Capitolo IV

ZAMBIYA E NANNIYA

Area mesopotamica, maggio 1062

Nella luce fioca di quell'umido sotterraneo, l'uomo pronunciava formule in una lingua oscura.

D'improvviso due ombre, avvolte da un tenue bagliore, presero sostanza di fronte a lui. Erano due figure alte e possenti ed indossavano un'armatura identica, tranne che per il colore: una era dorata con ocelli argentei, l'altra, viceversa, era argentea con ocelli dorati.

L'elmo era a casco: di forma sferica, con bordi arrotondati, da cui scendevano due piastre metalliche a protezione del viso. Al centro aveva una protuberanza, da cui partiva una lunga coda di pesce che scendeva lungo le spalle e giungeva alle ginocchia. Aveva tre ocelli molto vistosi sul fregio frontale e due sulle piastre a protezione delle guance.

I coprispalla, come il resto dell'armatura, erano fatti di scaglie: di poco eccedenti la spalla, terminavano a punta, rivolta verso l'alto. Pettorale e cinturino formavano un blocco unico: di forma cilindrica, il pettorale era adornato da ocelli che disegnavano un triangolo rovesciato e si connetteva direttamente al cinturino, lungo fino a metà coscia davanti e dietro e fino alle ginocchia sui fianchi. Bracciali e schinieri erano anch'essi di forma cilindrica, ornati da pinne a tre punte capaci di lacerare carne ed ossa.

I due esseri fissarono l'uomo che li aveva richiamati dal loro sonno e notarono che al collo portava un monile che da tempo immemore non vedevano più. S'inchinarono e con voce rispettosa si presentarono:

"Zambiya, quinto demone del fulmine, è qui per servirvi", disse quello che indossava l'armatura dorata. Aveva occhi e capelli argentei lunghi fino a metà schiena, un naso grosso e schiacciato ed una voce cupa e lugubre.

"Anche Nanniya, settimo demone del fulmine, è al vostro servizio!", proseguì quello con l'armatura argentea. Era in tutto identico al precedente, tranne che per colore di occhi e capelli, dorati in questo caso, e per il tono di voce stridulo e assordante.

"Le Torpedini del Massacro, i gemelli del fulmine", esclamò l'uomo, il cui volto era celato da un ampio cappuccio.

All'udire quegli epiteti, i due demoni sorrisero fieri e i loro occhi s'infiammarono d'orgoglio e di una ritrovata crudeltà.

L'uomo incappucciato li fissò e con tono grave spiegò i motivi per cui li aveva risvegliati:

"Il mio nome è Sorush, sono l'ultimo Sacerdote vivente del potente Nergal, il vostro signore. Fra non molto, il sovrano di Irkalla tornerà a nuova vita e porterà a compimento la sua brama di sangue e di conquista.

Ma prima del suo avvento, c'è un'urgente questione da risolvere. Ai tempi del mito, gli dei di Sumer scagliarono su di voi una tremenda maledizione per aver appoggiato i piani di Nergal. Vi confinarono in un corpo umano e ridussero drasticamente il vostro potere".

I due demoni ebbero un moto di disprezzo nel ricordare il castigo ricevuto in un tempo ormai lontano e strinsero i pugni.

"Tuttavia, esiste una soluzione", continuò Sorush, accendendo di speranza gli occhi delle due creature. "Gli dei di Sumer hanno ormai abbandonato questo piano dell'esistenza da secoli e la morsa del loro potere su di voi si è indebolita. Non posso restituirvi la vostra forma originaria, ma posso annullare gli effetti della maledizione grazie ad un antichissimo rituale: il Rito dei Mille Innocenti!"

Quel nome riecheggiò nella mente delle Torpedini del Massacro come il suono di un dolce strumento e sui loro volti si allargò un sorriso sinistro.

"Il vostro potere vi fu sottratto purificando le acque dei Due Fiumi dalla malvagità con cui il cosmo di Nergal le aveva corrotte. Basterà arrossarle col sangue di mille persone innocenti e le catene che ancora vi legano saranno spezzate!", concluse il servo del sovrano di Irkalla.

"Sarà fatto!", esclamò Zambiya, già respirando l'odore della morte che tante volte, in passato, aveva elargito con somma gioia.

Sorush mostrò loro due orci in cui avrebbero dovuto versare il sangue delle vittime sacrificali e diede loro appuntamento nel punto in cui il Tigri e l'Eufrate s'incontravano, nei pressi della città di Bassora.

I due demoni partirono alla volta della piana mesopotamica, luogo in cui, un tempo, avevano vissuto ed inferto terrore e sofferenza. Vi giunsero in pochi minuti e decisero di iniziare la loro missione di sangue da un piccolo villaggio vicino ad Edessa, adagiata sulla sponda settentrionale del corso superiore del Tigri.

Il villaggio era ancora immerso nel tepore del sonno. Le strade erano deserte, si udiva soltanto un cane abbaiare in lontananza. Una bambina uscì di casa per recarsi al pozzo a prendere l'acqua. Mentre s'incamminava, si strofinò gli occhi per allontanare gli ultimi fumi del sonno. Fece un profondo sbadiglio e poggiò a terra la giara che stringeva fra le mani. Calò il secchio nel pozzo lentamente, guardandosi intorno. Non c'era nessuno; non si udiva alcun rumore, tranne l'abbaio intermittente e prolungato del cane che creava una sorta di lugubre lamento.

D'improvviso, la bambina udì un sibilo, poi avvertì una leggera fitta al collo e i suoi occhi tornarono a sprofondare nell'oblio. Era morta.

Nanniya si avvicinò al corpicino ancora caldo della ragazzina, ne estrasse dal collo la pinna a tre punte che l'aveva trafitta e ne lasciò sgorgare il sangue nell'orcio. Alcune gocce macchiarono la mano del demone, che tornò a provare l'ebbrezza delle stragi e dei massacri di un tempo.

"La prima vittima sacrificale del nuovo ordine cosmico è caduta, fratello! Elargiamo terrore e morte nel nome del sommo Nergal, come facevamo ai tempi del mito", disse poi, leccando il sangue dalla mano e con lo sguardo carico di un'insana ferocia. Zambiya annuì e i due fratelli si mossero verso le case più vicine. Attorno a loro vorticavano le pinne a tre punte che si erano staccate dalle armature: sembravano assetate di linfa vitale.

Sfondarono le porte di due case della piazza. C'erano alcuni bambini, delle donne e qualche anziano. Il rumore li aveva svegliati di soprassalto, ma non fecero in tempo a comprendere cosa stava accadendo. Le pinne a tre punte dei due demoni recisero loro le gole, spargendo sangue ovunque.

Gli orci iniziavano a riscuotere il tributo di vite che la maledizione degli Utukki esigeva per essere spezzata.

In pochi istanti di quel villaggio non era rimasto nulla, se non cadaveri e pozze di sangue. Alcuni avevano tentato di scappare, una volta avvedutisi del pericolo, ma le pinne dei demoni gemelli li avevano raggiunti e trucidati senza pietà.

Terminata quella carneficina, Nanniya, sempre più avido di morte e distruzione, propose al fratello di dirigersi a Edessa, dove avrebbero trovato più vittime da immolare alla loro causa.

Zambiya, però, rifiutò categoricamente. "Limitiamoci ai piccoli villaggi, in modo da non destare allarme. La morte di un piccolo borgo può passare inosservata, ma l'annientamento di un'intera città no. Non temere, verrà il giorno che tutte le città e i regni di questo mondo piegheranno il capo di fronte all'esercito di Irkalla!", aggiunse, poi, guardando il fratello, il cui volto si era contorto in una smorfia di delusione e disappunto.

Costeggiarono il fiume, lungo il quale si affacciavano piccoli villaggi. Nel rivederlo, Zambiya rimase sorpreso: molto era cambiato dall'ultima volta che lo aveva ammirato. Le città sumeriche con le loro alte ziqqurat avevano lasciato il posto a sparute casupole che gettavano un velo di ineluttabilità sull'incessante scorrere del tempo.

Entrarono in un altro villaggio, preceduti dalle pinne a tre punte che seminavano morte e paura. La tranquillità di quel luogo era stata spezzata dalle grida e dai pianti degli inermi abitanti, che non si spiegavano un simile atto di crudeltà gratuita. I sopravvissuti chiesero pietà con voce tremante e gli occhi grondanti lacrime. I due demoni, però, rimasero impassibili di fronte alle preghiere di quella gente indifesa e sgomenta, e la trucidò con efferata freddezza.

Lasciato anche quel villaggio, giunsero nei territori del califfato abbaside, nei pressi di Baghdad, dove fecero strage delle tribù nomadi e dei contadini che incontravano.

Un manipolo di soldati a cavallo diretti in città notò del fumo provenire da alcune tende e corse a controllare. Uno spettacolo terrificante si palesò ai loro occhi: corpi straziati, sangue ovunque ed un intenso odore di morte. Il capitano del drappello diede subito ordine di dividersi e cercare i responsabili di quell'atroce massacro.

I soldati obbedirono immediatamente e si divisero in tre gruppi, ma non riuscirono a lasciare quel posto. Strani sibili risuonarono nell'aria muta e attorno al capitano si ammucchiarono corpi privi di vita con la gola recisa, mentre i cavalli, spaventati, fuggivano di gran carriera. L'uomo si guardò intorno incredulo ed un velo di terrore gli coprì il cuore. Vide due figure farsi avanti con indosso curiose corazze e circondate da oggetti metallici che ruotavano nell'aria.

Il cavallo s'imbizzarrì e lo disarcionò, fuggendo come avevano fatto gli altri. L'uomo si rialzò, sguainò la scimitarra che portava alla cintura e, puntandola contro i due, chiese se fossero stati loro a perpetrare quel terribile crimine e perché lo avessero commesso.

Zambiya avanzò di un passo e lo fissò negli occhi, scorgendovi paura e angoscia.

"Che patetica creatura!", esclamò. D'improvviso, una delle lame che gli vorticavano intorno si mosse e decapitò l'uomo, che cadde a terra supino.

"Andiamo, fratello mio! Sorush ci attende!", aggiunse poi, rivolto a Nanniya, che aveva assistito alla scena divertito.

I due demoni sterminarono un'altra decina di villaggi posti lungo il cammino. Poi attraversarono il Tigri ed entrarono nei territori che un tempo appartenevano alla civiltà sumerica. Giunsero alla confluenza dei due fiumi e vi trovarono Sorush ad aspettarli.

Poggiarono a terra gli orci, colmi di sangue fino all'orlo, e s'inchinarono di fronte al Sacerdote. "Ecco il prezzo della nostra liberazione dalle catene degli antichi dei!", esclamò Nanniya, un po' deluso dalla caccia, che riteneva poco divertente rispetto a quelle cui era abituato ai tempi del mito.

"Molto bene!", disse Sorush, osservando con attenzione le chiazze rosse che macchiavano gli orci. "Avvicinatevi ai fiumi e, al mio segnale, versate la preziosa linfa scarlatta!", continuò. I demoni gemelli presero direzioni diverse: Zambiya si diresse verso il Tigri, Nanniya verso l'Eufrate.

Levando la voce al cielo, Sorush iniziò a recitare formule in un'antica lingua. Il cielo, limpido fino a poco prima, cominciò a rannuvolarsi. Il Sacerdote fece cenno ai demoni di versare il sangue fra le acque dei fiumi.

All'inizio, il fluido scarlatto sembrò dissolversi fra la corrente, poi, d'improvviso, le acque cessarono il loro corso, si arrossarono e s'innalzarono verso l'alto. Dal cielo caddero fulmini e dalla terra sorsero spine e scintille di fuoco. Poi le nuvole si diradarono e il cielo si tinse di un bagliore accecante, mentre sottili lame di ghiaccio venivano portate via da una forte raffica di vento.

Zambiya e Nanniya furono stupiti da quegli eventi. Mentre contemplavano i fenomeni che si stavano verificando, le loro armature iniziarono a circondarsi di scariche elettriche e sentirono il loro cosmo accrescersi.

Nanniya alzò il braccio destro, bruciò il cosmo e nella sua mano si formò una sfera di energia. Con gli occhi accesi da un'insana gioia, il demone lanciò quel globo contro uno degli alberi posti sulle rive dell'Eufrate. L'esplosione che ne seguì rilasciò dei fulmini che abbatterono ed incendiarono gli alberi circostanti. Il demone proruppe in una stridula risata, colmo di giubilo e soddisfazione per aver ritrovato, dopo secoli, il suo antico potere.

"Ora gli elementi vi sono di nuovo sottoposti", esclamò il Sacerdote di Nergal, fiero del suo operato. "E' tempo che il mondo riconosca la supremazia dell'esercito di Irkalla!", disse poi, sempre più eccitato all'idea del ritorno del suo signore.

"I Cavalieri di Atena si saranno già accorti della nostra presenza, a quest'ora. Presto verranno per combatterci. Date loro il benvenuto e dimostrategli che la vittoria ottenuta su Umma è stata solo opera della fortuna! Io vi aspetterò qui!", aggiunse, voltandosi verso i due gemelli con volto imperioso.

I due fratelli s'inchinarono e con un sorriso sinistro si allontanarono, impazienti di affrontare un vero scontro, dopo aver stroncato solo vite di gente inerme e spaventata.

Midra e Laurion si guardavano intorno: silenzio e morte sembravano essere i padroni di quel luogo. Videro alcuni bambini sgozzati e riversi in pozze di sangue opaco. I Cavalieri rabbrividirono di fronte a quell'orrendo spettacolo e si augurarono di trovare quanto prima i responsabili di quella strage. Continuarono a proseguire fino all'uscita del villaggio, oltre cui si estendeva un boschetto di palme.

Laurion si fermò di colpo e spinse via Midra, confuso da quel repentino gesto. Una sfera d'energia si abbatté proprio nel punto in cui si erano fermati ed esplose rilasciando numerose scariche elettriche che si dispersero in ogni direzione, bruciando tutto ciò che incontravano.

"Cos'è successo?", chiese il Cavaliere di Equuleus, rimettendosi in piedi. Laurion si guardò intorno e, con volto cupo, spiegò: "Sembra che l'artefice di questo massacro si sia fatto vivo. L'odore di morte che sentivamo copriva il cosmo di quest'individuo. Ma non appena abbiamo lasciato il villaggio, l'ho avvertito chiaramente ed ho potuto schivare il suo attacco".

"Perché io non me ne sono accorto?", domandò Midra, turbato dalla propria pochezza. "Forse perché quest'odore mortifero è in grado di ottenebrare i sensi e di disorientarli", rispose il Cavaliere di Leo Minor, continuando a guardarsi intorno.

"Ma vedo che i tuoi sensi non si sono lasciati ingannare!", esclamò una voce proveniente dal boschetto. Dal folto degli alberi apparve una figura possente, circondata da oggetti metallici che vorticavano nell'aria.

"Chi sei? Rivelati!", gridò Laurion, con voce dura. La figura uscì dall'ombra, incuriosita dalla destrezza con cui il Cavaliere era riuscito a scoprire il suo trucco.

"Come hai fatto a capire che l'odore che percepivi serviva a celare il mio cosmo?", chiese poi, manifestando a parole la sua curiosità.

Senza abbassare la guardia, il Cavaliere rispose: "Anni fa ho affrontato un guerriero che celava la sua presenza usando il profumo dei papaveri. Era in grado di offuscare la mente e di falsare le percezioni. Fu difficile avere ragione di lui, ma come vedi alla fine ci riuscii. Tu chi sei?"

"Capisco. Noto che voi sudditi di Atena tenete in sommo onore le noiose regole della cavalleria. Ti accontenterò: il mio nome è Zambiya, sono un demone del fulmine e voi siete le mie prede!", rispose con tono annoiato il demone, lanciando contro i Cavalieri le pinne a tre punte che si erano avvolte di scariche di energia.

Laurion e Midra ne schivarono alcune, ma altre riuscirono a colpirli a braccia e gambe. A contatto col loro corpo, le scariche elettriche si intensificarono fino ad avvolgere gli arti dei Cavalieri.

Il dolore fu intenso ed atroce. Le loro membra sembravano perdere progressivamente sensibilità e disgregarsi. Laurion diede un'occhiata fugace al compagno, che appariva incapace di affrontare una sofferenza così profonda. Fece esplodere il suo cosmo ed allontanò gli infernali arnesi. Quelli che avevano colpito Midra lo abbandonarono e si diressero verso il nuovo obiettivo, mentre il Cavaliere crollava al suolo svenuto.

Il Cavaliere del Leone Minore si avvolse del suo cosmo rossastro e caricò il proprio colpo segreto. "Léontos Mikroû Ékrēxis [Lionet Bomber]!", gridò, spazzando via il nuovo assalto con una spallata carica di energia cosmica.

Zambiya non si stupì più di tanto, anzi sorrise e concentrò il suo cosmo dorato nella mano destra, creando una piccola sfera di energia, percorsa da fulmini. "Sei ostinato come il Cavaliere che ha sconfitto Umma. Non c'è che dire, voi sudditi di Atena siete delle creature interessanti!", commentò il demone, nei cui occhi argentei e privi di iridi si scorgeva una profonda e malevola determinazione.

"Chi ti ha raccontato dello scontro fra Jorkell e Umma?", chiese Laurion, ripensando all'amico che aveva sacrificato la vita per salvare donna Irene dalle mire del demone del vento.

Il suddito di Nergal rise e rispose: "Nessuno. Noi demoni abbiamo una mente collettiva. Condividiamo ricordi, eventi, tutto! Conosco ogni minimo dettaglio dello scontro che ha decretato la morte del mio compagno e conosco anche te e il tuo amico, Cavaliere! Foste voi a portare via la donna che Umma doveva uccidere!"

Laurion restò di sasso di fronte a quella rivelazione inaspettata. Se le parole del demone erano vere, ciò significava che, dovunque fossero, i suoi simili, in quel momento, stavano vedendo quello scontro e che conoscevano le abilità e le debolezze dei Cavalieri incontrati finora.

Zambiya notò lo sconcerto sul volto del suo avversario e liberò la sfera che teneva ancora stretta in mano. Essa s'ingrandì e le pinne a tre punte abbattute dai Cavalieri tornarono a vorticare nell'aria, penetrarono nella sfera e ne crearono altre più piccole. Queste ultime si disposero in cerchio attorno al demone e cominciarono a girare.

"Ora ti mostrerò il vero potere di un demone infernale, Cavaliere! Preparati!", disse la Torpedine del Massacro, bruciando il proprio cosmo dorato. Alzò le braccia verso il cielo, avvolte da scariche elettriche, le sfere si raggrupparono fino a formare un globo di energia dall'intenso colore dorato e dalla luce accecante.

Laurion si preparò a schivare. Una sfera così grande sarebbe stata facile da evitare. Sorrise e fece ardere il proprio cosmo rossastro, in attesa del momento propizio per attaccare.

"Ĝishra Uduk [Colpo del Sole]!", gridò Zambiya, puntando verso l'avversario l'enorme globo di energia. La sfera sfrecciò verso il Cavaliere, che all'ultimo secondo saltò all'indietro di alcuni metri. Abbattutasi al suolo, essa esplose in un'intensa bolla di luce che avvolse per qualche secondo lo spazio fra i due contendenti.

Il Cavaliere di Bronzo ne approfittò per passare al contrattacco. Si avvolse del suo cosmo, corse verso il nemico e saltò iniziando a girare su se stesso. Il bagliore del colpo di Zambiya si spense e Laurion vide venirgli incontro le pinne che prima erano confluite nella sfera. Facendo esplodere il proprio cosmo e girando più velocemente le spazzò via, puntando dritto al corpo del demone.

"Léontos Mikroû Embolé [Assalto del Leone Minore]!", gridò. Il demone del fulmine, che fino a poco prima aveva sul volto un sorriso beffardo, si avvide troppo tardi della mossa del nemico e venne colpito in pieno. Scaraventato contro gli alberi del boschetto, sbatté violentemente contro una robusta palma, perdendo i sensi.

Atterrato a pochi passi dal nemico, il Cavaliere corse verso Midra, che si era appena rialzato.

"Tutto bene?", chiese al compagno, ancora dolorante. Il Cavaliere di Equuleus annuì e con voce sofferente disse: "Allontanati, Laurion!" Poi bruciò il proprio cosmo azzurro ed incassò il pugno destro.

Laurion rimase per un attimo confuso dal comportamento dell'amico, quando si accorse che un altro cosmo si era avvicinato. Si voltò verso la fonte di quella nuova aura e vide una sfera argentea puntare verso di loro. Si preparò a contrastare il colpo, ma Midra gli si parò davanti.

"Hipparíou Metéōra [Meteore di Equuleus]!", gridò il Cavaliere del Cavallino, lanciando innumerevoli sfere azzurre verso il globo di energia argenteo diretto verso il campo di battaglia. Il colpo di Midra, però, non ebbe effetto. Le sue sfere azzurre vennero letteralmente assorbite. Laurion spinse il compagno di lato, lasciando esplodere al suolo la sfera.

"Sei patetico, fratello! Lasciarti colpire da un misero Cavaliere di Bronzo!", commentò una voce acuta e ironica. Dalle palme del boschetto emerse una figura in tutto simile a Zambiya, tranne che per colore di occhi e capelli.

"Chi sei?", gli domandò Laurion, incuriosito dall'incredibile somiglianza che il nuovo arrivato aveva col demone del fulmine e dall'averlo chiamato "fratello".

"Il mio nome è Nanniya, sono il settimo demone del fulmine", rispose la creatura, fissando i due Cavalieri con un certo disprezzo.

"Sono io il tuo avversario!", esclamò Laurion, guardandolo torvo ed avvicinandosi a lui. Il demone sorrise e si preparò allo scontro, bramoso di sangue guerriero.

"No, Laurion! Lo affronterò io!", intervenne Midra, afferrandogli il braccio e facendo un passo avanti. "L'altro demone non è stato ancora sconfitto e presto si rialzerà. Lascia a me costui! In fondo, sono anch'io un Cavaliere di Atena, no?", gli disse, con un sorriso complice e sincero.

Il ragazzo non aveva mai affrontato nemici finora. Aveva sempre e solo partecipato a missioni diplomatiche o di basso profilo e non aveva mai potuto dimostrare il suo valore guerriero sul campo. Ma era ormai giunto il momento che anche lui contribuisse alla causa di Atena in maniera attiva.

Il Cavaliere di Leo Minor annuì a malincuore e si fece da parte, lasciando la battaglia all'amico. Conosceva l'onestà del suo cuore ed il suo forte senso di giustizia. Poggiandogli una mano sulla spalla, lo guardò dritto negli occhi e gli disse: "Che Atena sia con te, amico mio! Sta' attento!"

Midra gli sorrise ed annuì. Poi si voltò verso il suo avversario e con voce decisa e risoluta disse: "Dovrai affrontare me, demone! Preparati alla lotta!" Nanniya proruppe in una sonora risata e con sguardo sprezzante ribatté: "Questo luogo sarà la tua tomba, umano! I miei fulmini ti spazzeranno via dalla faccia della terra!"

Bruciando il suo cosmo azzurro, il Cavaliere di Equuleus si gettò contro il demone, tirando pugni. Nanniya li schivò senza alcuna apparente difficoltà, divertito più che impensierito dai tentativi del giovane. D'un tratto smise di evitare i pugni di Midra e si lasciò colpire. Il ragazzo sorrise: finalmente era riuscito ad assestare un colpo. Laurion era preoccupato, si era accorto che il demone si era lasciato colpire di proposito e tentò di far riflettere l'amico: "Fa' attenzione, Midra! E' una trappola!"

Il ragazzo sentì le parole dell'amico, ma era troppo tardi per fare qualcosa. Nel punto in cui il suo pugno si era abbattuto comparvero dei fulmini che gli avvolsero il braccio, martoriandolo. Il Cavaliere si ritrasse, lanciando un tremendo grido, mentre Nanniya scoppiava in una grassa risata.

Laurion fece qualche passo verso l'amico, ma Midra gli intimò di restare indietro. Quella battaglia era sua e voleva combatterla fino in fondo. Non aveva ancora perso, né aveva intenzione di cedere di fronte ad un essere colpevole dell'assassinio di tanti innocenti.

Si rialzò, benché il braccio gli dolesse e fosse ustionato in alcuni punti, puntò gli occhi sul demone e bruciò il proprio cosmo, lanciando il suo colpo segreto. Nanniya non si scompose, creò davanti a sé un cerchio di energia, su cui si abbatterono le sfere azzurre della tecnica di Midra che vennero assorbite. Poi quel cerchio si trasformò in una sfera argentea che il demone indirizzò contro l'avversario.

Midra si aspettava una mossa del genere e all'ultimo secondo saltò verso l'alto, concentrò il cosmo nella gamba destra e sferrò un poderoso calcio al volto del servitore di Nergal. Nanniya, impreparato ad una simile strategia, venne colpito in pieno e fu spinto indietro, verso l'ingresso del villaggio.

Atterrato dietro al demone, il paladino di Atena si voltò e, senza dare tregua al nemico, fece esplodere il proprio cosmo. Alle sue spalle apparve un maestoso cavallo rampante di colore bianco. "Eccoti il colpo supremo della costellazione del Cavallino, Nanniya! Torna alle tenebre da cui sei venuto! Leukoû Híppou Hyperoché [Ascesa del Cavallo Bianco]!"

Attorno a lui apparvero dieci sfere multicolori che, ad un suo cenno, si lanciarono contro il demone. Una luce accecante rifulse all'impatto, ma durò pochi istanti, poi si spense, come inghiottita da qualcosa.

Midra era esterrefatto. Nanniya era ancora lì, con un ghigno divertito, protetto da un cerchio di energia, che aveva completamente assorbito l'impeto del suo colpo segreto.

"Hai fegato, ragazzo, ma non sei avvezzo alla battaglia! Hai scoperto troppo presto le tue carte ed ora assaggerai il potere di un demone del fulmine. Patirai atroci sofferenze, maledicendo il giorno in cui sei venuto al mondo! Ĝishra Ituduk [Colpo della Luna]!", gridò il demone, trasformando il cerchio in una sfera colma di energia e lanciandola contro il nemico.

Il Cavaliere di Equuleus aveva infuso nel suo colpo massimo gran parte del suo cosmo, era in affanno e i colpi subiti iniziavano a farsi sentire. Tuttavia, non si perse d'animo, fece avvampare l'aura azzurra del suo cosmo e lanciò di nuovo le sfere della sua tecnica più potente.

Laurion stava per intervenire, ma venne attaccato dalle pinne a tre punte e fu costretto a difendersi. Zambiya si era ripreso ed aveva il volto furente di rabbia.

Come avvenuto poco prima, le sfere di Midra vennero assorbite dal colpo di Nanniya che giunse in pochi secondi al suo bersaglio. Anziché esplodere, però, il globo inghiottì il Cavaliere e l'energia che conteneva si abbatté con veemenza contro di lui. Il giovane era inerme di fronte alla furia delle scariche elettriche che gli straziavano le carni. Laurion, incurante di Zambiya, cercò di fare qualcosa per salvare l'amico in pericolo, ma un nuovo assalto delle armi del demone glielo impedì, ferendolo a braccia e gambe. Il Cavaliere cadde in ginocchio, mentre la sfera che intrappolava Midra esplose, scaraventandolo a terra.

Il Cavaliere di Leo Minor si rimise in piedi e si avvicinò all'amico, immobile e ricoperto di ustioni, l'armatura quasi distrutta e fumante.

"Midra! Midra! Apri gli occhi, amico mio! Ti prego, rispondi!", gli gridò, scuotendolo e cercando di rianimarlo.

Midra aprì lentamente gli occhi, mentre rivoli di sangue sgorgavano da un'infinità di ferite. Guardò l'amico con un'espressione amara e delusa: "Pe... Perdonami, Laurion! No... Non... sono degno... di appartenere... alle gloriose schiere... di Atena. Ho... fallito!", disse con un filo di voce, versando calde lacrime. Fissò un'ultima volta il volto del compagno, poi le tenebre dell'oblio spensero per sempre il suo spirito ed il suo cosmo.

"No! Resisti, amico mio! Non puoi morire adesso!", urlò di dolore il Cavaliere, stringendo tra le braccia il corpo esanime dell'amico.

"Giusta fine per un debole, anche se devo riconoscerne il coraggio. Ma è nell'ordine naturale delle cose che il forte domini sul debole!", commentò Nanniya, con un ghigno soddisfatto stampato sul volto.

Dominio. Questa parola accese di rabbia Laurion e gli riportò alla mente i tristi ricordi della sua infanzia. Si voltò verso il demone, guardandolo con occhi colmi di astio e disprezzo, sentimenti che aveva provato molti anni prima.

Come ogni anno lo stratega del Peloponneso aveva inviato nei territori sotto la sua giurisdizione i gabellieri per riscuotere le tasse. Erano giunti anche a Cencrea, piccolo villaggio nei pressi della capitale, Corinto. Due quarti del raccolto di ogni famiglia erano dovuti all'imperatore ed un quarto allo stratega, che, non ricevendo uno stipendio da Bisanzio, viveva a spese della popolazione. I raccolti degli ultimi anni, però, erano stati scarsi ed a stento gli abitanti del thema erano riusciti a sopravvivere e a pagare i tributi all'impero. Invano avevano chiesto una riduzione delle tasse all'imperatore Michele IV ed allo stratega, scandalizzati dalla richiesta degli abitanti del distretto.

I gabellieri, scortati da un manipolo di soldati, erano giunti a cavallo. Ogni contadino aveva portato nella piccola piazza la propria parte del tributo. Muniti di pergamene e penne d'oca, gli emissari imperiali annotavano l'entità dei tributi e valutavano se fosse in linea con le tabelle fornite dalla corte imperiale.

Uno di loro si avvicinò ad un contadino dal viso stanco ed emaciato, con la barba incolta e ingrigita dalle innumerevoli fatiche. Accanto a lui vi era una donna con gli occhi di un marrone spento, col capo chino ed i capelli disordinati e sudici. Davanti a loro vi erano due ragazzini, uno dai capelli rossi ed occhi marrone, di circa dieci anni, con lo sguardo perso e vagamente triste; l'altro, anch'esso rossiccio, ma con gli occhi di un verde scuro, di circa tredici anni, aveva la fronte aggrottata ed i denti stretti, come per trattenere un moto di ribellione.

L'esattore lo guardò con una certa superbia, controllò l'ammontare del tributo dovuto e diede un'occhiata ai sacchi di grano che aveva davanti.

"Qui risulta che i sacchi da versare come tributo sono trenta ed io ne vedo soltanto dieci. Dove sono gli altri?", domandò l'ufficiale con sguardo sprezzante.

Il vecchio tentennò, poi si fece forza e parlò, chinando il capo: "Mio signore, il raccolto è stato scarso anche quest'anno. I sacchi che vedete sono quanto siamo riusciti a mettere da parte per il tributo all'imperatore e allo stratega".

Il gabelliere lo guardò torvo, poi si voltò verso i soldati e ne chiamò a sé tre. "Perquisite la casa di questo bifolco e portatemi tutto ciò che troverete!", ordinò con piglio autoritario. Gli uomini fecero un inchino e corsero ad eseguire gli ordini.

Poco dopo, i tre tornarono portando altri dieci sacchi di grano che gettarono ai piedi dell'ufficiale. L'uomo accennò un sorriso malevolo, fissò il vecchio negli occhi e disse: "Bene! Vedo che volevate sottrarre alle autorità che vi governano ciò che spetta loro!"

Il vecchio, colto da paura, tentò di giustificarsi: "No, mio signore! Vi sbagliate! Non volevamo derubare nessuno! Contavamo di trattenere questa parte per sostentarci fino all'anno prossimo e di restituire all'impero quanto gli spetta con gli interessi al prossimo raccolto!"

"Avete osato provvedere più al vostro ventre che al benessere dell'impero? Che sudditi ingrati! Questi sono i tuoi figli, vecchio?", esclamò scandalizzato il gabelliere, fissando i due ragazzini con sguardo gelido.

"", confermò l'uomo. "Lui è Dolkas, il maggiore, ha tredici anni", continuò, indicando il ragazzo alla sua sinistra. "E l'altro è Laurion, che ne ha soltanto dieci", concluse, poggiando una mano sulla spalla all'altro ragazzo.

Avuta la risposta, l'ufficiale si voltò, ordinò ai soldati di caricare sul carro tutti i sacchi e montò sul suo cavallo, dicendo: "Uccidete quel vecchio e sua moglie, ma risparmiate i loro figli: diverranno schiavi per ripagare la parte di tributo mancante!"

I soldati separarono genitori e figli, che piangevano e si dimenavano per liberarsi dalla stretta di quella sorte infausta. Il vecchio e sua moglie furono portati al centro della piazza e giustiziati, sotto gli occhi increduli e colmi di lacrime dei due ragazzini.

Laurion era rimasto immobile, aveva smesso di dimenarsi, le guance bagnate da un pianto amaro e silenzioso. Dolkas, invece, era riuscito a liberarsi dalla presa del soldato ed era corso verso il gabelliere. Aveva preso un sasso da terra e glielo aveva lanciato, chiamandolo "bastardo".

L'uomo era stato colpito di striscio alla guancia, era smontato da cavallo ed aveva strappato di mano la spada ad un soldato. Senza la minima esitazione, aveva trafitto il ragazzo, commentando che per quell'anno l'imperatore e lo stratega avrebbero dovuto farsi bastare quanto raccolto.

Tutta quella scena aveva terrorizzato l'intero villaggio ed in particolare Laurion che in pochi istanti aveva visto spegnersi una dopo l'altra le persone che amava. Si sentiva inerme, svuotato e non oppose resistenza quando un soldato gli legò le mani e lo aggregò ad un altro gruppo di persone, anch'esse rese schiave per sopperire ai tributi mancanti.

Erano diretti a Corinto, la capitale, dove la sorte di ognuno di loro sarebbe stata decisa dal governatore: alcuni sarebbero stati venduti, altri arruolati, altri ancora impiegati nelle terre dello stratega o dell'imperatore.

Laurion camminava perso nei suoi pensieri, continuando a lasciarsi dietro una scia di lacrime. Perché gli uomini erano così crudeli? Perché i governanti godono delle sofferenze dei deboli? Di tanto in tanto guardava l'ufficiale che aveva decretato lo sterminio della sua famiglia e nel cuore gli scoppiava un odio profondo e doloroso.

Si guardava intorno e nei volti mesti e spenti di quella folla umana scorgeva i suoi stessi dubbi e le sue stesse domande. Vedeva occhi gonfi di pianto, corpi tremanti, volti assuefatti a dolori e sofferenze, senza più un briciolo di vita nel cuore.

Il corteo viaggiava lento ed il rumore ritmico di passi, ruote e zoccoli immalinconiva l'atmosfera come una triste melodia. Poi d'improvviso, si fermò. Laurion alzò gli occhi, vide l'ufficiale scendere da cavallo ed avvicinarsi ad un uomo che indossava una strana corazza.

"Chi siete?", chiese con voce sprezzante l'ufficiale all'uomo che impediva loro il prosieguo del viaggio.

L'uomo sorrise e disse con tono ironico: "Non ditemi che non avete riconosciuto un Cavaliere di Atena! E' ben strano che gli ufficiali dello stratega ignorino la nostra esistenza!"

L'ufficiale, per un attimo, divenne pallido e con fare condiscendente si scusò per non averlo riconosciuto. Il Cavaliere accettò le scuse e si presentò ufficialmente: "Sono Shelyak di Lyra, Cavaliere d'Argento. Sono venuto a chiedervi dove state portando questa gente", disse poi, fissando con piglio severo il gabelliere imperiale.

L'uomo cercò di schermirsi, raccontando che quella gente aveva messo in piedi una ribellione ed era stata catturata. Dalla folla di prigionieri si levò una voce, che attirò su di sé l'attenzione di tutti: "Non è vero! Queste persone sono state rese schiave solo perché non erano in grado di pagare l'intera quota del tributo annuale all'impero. Quell'uomo ha sterminato le nostre famiglie, accusandoci ingiustamente di furto!" Era Laurion. L'atteggiamento umile e servile che l'ufficiale aveva assunto dopo aver scoperto l'identità del Cavaliere, gli aveva fatto ribollire il sangue e gli aveva dato modo di smascherare l'indole malvagia di quell'uomo.

L'ufficiale lo fissò con sguardo truce, ma il ragazzino non si lasciò intimorire ed anzi, rispose con un sorriso beffardo.

Shelyak gli si avvicinò, chiese il suo nome e guardò i suoi occhi. Non stava mentendo, le sue parole erano veritiere. Si voltò verso l'ufficiale, aggrottando la fronte.

"Liberate questa gente! Secondo la stipula di Atene è illecito rendere schiavo qualcuno per debiti contro l'impero. Dovreste conoscere le regole!".

"Ma mio signore...", cercò di ribattere l'uomo. Shelyak, però, lo zittì con lo sguardo e, avvicinandosi, gli disse: "Vuoi che riferisca all'imperatore come sta amministrando questo thema lo stratega? Non credo gli farà piacere saperlo. La stipula permette a noi Cavalieri di vigilare sui territori imperiali e denunciare chi abusa del proprio potere. Sta a te scegliere: o liberi queste persone o verrai rimosso dal tuo incarico!"

Il gabelliere, messo alle strette, ordinò ai soldati di rilasciare i prigionieri. Poi risalì a cavallo, dando un'ultima occhiata odiosa al suo delatore e il corteo si rimise in marcia, ma senza più bottino umano.

I contadini si dispersero, tornando ognuno al proprio villaggio. Laurion riuscì a scorgere qualche sorriso ed un barlume di speranza sui volti di quelle persone che fino a un attimo prima sembravano aver rinunciato a qualsiasi possibilità di salvezza.

"Tu non torni al tuo villaggio?", gli chiese Shelyak, distogliendolo dai suoi pensieri.

"No, signore. Non ho più nessuno lì", rispose il ragazzo, abbassando gli occhi, che erano tornati a bagnarsi di lacrime.

"Ti andrebbe di provare a diventare un Cavaliere come me? Di votare la tua vita alla causa della giustizia?", propose il Cavaliere, poggiandogli una mano sulla spalla.

Il ragazzo annuì sorridendo e pronto ad iniziare un nuovo percorso di vita, in cui avrebbe potuto finalmente agire e non restarsene inerme in attesa della fine.

Erano passati più di vent'anni da quell'incontro. Shelyak era ormai morto da anni ed ora anche Jorkell e Midra avevano abbandonato i campi di battaglia per raggiungere la quiete eterna.

Laurion si era stancato di veder morire uno dopo l'altro i compagni che aveva imparato ad amare come fratelli. Si rialzò, bruciando il proprio cosmo e preparandosi all'attacco.

D'improvviso, però, il paesaggio cambiò. Al posto del villaggio e del boschetto di palme apparve un immenso giardino di fiori colorati e reso vivo dal volo di farfalle variopinte. In direzione del villaggio si stagliavano colonne corinzie diroccate dal tempo ed un cosmo immenso si palesò.

Sia i demoni che Laurion si chiesero a chi appartenesse un'aura cosmica tanto elevata. Dalle colonne apparve una luce dorata che scintillava intensa e poi un uomo in posa da meditazione con indosso un'armatura d'oro.

"Le vestigia di Virgo!", esclamò il Cavaliere di Leo Minor, riconoscendo la forma dell'armatura. Possibile che l'antico maestro di Jorkell fosse giunto in loro aiuto? Lo riteneva improbabile. Poi l'uomo si avvicinò, levitando a mezz'aria, e Laurion si accorse che era solo un ragazzo.

Sotto l'elmo scendeva una folta capigliatura nera lunga fino a metà schiena. Aveva la pelle olivastra, gli occhi chiusi ed un naso piccolo e longilineo. Il ragazzo lasciò la posa meditativa e si avvicinò ancora di più al campo di battaglia. Le colonne corinzie, i prati e le farfalle svanirono ed il paesaggio riacquistò il suo aspetto originario.

"Un altro Cavaliere è venuto a morire!", ironizzò Nanniya, avanzando di un passo verso il nuovo arrivato. Zambiya lo guardò con malcelata irrequietezza e storse la bocca in una smorfia di disprezzo. Il Cavaliere rimase impassibile; il suo cosmo ardeva calmo e fiero.

Si voltò in direzione di Laurion e disse: "Porta via il tuo compagno e lascia a me la battaglia!"

Laurion ebbe un moto di rabbia e lo guardò bieco: "Non lo farò! Sono un Cavaliere anch'io e non me ne starò in disparte! Non voglio che altri combattano al posto mio e rischino la vita, come ha fatto Midra!"

Il custode della sesta casa non si scompose, ma assunse un tono severo ed autoritario: "Non ho chiesto la tua opinione! Sei un Cavaliere di Bronzo e, in quanto tale, sei tenuto ad obbedire agli ordini dei superiori senza fiatare, pena l'accusa di alto tradimento! Te lo ripeterò soltanto un'altra volta: vattene o sarai il primo a cadere!"

La voce calma e gelida del Cavaliere turbò profondamente Laurion. La legge del Grande Tempio gli imponeva di farsi da parte e di lasciare il campo ad un Cavaliere d'Oro, qualora quest'ultimo decidesse di scendere personalmente in battaglia. Stringendo i denti e trattenendo l'ira, prese il corpo di Midra tra le braccia e si allontanò in direzione del villaggio. Mentre passava accanto al dorato custode lo guardò e gli chiese: "Qual è il tuo nome, Cavaliere?" Senza voltarsi e riprendendo la posa meditativa, il giovane rispose: "Syrma di Virgo è il mio nome celeste, custode della sesta casa del Grande Tempio e fedele servitore di Atena!"

Il campo di battaglia era pronto. Syrma, con tono sprezzante, si rivolse ai demoni gemelli: "Mostratemi il vostro valore, se ne avete! Pagherete per i vostri innumerevoli crimini!"

Zambiya e Nanniya, stanchi di chiacchiere e decisi a concludere lo scontro, scagliarono i loro colpi segreti contemporaneamente. Le due sfere di energia raggiunsero in pochi attimi l'obiettivo e d'un tratto scomparvero. Zambiya vide le pinne nascoste all'interno della sua sfera disintegrarsi a contatto con l'aura cosmica del nemico ed aggrottò la fronte preoccupato. Nanniya rimase incredulo nel constatare che era stato il suo globo di energia ad essere assorbito ed una smorfia di disappunto gli si disegnò sul volto.

"Tutta qui la vostra forza?", commentò il Cavaliere di Virgo con voce calma e piatta. I gemelli del fulmine si avvidero che era protetto da una barriera cremisi, che aveva impedito alle loro tecniche di annientarlo. Syrma fece ardere il suo cosmo più intensamente e disse: "Dopo la difesa giunge l'attacco! Questo di Virgo è il cosmo: Khan!"

L'aura dorata attorno a lui si levò maestosa, le sfere dei due demoni riapparvero e si scagliarono contro di loro. Con un boato tremendo, i sudditi del signore d'Irkalla vennero scaraventati violentemente contro alcune palme, abbattendole. Si rialzarono con le armature crepate in alcuni punti e l'orgoglio ferito. Nanniya, col volto alterato dall'ira e dallo smacco subito, lo guardò con odio e disse: "Come ha fatto quella tua barriera ad assorbire ed a respingere i nostri attacchi? Nessuno mai era riuscito ad evitare di essere colpito!"

Senza mostrare la minima emozione e continuando a tenere gli occhi chiusi, rispose con una tranquillità che irritò il demone ancor di più: "La barriera che protegge il mio corpo è formata dalle fiamme di Garuda, la cavalcatura di Vishnu. Esse sono in grado di respingere attacchi ben più potenti dei vostri! Voi due siete soltanto demoni d'infimo livello, ben lungi dall'impensierire il custode della porta eterna!"

"Sei solo un moccioso arrogante, come tutti gli esseri umani! Anche se noi cadiamo qui, altri verranno a reclamare vendetta e ad annientare le schiere di Atena. Nessuno può opporsi ai decreti del fato, neppure la dea della giustizia! Presto il sole si oscurerà e le tenebre dell'oblio avvolgeranno l'universo!", lo rimbrottò Zambiya, che nel frattempo si era avvicinato al fratello.

Per la prima volta, Syrma accennò un sorriso e chinò leggermente il capo. Poi, con la sua solita placida compostezza, rispose: "Molti hanno tentato di assoggettare l'universo, fin dai tempi del mito. Eppure, ancora oggi, la speranza di un mondo scevro da guerre e dispute, lontano dalle mire degli dei malvagi continua a divampare nei nostri cuori. Il male, il terrore, l'ingiustizia non potranno mai prevalere su un ideale di pace così alto!"

Con una smorfia di disprezzo, Nanniya fece bruciare il suo cosmo argenteo e ricreò la sfera dello Ĝishra Ituduk, infondendovi ancora più energia. Il colpo raggiunse il bersaglio, ma come prima scomparve. Il demone, sopraffatto dall'ira, si gettò contro il Cavaliere, ma venne investito da un bagliore di luce che lo scaraventò a terra, spaccandogli parte del bracciale destro. Era stato di nuovo atterrato dalla sua stessa tecnica.

"Sembra che le nostre tecniche segrete non sortiscano effetti su di te. Vuol dire che per abbatterti uniremo le forze e sferreremo il colpo massimo che i nostri cosmi possono generare", esclamò Zambiya, senza, però, scorgere alcun segno di curiosità o di esitazione sul volto del nemico.

Nanniya si rialzò e si avvicinò al fratello. Le code dei loro elmi si mossero e si unirono. Scariche elettriche percorsero le armature dei demoni. Nanniya alzò al cielo il braccio destro; Zambiya alzò il sinistro. I bracciali si avvolsero di fulmini e un'immensa sfera di energia si formò sulle loro teste. Aveva tinte dorate e argentee ed emanava un intenso bagliore. "Ĝishra Darik Mulmulak [Colpo degli Astri Eterni]!", gridarono all'unisono i demoni gemelli. La sfera sfrecciò verso Syrma, immobile e imperturbabile.

L'immensa energia si abbatté sulla barriera eretta dal custode della sesta casa, esplodendo ed aprendo un profondo cratere sul luogo dell'impatto. I due demoni sorrisero, certi di aver eliminato il loro avversario, ma dalla polvere emerse una figura, del tutto incolume, le mani giunte davanti al petto. Increduli di fronte a quella scena, i gemelli del fulmine si prepararono ad un nuovo assalto.

"Tutte le vostre tattiche sono inutili contro di me. Ve l'ho detto: siete solo demoni d'infimo livello! Il vostro cosmo non è altro che una fuggevole brezza per me e ve lo dimostrerò. Questo di Virgo è il colpo: Daimónōn Hypóbasis [Abbandono dell'Oriente]!", disse, disgiungendo le mani e rilasciando un'immensa onda di energia cosmica. Sul campo di battaglia apparve una fanciulla in decomposizione a cavallo, attorniata da ossa e teschi. Nella luce del colpo segreto di Syrma i demoni furono letteralmente disintegrati e di loro non rimase più nulla. L'odore di morte che fino a poco prima aveva permeato quei luoghi si dissolse.

Voltatosi verso Laurion, Syrma gli rivolse la parola: "Quando sono arrivato ho percepito la flebile traccia di un altro cosmo. Vado a controllare, tu aspettami qui. Sarò presto di ritorno". Il Cavaliere annuì e il custode della porta eterna svanì nella luce del teletrasporto.

Sorush aspettava il ritorno delle Torpedini del Massacro ed aveva avvertito i loro cosmi prepararsi alla battaglia. Trepidava. Sperava che i suoi demoni tornassero vittoriosi ed eliminassero gli invadenti Cavalieri che osavano ostacolare il disegno del fato.

"Sei un uomo difficile da trovare, Sacerdote!", esordì d'improvviso una voce profonda e sicura, distogliendolo dai suoi pensieri.

"Chi sei? Come hai fatto a trovarmi?", esclamò voltandosi Sorush, sorpreso che qualcuno fosse riuscito a trovarlo e temendo di avere di fronte un nemico venuto a prendersi la sua vita.

"Ho seguito le stragi compiute dai tuoi demoni ed ho compreso che dovevi essere da queste parti. Sta' di buon cuore; non voglio farti del male, mi chiamo Kharax", rispose l'uomo, con un sorriso complice sul volto.

Sorush lo fissò per un attimo: aveva circa quarant'anni, capelli ricci di un biondo spento lunghi fino alla nuca, occhi verde scuro ed un naso schiacciato e leggermente deviato verso destra, forse frutto di un pugno ricevuto in pieno volto. Una vistosa cicatrice sotto l'occhio sinistro serpeggiava fino alla guancia.

"Cosa vuoi da me?", gli disse con tono diffidente ed una punta di timore. "Aiutarti!", rispose con disarmante semplicità colui che aveva detto di chiamarsi Kharax.

La risposta ricevuta spiazzò Sorush, che, però, continuava a non fidarsi della parola di un uomo apparso dal nulla. Inoltre, il suo aspetto, indicava che fosse un individuo avvezzo alla battaglia e che celasse qualche segreto.

"In cosa potresti essermi utile?", ribatté con aria seccata e con sguardo scettico. Kharax rise e con estrema naturalezza replicò: "Conosco i nemici che stai combattendo: i Cavalieri di Atena. I miei consigli potrebbero risultare decisivi per la tua causa!"

Il Sacerdote di Nergal ponderò per un attimo l'offerta dello sconosciuto, poi, per testarne l'attendibilità, chiese: "Di quanti Cavalieri dispone il Sacerdote Alexer?"

"Non molti, a dire il vero. Circa otto mesi fa sono stati investiti nove Cavalieri ed altri sono prossimi a ricevere un'armatura. Al momento sono stati nominati quattro Cavalieri d'Oro ed altri quattro stanno per ottenere l'investitura", rispose l'uomo.

"Sono davvero così temibili come si racconta?", domandò ancora Sorush, desideroso di conoscere meglio il proprio nemico.

"Sì!", fu la risposta secca di Kharax. "Sono stati quasi tutti allenati dal Grande Sacerdote, che ha fama di guerriero abile e potente. Si racconta che abbia sconfitto praticamente da solo Ade, il dio greco dell'Oltretomba, e ne abbia messo in fuga l'anima".

Quest'ultima informazione fece trasalire Sorush. "Ma il suo allievo diretto, Calx, destinato ad ereditare l'armatura di Gemini, sembra essergli addirittura superiore", continuò Kharax, notando l'inquietudine nei gesti del suddito di Nergal.

"Il tuo aiuto gioverà grandemente alla mia causa, Kharax", concluse Sorush, convinto di poter sfruttare le informazioni fornitegli da quell'uomo per realizzare i propri fini e di poterlo eliminare qualora diventasse scomodo.

"Anche tu sembri un uomo molto abile, Sacerdote. In tutti questi anni nessuno è riuscito a rintracciare il tuo cosmo. Come fai a celarlo?", chiese Kharax con tono schietto e spontaneo.

"Non mi è possibile risvegliare il cosmo. Ai tempi del mito, il dio che servo, scelse sette uomini come suoi Sacerdoti e li rese partecipi del suo piano di dominio. Tuttavia, conoscendo l'ambizione e la volubilità del cuore umano, sigillò il loro cosmo, affinché non giungessero mai a sfidarlo. Il sigillo è stato tramandato anche ai loro discendenti ed a me, che sono l'ultimo di essi!", spiegò Sorush, ricordando la storia che gli aveva raccontato il padre molti anni prima.

"Posso solo percepire il cosmo, grazie al ciondolo che porto al collo", continuò dopo una breve pausa. Kharax aveva notato quella strana collana: era un triangolo privo di base su cui erano incastonate sette pietre dai colori vivaci che brillavano ai raggi del sole che pendeva da una catenella d'oro.

"Capisco. Ecco perché, pur con tutta la sua abilità, Alexer non ti hai mai trovato. Sono stato fortunato, quindi, a scoprire dov'eri. Sembra che il fato arrida ad un nuovo ordine cosmico!", commentò l'uomo, concedendosi un sorriso soddisfatto.

D'improvviso, avvertirono il cosmo di un Cavaliere innalzarsi e spegnersi poco dopo. Sotto il cappuccio, il volto di Sorush s'illuminò ed il suo cuore esultò all'idea che la vittoria dei demoni gemelli fosse prossima.

"La vita di un Cavaliere si è spenta", esclamò con gaudio. Kharax lo riportò alla realtà, avvertendo un cosmo imponente e vitale: "Non cantare vittoria troppo presto. Un altro Cavaliere è sceso in campo. E' il discepolo di Kanaad, altro eroe dell'ultima guerra sacra, e fiero custode delle vestigia di Virgo. E' uno dei Cavalieri d'oro più temibili, sarà difficile batterlo".

"Avverto la sua aura cosmica. Ha una forza inaudita, superiore a quella delle Torpedini del Massacro. Se riuscisse a batterli, ci troverebbe!", proruppe Sorush, la cui voce palesava inquietudine e timore.

Queste ultime parole impensierirono Kharax. I Cavalieri di Virgo avevano da sempre una spiccata abilità nel rintracciare i cosmi e forse il suo era già stato individuato. Mentre rifletteva, un cosmo immenso sovrastò quello dei demoni gemelli, che svanirono completamente.

"Sarà meglio continuare la nostra discussione da un'altra parte", disse il Sacerdote di Nergal, tirando fuori da una tasca della lunga tunica viola che indossava un prisma multicolore. Lo avvicinò alla collana che aveva al collo, afferrò Kharax per un braccio e in un lampo di luce i due scomparvero.

Syrma si materializzò sulla riva del Tigri, si guardò intorno, ma non c'era nessuno. Tese i sensi per trovare una traccia di cosmo, ma non ne trovò. Abbassò lo sguardo verso il fiume, un olezzo pungente e nauseabondo proveniva dalle acque. "Cos'è successo qui?", si chiese, turbato dal misterioso cosmo che lo aveva attirato fin lì.

Tornò da Laurion, ancora accanto al cadavere di Midra. Lo osservò ed avvertì il profondo dolore che affliggeva il suo cuore. Si avvicinò e con voce cortese e garbata disse:

"Mi dispiace. Se solo fossi arrivato prima, il tuo compagno non sarebbe morto. Ma sono stato trattenuto a Baghdad; sembra che quei due demoni abbiano cancellato decine di villaggi oltre a questo ed anche un drappello di soldati non si è presentato in caserma. Toghrul Beg, l'usurpatore turco che governa al posto del debole califfo al-Qaim, mi ha interrogato a lungo, chiedendomi spiegazioni in merito. Perdonami per il mio ritardo".

Laurion scosse il capo e rispose: "Non devi scusarti. Midra è morto cercando di compiere il proprio dovere, come ogni Cavaliere. Hai trovato quello che cercavi?"

Syrma fece cenno di no. Poi, avvicinatosi ai compagni, bruciò il proprio cosmo e teletrasportò tutti ai piedi del Grande Tempio.

Si presentarono al Sommo Alexer. Syrma s'inchinò, mettendosi al servizio del ministro di Atena. I Cavalieri superstiti fecero rapporto, raccontando nei dettagli ciò che era accaduto ed anche dell'infelice morte di Midra. Nuovo dolore velò il cuore del Sacerdote e di Kanaad, la cui fierezza per la forza del suo discepolo era stata smussata dalla triste notizia.

Dopo i funerali, Alexer convocò Calx nella sala del trono. Giunto, il ragazzo s'inchinò di fronte a lui e gli chiese il motivo della chiamata. Il Sacerdote si alzò e, con tono solenne, rispose: "Il tuo addestramento è ormai ultimato. Hai raggiunto gli obiettivi che ti erano stati imposti in maniera eccellente. Tuttavia, prima di ottenere l'investitura, dovrai imparare una tecnica di difficile esecuzione da me creata. Io l'ho usata soltanto una volta e mi è quasi costata la vita. Ma il tuo cosmo è potente e sono sicuro che riuscirai a controllarla".

Il ragazzo annuì, orgoglioso della fiducia accordatagli dal suo maestro e promise che si sarebbe impegnato al massimo per farla sua.