Capitolo 29: Incertezze e Verità

Marduk della Corona, Re degli Anunnaki, osservava con attenzione i cavalieri di Atena paratisi dinanzi a lui, pronto a riprendere lo scontro che, fino a quel momento, li aveva visti svantaggiati, a causa dei diversi combattimenti precedentemente affrontati.

Non capiva, il Sovrano di Smeraldo, come potessero essersi ripresi tanto velocemente dai precedenti attacchi e duelli, sapeva solo che fra loro, era la guerriera dai capelli rossi ad occuparsi di curare i propri compagni, ma, prima di potersi anche solo avvicinare a quella precisa avversaria, avrebbe dovuto affrontare gli altri.

"Fatevi avanti, invasori, non vi temo, nemmeno tutti assieme.", avvisò con tono deciso il Sovrano, espandendo il proprio luccicante cosmo.

"Non tutti assieme ci affronterai, bensì solo me, intanto, avrai come nemico!", replicò sicuro uno dei cavalieri, "Me, Damocle di Crux!", si presentò il santo di origini italiane.

"Croce del Sud!", esclamò preoccupato Zong Wu dell’Auriga, "Non preoccuparti, cavaliere, costui è un Sovrano fra questa gente, è vero, ma proprio per questo è giusto che sia io, il più nobile per lignaggio fra tutti noi, a combatterlo, che egli possa dire di essere stato battuto da un italico signore e cavaliere di Atena, non solo da un santo della Giustizia!", replicò sbruffone il guerriero d’argento.

"Il solito idiota…", borbottò divertito Husheif di Reticulum, scambiandosi uno sguardo di sfida con il parigrado, prima che questi si volgesse verso Marduk, "E poi, fra tutti noi, non sono di certo l’ultimo ad aver combattuto.", concluse Damocle, prendendo la sua normale posizione di guardia.

"Tu, l’assassino di Mummu, mi sfidi? Tu che hai ammesso di aver ucciso una delle persone a me più care? Pagherai con la vita tanta arroganza!", minacciò, colmo di rabbia, il Sovrano di Smeraldo, "Spera, piuttosto, di non dover tu pagare con la tua di vita la stoltezza che ti acceca.", lo punzecchiò Damocle, "E’ vero, ucciso la guerriera che indossava le orride vestigia verdi, ma, al di là di ciò, le ho anche mostrato come il suo stesso essere fosse ben più ridicolo dell’armatura che possedeva, divisa fra la devozione ad un padre che non aveva mai conosciuto sul serio, colui che voi chiamavate Tiamat, ed il sentimento che a te la legava.

Non di quella morte, però, mi pento, poiché non solo sarei ipocrita verso me stesso ed i miei doveri di cavaliere, che mi hanno portato a tale battaglia, ma perché, distruggendo quelle vestigia, ho fatto di certo un bene all’intero genere umano ed ad ogni guerriero consacrato a qualsiasi divinità, che non dovrà mai incontrare un orrore estetico simile a quello con cui mi sono dovuto confrontare io.", concluse con una nota di disgusto in voce il santo di Atena.

Probabilmente quelle parole avrebbero fatto infuriare Marduk, se egli stesso non fosse rimasto colpito da una rivelazione insita in quel discorso: "Mummu era figlia di Tiamat?", ripeté perplesso, quasi come se solo quello lo avesse raggiunto del soliloquio avversario.

"Sì, era lei il vostro fantomatico Coccodrillo Nero, progenie di un Sovrano, per quanto esiliato, serpe che nel seno del tuo esercito s’era nascosta, diventando, ironicamente, più dissuasa dal suo desiderio di vendetta, che non convinta dallo stesso, poiché altri sentimenti per te erano in lei germogliati. Un chiaro esempio, Re degli Anunnaki, della cecità che ti affligge.", lo ammonì infine Damocle.

Quelle ultime parole, al contrario delle precedenti, raggiunsero chiaramente il Sovrano di Smeraldo, che non le accolse con piacere, trovandosi offeso e deriso, oltre che rivedendo in esse le medesime menzogne che già prima lo avevano raggiunto, menzogne che ben poco ormai gradiva.

Con un ruggito di rabbia, Marduk lasciò esplodere il proprio cosmo, sollevando diversi blocchi in pietra e scagliandoli all’unisono contro il santo di Crux, il quale, però, non si scompose, anzi, con fare tranquillo, scattò verso le rocce stesse, agitando con sicurezza le braccia dalla posizione di guardia fino ad aprirle, una prima, poi una seconda, quindi una terza volta, distruggendo, ad ogni nuova coppia di fendenti, diversi macigni lanciatigli contro, fino a lasciare vuoto lo spazio che lo divideva dall’avversario.

"Ora è tempo del contrattacco! Che possa aprirti gli occhi, oltre che una ferita in corpo!", esordì Damocle, "Lux Crucis!", invocò, sferrando il fendente con la mano sinistra, in un bagliore accecante che ad entrambi i guerrieri impedì di distinguere alcunché per diversi secondi, prima che, finita l’iniziale confusione, lo stupore restasse dipinto sul volto del cavaliere d’argento, nel vedere il nemico illeso, ricoperto ancora una volta dalla patina energetica verde.

L’attenzione di Marduk, però, non era più rivolta verso il santo della Croce del Sud, il suo sguardo era, adesso, un misto di stupore e rabbia, volta nei confronti di un’altra avversaria: Dorida.

"Ecco come vi curavate! Un trofeo delle vostre razzie! Rubato a Ninkarakk!", tuonò infuriato il Sovrano di Smeraldo, che aveva in fine visto la sacerdotessa dai rossi capelli usare il frammento di Khuluppu per curare Leif di Cetus.

"Sono ancora io il tuo avversario!", lo avvisò Damocle, ma il Re degli Anunnaki non parve curarsene, espandendo il proprio cosmo, "Smeraldi della Corona! Rifulgete!", ordinò Marduk, lasciando esplodere i fasci di luce in ogni direzione.

"Klubi Nematon!", esclamò in quello stesso momento la voce di Husheif di Reticulum, prima che la barriera di tela si aprisse dinanzi a Damocle, che, preso in controtempo, non era riuscito a sollevare alcuna difesa a protezione di se stesso.

"Dermaton Liontarides!", invocò al qual tempo Menisteo di Eracle, già curato da Dorida, creando un gigantesco vortice di vento per proteggere non solo se stesso, ma anche gli altri quattro parigrado che aveva intorno a se.

"Kolito!", aggiunse infine Leif, sollevando gli anelli di Ghiaccio attorno a se ed alla sacerdotessa della Sagitta.

E le tre difese ressero, non a lungo, ma sufficientemente da ridurre la violenza dell’attacco nemico, in modo da bloccare la furia distruttiva dei fasci di luce, contenendoli e bloccandoli tutti, lasciando Marduk serio in volto, mentre osservava tutti e nove i santi d’argento, ora in piedi e privi di ferite.

"Ha un potente attacco, apparentemente impenetrabile dai colpi altrui, ma allo stesso sembra possedere una difesa altrettanto miracolosa, capace di reggere ogni nostro colpo.", analizzò con attenzione Damocle di Crux.

"Sì, spadaccino borioso, hai fatto un’ottima analisi di ciò che già sapevamo: in più, possiede anche un’altra arma, qualcosa che ha usato quando mi ha colpito.", sottolineò Husheif, senza farsi sfuggire l’occasione per punzecchiare il parigrado.

"Restare qui, ad affrontarlo tutti assieme, ci impedirà di completare il nostro incarico, impedire l’Avvento del Divino Giudice.", osservò preoccupato Zong Wu.

"Cercare di superarlo, o che qualcuno di noi lo distragga a favore degli altri, penso sia, però, altrettanto difficile da realizzare come risultato. Inoltre sembra completamente sordo alle nostre parole.", aggiunse Bao Xe della Musca.

"Anche il suo consigliere era sordo alle nostre parole, però poi si è convinto dei fatti, potremmo tentare lo stesso con lui.", suggerì Dorida, "Sacerdotessa del Corvo, tu potresti mostrargli la verità.", ipotizzò ancora.

"Potrei, ma come avvicinarmi per usare il Volo Nero? Le difese che possiede, così come l’attacco, sono impenetrabili, già lo abbiamo notato, nemmeno io credo che potrei muovermi tanto agilmente in quel fitto di fasci luminosi.", ammise preoccupata Gwen.

"In qualche modo dovremo fare, probabilmente combattendo tutti assieme, come contro Enlil ed Ea, che erano superiori a noi, singolarmente.", affermò, con dispiacere, Leif di Cetus.

"Sono con voi, cavalieri, lo sapete, ma non posso sollevare il mio pugno contro costui…", avvisò allora Wolfgang, sbalordendo tutti, sia i compagni, sia il nemico, "ho promesso a Nusku che avrei salvato il suo Re, non che lo avrei attaccato e rischiato di uccidere.", spiegò.

"Anch’io ho troppo rispetto di questo Sovrano, un uomo capace di molto, anche per Girru di Basmu, che la sua storia mi ha narrato durante il nostro duro ed incredibile scontro.", confessò con rammarico Menisteo.

"Girru, Nusku…", ripeté Marduk, che aveva udito le parole dei nemici, "come osate voi nominarli? Come potete fingere fino a questo punto?", li accusò.

"Non mentiamo.", rispose subito il cavaliere dei Cani da Caccia, "Ho giurato sul mio onore di cavaliere che avrei svelato gli inganni che hanno portato alla morte di Nusku e degli altri Ummanu ed avrei impedito che voi, Sovrano degli Anunnaki, ne foste vittima.", ricordò con voce decisa Wolfgang e quelle parole, forse per la prima volta, portarono un vero e proprio segno di dubbio sul volto di Marduk, che parve non vedere più dinanzi a se dei nemici.

Per alcuni secondi il Sovrano di Smeraldo rimase in silenzio, ma poi, a denti stretti, riprese a parlare: "No, straniero, non posso credere a ciò che dici, per quanto la voce e lo sguardo trasmettano sincerità, ammettere che voi siate nel vero, che io non abbia visto gli inganni di Sin e Mummu, che mi sia lasciato prendere in giro ed abbia perso tutti i miei amici per questo sarebbe la più terribile delle verità.", ammise con voce soffocata, "Inoltre, per quanto voi parliate di inganni e tradimenti insiti fra gli Ummanu, siete voi a possedere ed usare, in questo momento, un frammento delle vestigia di Khuluppu!", li accusò ancora.

"Dono di Ninkarakk è stato questo, un oggetto che mi è stato da lei stessa offerto, dopo che la vinsi in battaglia e che le mie parole le toccarono il cuore, riconoscendo in me non una nemica, bensì un’altra guerriera che desiderava solo pace e giustizia, qualcosa che l’avvento del vostro Giudice Divino non potrà mai portare!", replicò lesta Dorida.

"Se il divino Shamash, che è Giudice Celeste, non portasse la Giustizia, chi mai potrebbe?", replicò con un sorriso soffocato dal dubbio, Marduk.

"In cuor suo sono sicura che lo sai, Sommo Sovrano, poiché Ea ti riteneva giusto e saggio, aveva infinita fiducia in te, sono sicura che tu, Re degli Anunnaki, sai bene come Shamash sia sì un giudice, ma che non conosca la pietà degli uomini e che il suo giudizio su chi ha sbagliato sarà privo di comprensione, di distinzione fra crimini più o meno gravi. Egli monderà forse il mondo dai crimini, ma non portando la pace, bensì con un giogo di dominio e tirannide. Che sia forse la tirannide del Giusto ben più dolce di quella di un Assassino?", chiese alla fine Gwen del Corvo.

"No, ragazza, la tirannide non è mai dolce, ma se non nelle azioni degli dei si ha fede, in cosa la si può avere? Non siete forse voi guidati dalla volontà di una divinità?", incalzò Marduk, che bloccava ai nove il cammino con la propria figura.

"Sì, la dea Atena ci guida, dea di Giustizia, che scende in questo mondo solo quando giunge il tempo delle Guerre Sacre, quando è il momento di combattere contro divinità incarnatesi fra gli uomini e desiderose di tiranneggiare su di loro.", spiegò Bao Xe della Musca.

"Parlate di tiranni e conquistatori, ma voi siete giunti fin qui a portar battaglia, voi per primi ci avete attaccati!", accusò allora Marduk, "No, noi fin qui siamo giunti per fermare l’assalto dei Golem che eliminavano chiunque ai vostri accampamenti si avvicinasse.", lo corresse subito Zong Wu, "Inizialmente non avremmo immaginato che quello fosse solo il preambolo di un tale pericolo e di questa guerra fra noi scoppiata.", ammise.

"La guardia che Sire Baal aveva richiesto per proteggere la nostra avanzata… un azzardo forse, qualcosa di inutile, ma che, ormai, non può essere corretta, come gli eventi che ha portato con se.", osservò triste il Sovrano di Smeraldo, "Eventi che fino a questo giorno ci hanno condotto, cavalieri, fino a questo momento.

Ed ora, stranieri, è tempo di porre epilogo ai sofismi, che la battaglia riprenda e presto si concluda.", li avvisò lesto il Re degli Anunnaki, "Avete saputo mostrare difese tali da reggere ai fasci di luce della Corona, ma ora ben più terribile forza vi scatenerò contro, una forza che proviene dalle profondità del Mito e che ho saputo far mia.", continuò sollevando il braccio destro verso il soffitto della sala.

La luce verde che fino a quel momento aveva difeso il corpo di Marduk apparve ancora una volta, quasi avendo vita propria, e non si rivelò più come una grande sfera, bensì come un complesso intreccio di spire, proprie di un serpente, come il corpo di un immenso costrittore, avvolto attorno al Sovrano di Smeraldo, un corpo la cui testa fu finalmente visibile, proprio sopra il palmo aperto del Re degli Anunnaki.

Non era la testa di un normale serpente, poiché aveva delle corte corna ricurve ed un viso a metà fra quello di un rettile e quello bovino.

"Che l’estrema difesa muti in attacco, che le spire del mito si sciolgano e liberino la creatura guardiana! Vieni a me, fedele servitore, compagno di battaglia, guardiano del Cielo e primo alleato del Sovrano Celeste, rivela il tuo volto di rettile e scatena la tua furia guerriera.", invocò Marduk, mentre ormai quella creatura di pura energia cosmica era distinguibile, un serpente con la testa parzialmente bovina.

"Attacca i miei nemici e spazzali via! Mušuššu!", urlò alla fine il Sovrano di Smeraldo.

I cavalieri d’argento sollevarono le loro difese, ma a nulla queste valsero: niente poterono la rete d’energia cosmica, il vortice di vento, o gli anelli di ghiaccio, troppo lenti ed imprecisi dinanzi a quella mitologica belva dal corpo di serpente e la testa cornuta, che con rapidità e potenza superò ogni protezione, investendo, uno dopo l’altro, tutti e nove i santi di Atena, schiantandoli in punti diversi della sala.

Marduk osservò i nemici al suolo, provando costernazione per ciò che aveva dovuto fare: attaccarli, sfruttando la seconda delle sue armi migliori, che aveva il nome del mitologico serpente al servizio del Re Celeste, il più potente di tutti gli dei dell’antica Babilonia.

Forse, si trovò, però, a valutare, non era l’essere stato costretto ad usare quel colpo ad averlo incupito, forse le parole dei nemici erano le colpevoli? Che i loro inganni stessero funzionando? Perché solo di quello poteva trattarsi, non di altro! Non poteva credere che Mummu lo volesse tradire, che Sin lo avesse ingannato, lui, l’unica famiglia rimastagli.

Si sforzò il Sovrano di Smeraldo di non pensare a ciò, scrutando con gli occhi fra i nemici e trovando ciò che cercava vicino alla guerriera dai capelli rossi: il frammento di Khuluppu! Bastò la semplice forza della mente perché il pezzo dell’armatura di Ninkarakk si allontanasse dalla sacerdotessa guerriero, galleggiando a mezz’aria fino a raggiungere Marduk.

Un triste sorriso si dipinse sul volto del Re degli Anunnaki, che vide riflesso su quel pezzo di metallo e legno, il sorriso di chi ricordava le parole di un’amica che sempre aveva sperato nella pace ed in una vita priva delle fatiche di guerre e morte, una vita idilliaca, migliore di quella da tutti loro sempre vissuta, una vita che potesse, veramente, essere definita tale, assieme agli amici dell’infanzia ed ad un amore, che come albero, germogliasse, dando dei frutti.

Un sogno che, assieme agli altri Anunnaki, anche Marduk aveva sempre avuto, celandolo nel proprio cuore.

La consapevolezza che, ormai, non sarebbe mai germogliata tale vita di pace per la gente a lui cara, portò il Re a soffocare una lacrima, prima che rigasse il suo viso, poi, con la speranza che albero la corteccia mista al metallo potesse attecchire nella terra, gettò con la forza della mente quel frammento al di là della finestra, lasciando che si piantasse nel terreno di Accad, al di fuori di Anduruna.

Questo, proprio mentre i cavalieri di Atena stavano rialzandosi.

"E’ forte costui, come Enlil. Ha potente sia l’attacco sia la difesa, al pari di Ea, ma di entrambi ha qualcosa in più, una forza che forse è dettata dalla disperazione dell’esser solo, o dal bene della giovinezza…", osservò, affaticata, Dorida, rialzandosi in piedi.

"No, sciocca guerriera, non è solo la sua forza ad essere diversa, per quanto le sue virtù siano innegabili: anche i pugni vostri hanno qualcosa di diverso, sono più deboli, fermati forse dalla consapevolezza che egli di questi inganni è vittima e non il tessitore!", li ammonì tutti con voce dura Husheif.

"Ora vi chiedo? Volete restare a piangere per il destino che lo ha afflitto, o vi decidete a combattere come finora fatto? Siamo a pochi passi dalla meta, ancor meno manca perché il rituale di questi Ummanu si concluda, volete dunque arrendervi? Ci ha mostrato un’apertura nella sua difesa! Usiamola!", ringhiò ancora il cavaliere di Reticulum.

Per alcuni secondi, gli altri otto santi di Atena si guardarono fra loro, alcuni trasmettendo la perplessità e lo stupore per quelle parole, fu poi Damocle il primo a risollevarsi, portandosi accanto al parigrado, "Sentirmi spronare alla battaglia da te, Reticulum, è come avere del letame addosso da dovermi scrollare! Di certo non lascerò a te il ruolo di comandante in questa battaglia, ma piuttosto colpirò con dura lama questo Re, affinché ci lasci passare.", affermò con ispido tono il cavaliere di Crux.

"Ho visto di cosa gli Annumaki sono capaci, due di loro ho affrontato, prima Zakar, poi Arazu, e se l’unico modo per fermare il piano di chi li comanda, il loro Principe, è sconfiggere una vittima di questi inganni, anche se questi è il Sovrano degli Anunnaki, non fermerò il mio pugno, né i dischi d’argento che so utilizzare. Sono con voi, cavalieri.", confermò anche Zong Wu dell’Auriga.

"Avevo già ponderato il rischio di doverlo combattere, speravo che il semplice uso della mia tecnica potesse rivelargli la verità, ma temo che, se prima non apriremo un varco nelle sue difese, ciò mi sarà impossibile, quindi, cavalieri, sono anche io con voi.", affermò subito dopo Gwen del Corvo.

"Ho avuto modo di combatterlo fin dall’inizio e per quanto non voglia recare alcun male, né a lui, né ad altri in questi luoghi, il mio dovere di sacerdotessa guerriero è combattere per ciò in cui credo, quindi, continuerò questo scontro.", disse subito dopo Bao Xe della Musca.

"Ha gettato via il frammento di Khuluppu, non debbo più quindi preoccuparmi delle cure, perciò, con tutti voi, combatterò perché solo avanzando assieme, temo, potremo vincere costui, come già Enlil ed Ea.", osservò Dorida della Sagitta, pronta allo scontro.

"Sono con voi, cavalieri di Atena, come lo sono stato fin dal primo momento, e come allora pronto alla lotta.", concordò ancora Leif di Cetus.

Restarono solo Wolfgang e Menisteo più indietro, e fu proprio il secondo a farsi avanti verso i compagni, "Non ucciderò costui, né vi proverò, non avrei il cuore, e forse nemmeno la forza, di farlo, ma, poiché i miei doveri verso Atena e la Giustizia sono molti, combatterò, cavalieri, contate sul pugno del santo di Eracles, se questo vi potrà essere d’aiuto.", assicurò il discepolo di Degos di Orione.

"Ho promesso di non fare del male a costui, anzi di proteggerlo, ma il dovere di cavaliere è quello di difendere la Giustizia, anch’essa in pericolo, al momento, perciò, sarò con voi, compagni d’arme, non per far lui del male, ma per aprire una strada verso il vero nemico.", concluse l’ultimo dei nove.

"Fatevi avanti, dunque! Il mitologico potere che mi è alleato vi schiaccerà.", fu l’unica risposta di Marduk, sentite le parole dei nemici, cercando di scacciare il peso che ogni istante li rendeva più difficile continuare lo scontro, il peso di parole piene di senso di giustizia, che provenivano da quelli che lui reputava invasori.

"Se lo attaccassimo frontalmente, saremmo spazzati via…", osservò allora Dorida, dopo che il cosmo nemico riempì la sala, "Quanto sei sciocca, ragazza…", obbiettò solo Husheif, volgendosi verso Zong Wu, "Auriga! Tu almeno hai notato ciò che anche io ho visto?", domandò al cavaliere di origini cinesi.

"Credo di sì…", balbettò l’altro, "ma è una follia.", concluse. "La follia, cavaliere, è una costante che ci perseguita, da quando abbiamo raggiunto questo luogo.", rise divertito il santo di Reticulum, prima di volgergli uno sguardo d’intesa, cosa che stupì non poco anche gli altri.

"Menisteo, Damocle!", li esortò il cavaliere d’argento dell’Auriga, "Attaccate con me! Affrontiamo la sua difesa, per superarla!", suggerì, espandendo il proprio cosmo dai bianchi riflessi, subito seguito dagli altri due.

"Crux Argentii!", esclamò deciso il cavaliere della Croce del Sud, sferrando il potente attacco portato con la mano destra; "Sfurì Dunames!", aggiunse il santo di Eracle, scatenando la corrente d’aria prodotta dalla Clava del figlio di Zeus; "Rozan Ginniryuha!", concluse il guerriero cinese, generando i due draghi d’argento.

I tre colpi si mossero all’unisono, creando un vortice d’aria argentea al cui interno brillavano le forme di due draghi, divisi da una croce d’energia, ed insieme i tre attacchi si schiantarono contro la barriera difensiva che il mitologico serpente creava sul corpo di Marduk, spingendo indietro il Sovrano di Smeraldo, senza però riuscire a ferirlo in alcun modo, mentre già, più indietro, Husheif indicava agli cavalieri cosa fare.

La furia dei tre attacchi per diversi secondi spinse sulla difesa dell’Anunnaki, premendo con veemenza, finché, alla fine, fu la virtù superiore del Sovrano ad aver vittoria sulle tre tecniche segrete.

"Inutile sforzo il vostro.", li ammonì il giovane Re, "Se solo questo avete in serbo, ebbene ben poche saranno le possibilità che vinciate la battaglia!", minacciò, "Lasciate che vi illumini sulle differenze che fra noi vi sono, differenze pari a quelle fra un sasso ed una gemma!", concluse, prima che il cosmo attorno a lui s’accendesse di nuovo.

"Smeraldi della Corona! Abbagliate i nemici che m’attaccano!", ordinò il Sovrano mesopotamico, scatenando i fasci di luce in ogni direzione.

Fu proprio in quel momento che, però, altri tre dei cavalieri d’argento si mossero, slanciandosi in avanti da direzioni diverse: "Angriff der Jäger!", invocò Wolfgang, facendosi avanti dalla sinistra del gruppo e scatenando l’assalto energetico contro parte degli strali di luce. "Flechas Ardientes!", aggiunse Dorida, prima che gli strali di fuoco andassero a bloccare il percorso di altri fasci di luce, dalla destra del gruppo di cavalieri; "Diamond Dust!", concluse Leif di Cetus, rilasciando, frontalmente dinanzi ai propri compagni, la Polvere di Diamanti, perché anch’essa ostacolasse l’avanzata dell’assalto nemico.

Quel misto di fuoco, ghiaccio e scariche elettriche funzionò, bloccando l’avanzata della fitta rete di luce occultando, nell’esplodere di quella continuità d’energie diverse, la visuale sia ai nove santi di Atena, sia a Marduk stesso che più non distinse i nemici, se non attraverso la sua capacità di percepire le forze vitali attorno a se. E tre forze vitali, allora, si mossero, spostandosi su direzioni diverse, con indubbia agilità, pronte a correre verso di lui.

"Pensate che contrastare i miei colpi annullandovi vi darà la vittoria? Potete vincere sulla Luce della Corona, unendovi, ma cosa farete contro la Creatura del Mito? Quante speranze credete di avere contro un ben più preciso attacco?", domandò allora il Sovrano di Smeraldo, sollevando lesto la mano, pronto a sferrare subito il secondo colpo.

"Che l’estrema difesa muti in attacco, che le spire del mito si sciolgano e liberino la creatura guardiana! Vieni a me, fedele servitore, compagno di battaglia, guardiano del Cielo e primo alleato del Sovrano Celeste, vieni a me e spazzali via! Mušuššu!", ordinò con determinazione Marduk, rivelando di nuovo il serpente dalla propria mano.

E la creatura si lanciò verso il bersaglio più vicino, si lanciò verso Husheif di Reticulum. "Klubi Nematon!", esclamò il santo d’argento, tessendo l’ampia rete d’energia, contro cui lasciò cozzare la creatura dalle mitologiche forme, producendo un boato esplosivo che travolse lo stesso cavaliere di Atena, scuotendo, al qual tempo, l’intera Anduruna fin nelle sue fondamenta.

Fu quello il momento, nel caos più completo, durante il confronto fra le due tecniche, che le ultime due figure si mossero verso Marduk, ma un sorriso sicuro si dipinse sul volto del Sovrano di Smeraldo, che con la sola forza della propria mente cercò di contenere l’avanzata.

Grande fu però la sorpresa del Re degli Anunnaki nel trovarsi dinanzi ad un’altra persona dalle medesime capacità psichiche, forse meno sviluppate, ma comunque sufficienti per respingere la sua forza, ora divisa fra due persone, che attaccavano da direzioni diverse, oltre che utilizzata per dirigere il cammino del Serpente d’energia. Che fosse questo che i cavalieri nemici avevano individuato? La necessità di Marduk di dirigere il percorso della propria tecnica? Non lo sapeva, ma, di certo, avevano saputo organizzarsi al meglio, dopo pochi scambi di colpi, per superare le difese e gli attacchi del Sovrano di Smeraldo, che ora attendeva d’essere colpito: ciò, però, non accadde, solo una voce sentì pronunciare qualcosa, mentre una delle tre guerriere, l’ultima arrivata, lo superava di qualche passo.

"Noire Voler!", queste le ultime parole che il Sovrano di Smeraldo sentì, prima che tutto intorno a lui diventasse improvvisamente oscuro, poi, per un interminabile istante, gli parve quasi che una sottile mano stesse cercando di penetrare nella sua testa, insinuandovi le dita con abilità, senza produrvi dolore, ma, chiaramente, violandone l’intimità.

Quella sensazione finì, mentre, dinanzi agli occhi di Marduk, una nuova realtà si rivelava, una realtà che a lui era ben nota, caratterizzata da un’ampia pira su cui era disteso il corpo di Ea il Saggio, suo consigliere e maestro.

Per brevi secondi, il Re degli Anunnaki si rivide ripetere quel triste e sofferto addio all’unico uomo che, in tutti gli anni del suo regno, gli aveva fatto da maestro, da guida e, soprattutto, da padre, dopo la morte del potente Annu, di cui lui aveva solo qualche lontano ricordo.

Sospirò addolorato Marduk, prima che il fuoco scoppiettante e le lacrime che gli rigavano il viso si fermassero, nella scena che aveva dinanzi a se, in modo a dir poco innaturale. "Perché mi fai questo, guerriera di Atena? Forse il vostro senso di Giustizia vi rende meritevoli di violare le menti altrui e di mostrare loro i momenti più tristi che possono aver vissuto?", domandò il Sovrano di Smeraldo, volgendosi verso una figura che, silenziosa, restava nell’ombra della pira funebre.

Fu allora che Gwen si fece avanti di qualche passo, "Non era mia intenzione farvi soffrire, ma ho voluto mostrarvi come ciò che questa tecnica rivela non sono illusioni, o incubi sopiti, bensì la realtà, per quanto triste e veritiera essa possa essere, affinché voi possiate credere a ciò che ora vi mostrerò, i veri avvenimenti che hanno portato alla morte di Ea, vostro consigliere.", spiegò con voce calma e dispiaciuta la sacerdotessa del Corvo.

"Facile così a dirsi, fanciulla. Mi scuoti con una reminiscenza del mio dolore e poi in me insinui il dubbio del tradimento dalle poche persone che ancora mi sono rimaste vicine? Piuttosto, permetti a me, che ho virtù pari, se non superiori, alle tue, di controllare lo scorrere dei ricordi, ricordi che da te proverranno.", la ammonì con durezza Marduk, mentre la stessa immagine del subconscio del Sovrano sembrava espandere il proprio cosmo all’interno dello stato di coscienza che faceva parte della memoria, ora in comune, fra i due guerrieri.

Non vi era più la vastità del deserto che circondava l’Antica capitale, ma un rigoglioso bosco, pieno d’alberi addirittura sconosciuti al Sovrano di Smeraldo, abbellito dallo scorrere di un dolce fiumiciattolo, che magnificamente incorniciavano un palazzo, pari ad Anduruna per grandezza, ma di certo ben più sfarzoso, arricchito con mattonelle dorate e bianche, ricolmo di piante ad ogni sua terrazza ed abbellito da più e più sfarzi. Un luogo di cui Marduk non conosceva il nome, ma di cui, malgrado tutto, non poteva negare l’insita bellezza; un luogo ben noto a Gwen del Corvo, celato nei boschi poco distanti da Versailles, fra le campagne francesi, lì dove lei era stata addestrata.

Un’esplosione di luce, in quel bucolico paesaggio, richiamò l’attenzione di Marduk, che osservava quei ricordi non suoi con curiosità, lui che li aveva scatenati, prendendo il sopravvento in quello scontro fra menti così breve che vi era stato, vide in mezzo a quel magnifico bosco, due giovani intenti ad affrontarsi, sotto lo sguardo attento di una terza persona.

La prima figura, in piedi, ma chiaramente affaticata, era quella della giovane nemica del Re degli Anunnaki, priva delle vestigia, coperta da un abito da battaglia, costituito da un corpetto di cuoio e protezioni del medesimo tipo; poco lontano da lei, un giovane dai lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri, vestito di una verde tunica, al suolo, con uno strumento musicale poco lontano da lui, la osservava, con occhi carichi di rabbia.

"Ciò che più mi stupisce, Gustave, è come, dopo cinque anni di addestramento, alla fine tu, mio primo allievo, risulti il secondo per abilità, al contrario di Gwen, che la volontà divina di Atena ha scelto di affidarmi come discepola e che, malgrado il suo spirito pacato, sia ben più portata come guerriera di te, che tanto animatamente prendi parte agli scontri, innalzando melodie di guerra.", osservò d’un tratto colui che osservava i due giovani, un uomo dal naso appuntito e le eleganti vesti, che, improvvisamente, apparve fra i due.

"Maestro Remais…", balbettò il giovane al suolo, rialzandosi e prendendo la propria lira, "non dubitate delle mie capacità, ma piuttosto criticate i trucchi usati da Gwen in battaglia! Come si può affrontare qualcuno che costantemente si sposta, o controlla la natura tutta? Non v’è lealtà nelle sue azioni.", la accusò il ragazzo.

"Sei forse tu diverso? Usi la musica per controllare l’ambiente, la lira, che dovrebbe essere strumento di dolci canti diventa con te un’arma di stragi, perché non alla pacatezza la melodia tua è portata, bensì alla furia guerriera, quindi come puoi criticare lei se usa strategie anche differenti dal normale?", lo criticò ancora l’uomo che gli era maestro.

Gustave altro non rispose, prese semplicemente il proprio strumento musicale e si allontanò.

"Mi dispiace, maestro, non era mia intenzione creare dissapori fra lei e Gustave…", esordì, in quello stesso momento, la giovane sacerdotessa guerriero, cui Remais rivolse un sorriso pacato, "Non colpa tua è, mia giovane discepola, forse, in parte, è mia, che troppo ho viziato il giovane orfano da me trovato qui, presso la nazione che mi è natia, volendo farne un guerriero a me pari. Troppe attenzioni hanno reso il tuo compagno d’addestramento pieno di se e borioso, più sicuro delle proprie virtù che realmente capace e ciò, più d’ogni altra cosa, mi preoccupa per il suo, come per il tuo futuro: l’eccessiva sicurezza in lui e la troppa insicurezza in te, sono armi che vi potrebbero essere fatali, quando, un domani, divenuti cavalieri, vi saranno affidate delle missioni. Ed ormai, quel giorno non è poi così lontano, già cinque anni sono passati dall’inizio dei vostri allenamenti.", spiegò con un velo di tristezza il maestro, prima di accennare un sorriso alla giovane, "Ora vai a riposarti, Gwen, è stata una lunga battaglia, che ha concluso una ben più lunga giornata.", suggerì alla fine, scomparendo in un bagliore di luce dorata.

"Come può questo essere il giorno in cui ti sei sentita più sola?", esordì Marduk, chiedendosi se l’altra avesse ripreso il controllo delle memorie che ora avevano in comune. "Quel giorno non era ancora concluso…", rispose, triste, Gwen, prima che la scena ancora cambiasse, senza che il Re degli Anunnaki la controllasse, quasi che la stessa sacerdotessa d’argento volesse mostrare al nemico il proprio passato.

Il dubbio, però, su chi controllasse quella reminiscenza, fu allontanato, mentre dinanzi agli occhi del Sovrano di Smeraldo si rivelava una nuova scena, una sala, empia di mobili o specchi, dove solo un semplice letto ne riempiva appieno l’immensità, una sala vuota, dove Gwen era, in quel momento, seduta in un angolo, intenta in profonda meditazione.

"Non riesco a comprendere come tu possa vivere in una così vuota stanza…eppure il maestro Remais ti ha offerto ogni sorta di mobilio, a te, che sei la seconda. Io, al contrario, molti armadi in più per i miei abiti, ho dovuto prenderli dalle sale vuote.", osservò, con tono dissentito, una voce ben nota alla ragazza, che solo all’ultimo s’era accorta della presenza di Gustave sull’uscio della sala.

"Casa mia era un luogo piccolo e semplice, come ben sai, quindi già l’immensità di questa stanza mi dà una vertigine costante, preferisco mantenerlo vuoto, così da avere per me solo il piccolo angolo in cui dormo, o quello in cui medito.", rispose cordiale Gwen, "Piuttosto dimmi, amico mio, cosa ti ha portato fin qui?", chiese ancora.

"Amico… sei solita costringere gli amici a pessime figure, come quella che ho dovuto compiere oggi, dinanzi al maestro Remais?", sbottò innervosito, dinanzi alla maschera inespressiva d’argento, l’altro, "O forse hai bisogno di mostrarti al nostro signore come la più abile, per dimostrare di essere tu la figlia prediletta, fra noi che, con tanta attenzione da lui cresciuti?", incalzò, "Ricorda sempre quale è il tuo posto, Gwen! Tu sei inglese, sei una misera plebea, sei una femmina! Mi devi essere seconda!", tuonò infuriato Gustave, in un crescendo di rabbia evidente dagli occhi, ormai sgranati.

"Di cosa vai parlando? Non era mia intenzione offenderti…", balbettò la ragazza, ma non poté nemmeno finire la frase, poiché, rapide e dure, risuonarono nella stanza delle note, e dei fili dell’arpa, lesti come venefici serpenti, andarono a stringersi sul collo, sulle braccia e sul petto di lei.

"Un adagio di sofferenze! Ecco cosa meriti. Melodia che lasci per sempre su di te i segni che avresti da sempre dovuto portare, come straniera e plebea, prima che come femmina! Scaverò la pelle fino a raggiungere le ossa, sottili segni resteranno per sempre a ricordarti chi fra noi è il primo, e sempre deve esserlo, in tutto.", minacciò Gustave, il cui sguardo azzurro parve diventare folle.

Una delle due mani del giovane, però, si allontanò minacciosa dallo strumento musicale, avvicinandosi alla maschera d’argento sul volto di lei, "Ti strapperò anche il velo che cela il tuo viso, così nei tuoi occhi tu possa incidere questo momento e ricordare bene chi, fra noi due, deve essere il primo guerriero ad onorare Remais.", aggiunse minaccioso.

Fu solo un attimo, un istante in cui la mente di Gwen, in quel giorno lontano, non poté più contenersi e restare concentrata, un istante in cui la forza della psiche raggiunse un tale livello, assieme al cosmo di lei, da scardinare una finestra, alla sinistra di Gustave, e quella stessa finestra fu lanciata con furia contro il giovane aspirante cavaliere.

L’allievo di Remais troppo tardi se ne accorse, troppo attento al momento che stava lentamente assaporando, niente poté fare per fermare quella vetrata che lo investì in pieno, travolgendolo e liberando Gwen dalla presa dei fili della lira.

Un rumore di vetri rotti echeggiò nella vuota stanza, prima che la giovane guerriera, raggiungesse il compagno d’addestramenti, "Vattene, Gustave. Esci dalla mia stanza.", affermò con voce dura Gwen, "Fra noi due resterà questo avvenimento, non dirò niente al Maestro, poiché so che il tuo rispetto per lui è pari, se non superiore, al mio. Non ti attaccherò, né accuserò in alcun modo, ma non provare più ad alzare contro di me le tue mani.", lo avvisò con determinazione la ragazza.

Il giovane francese si alzò in piedi, il viso sfregiato, così come la mano, dalle schegge di vetro; niente disse, malgrado gli occhi reclamassero vendetta, semplicemente si voltò ed andò via da quella stanza.

Rimasta sola, la giovane allieva di Remais cadde in ginocchio, iniziando a piangere sommessa.

Su quella triste immagine, il ricordo si fermò.

"Quello è stato il momento in cui ho iniziato a sentirmi sola, Re degli Anunnaki; quando sentì per la prima volta su di me l’odio di quello che speravo diventasse il fratello che avevo perso cinque anni addietro, un odio che sempre ho avvertito nelle cicatrici rimaste sul suo volto, negli occhi che mi osservavano con disprezzo anche al giorno dell’investitura. Un disprezzo di cui mai spiegai la natura al maestro Remais, poiché non potevo privare anche di questo Gustave, non potevo togliergli l’unico padre che egli riconoscesse come suo, lo stesso motivo per cui, probabilmente, mai su di me si è voluto vendicare. Da allora mi sono sentita sola, fino a qualche giorno fa, quando fui scelta per questa missione.", spiegò con voce triste la sacerdotessa del Corvo, prima che la scena di nuovo cambiasse, portando entrambi dinanzi al Grande Tempio di Atena, dove per la prima volta la giovane guerriera aveva incontrato i compagni di quel viaggio.

Rimase in silenzio Marduk, in un misto di dispiacere e rispetto, nell’osservare la giovane che ora stava evidentemente guidando i propri ricordi, rivelando dell’incontro con il Sommo Oracolo della dea, del viaggio fino a quelle terre lontane, dei giorni passati presso la casa di Abar di Perseo e poi delle lunghe battaglie ad Accad.

Vide Zisutra perdere in un leale duello contro il guerriero delle energie fredde; con gran stupore osservò la sconfitta di Aruru per mano proprio di quella giovane guerriera, prima che Enlil stesso travolgesse l’Anunnaki di Golem con il proprio devastante potere.

Il Sovrano Scarlatto e la sua battaglia contro i sei guerrieri d’argento fu la battaglia che osservò subito, impetuosa e dalla conclusione inattesa, poiché nessuno di loro lo finì, o almeno nessuno di loro fu dalla giovane visto.

Ciò che però di più colpì Marduk fu il risveglio di Gwen, per mano di Ninkarakk che donava, di propria volontà, un frammento delle vestigia di Khuluppu alla guerriera dai capelli rossi.

Fu quello il primo momento in cui il Sovrano di Smeraldo iniziò a vacillare, osservando poi con le lacrime agli occhi lo scontro con Ea, i ricordi dell’anziano Maestro sulla nascita dello stesso Marduk, sulla morte di Annu e poi le parole che l’uomo, una volta sconfitto, rivolse ai nove cavalieri, parole di alleato, più che di uomo torturato.

Il Re degli Anunnaki, poi, si sentì cadere sulle ginocchia, anche se, inconsciamente, ben sapeva di non avere ginocchia in quello stato della mente, vedendo Sin allontanarsi con Ea, mentre Mummu restava a combattere.

"No, non può essere!", urlò allora Marduk, "Stai mentendo!", ringhiò verso la cupa figura di Gwen, "Sono i miei ricordi e voi, Re degli Anunnaki, ormai dovreste capire che essi non mentono; non vi è menzogna in ciò che vi mostro, solo una realtà che vi era stata celata finora, permettetemi di andare avanti.", chiese gentilmente la sacerdotessa guerriero.

Il peso del mondo e dei dubbi che quello scontro e quelle lunghe giornate avevano portato su di lui sembrava cadere, tutto assieme, sul corpo dell’Ummanu, quando questi accettò di proseguire in quella visione, osservando la sua amata Mummu ammettere il proprio tradimento e poi i cavalieri da lui stesso divisi incontrare prima Girru di Basmu e, poi, Arazu di Alu.

Proprio le parole ed i ricordi dell’Annumaki furono l’ultima goccia che fece traboccare il vaso, lasciando crollare calde lacrime sul viso del Re, mentre osservava le torture impartite ad Ea dal Mastino infernale e dalla Pestilenza degli Uomini, prima ed il colpo finale, che proprio il Principe Rosso portò.

La quantità di immagini che in quel momento invase la mente del Sovrano di Smeraldo fu tale che nemmeno Gwen riuscì a controllarla.

"Gli Smeraldi della Corona ed il Mitologico Serpente saranno le armi che sempre potrai usare per difendere te stesso ed il regno che ti è stato affidato, ma per poter usufruire del tuo ultimo potere, ricorda sempre la sua potenza, una potenza tale da renderlo quasi invincibile. Lo usasti contro Tiamat, che era un malefico invasore, non farne un uso eccessivo contro chi non è altrettanto votato al male, ricorda che quella è l’Arma del Giusto, la tua.", gli aveva detto una volta Ea, dinanzi ad un grande fossato creato nel suolo, a pochi passi dal maestro.

La scena cambiò di nuovo: una grotta celate fra le alture di una montagna, un piccolo fuoco al suo interno ed un uomo seduto poco lontano dallo stesso, "Dunque tu sei Girru, l’atleta che ha rinunciato al contatto con gli uomini?", chiese la voce di Marduk, prima che il giovane Re si presentasse all’uomo.

"E tu chi sei?", chiese una figura dall’aspetto non curato, che, vagamente, assomigliava al nobile guerriero che Gwen aveva incontro solo alcune ore prima. "Il mio nome è Marduk, Re degli Anunnaki, sono giunto fin qui spinto dalla curiosità e dalla voglia di aiutarti, grande atleta.", gli disse, con un sorriso sincero.

Di nuovo un cambiamento: stavolta le vastità del deserto dove si ergevano decine di tende verdi, riscaldate dal sole, "Maestà Marduk!", esordì una voce, facendo voltare un ben più giovane Re degli Anunnaki, che vide dinanzi a se due volti a Gwen sconosciuti, entrambi velati da qualche benda sul corpo.

"Aruru, Nusku, cosa vi è successo?", domandò il giovane Sovrano, "Niente di che, maestà, solo un piccolo scherzo che Nusku ha cercato di fare ad un allevatore di cammelli nella città limitrofa al nostro accampamento, ci siamo ritrovati circondati da tante di quelle bestie che per fuggire siamo stati costretti a gettarci da un palazzo.", ammise ridendo uno dei due.

"Fortuna che c’era Ninkarakk a curarci.", aggiunse l’altro, dagli occhi bicolore, mentre l’esile figura della guerriera di Khuluppu, più giovane di diversi anni, si faceva avanti in quel ricordo, restando leggermente in disparte, prima che fosse la mano di Aruru stesso ad invitarla fra loro, abbracciandola con amicizia. "Non fosse per lei, non so quante volte ci saremmo ritrovati mezzi morti noi due…", rise il ragazzo, una risata che presto dilagò anche fra gli altri presenti.

Nuovamente il ricordo cambiò: stavolta vi era una tenda, in una fresca notte d’estate, un letto e due figure in esso sdraiate, ben più adulte; uno era Marduk, l’altra una ragazza di cui Gwen non riconobbe la fisionomia. Una ragazza nel cui viso, il Re si perdeva.

"Che c’è, Maestà?", chiese d’un tratto la giovane, sorridendo imbarazzata, "Vorrei che questo istante non finisse mai, Mummu, semplicemente.", rispose lui, con un sorriso sincero e pieno d’affetto, "Anch’io lo desidero, mio amato Re.", furono le uniche parole di lei, avvicinandosi al viso di lui.

Un nuovo cambiamento, stavolta una sconfinata quantità di gente che circondava un piccolo altare su cui si trovava Marduk, con indosso le vestigia della Corona e, accanto a lui, Ea con quelle di Usma; dinanzi a loro, sei piedistalli con altrettante armature e sei figure inginocchiate.

"Questo è forse il più bel giorno per la nostra tribù, quello in cui l’armata di Smeraldo è riformata, nella speranza che non debba mai combattere.", esordì il Sovrano, "Aruru, Girru, Kusag, Nusku, Ninkarakk e Mummu, è per me un immenso onore e gioia dichiararvi Anunnaki!", esclamò con soddisfazione il Re, prima che i sei lasciassero esplodere i loro cosmi, richiamando sui propri corpi le rispettive armature.

Ancora un cambiamento fra i ricordi del Sovrano, stavolta ben più recente, giacché l’aspetto di Marduk non era poi così dissimile dall’attuale: un accampamento dai molti colori, nel cuore della notte, due figure che si abbracciavano cordialmente, il Re degli Anunnaki ed il Principe degli Annumaki.

"Sin, sono passati anni dall’ultima volta che ci siamo incontrati, è una gioia per me vederti ancora in forma, amico mio.", esordì Marduk, "Anche per me è fonte di felicità scoprirti in salute, amico fraterno. Ti ho molto pensato in questi anni e non contavo più i giorni per il nostro rincontrarci! È stata fonte di speranza l’arrivo dei tuoi messaggeri presso il nostro accampamento: sapere che insieme andremo verso l’Antica Capitale mi rende felice più che mai.", replicò lieto il figlio di Enlil.

"Sì, assieme raggiungeremo Accad e lì faremo in modo che il Divino Giudice ritorni sulla terra.", confermò il Sovrano di Smeraldo, "Ne sono felice e, altresì, sono certo che alla fine l’ordine degli Ummanu sarà rinnovato, come il mondo stesso.", affermò sibilino Sin, con un furbo sorriso sul volto.

Parole che l’altro parve non comprendere, ma che non pesò particolarmente in quel momento, parole che ora tornavano alla mente del Re, assieme agli altri ricordi.

Un urlo allora esplose, prima nella mente e poi attraverso il corpo stesso di Marduk, spezzando il contatto fra le due menti.

Gli occhi del Re di Smeraldo si riaprirono alla realtà, occhi carichi di lacrime e di tristezza, che nemmeno si curarono dei cavalieri lì presenti, volgendosi verso le scalinate che portavano al piano sovrastante.

Una sola parola, allora, i santi d’argento sentirono prima che il Sovrano sparisse, un nome, causa di infiniti dolori:

"SIN!!!"