Capitolo 34: Il Sole di Accad

Rimasero immobili per interminabili secondi, la scalinata crollava intorno a loro, producendo polveri e frammenti ogni dove, ma nessuno dei sei cavalieri d’argento aveva la forza di muoversi.

Wolfgang dei Cani Venatici cadde in ginocchio, sbattendo i pugni violentemente contro il pavimento incrinato dalla lunga battaglia; non aveva la forza di fare altro, in quel momento sentiva fluire via tutto da se stesso: non aveva aiutato un compagno a sopravvivere, aveva fallito, anche nello scoprire il trucco della tecnica di Sin, non era stato utile in altro modo ed ora, Menisteo non era più con loro.

Leif di Cetus chinò il capo, in silenzio, stringendo i pugni e mordendosi le labbra. Aveva appreso dal maestro Vladmir come controllare i propri sentimenti, gelando se stesso anche nello spirito, oltre che nel corpo, ma adesso, vedendo il compagno d’arme perdersi nel cielo di Accad, in quel momento le lezioni del cavaliere di Acquarius erano lontane nella memoria, qualcosa di appannato dalle correnti di pensieri che investivano la mente del santo d’argento.

Husheif, in silenzio, era rimasto immobile, gli occhi fissi sul guerriero greco che spariva nel cielo assieme al nemico, il viso strozzato in un sorriso amaro, mentre la mente vagava di nuovo ad Edward di Cefeo ed alle sue lezioni, quelle date in punto di morte, sull’importanza dei compagni. Si disse, il cavaliere di Reticulum, che probabilmente Menisteo aveva capito molto meglio di lui quelle parole, malgrado fosse certo che il suo insegnante non avesse mai fatto visita al Santuario, dopo l’investitura a cavaliere.

Altrettanto silenzioso era Damocle di Crux, gli occhi sbarrati, incapace di esprimere a parole ciò che provava, e completamente contrario a farlo con alcun gesto: non avrebbe mai espresso dinanzi ai compagni d’arme il sentimento di abbandono che il quel momento lo riempiva, la sensazione di aver perso l’unico individuo che, in qualche modo, aveva per lui ricoperto la figura di un fratello, quello che i genitori non gli avevano mai dato, quello che non aveva mai incontrato non avendo compagni d’addestramento; solo Menisteo, in qualche modo, gli era stato accanto e lui ne aveva accettato la compagnia, anche se inferiore per genesi.

Gwen del Corvo aveva il viso poggiato sulla spalla sinistra di Zong Wu dell’Auriga, a stento tratteneva le lacrime lei, e silenziose scendevano invece sul volto di lui, entrambi pensavano a quel cavaliere, cui già dovevano la vita per la battaglia combattuta contro Girru di Basmu al posto loro, un debito che ora non avrebbero più potuto saldare, poiché aveva sacrificato se stesso per i compagni ancora una volta Menisteo.

Erano tutti persi nelle loro sofferenze, tutti catturati dal sacrificio del cavaliere di Eracle, nessuno di loro, inizialmente, vide una sagoma massiccia delinearsi, apparire fra le macerie, oltrepassandole con passo fermo, giungendo dal basso.

"Un nemico è caduto, ma anche qualcuno che non lo meritava…", furono quelle le parole che riportarono tutti alla realtà, allarmandoli e portandoli in posizione di guardia, prima di sgranare gli occhi tutti quanti, Damocle escluso.

"Ma non erano tutti morti questi Ummanu?", domandò con fastidio proprio il cavaliere italiano, "No, straniero, non tutti siamo morti, ben più ci vuole che qualche attacco, illusione, memoria e scettro scarlatto per abbattermi, molto più ci vuole per vincere il più resistente degli Anunnaki, Aruru di Golem!", esclamò lo stesso guerriero che, due giorni prima, aveva affrontato i sei cavalieri appena giunti ad Accad, lo stesso guerriero che tutti avevano creduto morto per mano di Enlil dello Scettro.

Le vestigia che indossava, trionfo di resistenza fra tutte le verdi armature, erano praticamente integre, solo una crepa si apriva lungo la zona della schiena, frutto delle ripetute esplosioni energetiche avvenute nella battaglia fra i cavalieri di Atena ed il Sovrano Scarlatto.

"Per quasi due giorni sono rimasto svenuto, privo di sensi, pronto a cadere nel baratro di Irkalla, per poi svegliarmi e scoprire che l’inferno in cui temevo di sprofondare era niente, in confronto all’orrida realtà che ho visto dinanzi ai miei occhi: una realtà di tradimenti, inganni, dove gli Ummanu tutti sono stati sterminati, in parte da voi, stranieri, in parte da coloro che tutto muovevano, per la cui morte vi ringrazio.", esordì, dopo alcuni secondi di silenzio l’Anunnaki, "Grazie di aver vinto Arazu, Erra, Mummu, Nanaja e Sin, per quanto so quante fatiche e dolori è costato anche a voi, sconfiggere loro ed altri che niente avevano a che fare con il loro folle piano, vittime inconsapevoli e che a lungo piangeremo.", disse, chinando il capo ricoperto dal maestoso elmo.

"Come sai del tradimento, Anunnaki? Chi te ne ha informato se per quasi due giorni sei rimasto fra la vita e la morte?", domandò allora Zong Wu, diffidente.

"Noi lo abbiamo informato.", affermò una voce femminile ben nota, una voce che leggermente rallegrò i cuori dei cavalieri, la voce di Dorida della Sagitta che, malgrado le ferite, stava raggiungendo i compagni assieme alla sua maestra, Bao Xe della Musca, anch’ella in piedi.

"Sacerdotesse!", le riconobbe con un sorriso di gioia Wolfgang, "Temevamo per la vostra sorte.", ammise, avvicinandosi di qualche passo.

"In effetti, erano sul baratro dell’Ade, ma un aiuto inaspettato ci ha riportato al di qua della sottile linea.", ammise subito la sacerdotessa di origini mongole, prima che un’altra sagoma si stagliasse dietro di loro.

Vestigia verdi, ormai per lo più distrutte, e capelli in più punti rovinati dal fuoco, ma, malgrado ciò, fu facile, per Gwen soltanto, riconoscere quella nuova giunta: Ninkarakk di Khuluppu.

"Siete con noi, Anunnaki, o contro di noi?", fu la secca domanda di Damocle, già pronto nella sua solita posizione di guardia, "Noi siamo con il nostro Sovrano, Marduk della Corona.", fu la prima secca risposta di Aruru, "Ed egli sta combattendo contro Baal del Trono, Sire degli Appalaku, quindi, almeno che voi non vogliate aiutare colui che ha ingannato persino il Divino Giudice, non vi siamo avversi.", furono le ultime parole dell’altro, prima che i cavalieri d’argento abbassassero le braccia, facendosi leggermente da parte, per far passare l’Anunnaki.

"Se siamo alleati, allora, permettetemi di curare le vostre ferite, seppur in modo solo parziale.", esordì allora Ninkarakk, facendosi avanti verso i santi di Atena.

"I poteri di Khuluppu sono, purtroppo, quasi del tutto sfioriti.", ammise, avvicinandosi per primo al guerriero italiano, "Per salvarmi l’armatura ha sacrificato quasi la sua intera linfa. La furia infuocata di Nanaja mi aveva investito alle spalle, scagliandomi fra gli alberi, che ardevano insieme con me, tristi compagni in un destino di ceneri a me riservato.

Per non so quanto tempo rimasi lì, urlante di dolore, con le vestigia che appena riuscivano a cauterizzare le mie sofferenze, assopendo la mente, in modo superficiale, mentre le carni e la corteccia sacra scoppiettavano.

Vidi la mia vita ed assaporai la morte nelle lunghe ore di oscurità che seguirono, quando le fiamme erano ormai sopite, ma di me non restava che un distrutto scheletro, con ossa e sangue rappresi. Solo il dono che l’armatura mi aveva fatto, sacrificandosi in parte per contenere le ustioni, aveva salvato gli organi vitali, dono che fu poi raddoppiato, nelle lunghe cure che per un intero giorno mi lasciarono svenuta, nei giardini di Anduruna.", raccontò l’Anunnaki, dopo aver curato già Husheif, Leif e Zong Wu, dopo il cavaliere di Crux.

"Ho riaperto gli occhi al mondo solo ieri sera, per scoprire che il mondo che conoscevo stava ormai andando in pezzi: segni di distruzione lungo tutta Anduruna, la certezza che Nanaja e Mummu ci avevano tradito, disperazione per cosa fare, poiché mi sentivo sola, priva di amicizie; così, decisi di seguire la scelta fatta quando avevo incontrato Dorida, la vostra compagnia, andai in cerca di Aruru.

Con mia gioia e sorpresa, lo trovai vivo, privo di forze, ferito alla schiena, ma vivo, grazie alle immense virtù difensive dell’armatura del Golem.

Passai le ore della notte a curarlo, raccontandogli con l’alba quanto sapevo e quanto potevo supporre, poi, il resto fu ciò che vedemmo quest’oggi: i cadaveri di Beletseri, Enlil, Nedu, Kusag, Girru ed Arazu, più quelli di Enki e Zakar, che avevo trovato cercandolo, e quello di Nanaja, che abbiamo visto poc’anzi.

Oltre ciò, poi, la sacerdotessa della Sagitta ci ha raccontato del Saggio Ea e sappiamo che anche le sorti di Nusku, nostro caro amico, e del traditore Erra, sono state tristi di morte.

Ora, l’unica persona che ci resta è il nostro Sovrano, Marduk il Giusto, quindi, cavalieri, vi chiediamo: aiutateci a salvarlo, a salvare quel poco di volontà di pace e giustizia ancora si trova ad Accad.", concluse, dopo aver curato anche Gwen e Wolfgang.

Si guardarono fra loro i cavalieri, "Per questo siamo giunti fin qui, per preservare la pace e la giustizia.", confermò, con un sorriso triste, il santo dei Cani Venatici.

"Se non concludessimo quanto abbiamo iniziato, tutto ciò che qui abbiamo fatto andrebbe perso, anche il sacrificio di Menisteo.", aggiunse con un cenno del capo il cavaliere di origini cinesi e tutti gli altri si trovarono d’accordo con i due, tanto che tutto il gruppo si mosse unito verso l’ingresso della sala dove già Marduk e Baal si combattevano.

***

Lo scontro fra le forze del Serpente Mitologico e la Gigante Rossa durava ormai da diversi minuti, troppo tempo per il Sovrano di Smeraldo, che già aveva piegato al suolo un ginocchio, cercando di sostenere con il proprio cosmo la mistica creatura da lui richiamata; Baal, al contrario, era ben lungi dall’apparire stanco, anzi, quando vide l’avversario inchinarsi per la stanchezza, l’Appalaku non perse tempo: "Bene, vedo che, infine, hai colto la divina natura di chi ti è di fronte, Anunnaki. Prostrati dunque e, forse, ti sarà concessa la grazia: morirai in un solo istante, nell’accecante abbraccio del Sole che tutto ingloba.", lo apostrofò.

"Mai mi vedrai inchinarmi a te, folle traditore blasfemo, mai perderò la mia dignità di uomo, prima ancora di Re, di Ummanu, prima ancora che di guerriero, mai mi arrenderò a chi dei propri compagni e delle divinità che dovrebbe servire si fa gioco, sfruttandole per i propri folli sogni di conquista!", replicò deciso il Sovrano di Smeraldo, alzandosi a fatica.

Proprio quando già Baal era pronto ad una nuova replica, un’esplosione d’energia catturò l’attenzione di entrambi, che, pochi istanti dopo, videro un bagliore e sentirono un crollo, poco distante, al di là della porta.

Non ci volle che qualche secondo, prima che due luci argentee s’alzassero verso il cielo di Accad.

"Infine, anche il Principe Rosso è caduto.", fu il primo commento dell’Appalaku.

"Che cosa? Sin?", domandò stupito Marduk, senza, per questo, distrarre la propria attenzione dall’avversario, "Sì, il mio ultimo alleato ha dovuto confrontarsi con l’umana fallacità, quella naturale propensione all’errore, al sopravvalutarsi, o al sottovalutare i nemici. Questo ha segnato la sua sconfitta, di certo.", commentò freddamente colui che si diceva il Sole di Mesopotamia.

"Proprio tu lo accusi di aver sottovalutato i nemici? Lui, che ha gestito questo inganno in tua vece, lui che ha saputo combattere diversi nemici assieme? Al contrario di te, che dinanzi ad un avversario solo e stremato, ti atteggi a divinità.", lo accusò deciso il Re degli Anunnaki.

"Difendi ancora il tuo amico d’infanzia, giovane Sovrano?", lo schernì di rimando Baal, lasciando Marduk interdetto, sorpreso da quelle parole che aveva, senza nemmeno pensarci, detto, a vantaggio di Sin.

"Sappi comunque, che il mio non è un atteggiarsi a divinità! Come ti ho già detto, mortale, io sono un uomo che è salito al ruolo di celeste essere! Ho preso il potere di Shamash, facendolo mio, ho preso il nome del signore di diversi pantheon, facendolo mio! Sono stato scelto dal dio conquistatore dal volto di Fiera nera per questo ruolo ed ora ho dimostrato come la sua intuizione fosse corretta, come io fossi, in effetti, destinato ad essere una divinità!", ruggì di gioia l’Appalaku, espandendo ancora il proprio cosmo.

Marduk, di rimando, non poté che urlare per lo sforzo di mantenere il confronto contro quella forza tanto grande, una forza che, fortunatamente, pochi minuti dopo si interruppe, quando le porte della sala furono distrutte per l’arrivo di diverse nuove figure, che il Sovrano di Smeraldo non vide inizialmente, stremato ed al di fuori della sala, sul balcone esterno, figure di compagni che, probabilmente, non contava di trovare al suo fianco per l’ultima battaglia.

Baal non risultò sorpreso da ciò che vide, anzi, nemmeno fu investito dal Mitologico Serpente di Marduk, che semplicemente scivolò sulla vasta superficie della Gigante Rossa, prima che questa si richiudesse su se stessa, permettendo all’Appalaku di mostrarsi, con le sue vestigia dorate, dinanzi agli otto cavalieri d’argento ed agli ultimi due Anunnaki ancora vivi, proprio mentre Marduk cadeva in ginocchio, stremato.

"Siete dunque giunti, per prostrarvi dinanzi al Sole d’Accad? Dimostratevi fedeli ed a voi concederò il calore del mio abbraccio, ribellatevi e scoprirete come tale abbraccio possa diventare una stretta di morte.", esordì verso i nuovi giunti, allargando le braccia tranquillo.

"Tu, maledetto, tu che hai ingannato ed usato tutti noi!", ruggì Aruru, che era stato, assieme agli altri, informato degli ultimi particolari da Gwen del Corvo, l’unica ad aver visto i ricordi di Sin.

"Il mio prediletto che mi si ribella? Come puoi tu, guerriero del Golem, dirmi ciò? Tu, utile ai miei progetti quanto, se non di più, di Sin e Nanaja. Prostrati dinanzi a me ed a te concederò di celebrare i riti in mio nome.", ordinò di rimando l’Appalaku.

"Cosa vai blaterando?", domandò perplesso l’Anunnaki, "Tuo prediletto? Utile quanto quei traditori? Perché? Come?", balbettò stupito.

Una risata, allora, echeggiò nella sala, una risata che raggiunse anche Marduk, così come le parole successive.

"Non ricordi, Golem? Quando proposi di mantenere una retroguardia alla nostra marcia, degli Ummanu che controllassero la sicurezza del territorio alle nostre spalle, qualcuno che ci difendesse da eventuali nemici, tutti si opposero; Ea, nella sua saggezza, frutto degli anni, sottolineò come nessuno, fra le umane genti, niente più sapeva degli Ummanu, che da secoli le storie del vostro popolo erano diventate leggenda, assicurando che nessun pericolo ci avrebbe seguito come un’ombra.

Fosti tu, desideroso di renderti utile, tu, che ti sentivi il migliore degli Anunnaki e che già, silenziosamente, combattevi per il titolo di migliore degli Ummanu con Zisutra, Nedu ed Arazu, tu proponesti che, anziché rischiare ritardi fra le file dei guerrieri, sarebbe bastata la presenza di qualcuna delle tue guardie di pietra come retroguardia.

E proprio questo io attendevo: un espediente, qualcuno che si dimostrasse desideroso di impegnarsi per il bene comune, tanto da combattere eventuali, innocui, stranieri, o vagabondi; cosa c’era, per tale fine, di migliore delle tue statue di pietra? Sciocche marionette, che tutto spazzavano via, sciocche marionette che spinsero qualcuno a chiedere aiuto a guerrieri degni di questo nome, sciocche marionette che affrontarono loro, quelli stessi stranieri che ora ti sono accanto, il tassello successivo per il mio piano, dei nemici su cui far scatenare il vostro odio, qualcuno da combattere per celarvi il tradimento fra le fila di amici che credevate di avere.

Per questo, quando qualcuno vinse i tuoi soldati di pietra, mandai il più debole, ma anche a voi Anunnaki più caro, dei guerrieri del dorato esercito, Adapa di Oannes; ero certo che non sarebbe tornato vivo, ma, per maggiore sicurezza, Sin si propose come assicurazione di successo, non per la missione che Ea credeva di avergli affidato, ma per quella che io, tempo addietro, avevo già proposto lui.

Fosti sempre tu, comunque, alla fine, a fare il passo successivo: lanciarti all’attacco dei nemici, per le vie di Accad, rendendoli preda ambita per Enlil, aumentando la fama delle loro vittorie, con la sconfitta tua e del Sovrano Scarlatto.

Come vedi, Golem, a te devo, prima che a Sin e Nanaja, il perfetto proseguire di un piano che avevo, con i miei due fidati consiglieri, elaborato.", concluse Baal, in un crescendo di tono, continuando ad indicare lo stupefatto Aruru.

"Ora, prostrati ai miei piedi, e come lui, fate tutti voi, se volete salva la vita.", ordinò infine l’Appalaku, "Inginocchio dinanzi a Baal!", urlò una seconda volta, espandendo il cosmo splendente, ma nessuno dei presenti seguì quelle parole, anzi tutti furono pronti, alla battaglia, stremati e feriti, ma decisi a non lasciarsi sconfiggere.

"Bene.", fu l’unico commento del Sovrano Dorato, prima di lasciar esplodere il proprio cosmo e ciò che, subito dopo videro, fu causa di silenzioso terrore nelle menti di tutti i suoi nemici.

La potenza del guerriero del Trono, infatti, si rivelò nella forza gravitazionale che sradicò, letteralmente, soffitto e pareti di quella sala, con tutto il mobilio al suo interno, attirandolo verso l’Appalaku stesso; quella stessa forza, poi, mutò di verso, iniziando a far roteare vorticosamente ogni cosa, scagliandola, di quando in quando, contro i presenti, gettandoli in terra, storditi, per poi, alla fine, lanciare alti nel cielo le pareti e tutto quanto, solo i guerrieri rimasero al suolo, osservando il cosmo di Baal esplodere, in una pioggia di luce, simile ad un sole che alto riluceva in cielo, divorando nella stessa i frammenti, fino ad annullarli.

"Infine siete saliti a riveder le stelle, scalando Anduruna, ma il giubilo dovrà lasciar spazio alla disperazione, poiché avete trovato solo un Astro nel cielo, che sarà per voi sorgente di disperazione, anziché fonte di nuova vita.

Guai a voi, anime prave, non ispirate di rivedere altre stelle, portatrici di speranze e vittorie, solo morte e dannazione eterna vi è per chi il Sole di Accad! Solo morte e dannazione eterna vi è per chi mi contrasta!", urlò deciso l’Appalaku, al massimo della follia.

In piedi, i guerrieri si guardarono gli uni con gli altri, incerti sul da farsi, fu però Aruru a parlare per primo: "Cavalieri stranieri, fatevi da parte, fin troppo avete combattuto una guerra che non vi apparteneva, e tu, Ninkarakk, cura, per quanto possibile, Sire Marduk.", sentenziò deciso, "A me lasciate costui, che paghi per le sue colpe, e nel combatterlo, io possa espiare le mie.", concluse l’Anunnaki, lanciandosi all’attacco frontalmente.

I santi di Atena, però, rimasero interdetti sul da farsi, fu l’Ummanu di Khuluppu a risolvere i loro dubbi con le parole: "Lasciate ad Aruru questa battaglia, lasciate che anche noi, che finora non abbiamo fatto altro che sbagliare e sopravvivere, nell’Antica Capitale che avevamo giurato di difendere, possiamo fare qualcosa per il comune desiderio di giustizia e pace che tutti noi unisce.", poche parole, dette prima di spostarsi rapida verso il suo Re, poche parole che convinsero gli otto cavalieri ad attendere, rinfrancando le forze ormai ai limiti.

In un ruggito il guerriero del Golem si lanciò contro Baal, ma questi si limitò ad aumentare il proprio cosmo per respingerlo, con un’ondata di pura energia, costringendo a riprendere l’equilibrio a mezz’aria, con una torsione rapida del tronco, prima di poggiare i piedi al suolo, frenandosi.

Ormai pronto ad attaccare di nuovo, il guerriero dalle verdi vestigia incontrò lo sguardo di sfida del nemico, "Non puoi farcela da solo, misero mortale, cadrai per primo, questo sarà l’unico esito del tuo lanciarti contro il Sole!", lo ammonì sicuro il Sovrano Dorato.

"Non sono solo, traditore! Ho con me i ricordi dei compagni caduti: le sfide con Girru, le gioie d’infanzia condivise con Nusku, le sagge parole di Ea, i pochi momenti passati con Kusag; ho loro e ho un’altra compagnia da difendere, lei che mi ha strappato dal baratro di Kurnugia, oltre ad un Sovrano da onorare, combattendo finalmente contro il vero nemico.

Tutti loro ho, ma anche di più, per affrontarti!", esclamò sicuro il guerriero, sollevando le braccia, mentre il pavimento stesso della sala sembrava tremare, "Ho un esercito al mio seguito, lo stesso che hai voluto sfruttare per i tuoi piani, ora muoverà vendetta per come ci hai ingannato! Ecco, Baal! Armata d’Argilla! Sorgi!", ordinò alla fine Aruru.

A quelle poche parole, il cosmo dell’Anunnaki invase lo spiazzo che un tempo era una sala, e dal terreno si formarono decine di Golem di Pietra, li stessi che tempo prima si erano confrontati con i cavalieri d’Atena e che adesso, ironia della sorte, erano i rinforzi pronti ad aiutarli.

"Mere statue di pietra, dalle orride forme! Questo è ciò che avevi in serbo per me, mortale? Ebbene, lascia che ti mostri la fine che fa il gigante di pietra, quando cerca d’imbrigliare il Sole!", lo apostrofò l’Appalaku, espandendo ancora una volta il proprio cosmo.

La forza gravitazionale si rivelò di nuovo, attirando a se le creature di pietra, sradicandole dal terreno come fossero foglie, al pari di ciò che aveva fatto poco prima con le pareti della sala. I Golem, senza più un suolo su cui sostenersi, divennero ancora più grotteschi ed impacciati nei movimenti, attirati ad altissima velocità verso il corpo del nemico che, all’ultimo, lasciò esplodere l’incandescente energia, che avvolse fra le proprie luminose spire i diversi corpi di pietra.

Non vi furono urla, né lamenti, solo un interminabile silenzio, prima che la luce ritornasse accettabile per gli occhi dei presenti, rivelando pietra ormai diventata vetro, che andava in frantumi sotto una spinta del potere nemico, lasciando macerie di quel piccolo esercito che Aruru aveva scatenato.

Solo un sorriso di scherno s’era dipinto sul viso di Baal, che osservava con superiorità il nemico, ancora immobile al suo posto.

La frustrazione, prima ancora dell’amareggiante realtà dei fatti, spinse l’Anunnaki ad una carica ricolma di rabbia, "Vuoi dunque toccare con le tue mani il Sole, ebbene? Te lo concederò, per ciò che hai fatto!", fu la secca replica dell’Appalaku.

Dopo quelle poche parole, con grande stupore dell’Ummanu di Golem, una forza attrattiva lo imbrigliò, spingendolo sempre più vicino al nemico, il cui corpo, ora, riluceva d’energia cosmica, tanto da sollevare un immenso calore attorno a se, un calore tale che persino le vestigia verdi iniziarono a scottare, riscaldando la pelle del guerriero, che si ritrovò a far leva con i talloni, prima, ed i piedi tutti, poi, per rallentare quella spinta, che lo portava sempre più vicino a bruciare.

"Cosa c’è, piccolo uomo? Temi forse che il Sole di Accad sia foriero di sventura per te, come lo è stato per le tue statue di pietra?", domandò ironico Baal, continuando ad attirare a se l’altro.

Con una determinazione sovraumana, Aruru inarcò in avanti la schiena, piantando un secco pugno nel pavimento, perforandolo al fine di fermare la propria folle corsa.

In un’esplosione di energia cosmica, decine di frammenti di pietra volarono verso il Sovrano Dorato, per poi ridursi in cenere, ancor prima di toccarlo.

Fu allora che un sorriso beffardo si disegnò sul viso dell’Appalaku, "Sembra che, dopo tutto, tu non ispirassi tanto di toccare il Cielo…", quindi, rilasciò la propria energia in verso contrario, scagliando l’Anunnaki avversario indietro, facendolo volare per diversi metri, prima che quella stessa forza gravitazionale, lo gettasse al suolo, incrinando pericolosamente il pavimento sotto di lui, quando ne ebbe schiantato il corpo, e le pesanti vestigia, a terra.

Si rialzò prontamente Aruru, illeso, grazie all’armatura del Golem, e, con sua gioia e stupore, vide accanto a se Ninkarakk e Marduk, "Siamo con te, amico mio, non è tempo che uno solo di noi muoia per salvare gli altri, ma tutti insieme dovremo combattere, unendo le forze perché gli Ummanu non diventino un altro nome, perso negli annali del tempo.", esordì sereno il Sovrano di Smeraldo.

Un semplice cenno di assenso provenne poi dalla guerriera di Khuluppu, quando i tre già espandevano i loro cosmi, pronti alla battaglia.

"Braccio del Golem! Ghermisci il tuo nemico!", ruggì per primo Aruru, scatenando l’attacco di pura energia cosmica; "Taglio delle Foglie, recidi il tradimento dalle nostre foreste e chi lo ha portato!", invocò subito dopo Ninkarakk, "Arma del Giusto! Colpisci in nome degli Ummanu caduti!", ordinò infine Marduk, scatenando anch’egli il proprio attacco.

"Ciclo del Sole accelera il tuo corso! Che la dorata stella diventa color del sangue, che vasti diventino i suoi raggi! Rosse fiamme d’attacco e difesa si ergano a mio piacere! Gigante Rossa, rivelati!", urlò di rimando l’Appalaku, sollevando la maestosa difesa color cremisi, contro andarono a cozzare assieme tutti e tre gli attacchi.

Violento fu il contrasto, ma lo fu di più la furia di Baal, forse per la prima volta veramente impegnato nell’atto di difendersi, dinanzi alla portentosa virtù degli Anunnaki, uniti per scacciare il comune nemico.

Per interminabili secondi la battaglia fra quelle forze sembrò pari, finché, la virtù del Sole Cremisi non parve prendere il sopravvento: per prime, sfiorirono le verdi ed affilate foglie di Khuluppu, perse dinanzi alla calda estate che il nemico offriva loro, colpevole anche la stanchezza di Ninkarakk, che aveva già curato i santi d’argento ed il proprio Re, consumando molto del suo stesso cosmo in quelle azioni di guarigione.

I feroci fendenti del Giusto, assieme alla forza del braccio del Golem, però, ancora reggevano il confronto con la Stella ormai rossa, un confronto che non sembrava avere vincitori, o vinti.

"Reißzähne des Jägers!", furono le semplici parole che, allora, echeggiarono nell’aria circostante, sollevandosi prima ancora dell’attacco stesso, prima ancora che gli Anunnaki si rendessero conto di essere affiancati dagli otto santi d’argento.

"Siamo arrivati fin qui per combattere, non resteremo a fare da spettatori alla battaglia!", ammonì Wolfgang dei Cani Venatici.

"Rozan Ginniryuha!", aggiunse la voce di Zong Wu, subito affianco al parigrado; "Aurora Ice Whirl!", continuò Leif, unendo i gelidi sifoni della Balena alla coppia di Draghi d’argento ed alle fauci del Segugio.

"Flecha Grande de Fuego!", "Nova Muscae!", "Plumes Corneille!", affermarono, in sequenza, Dorida, Bao Xe e Gwen, unendosi all’attacco e concentrando i loro colpi lì dove già la mano del Golem, assieme alle tecniche dei parigrado, andavano a colpire.

"Crux Argentii!", invocò poi Damocle, sferrando il fendente a croce, mentre già Husheif tesseva i fili d’energia cosmica fra le proprie mani e di nuovo Ninkarakk scatenava il Taglio delle Foglie, in supporto ai vecchi e nuovi compagni.

Il confronto fra le forze in campo fu stavolta a sfavore di Baal, che si vide lentamente, ma inesorabilmente, surclassato dall’alto numero di nemici che stava ormai premendo con la forza della determinazione, o della disperazione, contro di lui, cercando di scacciare la causa di tutto l’odio che aveva ammorbato Accad, uccidendone i custodi, dopo averne infestato le menti.

Erano undici guerrieri uniti contro un uomo che aveva ingannato chi in lui confidava e rubato il potere alla divinità che avrebbe dovuto proteggere, undici guerrieri che, seppur di razze e luoghi diversi, ora combattevano insieme, sotto la comune fede nella giustizia, che fosse impersonata in Atena, o Shamash, poco importava in quel momento.

In un urlo di frustrazione, Baal lasciò esplodere il proprio cosmo, la gigantesca e rossa barriera parve voler inghiottire tutti insieme gli attacchi nemici, ma non ne aveva la forza, spinta indietro dalla furia di tutte quelle volontà, la Gigante Rossa dovette ritirarsi, sempre più piccola, quasi perdendo le tonalità di luce che la contraddistinguevano.

Poi, d’improvviso, sembrò quasi mutare, ma fu un istante troppo breve, misero a dir poco, un istante che preannunciò un’esplosione d’energia dorata senza pari, che i cavalieri non si aspettavano, se non quello di Reticulum, "Klubi Nematon!", furono infatti le uniche parole che si udirono, fra i diversi urli, parole di una rete che si sollevava come unica difesa, rallentando, senza fermarlo, l’assalto di luce, che investì poi tutti i santi di Atena e gli Anunnaki, disperdendoli lungo il pavimento sull’alta vetta di Anduruna.

Ancora in piedi, vi era Baal, ma non da solo, un nemico si ergeva sul suo cammino, "Sei determinato, Golem, o forse solo fosse di troppa sicurezza per il prodigioso potere delle tue vestigia?", domandò divertito il Sovrano Dorato, sul cui volto, ormai, un rivolo di sudore s’era fatto strada, segno che lo scontro iniziava a segnare anche lui, seppur meno degli avversari.

"Non mi piegherò, folle, non vi saranno soli, fiamme, stelle, che potranno fermarmi! Io sono Aruru di Golem, primo guerriero degli Anunnaki, fedele seguace di Marduk il Giusto, ultimo di un esercito di eroi che tu hai portato allo sfracello!", ruggì deciso l’Ummanu, lanciandosi alla carica.

Ancora una volta, fu la forza gravitazionale a farsi avanti per prima, cercando di respingere il nemico, che, a stento, continuò la sua carica, "Braccio del Golem! Raggiungi il mio bersaglio!", invocò, al culmine dello sforzo, Aruru, lasciando esplodere l’energia del proprio colpo.

"Gigante Rossa! Divora!", esclamò di rimando l’Appalaku, espandendo la scarlatta bandiera, che ingoiò dentro di se persino l’Anunnaki e l’attacco da questi scatenato.

Il calore dentro quel immane ammasso d’energia era incredibile, ma ancora maggiore era la pressione dettata dalla forza gravitazionale: le vestigia del Golem, persino loro, ne sentirono l’effetto, incrinandosi, piegandosi contro la pelle del loro custode che dovette usare tutta la propria volontà per non urlare di dolore; il suo attacco, intanto, era andato perso, schiacciato da quella stessa energia che ora stava infierendo su di lui, piegandone le membra prima ancora dello spirito.

Ci volle tutta la forza che aveva ancora in corpo, perché Aruru potesse sollevare di nuovo gli arti superiori, "Braccio del Golem… sei la mia unica speranza.", sibilò fra se l’Anunnaki, scatenando il colpo verso il basso, il suolo ai suoi piedi, producendo una tale ondata d’energia che lo scagliò al di fuori della barriera di Baal, compiendo una parabola a mezz’aria, già destinato al suolo, al di fuori dei limiti di quella che un tempo era una sala.

"Klubi Nematon!", due parole che echeggiarono, sinonimo di salvezza, alle orecchie dell’Ummanu di Golem, impedendogli di cadere nel vuoto e sostenendone a fatica il peso nel riportarlo fra gli altri guerrieri.

Tutti, in silenzio, osservarono le vestigia, un tempo lustro dell’armata verde, ora piene di crepe, segnate da danni che mai nessuno avrebbe creduto possibile si verificassero, "Costui è un nemico dai poteri immensi…", dovette ammettere Marduk, voltandosi verso il gigantesco globo rosso che tutto riempiva, "Che altro volevi, Re degli Uomini, da un Sovrano fra le divinità celesti? Che volevi dal Sole di Accad?", domandò beffarda la voce dell’Appalaku, al di là della rossa barriera.

"Forse una soluzione ancora c’è…", ipotizzò, d’un tratto, Husheif, avvicinandosi proprio ad Aruru.

"Anunnaki, il colpo che hai sfruttato contro la mia parigrado alla fine del vostro scontro, quel terremoto di catastrofiche dimensioni, potresti evocarlo anche qui, a tale distanza dal terreno?", domandò il cavaliere d’argento, "Sì, potrei fare uso della mia tecnica migliore, ma qui, in un luogo del genere, richiederebbe tempo perché la roccia s’ergesse all’attacco, inoltre, non attraverserebbe comunque quella difesa, temo.", ammise preoccupato l’altro.

"Non un attacco ti chiedo, Ummanu, bensì una difesa, di dura roccia e forte energia cosmica, una barriera invalicabile, a protezione tua, di chi ti è sovrano, della giovane Anunnaki e, più di questo, dei miei compagni d’arme.", lo corresse il santo di Reticulum, lasciando l’altro stupefatto.

"Cosa hai in mente, straniero?", domandò perplesso Aruru, "Di usare la mia arma migliore, un attacco che non ha mai lasciato scampo ai nemici, lo stesso con cui ho vinto, in questa medesima città, Beletseri di Etemmu, prima, e Kusag di Labbu, dopo.", rispose l’egiziano, cosciente di essersi appena accusato della morte di un pari di colui con cui parlava.

Per qualche secondo, l’altro si fece silenzioso, poi si volse verso il santo di Atena, "Se con questa tecnica hai avuto ragione dell’abile Kusag, allora, qualunque cosa tu possa fare, sarà di certo efficace… o almeno spero.", concluse l’Anunnaki, alzandosi in piedi ed espandendo il proprio cosmo attraverso Anduruna, fino a raggiungerne le fondamenta.

Le mani di Husheif, intanto, davano vita a nuovi fili d’energia cosmica, dai molteplici colori, fili che s’andavano espandendo attorno al cavaliere stesso, iniziando a coprirlo, lasciando interdetti gli altri santi di Atena.

"State indietro, cavalieri, e tu, Ummanu, inizia pure a sollevare le difese, non appena sarai pronto!", ordinò secco il guerriero egizio, lanciandosi all’assalto contro la gigantesca barriera rossa.

"Sorgi, non per distruggere, ma per creare, sorgi dalle fondamenta dell’antica Capitale, in aiuto di chi non aveva intenzione di distruggerla! Terremoto Creatore! Sorgi!", urlò con determinazione Aruru, prima che vaste montagne di pietra, richiamate dal cosmo dell’uomo, si alzassero, sradicandosi dalle strade di Accad, in protezione dell’Anunnaki e di tutti gli altri guerrieri lì presenti.

L’ultima cosa che i guerrieri ateniesi videro, fu il loro parigrado, ormai quasi completamente celato dai fili d’energia, inghiottito dalla Gigante Rossa.

Solo Baal poté seguire il percorso di quello strano, piccolo, globo dai molteplici colori, che sembrava piegarsi alla pressione del suo cosmo, senza però esplodere, alla fine, anzi, sbocciò, d’energia propria, rivelandosi con dei fili che tutto invasero, dal terreno alle vestigia del Trono, insozzate da quella immonda sostanza.

"Pagida Aracné", furono le uniche parole del cavaliere d’argento, il cui corpo, ormai privo di armatura, scricchiolava sinistro per la pressione che la Gigante Rossa compiva su di lui.

L’esplosione di luce, dai mille colori, che poi nacque, fu incredibile, almeno per coloro che la vedevano per la prima volta, ma non ne avvertivano la calda pressione, al pari di Baal, che non si curò dell’immagine del ragno, che già alta si alzava in cielo, mentre la stretta della Nebulosa della Tarantola si chiudeva su di lui.

"Questa guerra deve giungere al termine…", sibilò con sforzo il cavaliere di Reticulum, "Mi trovi d’accordo, mortale. Ed anzi, ti concedo una lode…", replicò Baal, incurante quasi di come le sue dorate vestigia andavano sciogliendosi in parte, "poiché hai avuto il coraggio di oltrepassare la Gigante Rossa per sferrarmi il tuo attacco, ma purtroppo per te, il potere del Sole è ben più grande di quello dei tuoi sottili fili.", lo ammonì.

"Se tu controlli tutti i colori, ebbene, ora ti mostrerò qualcosa che dei colori fa a meno.", minacciò l’Appalaku.

Dopo quelle brevi parole, la barriera rossa sparì, inglobandosi intorno al corpo del proprio creatore, "Ciclo del Sole che il tuo corso si avvicini alla fine! Che la dorata stella abbandoni il rosso sangue, rifugga dai colori tutti e si dipinga della loro assenza, si dipinga di bianco! Un tocco di morte, pallido e lucente, un calore incontenibile, questi i suoi arti e le sue membra, ordunque si rivelino! Nana Bianca, mostrati!", ruggì alla fine Baal.

Husheif non ebbe parole dinanzi a ciò che vide: il gigantesco cosmo rivestì come un abito il proprio padrone, ricoprendolo nel bianco più assoluto, distruggendo i fili della Tarantola, che evaporarono in un confronto con temperature per loro irraggiungibili, poi, quel bianco corpo, si lanciò contro il santo di Reticulum, che niente poté, non riuscendo a distinguere l’avversario, finché il braccio sinistro di questi non gli aveva trapassato l’addome.

Un rantolo di dolore uscì dalle labbra del cavaliere, la pelle andava in cenere e con essa le ossa, il sangue bolliva fino a bruciare nelle vene, come lava ardente, poi evaporava, dilaniando i tessuti.

Non ci vollero che pochi secondi, in cui il dolore confuse l’ironia di una sorte simile a quella toccata ai nemici, con le ultime parole del maestro defunto, poi, Husheif di Reticulum, le poche ossa affumicate che ne rimasero, cadde al suolo, morto. Così perse la vita il cavaliere d’argento.

Questa vittoria, però, non bastò all’Appalaku, che ancora ricoperto da quella bianca difesa cosmica, si lanciò alla carica, schiantandosi fisicamente contro la parete di rocce che Aruru aveva creato, riducendola a magma ormai solidificato al suolo, prima che la mano rivestita di candore del nemico investisse con un violento pugno le vestigia del Golem, sciogliendole al solo contatto e schiantando a metri di distanza sia l’Anunnaki, sia gli altri nemici che si trovavano dietro di lui.

Con un balzo, Baal fu in mezzo agli stessi confusi avversari, pronto a colpirli con violenza.

"Diamond Dust!", esclamò Leif, scatenando la Polvere di Diamanti, che evaporò al primo contatto con la bianca copertura d’energia che circondava l’Appalaku; medesima fine, pochi istanti dopo, fecero i dischi d’argento di Zong Wu dell’Auriga.

"Angriff der Jäger!", aggiunse poi il santo dei Cani Venatici, prima che un semplice gesto del nemico liberasse un’ondata d’energia bianca, che travolse e distrusse le scariche elettriche dell’altro.

"Radici del Dolce Oblio!", invocò allora Ninkarakk, spostandosi sul fianco del comune nemico, ma anche le dolci e sinuosi radici di Khuluppu andarono in cenere, non appena in contatto con la bianca copertura che celava l’aspetto di Baal a tutti loro.

"Arma del Giusto!", fu la voce che sopraggiunse il quel momento, scagliando i fendenti contro il Sovrano Dorato, fendenti che si andarono perdendo anch’essi, l’uno dopo l’altro, brillando per poi esplodere contro il caldo soffio del bianco.

Una risata, allora, proruppe dalle labbra dell’Appalaku, che lasciò espandersi il suo cosmo, investendo con un’ondata di inumano calore tutti i presenti, rigettandoli al suolo, uno dopo l’altro, feriti ed ustionati.

Alzò la mano verso l’alto Baal, o almeno tale parve malgrado la fasciatura d’energia cosmica.

"Osservate il cielo prima di morire, sarà l’ultima volta che potrete fare ciò! Osservate alte le nuvole ed il Sole, a me schiavo, osservate quanto vasto esso è… in questo stesso infinito lascerò disperdere le vostre ceneri, così come già ho fatto con il primo di voi blasfemi! Niente resterà di voi presso le terre di Accad, dove io sono divino ed unico signore.", avvisò il Sovrano Dorato, il cui cosmo riluceva accecante di bianco.

"Non sperate nelle vostre armi, non nei segreti dei vostri attacchi, né nelle virtù delle difese! Io, divinità che fra voi uomini ora mi ergo, ho la perfetta unione tra attacco e difesa in questo mio attuale aspetto. Niente può giungere a toccarmi, poiché tutto ciò che mi sfiora cadrà in terra, ridotto in nere ceneri, sotto la tremenda calura del mio cosmo.", continuò a spiegare, prima di puntare il dito contro i dieci nemici rimasti al suolo.

"Poiché ho il potere di Shamash, mi delego anche del ruolo di Giudice, oltre che di Sole di Accad, e come tale, vi giudico tutti colpevoli di blasfemia e scarso rispetto verso l’unica divinità che domina queste terre.

La condanna, per tale crimine, sarà la morte!", concluse, quando già uno strale di luce confluiva sull’indice.

"E tu, Marduk, Sovrano di uomini, sarai il primo ad essere punito!", sentenziò, scagliando il dardo di luce incandescente.

Fu un istante: Aruru si spostò verso il proprio Re, portandosi a sua difesa, questi, assieme a Ninkarakk, gli urlò di allontanarsi, ma nessuno dei tre subì la furia di quello strale bianco; un altro, di colore più violaceo, forse scarlatto, brillò in direzione opposta, bloccando il colpo di Baal.

"Chi osa?", si domandò scontroso l’Appalaku, meravigliato per l’essere stato interrotto.

"Qualcuno che, di certo, tu, che t’atteggi a dio, definirai un blasfemo, poiché non ti porta rispetto, ma, purtroppo per te, accadico, io non sono un blasfemo, poiché la blasfemia si compete solo nell’agire irrispettosamente verso gli dei, non verso chi ruba loro il cosmo e l’essenza.", esordì una voce, che parve giungere dalle scalinate, o almeno da ciò che ne rimaneva.

"Chi sei? Rivelati!", ordinò ancora Baal.

"Sono straniero in queste terre e quindi poco gradito e, forse, fuori luogo con la mia interruzione, ma, da ciò che posso vedere, altri miei conoscenti sono stati da te combattuti e sconfitti, due di loro sono periti in queste lunghe giornate di guerra, e di ciò mi rattristo.", continuò la voce, quando già un cosmo dorato si rivelava dal fondo dello spiazzo.

"Sono fin qui giunto per fermare questa follia, per interrompere la mattanza di prodi guerrieri, di ambo le parti, causati dai sogni di potere di pochi.

Da Atene provengo, il Santuario della dea è la mia casa, in quei luoghi, una delle Dodici Case difendo.", disse l’uomo, il cui aspetto, come le vestigia d’oro che indossava, erano noti a tutti ormai.

"Ascanus di Scorpio è il mio nome celeste.", furono le ultime parole dell’uomo dai capelli amaranto, le cui vestigia indicavano la costellazione: lo Scorpione.

Un inatteso aiuto era infine giunto per la battaglia finale.