Capitolo 26: Veleno

La notte portò sui corpi dei cavalieri di Atena tutta quella stanchezza che nemmeno le cure date dalle vestigia di Khuluppu poteva scacciare: quello era, in fondo, il secondo giorno di battaglia e stenti per il gruppo di santi d’argento, nonché l’ennesimo di un viaggio che pareva non aver fine, portandoli ben lontani dalle terre che ognuno di loro conosceva.

La fatica, alla fine, prese il sopravvento e domandò ai cinque santi di Atene che ancora si muovevano fra i corridoi di Anduruna, il giusto prezzo, spingendoli a riposare, seppur a turni, gli uni nell’ampio labirinto vegetale, gli altri fra le pareti crollate che li avrebbero condotti al piano superiore.

Solo le prime luci dell’alba risvegliarono i cinque, inconsapevoli che già ad attenderli, ben più riposati e sazi, vi erano due nemici che di loro non avrebbero avuto pietà, poiché non la conoscevano.

****

Fu il caldo sole del mattino, con i suoi primi raggi, a risvegliarlo; non sapeva per quanto avesse dormito, né la sorte toccata ai compagni, ma non ci volle molto a Damocle di Crux per riaversi dalla confusione iniziale, richiamato alla realtà dal dolore che il corpo trasmetteva lui, il dolore delle diverse ferite riportate nello scontro contro Mummu di Apsu.

A fatica il cavaliere d’argento arrancò verso la prima parete che vide dinanzi a se, dolorante in ogni movimento per le ossa che sembravano sul punto di spezzarsi ogni istante che passava a forzarle attraverso i muscoli in azioni che, fino a prima di quella battaglia, sarebbero state per lui semplici, quanto rapide.

Trattene un urlo di dolore il cavaliere d’origini italiane, una volta in piedi, dopo un indicibile sforzo che gli costò diversi minuti, poi iniziò a avanzare, claudicante, sostenendosi alle pareti che trovava intorno a se, deciso a raggiungere e seguire quella scalinata che lo avrebbe portato al piano superiore, dove, sperava, ormai non vi fossero più battaglie, ma ben consapevole che, se si fosse raggiunto un chiarimento, di certo lo avrebbero già soccorso, mentre lui, da ciò che poteva vedere, era rimasto diverse ore assopito sul balcone dove aveva sconfitto l’Anunnaki traditrice.

***

Correvano nei meandri del labirintico giardino, in cerca di un’uscita, i tre cavalieri d’argento; Bao Xe della Musca apriva la fila, subito seguita da Wolfgang dei Cani da Caccia e da Leif di Cetus, che concludeva il gruppo, facendone da retroguardia.

Per diverse ore, prima di riposarsi per la notte, e dopo essersi ripresi, i tre avevano cercato una via d’uscita, aiutati solo dalla gelida scia che il santo della Balena lasciava dietro di se, impedendo che si perdessero, girando in tondo per più e più volte lungo l’ostile percorso.

Alla fine, quando ormai era giunta l’alba, i tre sembravano diretti verso l’unica possibile strada che li avrebbe condotti all’uscita.

Fu proprio allora che accadde l’imprevedibile: Bao Xe per prima avvertì, infatti, un fetido odore, quasi di putrefazione, alzarsi nell’aria intorno a loro, notando solo in quel momento come anche la vegetazione andasse morendo, appassendo senza un apparente motivo che non fosse quel terribile fetore.

Wolfgang, poi, dopo alcuni passi condotti lungo quella stessa malevola aria, cadde in ginocchio, sputando e rigettando succhi gastrici per il puzzo che tutto impregnava.

I due compagni, però, non ebbero nemmeno il tempo di soccorrerlo che una risata echeggiò nell’aria intorno a loro, preannunciando l’arrivo di qualcuno.

"Forse l’accoglienza che vi ho rivolto non a voi è gradita? Oppure, più banalmente, vi è uno stomaco debole fra gli invasori di queste terre? Non lo avrei mai detto, date le battaglie che avete saputo vincere contro alcuni di noi.", osservò ironica una voce, fermando la propria risata, prima che, da un muro di foglie ormai marce, apparisse un guerriero dalle vestigia rosse.

Il misterioso guerriero era leggermente ingobbito, lunghi capelli verdi scendevano sull’armatura rossa che sembrava rappresentare un qualche strano demone.

L’elmo, infatti, era costituito da due alte corna, che s’alzava da una corona rossa, attraverso la chioma dell’Annumaki, il corpo della corazza sembrava raffigurare due ali di pipistrello chiuse sul tronco del guerriero, simili ad una seconda coppia d’ali che s’apriva, come orrido mantello, sulla schiena dello stesso, mentre gambali e copertura delle braccia avevano forma di zampe di un felino, forse un leone, e la cinta, al contrario, era costituita di squame, come fosse il corpo di un serpente.

Gli occhi rossi del nuovo giunto scrutarono con attenzione i tre nemici: una risata annoiata scaturì nel notare l’aspetto della sacerdotessa guerriero, per poi lasciare che lo sguardo di nuovo vagasse, avanzando verso i due cavalieri che la accompagnavano.

"Ebbene, stranieri? Nemmeno una parola mi rivolgete? Se fossi più attento alle usanze degli Ummanu tutti potrei anche dirmi offeso dal vostro silenzio.", rise divertito l’Annumaki.

"Attendete forse il mio nome prima di dire alcunché, oppure, nell’apice del suo fallimento, Nusku è comunque stato capace di strapparvi la lingua? Ad ogni modo, io sono Erra di Pazuzu; gli amici più cari ed i nemici tutti, mi chiamano però Pestilenza degli Uomini, poiché, come il demone che le mie vestigia raffigurano, porto malattia e venefiche sofferenze in chi mi incontra.", esordì, accennando un inchino, prima di scoppiare in una nuova risata.

Per alcuni attimi i tre santi di Atena si scambiarono dei veloci sguardi, fu poi proprio Bao Xe a farsi avanti per prima, "Abbi la pazienza di ascoltarci, Annumaki, poiché immagino che tale tu sia, dato il colore delle tue vestigia.", esordì la sacerdotessa guerriero, interrompendo con quelle parole le risate dell’altro, "Noi non siamo vostri nemici, non abbiamo ucciso né il tuo sovrano, né l’anziano Ea, né alcun altro degli Ummanu che non ci avesse prima attaccato, costretto dagli inganni dei cospiratori che fra voi si celano…", ma le parole della donna furono interrotte da un gesto dell’altro.

"Non serve che tu mi dica ciò, straniera, non sono qui per accusarvi della morte di Enlil, Ea, o di chiunque altro, né mi interessa sapere contro chi finora abbiate combattuto dovendo strappargli la vita, fossero anche stati solo Annumaki miei pari.

So anzi molto bene del tradimento che vi è in corso, so che il Grande Sin ha portato via con l’inganno Ea da dinanzi a voi, lasciandovi a combattere con la traditrice degli Anunnaki e so anche che proprio lui ha strappato la vita all’anziano consigliere di Marduk, questo perché io ero lì e ho personalmente inferto calci, pugni e sofferenze al vecchio, prima che la vita gli fosse rubata.", concluse, in un crescendo di risate, l’Annumaki di Pazuzu.

"Sei dunque tu, uno dei traditori?", ringhiò Wolfgang, facendosi avanti a fatica, sempre più stordito dall’aria fetida che riempiva l’ambiente, "Non traditori, ma fautori di un nuovo inizio, questo noi siamo, che seguiamo il futuro Re Rosso, colui che riformerà l’ordine degli Ummanu tutti, dandoci un nuovo fine, un più grande potere da usare in battaglia, per dominare le terre bagnate dal Tigri e dall’Eufrate con pugno d’acciaio.

A me, in particolare, è stato promesso il titolo di Primo Comandante dei nuovi Annumaki: portatori di sventura e morte ben presto diventeranno tutti i guerrieri rossi, non più sciocchi idealisti come Enki vi saranno, o leali guerrieri quali Nedu, solo divoratori di uomini come me, Zakar, o Arazu, e piacevoli serve pari a Beletseri, ma ben più addomesticate!", rispose, continuando le sue folli risate, Erra, scrutando i nemici dinanzi a se.

"Follia e morte alberga nelle tue parole, traditore delle tue stesse genti, per questo pagherai, come anche per tutte le morti che, dalle vostre azioni, sono scaturite!", tuonò proprio il cavaliere dei Cani da Caccia, pronto a lanciare il proprio attacco, ma subito fermato da un nuovo coniato di vomito, che a stento riuscì a trattenere, cadendo in ginocchio.

"Troppo debole sei, piccolo uomo, per provare anche solo a sfiorarmi, di certo fiaccato dallo scontro con Nusku, che immagino avrai vinto a fatica. Troppo debole per confrontarti con la prima delle armi del Pazuzu.", lo ammonì subito l’Annumaki.

"Dunque questo…", riuscì appena a balbettare il cavaliere di origini tedesche, "Soffio della Pestilenza! Il nome della prima tecnica del Pazuzu, il respiro stesso della bestia malefica, che come alito di morte s’espande, portando decadenza e venefico tormento in chiunque lo assorba, specie se debole per le passate battaglie!", tuonò gioioso l’Ummanu.

"E chi invece è ancora forte delle proprie virtù guerriere?", domandò allora una nuova voce, quella del cavaliere di Cetus, portatosi dinanzi al proprio compagno d’arme.

A quelle parole, Erra scrutò con attenzione il nuovo nemico che gli rivolgeva la parola, "Sarebbe un pasto ben più prelibato per Pazuzu, di chi già ha un piede nella fossa.", replicò alla fine l’Annumaki.

"Ebbene, è deciso dunque, sarò io, Leif di Cetus, il tuo avversario, traditore del tuo stesso esercito, non i miei compagni, che ora ti sorpasseranno!", aggiunse freddo il cavaliere di origini nordiche.

Tutti rimasero interdetti dalle parole del santo di Atena, dall’Ummanu, che lo osservò stupito, a Wolfgang e Bao Xe.

"Cavaliere, ma cosa vai dicendo? Combattere da solo contro costui? Lascia a me la battaglia, sono la più adatta! Come lui anch’io possiedo un cosmo che del veleno sfrutta i fatali poteri.", affermò subito la sacerdotessa guerriero.

"No, Musca, non a te lascerò la battaglia, ma non per sfiducia, bensì perché ho già notato cosa si erge dietro costui.", spiegò sibilino Leif, spingendo, con le sue parole, anche la parigrado ad osservare oltre le spalle del nemico, notando qualcosa che fino a quel momento non aveva compreso: il giardino dietro la Pestilenza degli Uomini non era completamente appassito, solo alcuni tratti, che sembravano formare un percorso.

"Lo capisci, vero, Sacerdotessa? La strada per uscire da questo labirinto lui stesso ce la mostra, è quella intrisa del suo veleno: un percorso che probabilmente sarebbe mortale per Wolfgang se dovesse avanzare con me, che potrei solo per me stesso evitare l’effetto dei suoi effluvi di morte, al contrario, sono certo che le tue doti, e la maschera che indossi, ti permettano di avanzare tanto velocemente da salvare anche il cavaliere nostro pari.", esplicò il cavaliere di Cetus, "E poi, come ti ho già detto, so come neutralizzare i veleni che questo Annumaki usa in battaglia.", concluse con voce calma, ma risoluta.

Non fu però la guerriera a replicare a quelle parole, bensì una risata di Erra interruppe il dialogo fra i cavalieri tutti, "Spiegami, straniero…anzi, spiegatemi tutti voi, come mai state dando per scontato che io lasci passare alcuni per combatterne uno solo, quando è mia intenzione distruggervi tutti?", domandò divertito l’Annumaki di Pazuzu.

"Non avevo nemmeno supposto che tu lasciassi passare alcuni di noi senza recriminare, Ummanu, bensì, non ti lascerò il tempo di farlo!", tuonò deciso Leif, lanciandosi per primo all’attacco del guerriero scarlatto.

Un veloce diretto destro corse verso il petto dell’Annumaki, che fu abbastanza agile da evitare l’attacco con un secco movimento del corpo, così da portarsi al di fuori del raggio d’azione del nemico, ma questo non lo salvò da una seconda carica di Leif, che con un manrovescio portato con il pugno sinistro cercò di raggiungere il volto dell’avversario mesopotamico, che agile fu nell’abbassarsi per evitare anche quel colpo.

"Ora, Musca, andate!", urlò il cavaliere di Cetus, dandosi lo slancio con le gambe per un secco pugno allo stomaco dell’avversario, che dovette portare gli avambracci a difesa del corpo, rivelando, per la prima volta dall’iniziare di quella serie di colpi, una nota di sorpresa nel volto, subito sostituita da un sorriso divertito.

Non disse niente Erra, preoccupandosi solo di compiere una rapida rotazione, così da sbalzare via il santo d’argento con il movimento del lungo mantello, che spinse indietro Leif, il quale, però, fu lesto nel poggiare le mani a terra e colpire con una secca spazzata il ginocchio sinistro dell’Annumaki, sbilanciandolo in avanti.

Ci volle tutto l’equilibrio dell’Ummanu di Pazuzu perché questi, anziché cadere al suolo, riuscisse a poggiare la mano destra al suolo, dandosi la spinta sulla stessa per spiccare un alto balzo, pronto a planare verso i due guerrieri avversari che già si stavano allontanando oltre i due combattenti.

"Non vi permetterò di sfuggirmi!", tuonò semplicemente Erra, "Al contrario, sarò io a non permetterti di fermarli!", urlò di rimando Leif, aprendo la mano sinistra e lasciando che le gelide energie fredde di cui era padrone si propagassero dalla stessa, "Diamond Dust!", invocò, scatenando la Polvere di Diamanti contro le scarlatte ali che componevano il mantello del guerriero, congelandole, più che superficialmente, e costringendo l’Annumaki a scendere al suolo, sotto quel nuovo peso, atterrando sulle ginocchia. In quello stesso momento, però, lo stesso cavaliere di Cetus barcollò per alcuni secondi, prima di riprendere il controllo delle proprie reazioni.

Erra fu in piedi ancora prima che il suo nemico si riprendesse, ma non lo attaccò, piuttosto lo osservò per alcuni secondi, sorridendo come un gatto dinanzi al topo che diverrà il suo pasto, "Interessante quanto folle la tua idea di salvare quei due restando a combattermi, peccato che tu, nel piano che devi aver sviluppato, abbia fatto due errori madornali.", esordì sornione l’Annumaki, "Quali errori? Di cosa parli?", domandò perplesso Leif di Cetus, "Innanzi tutto, non hai valutato l’effettivo potere del veleno di Pazuzu, che questo giardino ha permeato: credere che quella maschera permetta alla donna di salvare se stessa e l’altro è pura follia; basta la pelle perché i terribili effluvi che ho lasciato lungo il cammino li raggiungano.

Errore più grande, però, lo hai fatto nel dirti capace di resistere alle mie arti di morte, o quanto sbagli, straniero, se credi che quello che hai fatto non sia per me chiaro: ti sei permeato di una qualche tecnica congelante, l’ho avvertito al primo contatto dei nostri corpi e, prova ne è che, quando hai gelato le mie ali, sei stato investito dal Soffio della Pestilenza, che riempie l’intero ambiente.

Furbo come piano, ma se vorrai combattermi dovrai per forza usare altre tecniche, quindi dovrai fare a meno di quella tua protezione.", rise alla fine Erra, le cui mani sembravano ora accendersi d’energia cosmica, "Tanto più che non ho bisogno, al contrario di te, di espandere di continuo il Soffio della Pestilenza, ormai l’intera zona ne è permeata, non potrai in alcun modo sfuggirvi, quindi, posso anche usare qualcosa di più consono al tuo desiderio di un combattimento serrato e puramente fisico.", concluse divertito l’Ummanu.

"Artigli della Sventura! Dilaniate!", tuonò pochi attimi dopo il guerriero dai capelli verdi, aprendo le mani dinanzi all’avversario, prima che decine di strali di luce verdognola si scatenassero, come una fitta ragnatela, verso il cavaliere d’argento.

Già il Kolito, gli Anelli di Ghiaccio si erano disposti intorno a Leif, non appena la Polvere di Diamanti era stata scagliata contro il suo nemico, proteggendolo nuovamente dalla pressante presenza di quel fetido veleno che tutto impestava, ma diverso fu l’effetto che ebbero dinanzi alla pioggia di fendenti, che inesorabile investì il cavaliere, frantumando la gelida difesa, ma, al qual tempo, perdendo di impetuosità in quella semplice, quanto devastante, azione.

"Sembra che un solo attacco non basti, ma non è un problema per me.", osservò divertito Erra, aprendo di nuovo le mani dinanzi a se, "Artigli della Sventura! Stavolta la strada è a voi aperta!", invocò l’Annumaki, scatenando ancora una volta la pioggia di strali verdognoli.

Il veleno che ne stordiva i riflessi fece in modo che Leif non potesse subito sfruttare di nuovo, in così breve tempo, il Kolito, specie se soggetto all’attacco nemico, così, il cavaliere di Cetus dovette imprimere tutta la forza possibile alle sue gambe per scattare lateralmente, spostandosi dalla traiettoria degli strali dell’avversario, colpi comunque tanto veloci da riuscire a ferirlo ad una gamba, dove si aprirono tre profondi tagli.

Una risata, a quella vista, esplose dalle labbra dell’Annumaki, "Dunque la tua sorte è segnata, straniero! Vedo il segno di tre graffi lasciati dalla zampa leonina del Pazuzu, più che sufficienti per darti lenta e dolorosa morte.", esclamò gioioso Erra.

Leif non replicò, strinse semplicemente i denti, avvertendo un forte dolore che scaturiva dalla gamba, quasi che la stessa iniziasse a prendere a fuoco, osservando con impassibili occhi l’avversario, che gli rispose con uno sguardo pieno di disappunto.

"Sei un nemico da cui è difficile avere soddisfazioni, straniero, nemmeno un urlo, un’esclamazione di disappunto, ora che il veleno starà iniziando a circolare nel tuo corpo? Niente di niente? Mi deludi davvero.", osservò l’Ummanu, "Penso che dovrò dedicarti ancora qualche minuto, prima di recuperare i tuoi compagni fuggitivi, sempre che il veleno da me rilasciato lungo il percorso non abbia già fatto il proprio lavoro.", concluse sornione.

Il cavaliere d’argento, però, non diede peso alle sue parole, troppo impegnato ad analizzare con la fredda logica che lo contraddistingueva quella battaglia, ben diversa dallo scontro avuto con Zisutra di Lamassi e, forse, proprio per questo, adesso lui si trovava ferito, perché poco aveva considerato l’effettiva potenza di quel guerriero, capace con un singolo colpo di superare sulla distanza la potenza difensiva degli Anelli di Ghiaccio, al contrario dell’Appalaku, che aveva avuto bisogno di ben più potente arma per riuscire nel medesimo fine.

Proprio questa consapevolezza rendeva difficile sfruttare alla lunga le sue difese in battaglia, poiché, oltre che dimostrarsi inefficaci, lo avrebbero anche reso incapace di usare altre tecniche in attacco…vi era, però, un’altra possibilità, più estrema, per difendersi da quel veleno, qualcosa di pericoloso che avrebbe usato solo se obbligato, fino ad allora, l’unica cosa da fare era spostarsi da quella zona, permeata dal venefico potere dell’Annumaki e tentare una strategia diversa per l’attacco.

Con un estremo sforzo di volontà, il cavaliere si rialzò in piedi, permeando nuovamente il proprio corpo con la difesa di ghiaccio, lasciando che più intensamente la stessa si stringesse sulla gamba ferita, così da rallentare lo scorrere del veleno in lui.

"Di nuovo in piedi? Ancora cerchi la protezione di quella tua difesa? Eppure dovresti capire che è inutile!", lo ammonì divertito Erra, prima che la sorpresa si dipingesse sul suo volto, vedendo l’avversario scattare per il fitto verde del labirintico giardino. "Addirittura fuggi? Prima ti sei così coraggiosamente dichiarato mio avversario ed ora tenti la fuga contro di me? Straniero fai davvero una brutta figura in tutto ciò!", lo derise divertito, aprendo subito dopo le mani, così da rilasciare gli strali d’energia verde degli Artigli della Sventura, che divelsero diversi muri vegetali, senza però raggiungere il nemico.

Una nota di disappunto, allora, si dipinse sul viso della Pestilenza degli Uomini, che subito si lanciò all’inseguimento dell’avversario.

***

In direzione opposta, nel frattempo, già correva Bao Xe, che aveva preso sulle proprie spalle Wolfgang di Cani Venatici, ancora tramortito dal potente veleno dell’Annumaki; ignara era, ai due guerrieri, la sorte del loro compagno, mentre avanzavano.

Ben più chiare, però, erano alla sacerdotessa le condizioni del parigrado, che sentiva scosso dalla pesante febbre che il potente siero di Pazuzu in lui infliggeva: aveva anche appreso dal proprio maestro come interrompere il proseguire dei veleni in un corpo di cavaliere, ma, in quel momento, non aveva tempo per curarlo, prima sarebbero dovuti uscire dal labirintico giardino.

"Resisti, Cani Venatici, solo questo ti chiedo…", sussurrò con un filo di voce la sacerdotessa, al parigrado, "anzi…", continuò dopo un attimo di titubanza, "parlami, dimmi qualcosa sul tuo addestramento. Com’è stato essere allevati dal famoso Munklar del Sagittario? Si dice che la sua forza sia tale da combattere e vincere in battaglia anche dieci, se non più, nemici contemporaneamente, è vero questo?", domandò Bao Xe, più per evitare che l’altro perdesse i sensi, abbandonandosi alla debolezza che in lui già stava insinuando il siero venefico di Erra.

Una debole risata fu la prima risposta che l’altro diede, "Il maestro Munklar è un guerriero di immensa abilità. Non ho mai visto una sua battaglia, ma so come caccia: la capacità con cui rintraccia le prede e riesce ad averne ragione, spesso senza dover nemmeno ferirle, semplicemente espandendo il proprio cosmo, tanto portentoso da convincere le fiere stesse a sottomettersi lui, lo rende un vero e proprio signore della Caccia.", ricordò con fatica evidente nella voce il cavaliere.

"Perché tanto interesse nella caccia? Come mai il santo di Sagitter ha voluto addestrarvi in questo modo?", chiese allora l’altra.

"A detta del maestro Munklar… un cavaliere è un uomo capace di dominare la natura stessa attraverso il proprio cosmo, che in un elemento di questo mondo si plasma, che sia luce, fuoco, fulmine, gelo, o qualsiasi altra… proprio per ottenere una completa unione con la natura, per apprenderne i più profondi segreti e riuscire ad usarli, il maestro ci ha addestrato prima di tutto a diventare cacciatori e da quella base ci ha iniziato dopo all’uso del cosmo.

Inoltre, come ama ripetere il maestro, un Cavaliere di Atena è un difensore della Giustizia, l’unico cacciatore che non deve uccidere le prede, bensì proteggerle da chi non le desidera per bisogno, ma per puro desiderio di compiere un sopruso.", raccontò il santo d’argento.

"Capisco, un punto di vista interessante e degno di lode, ben diverso da quello del mio maestro, ma comunque adatto ad un guerriero della fama del nobile Munklar.", osservò Bao Xe, continuando ad avanzare lungo il labirinto.

"Il tuo maestro? Chi ti ha addestrato, sacerdotessa? Ricordo di aver sentito i nomi degli insegnanti dei miei primi cinque compagni di viaggio, ma non so chi ha addestrato voi… noi soccorritori?", incalzò allora Wolfgang, ancora scosso dal veleno che ne segnava il corpo internamente.

"Lo hai conosciuto, il nobile Ascanus che vi ha accolto ad Atene, egli è stato il mio maestro.", rispose lesta la guerriera di Musca, "E’ un cavaliere? Non lo immaginavo…", osservò divertito il santo dei Cani Venatici.

"In effetti il nobile Ascanus non prova piacere alcun nel mostrare le vestigia di cui è custode, nell’ostentare il potere e valore che gli sono propri, forse proprio per questo è, al momento, il consigliere più vicino al Sommo Sacerdote, che nemmeno desiderava guerre e morte per i cavalieri da lui addestrati, malgrado il destino il contrario abbia per noi tutti decretato.

Probabilmente anche il Sommo Oracolo segue la medesima filosofia del mio maestro, anzi, chissà che non sia stato proprio il signore del Santuario a trasmettere quella logica al nobile Ascanus…", rifletté fra se Bao Xe.

"Quale logica?", domandò incuriosito Wolfgang, "Che non dalle guerre e dalle continue battaglie si sancisce chi è nel giusto e chi nel torto, non il vincitore, che ha ottenuto la ragione con il sangue versato e quello preso agli sconfitti, può decidere indistintamente cosa sia bene e cosa male. La Giustizia è qualcosa di diverso, di differente dalla violenza, qualcosa che deve essere difeso, in nome degli uomini, non usato per ostentare il proprio potere, imperando sugli altri.

Questa dovrebbe essere la natura dei cavalieri tutti, come il mio maestro mi ha spiegato, guerrieri che difendono la Pace, accettando di dover strappare le vite dei nemici, ma non gioendo di ciò, bensì cercando, per quanto possibile, di evitarlo.

Proprio per questo, l’intero mio addestramento non si è fondato sulla potenza nell’uccidere, ma sulla precisione nel portare un attacco mirato a fermare il nemico.", concluse con tono quasi sognante, nelle proprie memorie, la sacerdotessa guerriero.

"Precisione?", incalzò ancora il cavaliere d’argento, "Sì, precisione nel portare gli attacchi, nel colpire una rotula anziché una gamba durante uno scontro prolungato, nel raggiungere in un assalto laterale la cruna di un ago senza danneggiarne i bordi con una delle mie cuspidi d’energia, un addestramento che fosse basato sul rendermi abile e capace come guerriera, ma non nel rendermi un’arma di cieca morte.", concluse l’altra, la cui voce si interruppe, d’improvviso, notando finalmente, dinanzi a se, l’uscita del labirinto.

***

"Dove pensi di fuggire, piccola preda?", esclamò infuriato Erra di Pazuzu, che già da qualche minuto continuava la sua corsa dietro Leif di Cetus. Il Soffio della Pestilenza più volte si propagò dal corpo dell’Annumaki, investendo la vegetazione tutta che lo circondava, in ogni direzione, ammorbando i verdi muri fino a farli marcire rapidamente, come male incurabile e feroce, che tutto divora in un istante.

D’un tratto, però, il braccio dell’Ummanu si fermò: una sagoma sembrava intravedersi al di là di una muraglia verde, non sfuggente come finora era stato quel nemico, che, malgrado il veleno, molto rapido si muoveva, ben più ferma, immobile in attesa d’essere colpita, forse stremata per il troppo correre sotto l’influsso del terribile siero che gli Artigli della Sventura avevano su di lui lasciato; la cagione di tale immobilità, comunque, non era d’interesse per il guerriero rosso, che con uno scatto balzò in avanti, intravedendo anche la figura muoversi, "Soffio della Pestilenza! Fa il tuo corso!", ordinò feroce l’Annumaki, prima che una nube verde marcio dal suo corpo s’abbattesse contro la vegetazione, lasciandola sfiorire fino a lasciare solo uno strato di ghiaccio bianco, liscio come uno specchio, su cui Erra si vide, gobbo e furioso, per l’inganno appena infertogli.

"Hai voglia di deridermi, straniero? Ti sembra saggio, nelle tue condizioni, farmi perdere la pazienza? Oppure il veleno ti ha già portato alla follia?", domandò infuriato il guerriero di Pazuzu, intravedendo una nuova ombra fra le selve di un’altra parete verde, "Artigli della Sventura! Dilaniate!", esclamò, cieco di rabbia, l’Annumaki, prima che gli strali venefici distruggessero la vegetazione stessa e lo specchio di ghiaccio che oltre quella si celava.

Di nuovo e di nuovo la Pestilenza degli Uomini scatenò i propri artigli d’energia malefica, distruggendo più e più muraglie verdi e pareti di ghiaccio che, al solo passaggio, Leif di Cetus lasciava dietro di se, disegnando un complesso percorso, che li allontanava sempre di più dal punto in cui gli altri due cavalieri d’argento avevano iniziato la loro corsa verso l’uscita.

Proprio la consapevolezza che il tempo perso dietro un’unica preda aveva di certo dato la possibilità agli altri due di fuggire, rendeva Erra sempre più furioso, innervosito dal modo in cui il nemico sembrava prendersi gioco di lui, incurante del veleno che, di certo, ormai doveva essere entrato in circolo nel suo corpo.

Non era però il non comprendere ad innervosire l’Annumaki, né la consapevolezza che gli altri gli erano sfuggiti, giacché uno era evidentemente ferito e l’altra da sola non sarebbe stata un pericolo per Sin, o chiunque altro l’avesse affrontata, no, non quello lo rendeva furioso, bensì sapere che solo della morte di un nemico si sarebbe potuto vantare, un nemico che, tuttora, si prendeva gioco di lui, costringendolo a generare più e più strali che continuavano a perdersi fra la vegetazione.

Arazu sarebbe di certo tornato vittorioso, con i crani di più e più nemici, avrebbe anche depredato gli eventuali guerrieri uccisi da Girru e Kusag, forse anche le teste di quei due avrebbe preso per se, decantando la propria forza, mentre ad Erra cosa restava? Un singolo nemico, che per di più, data la rabbia che in quel momento lo tormentava, non avrebbe avuta salva nemmeno la testa da esibire come trofeo, no, ogni parte del corpo di quello straniero sarebbe stata dilaniata dall’Annumaki.

Leif di Cetus continuava la propria corsa, stringendo i denti per il dolore che la gamba, leggermente congelata per impedire il propagarsi del veleno, provocava in lui ad ogni movimento; la strategia che stava utilizzando lo affaticava fisicamente, ma stava dando i risultati voluti: dinanzi ad un avversario così emotivo, infatti, fare leva sul suo onore ferito lo aveva portato a sferrare non più attacchi basati sul Soffio venefico che tutto intossicava, costringendolo ad usare il Kolito come protezione ed impedendogli ogni altro tipo di tecnica, bensì aveva convinto Erra, implicitamente, a sfruttare gli strali che tutto dilaniavano, segnando al qual tempo il percorso, che avrebbe poi dovuto ripercorrere, sperava, per raggiungere i compagni.

Mentalmente di nuovo ripassava il proprio piano, riflettendo anche sull’ultima possibilità che, dopo questa strategia, unica gli restava, quando arrivò nella zona dove voleva arrivare, fu allora che sentì ancora declamare, stavolta più vicino che nei precedenti casi, le parole dell’Annumaki: "Artigli della Sventura!".

Un urlo di gioia esplose dalle labbra del guerriero di Pazuzu: stavolta ne era certo, il colpo aveva raggiunto il nemico! Non vi era ghiaccio al suolo, aveva però visto all’ultimo sfuggire un’ombra ed adesso, a pochi metri da lui, intravedeva una figura al suolo.

Urlando ancora ed ancora di gioia, l’Ummanu corse verso il corpo che vedeva al suolo, ma, proprio quando poté distinguerne le forme, le urla gli morirono in gola, nel vedere il cadavere di Nusku degli Anunnaki e nel riconoscere quel luogo come il campo di una battaglia che, di certo, si era combattuta fra quel guerriero ormai caduto e lo straniero ferito.

"Mi cercavi, traditore del tuo stesso popolo?", domandò d’improvviso una voce alle spalle di Erra, una voce che lo fece volgere con furia dietro di se, ma troppo accecato dalla rabbia per evitare il gancio sinistro che lo raggiunse al volto, lanciandolo indietro di qualche passo, prima che delle parole risuonassero nell’aria, "Diamond Dust!", sentì urlare l’Annumaki, subito dopo travolto da una gelida corrente, che lo investì in pieno sterno, scagliandolo contro una parete verdeggiante, che, istantaneamente, fu ricoperto dalla medesima brina che ora stava congelando le sue vestigia.

Il piano di Leif sembrava aver avuto successo: aveva riportato il nemico indietro fino al luogo in cui Wolfgang aveva avuto ragione dell’Anunnaki, sfruttando la scia di ghiaccio lasciata dietro di se, celandola con gli specchi che avevano confuso e costretto ad attacchi sempre più furiosi l’avversario, così era riuscito ad usare proprio il cadavere del guerriero del Carro Solare come esca, per ingannare l’Ummanu di Pazuzu ed adesso su di lui aveva potuto sferrare un attacco diretto con il solo fine di travolgerlo e congelarne i movimenti.

Per un attimo, però, dopo aver portato a segno l’attacco, il cavaliere di Cetus si distrasse, volgendo uno sguardo verso il defunto Nusku, scusandosi, fra se, per averlo dovuto usare in quel modo, malgrado fosse sicuro che l’Anunnaki stesso sarebbe stato lieto di contribuire alla sconfitta di uno dei traditori che avevano infettato dall’interno il loro esercito. Quel solo istante di distrazione fu per il cavaliere causa di sventura: Erra, infatti, riaprì lesto gli occhi, trattenendo una folle risata, ma pronunciando poche e leste parole, "Soffio della Pestilenza!".

Leif non se ne rese conto finché non fu frontalmente investito dalla corrente venefica, che lo stordì, travolgendolo e gettandolo al suolo, con i sensi completamente stravolti, incapace di percepire la distanza dal nemico, che ora, ai suoi occhi, appariva come un gigante dalla voce cavernosa, intento a distaccarsi dalla parete gelida a cui era stato appoggiato ed avvicinarsi a lui.

"Un inganno per un inganno, straniero!", furono le prime parole di Erra, sollevando di peso l’avversario, che rilasciò il proprio cosmo gelido attorno a se, costringendo l’altro ad allontanarsi di qualche passo, "Resta pure in piedi con le tue difese sollevate, guerriero, non basteranno per ciò che sto per riversarti contro!", lo minacciò l’Annumaki, portando le braccia indietro, con i pugni chiusi appoggiati ai fianchi.

"Vento di Pestilenza è la base delle atroci capacità del Pazuzu, un respiro di morte che ovunque si disperde, tutto ammorbando, Artigli di dolorosa agonia sono invece quelli che sfrutto per dilaniare le prede più potenti, ma pochi hanno avuto, però, l’onore di osservare la forma ultima del fiele di cui sono portatore, gli occhi della bestia dal corpo di serpente, con ali ed artigli di leone!", esclamò gioioso l’Annumaki, dietro cui già due sottili occhi di serpente verde marcio sembravano apparire, "Occhi dell’Agonia, calate il vostro impietoso sguardo su questo nemico!", tuonò furioso Erra, portando in avanti i pugni, che rilasciarono due correnti di energia di quell’orrido colore, che incontrollabile si gettò sul cavaliere di Atena, sollevandolo da terra e gettandolo poi al suolo, a diversi metri di distanza, trapassando una parete verde, che subito decadde, marcia fino all’ultimo suo ramo.

Lento, allora, Erra si avvicinò all’avversario, osservando come le vestigia che lo ricoprivano stessero ora marcendo esse stesse, quasi liquefacendosi in taluni punti, dilaniate dall’effetto acido di quel suo attacco.

"E’ la summa dei veleni in mio possesso, portatore della Pestilenza ultima, che tutto fa sfiorire, dalla vegetazione agli uomini, rendendo inutili le difese più prodigiose, divorando persino un’armatura, come i tarli divorano il legno, ben presto ogni tua difesa sarà inutile e vedrai te stesso sfiorire, decomporti ancora vivo, perdere pelle, capelli, soffrire infinitamente, unico premio e segno di vanto per me dinanzi al mio sovrano Sin ed al compagno di battaglie Arazu.", lo avvisò freddamente l’Annumaki, sorridendo compiaciuto.

Una mano, però, fu portata dal guerriero mesopotamico verso il proprio pettorale, mentre un brivido di freddo lo attraversava, pungendo il corpo dello stesso, stupito da come l’attacco nemico avesse penetrato le difese dell’armatura di Pazuzu, non la più portentosa delle vestigia scarlatte, questo era certo, poiché fra di loro le sei armature dei difensori rossi si equiparavano in difesa, come in attacco, solo Etemmu aveva una virtù in più rispetto le altre, per quanto insulsa.

"Inizio a comprendere come abbiate potuto vincere Enki e Nedu, oltre gli Anunnaki più forti dell’altro schieramento… in fondo fra voi, stranieri, vi erano anche uomini degni di nota.", rise divertito Erra, "Peccato abbiate scelto il luogo sbagliato da conquistare ed invadere.", concluse ironico, volgendo poi le spalle all’avversario.

"Non la conquista… ci preme…noi…difendiamo la …Giustizia.", riuscì appena a dire Leif, sbalordendo l’Annumaki, che si voltò sentite quelle parole.

"Difendere la Giustizia? Per tale stupidaggine combatti?", domandò sconcertato Erra, "Ebbene, ti spiegherò qualcosa sulla giustizia, ascolta con attenzione le parole di chi la ripudia dinanzi al valore della Forza sola ed assoluta.", esordì l’Ummanu.

"La mia era una famiglia povera, al servizio di un proprietario terriero di nobili origini; mio padre lo serviva con gioia però, dicendo che era giusto che lui, come i suoi antenati, servissero sotto quello che un tempo era stato lo sceicco di quel piccolo pezzo di terra ormai arida, addirittura pianse quando il suo padrone morì, lasciando tutto all’avido figlio.

Quello stesso figlio che assieme ad un gruppo di amici prese da diversi servitori le moglie e le figlie e le usò come selvaggina da cacciare in un’oasi, dilaniando il loro onore e strappando via le loro vite subito dopo, quello stesso figlio che, quando poi i mariti e padri si ribellarono, alla morte delle loro donne, uccidendo alcuni degli ospiti, li fece tutti condannare ed impiccare.

Quello stesso figlio che, poi, una notte io avvelenai e lasciai morire dopo una settimana di indicibili dolori.

Per questa giusta vendetta una corte di uomini, che della Giustizia si dicevano portatori, mi condannò a morte e fu allora che lo conobbi.

Ero in una cella, ad osservare il mio patibolo, quando vidi un uomo, al di fuori della prigione, celato in un abito nero, pensai fosse la morte stessa, specie quando vidi i feroci occhi dorati, pieni di una cieca follia.

«Mi ha colpito il modo in cui hai saputo uccidere quel ricco signore, i miei complimenti, ragazzo.», così mi parlò, chiedendomi poi il nome e presentandosi a me come Arazu.

Non mi chiese perché lo avevo avvelenato, né allora, né in nessun altro giorno, semplicemente mi domandò se volevo il potere per continuare ad estirpare vite dal mondo, se mi andava di uccidere ancora ed ancora, finché egli non fosse stato sazio delle morti che avremmo lasciato dietro di noi.

In quel momento il terrore della morte mi portò ad accettare le sue proposte, che sembravano così folli, ma realizzabili, specie quando entrò nella prigione, uccidendo le guardie e tutti gli altri prigionieri per il solo gusto di farlo e mi chiese d’essergli compagno, mentre massacrava l’intero villaggio per il puro piacere di compiere cotal ecatombe, la prima di molte che portammo a conclusione.

Apprendendo da Arazu i segreti del cosmo, imparando come combattere, comprendendo il sottile piacere che per lui aveva perpetrare sofferenza e morte, conoscendo Enlil, il Re Scarlatto, ed ottenendo, sempre grazie al mio mentore, il diritto a queste vestigia ed a continuare nel nostro massacrare sotto la bandiera degli Annumaki di cui diventai il secondo guerriero, lo capii: l’unica vera giustizia è quella del più forte.

Escluso Zakar, che come me era stato scelto da Arazu stesso, Beletseri considera giustizia quella del deserto, troppo accecata dalla sua illogica devozione ad un mondo arido e di morte; Enki e Nedu portavano avanti il loro metro di vita seguendo implicitamente questo stesso pensiero, lo celavano l’uno con i suoi principi ipocriti, l’altro con la potenza delle proprie virtù guerriere; Enlil, al contrario, era accecato dalla sofferenza, tanto da non comprendere quanto fosse potente, solo Sin parve capire la grandiosità di questa verità, tanto da decidere, alla fine, di ribaltare il potere in atto prendendo il comando su tutto e tutti assieme a chi con lui condivide questa visione del mondo.", concluse l’Annumaki, sorridendo soddisfatto al nemico.

Leif di Cetus, però, non poneva attenzione alle parole del nemico, troppo preso nel riportare alla mente i giorni dell’addestramento, in particolare, il giorno in cui il suo maestro, Vladmir di Acquarius, aveva mostrato a lui e Rumlir, compagno d’addestramento fin dai primi giorni nella gelida Siberia, qualcosa di molto singolare.

"Come già sapete, miei giovani allievi, la base dell’energia cosmica risiede nel controllo dell’atomo e della materia tutta. Fin dall’antica Grecia si supponeva che, in natura, vi fosse una parte della materia indivisibile, l’atomo per l’appunto, ma, altresì, la corrente di pensiero di Eraclito portava avanti la convinzione che tutto fosse movimento, scorrere. E proprio su queste due basi si è fondato il vostro addestramento sullo scorrere della materia che, alla fin fine, ha una forma ultima indivisibile, voi avete appreso come rallentare questo scorrere, come creare un abbassamento della temperatura, il gelo stesso, riuscendo a emetterlo in battaglia attraverso gli attacchi propri delle energie fredde e mediante il semplice cosmo.

Quello che, però, oggi voglio spiegarvi è un passaggio diverso: trasmettere questo gelo dentro di voi, rilasciare le correnti fredde provocando un’ipotermia autoindotta.", parole che, in quel momento, avevano sbalordito ambo gli allievi, "Non è una tattica da usare con superficialità, poiché, se non riuscirete a contenere questo uso delle energie fredde potreste darvi da soli la morte, ma se saprete sfruttarlo, renderà più lento l’espandersi di un veleno, o il propagarsi di ferite ed ustioni, nel vostro corpo, in cui tutte le funzioni vitali saranno rallentate.", così il maestro aveva loro introdotto un’arma dal doppio taglio, qualcosa da usare solo in casi estremi.

Leif riportò alla mente quei ricordi, il modo in cui sia lui, sia Rumlir si erano addestrati per ottenere quello stesso risultato e di come vi fossero arrivati vicini, riuscendo a padroneggiare parzialmente quella strana arte e furono quei ricordi a riaccendere in lui la forza del cosmo, che lentamente non si sprigionò attorno a lui, bensì attraverso lui, rendendo pallida la carnagione e gelida la carne.

A tutto ciò assistette Erra di Pazuzu, inizialmente incuriosito, ma poi, alla fine sbalordito, da quello che vedeva dinanzi a se, lui che mai, in quelle calde terre bagnate dal Tigri e dall’Eufrate, aveva visto qualcosa morire di ipotermia, non riuscì a capire cosa l’altro stesse facendo, ma dovette comunque indietreggiare, intimorito, mentre il suo avversario si rialzava, circondato da un gelido alone di morte.

"Cosa? Come?", riuscì appena a balbettare l’Annumaki, "Cosa sarebbe troppo difficile da spiegare, come, invece, è mediante la mia fede nella Giustizia, che mi porta a compiere azioni ai più impossibili, per poco coraggio, o vigore.

Non infatti al più forte va la parte del giusto, ma a chi, combattendo e vivendo, non dimentica mai quale è il bene, non per se stesso, ma per tutti quanti, il bene che non permette a lui solo di guadagnare, ma che riesce ad aiutare più persone possibile, danneggiandone meno di quanto immaginabile.

Noi cavalieri di Atena combattiamo, alzando i nostri pugni e scatenando gli attacchi contro coloro che non si curano dei deboli, di pochi abbiamo ragione, macchiandoci della loro morte, ma non per desiderio di prevalere, bensì per portare ai più la pace che meritano.", spiegò con voce secca Leif, che a stento sollevò le braccia sopra di se.

Erra, digrignando i denti, portò i pugni ai fianchi, "Queste sono le ipocrisie che celano il tuo desiderio di forza, straniero? Bene, avrò modo di riferirle ad Arazu e riderne con lui!", replicò secco.

"Occhi dell’Agonia, osservate questo stolto per l’ultima volta, dandogli la morte che merita!", invocò l’Annumaki di Pazuzu.

"Aurora Ice Whirl! Scorri per la Giustizia!", esclamò di rimando il santo di Cetus.

I due attacchi si gettarono l’uno contro l’altro, scatenando potenti correnti d’energia, ma ben presto, la fluida ondata venefica fu congelata dal freddo sifone della Balena, che raggiunse l’Annumaki, travolgendolo, oltrepassando le vestigia rosse, già danneggiate dai colpi precedenti, e lasciando di lui solo un corpo assiderato e privo di vita.

Niente aggiunse dopo quel colpo vittorioso il santo d’argento, rivolgendo un ultimo sguardo a Nusku, deposto poco lontano, prima di avanzare verso il percorso che lo avrebbe portato al di fuori del contorto labirinto.

***

Erano alla fine usciti dal labirintico giardino Bao Xe e Wolfgang, quando la sacerdotessa appoggiò al suolo il compagno d’arme.

"Non ho bisogno di riposo, sacerdotessa guerriero.", esordì subito il santo d’argento, che, però, già non riusciva ad alzarsi in piedi, "Invece, Cani Venatici, di riposo hai bisogno e non solo… togli la corazza.", disse semplicemente, lasciando l’altro sbalordito.

"Che cosa?", domandò interdetto, dopo una breve pausa, il guerriero tedesco, ma l’altra emise solo uno sbuffo, prima di raggiungerlo con quattro veloci colpi al petto, lasciandolo cadere indietro.

"Ma cosa!?", esclamò una voce alle spalle della donna, che, voltatasi, vide, poggiato ad una parete, Damocle di Crux, sconcertato da cosa aveva visto, "Non agitarti, cavaliere della Croce del Sud, ho dovuto premere i suoi seimeitei, per interrompere lo scorrere del veleno che già lo aveva infettato, pochi minuti, forse un’ora, e si riavrà, malgrado l’emorragia.", spiegò la donna.

"I seimeitei? Me ne aveva accennato il maestro Kalas…", ricordò interdetto l’altro, "Ora ti prego, però, resta con lui, in attesa che si riprenda e che anche Cetus vi raggiunga.", chiese la sacerdotessa guerriero.

"Che cosa? Io restare indietro a fare da balia a costoro?", domandò Damocle, facendo qualche passo avanti, prima doversi di nuovo appoggiare alla parete, incapace di restare in piedi da solo, "Sì, te ne prego. Vedo che sei pure tu ferito, io, al contrario, sono abbastanza in forze da poter andare avanti lesta e raggiungere per prima Marduk, rivelandogli dei tradimenti di Sin, di Erra, di Mummu e tutto il resto… lo devo anche ai due compagni che hanno combattuto in mia vece nel labirinto appena passato.", spiegò Bao Xe.

Niente seppe rispondere a quelle parole Damocle, accennando solo un sì con il capo.

Così, nel versante occidentale di Anduruna, la zona degli Annumaki, una sacerdotessa guerriero avanzava lesta in cerca del Re di Smeraldo, lasciando dietro di se due cavalieri che riposavano ed un terzo che aveva appena sconfitto un terribile nemico, rischiando molto.