guidarmi, poiché mai avrei raggiunto il controllo del cosmo in quel modo, dovevo liberarmi dai pesi che mi impedivano di alzarmi alla consapevolezza.

Fu così che decisi di abbandonare la mia famiglia, cercando nei deserti d’Africa la conoscenza, lontano dall’uomo e dagli istinti degli uomini, viaggiai fino a raggiungere le mie terre natie, cercando sempre di evitare le città.

Cinque anni fa, però, un uomo mi incontrò: Ea il Saggio. Egli fu sorpreso nell’incontrarmi, come io lo fui nello scoprire qualcuno di così abile nel controllo del cosmo quanto lo era lui, che non fosse un cavaliere di Atena, né un guerriero di qualche divinità di Grecia.

Fu così che scoprii degli Ummanu e, viaggiando con l’anziano Consigliere, potei apprezzare i progetti di Re Marduk, fino a decidere di seguirlo.

Questo, cavalieri, è il motivo per cui io sono un Anunnaki che conosce molto di voi santi di Atena e, devo ammettere, che le azioni di cui vi siete macchiati qui, nell’Antica Capitale Accad, mi hanno quanto meno stupito, poiché vi sapevo guerrieri di Pace e Giustizia, non folli assassini, che torturano e mentono, ma forse l’asceta che ho conosciuto era una fortuita eccezione.", concluse di raccontare Kusag, prima che la luce verde intorno a lui s’agitasse, come un mare su cui sta per scatenarsi una tempesta.

"Sguardo dell’infinito! Travolgi gli avversari che a me si rivolgono!", urlò subito dopo l’Anunnaki, le cui mani, ricolme d’energia cosmica, modellarono due gigantesche sfere di luce verdi, simili agli occhi del Labbu incise sulla maschera di Kusag stesso, sfere che leste furono lanciate contro i cavalieri di Atena.

I due, ancora immobilizzati in quelle vaste acque di luce, non parvero poter far niente per difendersi, solo Husheif poté sollevare una difesa, attraverso i sottili fili d’energia che dalle sue mani proruppe, "Klubi Nematon!", urlò infatti il cavaliere, proteggendo se stesso con la rete cosmica.

Dorida della Sagitta, al contrario, poté provare solo a ribattere l’attacco con le proprie frecce di fuoco, che a nulla servirono, perdendosi nella sfera di luce, che la investì in pieno, gettandola al suolo, a diversi metri di distanza.

Immobile restava Kusag di Labbu, osservando la tela d’energia disfarsi, una volta conclusosi il suo attacco, "Difesa capace la tua, cavaliere, ma ancora una volta mi trovo a notare l’abisso che esiste fra il tuo modo d’agire e come, allora, mi parlò l’anziano asceta: mai avrei pensato che ti proteggessi, lasciando la tua compagnia d’arme in balia del mio attacco.", lo ammonì pacatamente, senza muoversi d’un passo.

"Ammetto che Sagitta è una guerriera sprovveduta di un fine intelletto, ma crederla priva del tutto di capacità che la sorreggano in battaglia, Anunnaki, è errore che non dovresti fare, dopotutto.", lo punzecchiò di rimando il cavaliere di Reticulum, riprendendo la posizione di guardia, mentre già la maschera impassibile dell’avversario si volgeva verso la sacerdotessa guerriero, ora in piedi, le cui ferite sembravano scomparire, in modo innaturale.

"Parli di capacità della tua pari, però, ciò che riconosco anche da questa distanza, non è una virtù che le apparterrebbe, bensì che deve aver rubato a Ninkarakk di Khuluppu, prima di strapparle la vita.", obbiettò senza muoversi l’Anunnaki, sollevando subito dopo il braccio verso la guerriera di Atena.

Le acque di luce che riempivano la sala, allora, s’incresparono ed una corrente di pura energia si aprì fra le stesse, correndo furiosa verso Dorida, "Solleva le tue difese, sacerdotessa!", urlò semplicemente Husheif, che niente poté fare per aiutare la compagnia d’arme, che da quel nuovo attacco fu travolta, incapace di ogni difesa, riuscendo solo a portare le braccia a protezione dell’addome.

Il cavaliere di Reticulum, stavolta, non rivide la compagnia d’arme alzarsi in fretta, "Deve essere svenuta… succede subendo un attacco diretto di quel genere. Le doti difensive delle vestigia di Khuluppu, in fondo, se non utilizzate in tempo sono del tutto inutili, come di certo avrà notato lei stessa, quando ha ucciso Ninkarakk.", suppose Kusag, volgendosi di nuovo verso Husheif.

"Ora, cavaliere, sappi che sarai il primo ad abbandonare questo mondo, ma non preoccuparti, poiché ben presto la tua pari ti raggiungerà.", lo avvisò l’Anunnaki, "Sicuro di te in battaglia sei, questo è certo, ma la troppa sicurezza non è forse simile a superbia? Una di quelle cose che avresti dovuto lasciare dietro di te?", domandò ironico il santo di Reticulum.

"Non superbia detta le mie parole, straniero, bensì la consapevolezza che voi non potrete vincermi. Ben poco capace in battaglia sembra la tua compagnia d’arme, al contrario, le difese che poco prima hai usato sembrano di buona qualità, ma mi chiedo se ancora resisteranno quando ambo gli occhi del Labbu le guarderanno.", replicò l’Ummanu; "Non di questo mi preoccupo, poiché non avrai modo di usare ancora quel colpo e trovarmi impreparato nell’evitarlo!", avvisò sicuro di se Husheif. "Ora farnetichi, cavaliere, sei impossibilitato a muoverti dall’emanazione del cosmo che tutto circonda, e ben dovresti saperlo.", lo ammonì di rimando Kusag, "E’ vero, ma ho trovato un modo per liberarmene.", spiegò in tutta risposta il santo d’argento.

Rapide, allora, le mani del cavaliere di Atena si mossero, tessendo fra loro una fitta rete d’energia, che subito il guerriero egizio aprì, spalancandola, dinanzi a se, non gettandola però verso l’Anunnaki avversario, che immobile, quasi incuriosito, osservava la scena, bensì la ragnatela fu lanciata verso l’alto, restando solo per un’estremità unita alle dita di Husheif, il cui cosmo subito spirò fra le fitte maglie della sua creazione, "Asprò Diktuò!", esclamò allora il santo d’argento, rilasciando energia attraverso quella tela, così da frantumare in parte il tetto della sala, creando un’apertura verso la stanza sovrastante.

In quello stesso momento, un più potente rombo introdusse una scossa nell’intero palazzo, qualcosa di molto vicino ai due combattenti, che portò nuove crepe, impreviste, sul tetto della sala, che caddero intorno ai due. "Sembra che anche gli altri Anunnaki stiano combattendo. Di certo questo era l’effetto di un attacco di Girru e, ne sono sicuro, anche Nusku starà dando battaglia ai suoi avversari. Ben presto di voi poco resterà e questo tuo gesto sarà uno dei tuoi ultimi lasciti, invasore.", avvisò pacato Kusag, prima che le parole gli morissero in bocca per ciò che stava per vedere.

Due nuovi fili d’energia nacquero dalle mani del cavaliere di Reticulum, avvinghiandosi al soffitto distrutto, poi, con un urlo di inumana fatica, facendo leva solo sulle braccia e gli addominali, Husheif riuscì a sollevarsi dalla marea di luce che, fino a quel momento, aveva paralizzato i suoi movimenti, e lesto si diede una spinta con la schiena per iniziare a dondolare fra i due fili che lo sostenevano a mezz’aria, "Se speri di compiere un salto, lasciando questa stanza, sappi che sarebbe comunque inutile: subito ti inseguirei per finirti, dopo aver eliminato l’altra guerriera! E, comunque, non ti darò nemmeno il tempo di fare ciò!", avvisò lesto Kusag, espandendo il cosmo, che andò a colmare le sue mani.

"Occhi dell’Infinito! Spezzate le speranze di questo folle!", tuonò l’Anunnaki, scatenando le sfere d’energia contro l’avversario.

Altrettanto rapido fu allora il cavaliere di origini egizie nell’abbandonare uno dei due fili, dandosi al qual tempo la spinta per compiere una traiettoria parabolica con l’altro, uscendo dal raggio d’azione delle due sfere d’energia, che frantumarono la parete alle spalle del santo di Atena.

"Klubi Nematon!", esclamò, alla fine dell’acrobatica manovra, Husheif, intrappolando nella fitta ragnatela il nemico, cogliendolo alla sprovvista, prima che con due nuovi fili d’energia riprendesse equilibrio, sempre sospeso a mezz’aria.

"Folle! Sperare di intrappolarmi così? Nemmeno a rallentarmi può servire questa tua gabbia.", avvisò Kusag, prima che la marea di luce si muovesse nuovamente, stavolta intorno al proprio creatore, scontrandosi con le pareti della ragnatela, fino a frantumarla. Quello che, però, appena uscito dalla trappola nemica, l’Anunnaki vide, lo sbalordì ancora una volta: il suo avversario, infatti, aveva ora allungato un altro di quei fili d’energia, fino a raggiungere l’altra guerriera di Atena, ancora svenuta, e, con indicibile sforzo, l’aveva infine sollevata, facendo forza solo con braccia e muscoli dorsali, così da scagliarla al piano superiore.

"Rimprovero me stesso per tutto ciò che finora ho detto, cavaliere, alla fine sembri ben più leale ai tuoi compagni di quanto potessi immaginare: hai fatto tutto questo solo per permettere all’altra guerriera di fuggire. Sacrificio inutile, poiché, appena finito con te, sarà lei la prossima a cadere.", osservò pacato il guerriero di Labbu.

"Non è un sacrificio il mio, né qualcosa di inutile, poiché sono certo di ucciderti.", replicò semplicemente Husheif.

"Parole forti, che ti fanno sembrare solo più debole, cavaliere.", fu l’unica replica dell’altro.

***

Girru di Basmu osservava in silenzio la distruzione che aveva portato nella sala dove un tempo risiedevano le vestigia degli Anunnaki, finché, con suo sgomento, vide le vestigia di Usma al suolo, coperte da parte delle macerie che ora riempivano quella stanza.

Con passo svelto il guerriero mesopotamico raggiunse l’armatura, togliendo da sopra di essa i frammenti di roccia, mentre già alle sue orecchie giungeva un rumore impossibile da confondere, "Sei più resistente di quanto potessi pensare, straniero, e di certo folle a sufficienza da rialzarti.", osservò, ancora occupato a risollevare l’armatura di Usma, l’Anunnaki.

"Ho già replicato prima a parole simili da te dette e l’unica cosa che ti ripeterò è questa: non ti permetterò di sorpassarmi e raggiungere i compagni che ho lasciato andare avanti. Ed ora, girati, guerriero, che lo scontro possa continuare fra noi!", esclamò in tutta risposta Menisteo di Eracle.

Con estrema calma l’Ummanu di Basmu si voltò, "Non mi hai colpito alle spalle, degno di nota è questo, di certo, ma non pensare che non avrei potuto evitare comunque un assalto, o che per tale motivo sarò ben più misericordioso verso di te.", avvisò di rimando l’Anunnaki.

"Nessuna di queste cose ha sfiorato la mia mente. Solo le regole della cavalleria mi hanno vietato di attaccarti alle spalle; di certo non ti chiedo misericordia, né prima l’ho fatto. Solo di cedere il passo ti chiederei, ma so già che non lo farai, per riconoscenza verso il tuo Re, qualcosa che ben comprendo, poiché anch’io sono mosso da riconoscenza verso chi mi ha cresciuto e reso cavaliere, il mio maestro Degos di Orione, che in me ha grandi speranze.", spiegò con tono calmo il santo di Atena.

Finite quelle parole, il cosmo del cavaliere esplose, come un tornado d’indicibile furia, l’aria iniziò a roteare intorno al santo d’argento, in modo quasi simile alla tecnica di Ea, che Girru aveva sentito nominare.

"Ora preparati, Anunnaki, poiché, proprio per onorare il maestro ed i doveri di cavaliere, che sono diventato grazie a lui, ti colpirò con il mio attacco più potente!", avvisò il santo di Eracles.

"Bene, per rispetto a ciò, vorrà dire che anch’io darò il meglio di me!", ribatté subito dopo il guerriero mesopotamico, prima che ancora fumo uscisse, esplodendo con una fiammata, dalla maschera dell’Ummanu, all’apertura della quinta bocca di Basmu, che rivelò anche il viso dell’uomo al suo avversario.

***

Bao Xe della Musca osservava dall’impassibile maschera l’Anunnaki che, pochi istanti prima, aveva investito con un violento attacco il cavaliere dei Cani da Caccia, pronta a riprender contro costui battaglia.

"Ti prepari allo scontro, donna? Eppure dovresti aver capito che con me non vi è battaglia! Il tuo compagno d’arme aveva sì scoperto come tenermi a distanza, nell’uso di alcune mie tecniche, ma questo non lo ha salvato, credi che salverà te? Pensi di avere un’arma così potente da contrastare il Carro di Luce che tutto travolge?", domandò allora Nusku del Carro Solare, espandendo il proprio cosmo.

"Non ho bisogno di un’arma che mi permetta di fermare quel tuo colpo, non ti darò nemmeno il tempo di eseguirlo, Anunnaki!", replicò decisa la sacerdotessa guerriero, lanciandosi per prima all’attacco.

"Volo di Myia!", esclamò Bao Xe, cercando di portare a segno le punture d’energia cosmica, dirette a danneggiare le articolazioni del nemico, ma, per ogni corpo che lei effettuava, l’Ummanu portava a difesa di se stesso gli scudi sugli avambracci, sfruttandoli al meglio per contenere gli assalti, che si persero sulle difese di Nusku, danneggiandole, ma non distruggendole.

"Inutile sforzo il tuo, che niente ti ha concesso, se non di avvicinarti troppo per tentare ora alcuna difesa! Cadi, donna, seconda ad essere finita per mano mia, travolta dalla furia dei Cavalli del Sole!", tuonò, scatenando dalle proprie mani l’assalto energetico dei due destrieri di luce, che in più e più fasci si mutarono, investendo in pieno la sacerdotessa della Musca, che malamente volò poi al suolo, ferita e dolorante.

Con passo calmo, subito dopo, l’Anunnaki si diresse verso la guerriera appena sconfitta, notando che ancora respirava, seppur a fatica, "Sorte avversa la vostra, che vi ha concesso vestigia tanto resistenti da sostenere i miei colpi, allungandovi l’agonia. Ma non temere, donna, ora ti farò dono di una morte certa e veloce, che per sempre strapperà via da te le sofferenze.", avvisò deciso Nusku, prima che un cosmo esplodesse alle sue spalle.

"Non osare tanto, guerriero, non lei è la tua nemica, ma io ancora!", tuonò decisa la voce di Wolfgang dei Cani Venatici, "Sfortunato sei dunque anche tu, salvato dalle vestigia che in parte hanno retto? Ah, quanto male vi vuole il destino, stranieri.", ironizzò l’Anunnaki, osservando l’armatura che a malapena celava le ferite sul corpo dell’avversario.

"Non la sorte ci ha dato armature resistenti, ma le cure che Ea il Saggio ha loro rivolto! Ed ora preparati, guerriero, poiché saprò vincerti!", tuonò a quel punto il cavaliere di origini tedesche.

***

Su due fili si sosteneva Husheif di Reticulum, dondolandosi a mezz’aria, per darsi la spinta, in quel modo, il cavaliere di Atena cercò di colpire con un violento calcio il viso dell’Anunnaki di Labbu, colpo che, però, fu bloccato dalla marea di luce che, sollevatasi, si rese tanto solida da bloccare l’assalto nemico, spingendo indietro il santo d’argento.

"Inutili sono contro di me gli assalti fisici, come inutile è questo tuo giocare al funambolo! Se pensi che restar fuori dall’espandersi del mio cosmo ti salverà la vita, ebbene ti sbagli, poiché non vi è luogo che non possa raggiungere.", avvisò di rimando Kusag, aprendo le mani e volgendo le dita verso la luce che lo circondava, "Zanne del Labbu, ascendete al vostro nemico!", tuonò l’Anunnaki, prima che, dalla marea che riempiva la stanza, non si sollevassero dieci affilate stalattiti di energia, simili alle zanne del mostro marino che, poco prima di rivelarsi, lo stesso Ummanu aveva mostrato loro, fauci che veloci corsero verso il comune bersaglio: Husheif.

Il cavaliere d’argento dovette quindi far leva sui propri muscoli dorsali e sui bicipiti per spiccare un rapido salto che gli permise di allontanarsi di qualche passo dall’avversario, lasciando che quelle fauci d’energia distruggessero solo i fili, andando a scalfire il soffitto. Non poté, però, cantar vittoria Husheif, poiché subito nuove zanne si alzarono sotto di lui, iniziando ad inseguire ogni suo spostamento; "Rinuncia, cavaliere, non è il Labbu dotato di molte bocche, così come il Mitico Basmu, ma è di certo eccellente predatore nelle acque, che mai lascerà fuggire una preda!", avvisò Kusag. E, quasi a voler dar conferma di quelle parole, proprio nello stesso istante, le stalattiti d’energia si ersero, spezzando uno dei fili prima che il santo di Reticulum potesse lasciarlo, così da sbilanciarne la posizione e far sì che altre acuminate zanne lo investissero, perforandone l’armatura e ferendone il corpo con violenza.

Solo un’esplosione di luce impedì che quella mattanza si potesse concludere, un’esplosione dai molteplici colori che annullò l’attacco dell’Anunnaki.

Kusag stesso osservò con leggera sorpresa un involucro di fili cadere al suolo, "Una protezione ben più portentosa della precedente, non vi è che dire, ma come puoi sperare che duri in eterno?", domandò a quel punto l’Ummanu di Labbu, prima che, fra i molti colori, quel guscio andò in pezzi, liberando molteplici fili di una tela arcobaleno, che riempirono la stanza, fino a circondare lo stesso Anunnaki.

Husheif non sapeva se utilizzare, dopo meno di ventiquattro ore, nuovamente la tecnica che dalla Nebulosa della Tarantola prendeva il suo potere fosse un’azione saggia, ma era certo che, come la Gabbia di Fili, così nemmeno la Rete Bianca avrebbe avuto alcun effetto su quel nemico, rischiando così di perdere altro tempo, oltre che energie necessarie per evocare il suo colpo più potente, l’unico con cui avrebbe intrappolato l’avversario per riuscire così a finirlo.

"Sei sciocco, cavaliere, molto sciocco!", avvisò a quel punto Kusag, interrompendo i pensieri dell’avversario, "Credi davvero che questa rete, che mi intrappola come un insetto sulla tela di un ragno, possa rendermi inoffensivo? Mi valuti così legato ai movimenti del corpo nel combattere? Eppure dovresti averlo capito che, al contrario di voi, non ho bisogno di alcun movimento per portare a termine lo scontro. Troppo mi hai sottovalutato, ora ti punirò con l’ultimo segreto da me appreso in anni di ascesi solitaria, la tecnica finale di cui Kusag di Labbu è padrone.", avvisò l’Anunnaki.

Con le mani giunte dinanzi al viso, la marea di luce che intorno al suo corpo pareva ora piatta, come mare in un giorno senza vento, l’Ummanu espirò profondamente, aprendo poi i palmi verso il nemico, "Visione del Nulla!", sussurrò.

In quello stesso istante, le acque di luce si aprirono, creando due muri verdi e lasciando un corridoio libero fra il cavaliere e l’Anunnaki ed un’unica, irruente ed incontrollabile, esplosione d’energia, detonò in direzione del santo d’argento, che, inebetito e troppo preso a concentrarsi sul proprio attacco, non poté alcunché per difendersi, venendo immancabilmente travolto dall’attacco.

Kusag osservò il proprio avversario immobile subire interamente l’attacco, che lo travolse, dilaniando le vestigia, distruggendole in più punti, provocandovi tutti quei danni che fino a quel momento non aveva potuto infliggergli, prima che il cavaliere di Atena ricadesse al suolo, con il proprio sangue che scivolava via dal corpo, attraverso le molte ferite apertesi.

Appena una leggera risata l’Anunnaki rivolse verso il nemico, non per derisione, ma piuttosto come critica ultima dinanzi al cieco modo d’agire d’altro, che, agli occhi dell’Ummanu era stato folle a cercare di vincerlo, oltre che, inizialmente, di ingannarlo con parole menzognere sul Principe Rosso.

Dopo quella risata, il guerriero mesopotamico si volse verso il foro creato sul soffitto della sala, lì dove svenuta si celava l’altra nemica che s’era trovata sul suo cammino, lì si sarebbe ora diretto, per finire anche quella guerriera, ma, ben presto, le volontà dell’Anunnaki si scontrarono con la secca realtà: la ragnatela dai molteplici colori non s’era disfatta, anzi ora lo stringeva ancora di più al suolo, rendendo difficile ogni movimenti a Kusag, che solo in quel momento comprese come ancora la vita, per quanto flebile, soffiasse ancora nel corpo del nemico.

"Ancora non rinunci, cavaliere? Sia, ti concedo il titolo di testardo, fosse anche impavido! Ma perché aneli tanto la sofferenza per il corpo? Pensi forse che con il dolore dei sensi potrai ottenere la conoscenza ultima del cosmo? Credi che un dolore conceda, in cambio, un premio? Folle sei se speri ciò!", esclamò l’Anunnaki, espandendo il proprio cosmo, "Cedi alla morte che ti chiama a se, non combattere oltre, che bene ti viene dal bruciare così la vita? Quale guadagno da questo sacrificio?", domandò Kusag, deciso.

Solo quelle ultime parole giunsero alle orecchie di Husheif, troppo stanco per fare niente più che concentrarsi, per portare avanti il proprio attacco, troppo debole per ogni altra azione, se non ascoltare le parole del nemico e, a quella domanda, giunta per ultima, rimembrare avvenimenti di un passato lontano, sull’Isola di Andromeda.

Edward di Cefeo era da poco tornato dalla battaglia in Africa quando, inaspettatamente, s’era sentito male: febbre, sangue che colava da ogni orifizio del suo corpo, piaghe, diverse erano state le sintomatologie che lo avevano colpito, in meno di una settimana dalla fine di quella battaglia.

Per quanti medici avessero scortato fino a quel luogo inospitale, nessuno dei tre allievi aveva trovato un modo per curare il maestro che veneravano come un padre e, alla fine, tutti e tre avevano dovuto accettare ciò che il cavaliere d’argento diceva loro da tempo: non preoccuparsi per la sua fine, poiché era stato ciò che Atena aveva scelto per lui.

Nel dolore, Juno e Nirra avevano, alla fine, accettato quelle parole, convincendosi che quello era stato il destino del loro maestro, ma, non per questo, avendo in odio la dea, poiché lo stesso cavaliere di Cefeo aveva spiegato loro che, dopo aver conosciuto i suoi tre allievi, averli cresciuti e visti diventare nobili guerrieri, anche quella lunga agonia non era che leggera sofferenza in una vita di gioie.

Husheif solo non era rimasto soddisfatto di quella spiegazione data dal maestro, così, un pomeriggio, durante la seconda settimana dal presentarsi del male, rimasto solo con il santo di Cefeo, il giovane egizio decise di prendere il discorso, che da tanto portava in mente.

"Maestro…", esordì con tono titubante, mentre gli occhi incavati dell’insegnante lo scrutavano con gentilezza, "permettetemi una domanda, ora che gli altri non ci sono: cosa ha prodotto questo male? Non il caso, non la sorte…ne sono convinto, ma un nemico! Chi?", domandò con determinazione.

Una risata, soffocata solo dal sangue che raggrumava nella gola del santo di Cefeo, si poté udire, prima che l’altro rispondesse: "Husheif, Husheif, sei sempre il solito, astuto, attento e calcolatore, arrivi con la ragione lì dove altri non saprebbero giungere con intuito e cuore; il che fa di te un perfetto guerriero, ma non altrettanto perfetto ti rende come cavaliere d’Atena, poiché anche al cuore devi dare ascolto, altrimenti come potrai seguire la via della Giustizia e della Pace che la dea ci indica?", lo ammonì, con tono bonario, Edward, lasciando sfuggire uno sguardo di stupore, misto a disappunto e rassegnazione nell’allievo, che spesso sentiva queste parole dal suo maestro.

"Maestro, la prego… mi risponda.", incalzò il cavaliere di Reticulum, "E’ stato quel guerriero da cui ci avete fatto allontanare?", domandò ancora il giovane allievo.

"No, non è stato il guerriero della Salamandra, il suo fuoco di conquista è stato spento poco dopo che v’eravate allontanati, Husheif, ma egli non era che un’avanguardia, una fiamma che avrebbe dovuto aprire la strada a ben più grande inferno… un intero plotone, infatti, arrivò dopo di lui.", raccontò, con la voce spezzata da qualche colpo di tosse, il maestro.

"Ve ne erano degli altri? Perché non ci avete richiamato? Saremmo stati pronti a combattere al vostro fianco!", esclamò di rimando il giovane cavaliere di origini egizie.

"Sapevo già che ve ne erano altri…", rispose subito, prima che un colpo di tosse lo piegasse, il santo di Cefeo, "li avevo avvertiti mentre ancora voi vi rialzavate da terra, avevo sentito cosmi così maestosi da duellare per virtù con quello del mio maestro, il defunto santo del Toro, ma, altresì privi della bontà di cui era padrone l’uomo che mi allevò. Proprio per questo vi ho mandato via, per non incontrare coloro che io vidi.

Un uomo, dall’effige di Leone Nero, le vestigia minacciose della fiera africana, questi si disse il Re di quello che definiva l’Esercito dell’Africa Nera ed il suo cosmo era affilato e tagliente, come artigli pronti ad avvinghiarsi sulla preda.

Accanto a lui, la sua luogotenente, una donna dall’aura venefica, fredda e malvagia, il Mamba Nero diceva d’essere fra quelle schiere. Terribile e veloce ella mi colpì, ma non mi finì, avvisandomi che il tramonto della mia vita sarebbe stato lento e doloroso, eterno monumento al potere dell’Esercito Nero ed alla gloria del Leone Nero suo sovrano.

Non v’era però tristezza nel mio spirito, né quando mi vinsero, né quando presi consapevolezza della sorte che ora m’attende: ho consumato la candela della mia esistenza, ma ho salvato le vostre che, sono certo, brilleranno alte nel cielo di Atena.", concluse Edward, con un sorriso macchiato solo dal sangue che segnala il suo labbro, per il troppo parlare.

"Ma… maestro, perché? Se sapevate di quei nemici, perché non allontanarvi con noi? Perché siete rimasto indietro? A cosa ha giovato il vostro sacrificio?", sbottò, con le lacrime agli occhi, Husheif.

"Proprio non capisci? Eppure è semplice, se non fossi rimasto a combattere, ad eliminare Salamandra e rallentare il resto dell’armata, voi avreste rischiato la vita.

Tre vite che, per me che le ho cresciute, aiutandole a diventare i nobili cavalieri che ora siete, erano più preziose della mia; per voi ho fatto una scelta e spero che, un giorno, tu possa capirla e comprendere quale valore dare alla propria di vita in funzione delle altre, forse l’unica lezione che ancora non ti è riuscito d’apprendere, figliolo.", concluse Edward, sorridendo, per poi chiedere un po’ di riposo, che gli fu dato, senza problemi.

Quel giorno, Husheif non aveva compreso quelle parole, una motivazione sciocca, a suo dire, per sacrificare la propria vita: Edward era cavaliere da molti anni, li aveva addestrati, avrebbe potuto avere altri allievi, volendo, oppure fuggire dopo aver sconfitto la Salamandra Nera, ma, no! Aveva deciso di combattere, di rallentare un esercito troppo potente perché potesse vincerlo da solo, aveva scelto di rischiare e sacrificare se stesso anziché salvarsi, per il bene degli allievi.

Il dolore, da quel giorno, s’era mischiato con la rabbia, rabbia per la propria incapacità, ma ancora di più per quella di Juno, che come lui era cavaliere d’argento, e di Nirra, una sacerdotessa di bronzo, niente di più. Rabbia che alla fine esplose, dopo la morte del maestro, ridottosi ad un’ombra di se stesso, dilaniato dal male che lo aveva divorato dall’interno; quella rabbia lo spinse ad abbandonare l’Isola dove era stato addestrato per un luogo dove niente gli ricordasse quei giorni: Atene. Lì aveva trovato la sfida di Damocle, costantemente in duello, seppur silenziosamente, con lui per chi fosse il migliore; le sfide delle missioni, dove mai dimostrava pietà per i nemici, o interesse per i compagni, tutto questo per stringere a se quella vita che aveva ancora, la vita che il maestro aveva voluto salvare, l’unica che Husheif possedeva e considerava.

Ed ora era lì, nelle sale di Anduruna, ad usare per la seconda volta, in breve tempo, la sua tecnica più potente dinanzi a quello che, probabilmente, era uno dei guerrieri più forte contro cui avesse mai combattuto, se non il più potente, tanto da lasciare che il cosmo trasudasse da lui come un oceano. E perché continuava a combattere? Per la missione, di certo, ma anche per proteggere l’altra sacerdotessa guerriero, quella della Sagitta.

Husheif stesso lo trovò ironico, in quei secondi di silenzio, mentre rifletteva, come stesse rischiando se stesso per una donna che riteneva stupida, ma che, comunque, aveva più probabilità di essere d’aiuto durante le battaglie a venire, anche per soccorrere i compagni feriti.

Come Leif aveva protetto Dorida alle mura esterne, come Gwen aveva combattuto per tutti contro Aruru; allo stesso modo in cui la sacerdotessa del Corvo aveva protetto quella della Sagitta ed il cavaliere dell’Auriga quello dei Cani Venatici contro Enlil, come Cetus aveva soccorso lui dopo la battaglia con Beletseri e come, infine, aveva fatto anche Damocle, sfidando egli stesso Mummu di Apsu, così ora anche il santo di Reticulum sembrava pronto a rischiare in prima persona non solo per se stesso, ma anche per gli altri suoi parigrado, per la missione, per la Giustizia che ora stavano servendo.

Che fosse quella la motivazione che Edward aveva avuto anni prima? Husheif non lo sapeva, ma, in quel momento, per la prima volta dopo molto tempo, sentì quasi di aver compreso le ragioni del maestro e ciò gli bastò, anche solo per rialzarsi in piedi e combattere ancora.

Caldo s’espanse, in quel momento, il cosmo che proveniva dalla ragnatela che tutto ricopriva intorno all’Anunnaki, tanto incandescente da iniziare a bruciare le vestigia di Labbu.

Kusag allora si volse verso il cavaliere di Atena, di nuovo in piedi, che lo scrutava con occhi stanchi, ma al qual tempo profondamente decisi.

"Sei dunque deciso a continuare lo scontro fino all’epilogo più violento? Sia pure, guerriero di Atena.

Che t’accolgano i tuoi dei, dopo che avrai subito il mio attacco!

Visione del Nulla!", tuonò deciso l’Ummanu.

Niente rispose Husheif a quelle parole, se non il nome del proprio attacco: "Pagida Aracné!".