La Magnifica Preda

LA MAGNIFICA PREDA

Storia di Valentina Cattani,

liberamente ispirate alla serie "Saint Seiya".

"SAINT SEIYA"

® & © 1988 Masami Kurumada/ Shueisha - Toei Animation.

Tutti i diritti riservati.

 

 

 

AVVERTENZA

 

Per i nomi di persona o di luogo in lingua giapponese, trascritti secondo il sistema Hepburn, le vocali si pronunciano come in italiano e le consonanti come in inglese. In proposito si noti che:

ch è un’affricata come la c dell’italiano "cesto" (p.e. "Chica-chan" va letto "Cicacian")

g è velare come nell’italiano "gatto" (p.e. "Akagi" va letto "Acaghi")

h è sempre aspirata

j è un’affricata come la g di "gioco"

sh è una fricativa come sc nell’italiano "scelta" (p.e. "sashimi" va letto "sascimi")

y va letto come la i italiana

Per quanto riguarda la pronuncia dei nomi nordici, per semplicità non si è fatta distinzione fra vocali brevi e lunghe. Þ e ð rappresentano rispettivamente le spiranti dentali sorda e sonora (cfr. dall’inglese thin e then); y ha valore di ü del tedesco; æ e œ hanno pronuncia di e aperto, ö corrisponde ad un o aperto, mentre ø ha valore di ö tedesco.

Le parole in lingua russa inserite nel testo sono state trascritte dai caratteri dell’alfabeto russo, definiti cirillici. Nelle note a piè di pagina è indicato il significato e la pronuncia. L’uso delle maiuscole e delle minuscole è simile nel russo e nell’italiano.

 

 

 

"… in un’epoca in cui crollano potenti Stati, in cui si spezzano i vecchi rapporti di dominio, in cui comincia a perire un intero mondo sociale, in un’epoca del genere i modi di sentire dell’individuo si modificano rapidamente. La sferzante brama di varietà nei piaceri acquisisce finalmente una forza irrefrenabile".

LENIN

(da una conversazione con Clara Zetkin)

 

 

 

 

CAPITOLO I

Pene d’amor perdute

 

C

on un mormorio, il medico si allontanò dal lettino e tornò a sedersi dietro la sua scrivania. Sempre borbottando, aprì una cartella piena di referti e si concentrò su quelle carte, massaggiandosi la fronte.‹‹Scusi se mi permetto, ma la sua espressione non mi è di gran conforto››.

‹‹Non abbia timore, stavo solo riflettendo. Lei gode di ottima salute, Balakirev-san. Le analisi sono buone, niente da dire. Tuttavia, e odio ripetermi, le ricordo che il suo problema persiste e che, andando avanti di questo passo, non riusciremo a migliorare la sua situazione. Si vesta pure, prego›› disse il medico, alzandosi e appendendo alcune lastre alla lavagna luminosa.

‹‹Quella è la mia schiena…Bella, vero?››.

La dottoressa Akagi sorrise debolmente. ‹‹Sì, quella che vede è la sua colonna vertebrale ma non la definirei bella. Si sieda pure là››. Indicò la sedia davanti alla sua scrivania, e si rimise seduta, intrecciando le mani sulla cartella. ‹‹Il problema persiste, Balakirev-san›› ripeté fissando il suo paziente.

‹‹Sono mesi che mi ripete sempre le stesse cose››.

‹‹Se crede, allora le dirò qualcosa di nuovo. La situazione è peggiorata, a causa delle ulteriori sollecitazioni cui si è sottoposto››.

‹‹Come ben sa, dottoressa Akagi, potendo, ne avrei fatto a meno››.

‹‹Quello che so è quello che vedo, e vedo una compressione del nervo sciatico, la causa dei suoi dolori persistenti alla schiena e alla gamba, e del suo pessimo umore. Ulteriori pressioni o sforzi, in queste condizioni, possono portare ad uno stiramento, o peggio ad una lacerazione››. La dottoressa si appoggiò allo schienale della sua poltrona, sistemandosi gli occhiali sul naso. ‹‹Le avevo prescritto una cura, e le avevo anche suggerito di riguardarsi da ogni sforzo, ma non mi ha ascoltato. Come pensa di guarire se non si applica?››.

‹‹Posso sperare in un miracolo…?››.

‹‹Balakirev-san, per cortesia, sia serio e non mi faccia sprecare fiato. Pretendo un po’ di rispetto per il mio lavoro e lei è abbastanza grande da rendersi conto da solo della sua situazione››.

‹‹Izviníte , (1) dottoressa Akagi, cercavo di sdrammatizzare››.

‹‹Signor Balakirev, mi ascolti con attenzione perché non mi ripeterò più. Quest’infiammazione, se curata per tempo, potrebbe risolversi abbastanza facilmente. Sto solo cercando di metterla in guardia prima che la situazione precipiti››.

‹‹Prevenire è meglio che curare…Allora cosa devo fare?››.

‹‹Ah, bene! Noto un’inflessione nel tono della sua voce più convinta, e questo è un buon inizio›› sorrise la dottoressa Akagi. Afferrò la sua Mont Blanc e cominciò a scrivere una ricetta lunghissima. ‹‹Ecco qua. Poche medicine, e moltissimo riposo››.

‹‹Iísuse Christé , (2) ha scritto un papiro!››.

‹‹Non si lamenti, come fanno i suoi fratelli! È possibile che non vi vada mai bene niente? Siete proprio tutti uguali!›› lo rimproverò lei alzandosi dalla sedia. Tolse le lastre e le risistemò nella cartella. ‹‹Mi farete venire un esaurimento››.

‹‹Questo è il suo lavoro, no? ››.

La dottoressa Akagi si offrì d’accompagnarlo nell’anticamera.

‹‹C’è ancora qualcuno che aspetta?›› chiese.

‹‹Naturalmente, il suo preferito!››.

‹‹Uesugi?›› esclamò la dottoressa allarmata.

‹‹Seiya mi ha detto che voleva chiederle qualcosa. Stavolta forse è importante…››.

‹‹Ne dubito fortemente››.

‹‹Abbia pazienza con lui, dottoressa, in fondo è buono››.

‹‹Molto in fondo, Balakirev-san! Suo fratello ama farmi perdere tempo, e viene qui anche quando non sta male!››.

La dottoressa Akagi aprì la porta dell’anticamera e lanciò una lunga occhiata. Seiya era seduto su una delle poltrone e sfogliava una rivista. Quando la vide, alzò la testa lanciando il giornale sul tavolo.

‹‹Ah, dottoressa, finalmente! L’ha fatto nuovo!››.

‹‹I pazienti che necessitano di cure reali devono essere visitati accuratamente›› sbuffò la dottoressa.

‹‹Akagi-san! Hyoga non sta male, finge! Io invece soffro da morire…››.

‹‹Do svidánija, (3) dottoressa Akagi›› salutò Hyoga. Uscì nell’anticamera sorridendo e s’infilò la giacca.

‹‹Non morirai se aspetti fino a domani, Uesugi. Ora sono in pausa pranzo!››.

‹‹Ma sono solo le undici!›› obiettò Seiya.

‹‹Pranzo con Lady Saori, Uesugi, e non voglio farla aspettare! Lei si spazientisce se la fanno attendere››.

La dottoressa li salutò e chiuse la porta alle sue spalle, dando un giro di chiave per essere sicura di non essere seguita. Seiya si appiccicò al vetro e la chiamò un paio di volte ma si dovette accontentare di un altro saluto più sbrigativo.

‹‹Dasvidania…›› ripeté facendo il verso a Hyoga. ‹‹Ma pensa te cosa mi tocca sopportare!››.

Uscì dallo studio della dottoressa Akagi, situato in una bella palazzina, e si avviò alla metropolitana senza aspettare Hyoga.

Dopo gli ultimi scontri vittoriosi, approfittando della prolungata e attesa tranquillità, Lady Saori Kido e i suoi Sacri Guerrieri avevano lasciato il Santuario di Grecia per tornare a Tokyo, e si erano rituffati nella solita quotidianità, la vita di tutti i giorni per la quale nessuno di loro, eccezione fatta per Saori e forse Shun, sembrava portato. Eppure, nonostante l’allettante prospettiva di trascorrere un lungo e corroborante periodo di riposo, nonostante fossero stati tutti dimessi dalla clinica privata della Fondazione Grado, e godessero di ottima salute, aleggiava a Villa Kido una strana inquietudine che trasformava ogni più piccolo diverbio in un’accesa discussione.

Tokumaru Tatsumi, maggiordomo a Villa Kido da oltre vent’anni, già al servizio del vecchio Kido, attribuiva la colpa dell’ingiustificata tensione ai Sacri Guerrieri, adducendo come scusa la loro naturale incapacità di socializzare e di confrontarsi con la realtà di tutti i giorni.

‹‹Naturalmente, ma sono da capire, per via di tutte quelle disgrazie che hanno dovuto affrontare!›› li giustificavano i domestici.

‹‹Certo, se fosse capitato a me, non sarei ancora al mondo per parlarne››.

‹‹Risparmiate il fiato per sbrigare le vostre faccende! Restate indietro col lavoro con tutte queste inutili chiacchiere!››.

Tatsumi non aveva mai potuto sopportare l’arroganza con cui si erano sempre ribellati ai suoi comandi, ma si rendeva conto che crescere da soli, senza l’appoggio di una famiglia, doveva essere stato un grosso ostacolo da superare, al quale bisognava effettivamente aggiungere gli sforzi sovrumani compiuti da quei ragazzi per essere all’altezza del loro compito di guerrieri.

Sì, anche Tatsumi si rendeva conto dell’atmosfera di perpetua tensione che albergava tra le pareti della Villa, ma i suoi sforzi erano tutti concentrati affinché Lady Saori ne risentisse il meno possibile.

Non appena dimessi dall’ospedale, Ikki e Shiryu avevano lasciato Tokyo.

Ikki, non diversamente dal solito, aveva preparato la sua sacca ed era partito senza nemmeno avvertire Lady Saori, noncurante dei problemi altrui, bisognoso più che mai della sua vita solitaria e disagiata.

Shiryu, invece, aveva chiesto di potersi allontanare per un breve periodo, assicurandosi del fatto che la sua assenza non avrebbe causato inconvenienti ma sottolineando l’importanza del suo ritorno a Goro-Ho, in Cina, il più presto possibile. La sua decisione improvvisa aveva turbato Seiya, che era molto affezionato a suo fratello e che soffriva ogni volta che si dovevano separare per un periodo troppo lungo. Il Sacro Guerriero di Dragon era parso provato e stanco più degli altri e tutti, a Villa Kido, concordarono che desiderava semplicemente rigenerare corpo e spirito sotto la cascata che l’aveva reso un guerriero.

Dunque, nei mesi che seguirono l’ultima grande battaglia, restarono a fianco di Lady Saori, ora nei panni di donna affannata, stressata e indaffarata come ogni manager che si rispetti, soltanto tre Sacri Guerrieri.

Il piccolo Shun, Sacro Guerriero d’Andromeda, passava le sue giornate passeggiando per il lussureggiante parco della Villa, respirando a pieni polmoni la tranquillità delle lunghe giornate che poteva trascorrere meditando e cercando l’ispirazione. Quando si sentiva pronto, andava a chiudersi nella sua stanza e si buttava a capofitto nella creazione di un nuovo quadro, immortalando con grande abilità qualunque soggetto stimolasse la sua fervida vena creativa. Era l’unico tra i cinque fratelli che sembrava rinato dopo il ritorno a Tokyo. Si era ristabilito perfettamente nel corpo, a parte qualche problema al gomito sinistro, e anzi il suo viso appariva sempre più radioso e rilassato, già abituato a godere del meritato riposo.

Anche Seiya era rimasto a Tokyo ma aveva preferito trasferirsi nel piccolo appartamento che aveva affittato tanti anni prima, e che in seguito Lady Saori aveva deciso di comprare. Faceva capolino alla Villa per usufruire delle palestre, fatte costruire espressamente per i loro allenamenti, e per elemosinare qualche pranzo quando non riusciva a sbarcare il lunario con l’assegno che Saori staccava ogni mese per ognuno di loro. Seiya trascorreva le sue giornate oziando, attaccato alla televisione o ai videogiochi, andando a spasso con la sua amata moto.

Da ultimo, era rimasto alla Villa Hyoga, il più enigmatico e indecifrabile fra i Sacri Guerrieri.

Mai eccessivamente espansivo, sempre riservato, sembrava che gli eventi gli scivolassero addosso senza toccarlo nel profondo, forse perché le lacrime che gli appesantivano il cuore l’avevano abituato a nascondere le sue emozioni dietro ad una maschera d’indifferenza. Per questo era sempre calmo, il viso immobile e imperturbabile, talvolta con un sorriso un po’ distante, affascinante ma incredibilmente triste.

Lui e Shiryu erano stati gli unici, una volta terminati gli studi superiori, a desiderare di conseguire una laurea. Si erano dunque iscritti all’università, Hyoga a Lingue, Shiryu a Filosofia, ma la loro carriera universitaria aveva subito notevoli rallentamenti, per via dei loro inusuali impegni.

Con il ripristino della normalità Hyoga finì gli esami in breve tempo, e finalmente si laureò con il massimo dei voti. In molti avevano notato il suo incredibile talento, difatti ricevette immediatamente qualche piccolo lavoro come "negro". Dato che non era per lui troppo faticoso tradurre i manoscritti che gli consegnavano, aveva trovato un secondo lavoro come istruttore in una Scuola di Nuoto, ruolo che gli si addiceva perfettamente, essendo un eccellente nuotatore e un maestro paziente e capace.

Hyoga trascorreva la maggior parte delle sue giornate alla Scuola, ritagliando qualche ora per lavorare alle sue traduzioni di sera, e nel poco tempo che gli restava a disposizione, preferiva leggere o allenarsi nelle palestre piuttosto che unirsi a Seiya e Shun.

Era migliorato molto, nel corso degli anni, si era adattato a vivere con altre persone, abbandonando la solitudine cui si era abituato nelle lande desolate della Siberia, e sforzandosi, per quanto gli era stato possibile, di socializzare con gli altri membri dell’eterogenea famiglia che vivevano alla Villa, e con coloro che gravitavano attorno a Lady Saori, donna e dea.

Hyoga era il più grande dei cinque fratelli, nato dalla donna che Mitsumasa Kido aveva sposato, Natassia Balakirev, incontrata a San Pietroburgo in uno dei suoi lunghi e frequenti viaggi. Gli altri figli erano nati da relazioni extraconiugali, dopo che Kido aveva abbandonato Natassia e il piccolo Mikhail, appena nato, per gettarsi anima e corpo nella creazione della Fondazione Grado, un impero che lo avrebbe reso ricco e famoso oltre ogni immaginazione. Hyoga aveva odiato suo padre, ma aveva scoperto la sua identità troppo tardi per reclamare le sue scuse per aver fatto soffrire Natassia, quando ormai il vecchio Kido era morto.

Quella ormai era storia passata, Hyoga non pensava più al vecchio Kido, mentre continuava a conservare vivo nella sua mente il ricordo della madre, pregando per lei e per la sua anima ogni giorno.

Sembrava insomma, in quell’estate afosa che trascorsero a Tokyo, che, indipendentemente dallo strano comportamento dei lunatici guerrieri, ogni cosa avesse trovato la giusta collocazione.

Eppure l’anello mancante nell’equilibrio di Hyoga lo scombussolava al punto che non riusciva a gioire neppure ora che non doveva più combattere, ora che aveva trovato un lavoro stabile e munifico.

Shun si accorgeva dello sguardo perennemente assente del fratello ma non trovava l’occasione per introdurre l’argomento senza sembrare invadente o inopportuno. D’altra parte, Hyoga sapeva bene come nascondere le sue emozioni ed era un maestro nel rivelare tanti piccoli particolari che apparentemente saziavano la curiosità degli ascoltatori, evitando con cura di focalizzare sulla vera causa dei suoi tormenti.

Quel giorno, una soleggiata domenica di settembre, si erano incontrati nelle palestre e Shun aveva accettato di allenarsi con Hyoga, in quel periodo desideroso di fatica fisica, nella speranza di poter parlare un po’ con lui.

‹‹Sei in ottima forma, Hyoga›› disse Shun cercando di mantenere l’equilibrio sotto i colpi del fratello. ‹‹Nuotare tutti i giorni ti ha rinforzato››.

A testa bassa, con le mani fasciate, Hyoga colpiva alternativamente col destro e col sinistro le due tavolette rivestite di gomme che Shun teneva in mano, incrociando i colpi.

‹‹Sì, mi sento più forte›› ansimò Hyoga rallentando appena le sequenze di pugni e riprendendo subito a colpire velocemente.

Restarono in silenzio, a bordo del basso tappeto che usavano per gli allenamenti corpo a corpo, fino a quando Hyoga, sudato e ansante, decise di fare una pausa e smise di malmenare le due tavolette.

‹‹Cos’hai che non va?›› gli chiese allora Shun.

Hyoga si asciugò il sudore dalla fronte con un braccio, e scosse la testa.

‹‹Niente, va tutto benissimo›› sorrise come risposta. ‹‹Alla Scuola stiamo facendo un buon lavoro. I bambini si divertono e gli iscritti sono aumentati negli ultimi due mesi. La direttrice, Eriko, pensa che se continueremo di questo passo dovremo assumere altro personale, e persino aumentare il numero dei corsi››.

Hyoga andò a prendersi una bibita ghiacciata e quando tornò nel grande ambiente della palestra, trovò Shun fermo nella stessa posizione, riflessivo.

‹‹Sono contento che tu ti senta realizzato alla Scuola di Nuoto. Eppure c’è qualcosa che ti turba, te lo leggo in faccia chiaramente›› disse Shun. Andò a posare le tavolette e cominciò a fasciarsi la mani. ‹‹Ti conosco troppo bene per non accorgermi, al primo sguardo, che c’è qualcosa che ti preoccupa. Riesco a vedere i tuoi cambi d’umore anche quando sono impercettibili, figuriamoci se non mi rendo conto del tuo stato quando a notarlo sono anche Seiya e Tatsumi!››.

‹‹Davvero?››.

‹‹Aha!›› annuì Shun, aprendo e chiudendo le mani per controllare le fasciature, e camminando verso il centro della pedana.

‹‹E tu dì che soffro il caldo…››.

‹‹Sarà anche vero, ma ormai non ci credono più. Dicono che sei strano, e che anche se lo sei sempre stato, stavolta è più evidente che mai!››.

‹‹…››. Hyoga si grattò la testa e sbuffò. ‹‹Nessuno è più libero nemmeno di sentirsi triste. Odio essere controllato!››.

‹‹La libertà è un’illusione, Hyoga! …e poi nessuno ti controlla…viviamo sotto lo stesso tetto…è normale…che gli altri s’accorgano dei tuoi cambiamenti d’umore››. Shun cominciava a scaldarsi, eseguendo una serie di mosse per sciogliersi braccia e gambe. ‹‹Abbiamo sempre parlato…io e te…cos’è che c’impedisce di farlo stavolta?…››.

Hyoga salì sulla pedana, sospirando, con la fronte già corrugata. ‹‹È una questione delicata…››.

‹‹Non si rompe mica…se ne parli…›› rise Shun.

‹‹È molto personale…››.

Con un salto e una capriola, Shun atterrò di fronte a Hyoga e battendo i pugni si mise in posizione. ‹‹Spara…sono pronto››. Hyoga mosse un passo avanti allungando un pugno e appoggiandolo leggermente alla mano aperta di Shun.

‹‹Si tratta di Freija…›› mormorò con un filo di voce.

‹‹Ferma tutto, non sono pronto››. Shun riprese la stazione eretta e incrociò le braccia sul petto. ‹‹Freija la principessa, la sorella di Hilda…››. Hyoga annuì, sottolineando che non conosceva poi molte donne con quel nome.

‹‹Per la miseria, ancora!›› si lamentò Shun. ‹‹Dopo tutto questo tempo pensavo che l’avessi dimenticata…››. In risposta Hyoga scosse la testa sconsolato.

‹‹Ehi, guarda un po’!››. Seiya entrò baldanzoso nella palestra, in maglietta e calzoncini, pronto anche lui per un po’ d’esercizio fisico. ‹‹Vi state allenando e non mi avvertite? Voglio partecipare anch’io…››.

‹‹È inutile combattere in tre…›› cominciò Hyoga stizzito. ‹‹Io tolgo il disturbo››.

‹‹No, resta›› s’affrettò a dire Shun, a bassa voce. ‹‹Non avevo alcuna intenzione di stancarmi, ti ho seguito solo perché volevo parlarti. Lascio volentieri il mio posto a Seiya, sfogati con lui. Parleremo più tardi, se vuoi››.

Shun fece cenno a Seiya di salire sulla pedana, e si mise a sedere su una panca. Mentre si toglieva le fasciature dalle mani, osservò con attenzione i suoi fratelli. Seiya era appena salito sulla pedana, con le mani già fasciate. Notando gli sguardi severi che si scambiavano, si pentì d’aver fornito una nuova occasione di lotta.

Lady Saori aveva espressamente proibito ai suoi Sacri Guerrieri di allenarsi utilizzando i loro colpi segreti, per evitare pericolosi incidenti, e questa sua decisione era dovuta anche al fatto che, una volta, proprio durante un amichevole scaramuccia tra Seiya e Hyoga, i due avevano perso il controllo, dopo una serie infinita d’insulti, ignorando la potenza dei loro attacchi, avevano quasi demolito la palestra rischiando di ferirsi gravemente.

Seiya era sempre stato molto forte, avvantaggiato dalla sua grande determinazione a vincere, abile nell’uso dei pugni e con un buon gioco di gambe, ma Hyoga, nonostante superasse il fratello in altezza, era veloce e sapeva andare a segno, colpendo indifferentemente con la braccia o le gambe.

‹‹State tranquilli, ›› suggerì Shun sistemandosi sulla panca, ‹‹è solo un allenamento››.

Seiya e Hyoga si studiarono per un lungo momento, poi cominciarono a muoversi, parando l’uno gli assalti dell’altro, portati con troppa lentezza perché potessero essere di qualche efficacia. Pian piano Seiya cominciò ad accelerare l’esecuzione delle mosse, tentando di variare la direzione improvvisamente per cogliere di sorpresa Hyoga. Adeguandosi al ritmo dell’avversario, Hyoga si mosse anche lui più velocemente, continuando a schivare e parare, senza perdere per un attimo la concentrazione. L’incontro sarebbe stato monotono se avessero continuato di quel passo, ma improvvisamente Seiya cominciò a stuzzicare Hyoga, con quel suo umorismo pungente e sardonico che riusciva a smuovere persino l’imperturbabile pacatezza del russo, suscitando nel biondo siberiano una reazione di stizza.

‹‹Stai sudando, Hyoga›› rise Seiya. ‹‹Non mi dire che fai fatica a difenderti anche se ti colpisco così piano! Faresti meglio a tornare tra i pinguini, lì staresti al fresco!››.

‹‹Sta zitto, Seiya!›› gridò Shun dalla panchina.

‹‹Perché? Volevo solo informarmi sulle condizioni di salute del nostro Blondie…M sembri un po’ pallido…sei strano, sei sicuro di sentirti bene?››.

‹‹Seiya, lasciami perdere e fa qualcosa, se vuoi combattere ancora››.

‹‹Altrimenti?›› disse Seiya con una smorfia.

‹‹Seiya, finiscila!›› urlò di nuovo Shun.

‹‹Perché lo difendi? Cos’è, Hyoga, hai perso la parola?››.

Hyoga afferrò il braccio di Seiya tirandolo in avanti e colpendolo con una ginocchiata allo stomaco, e poi scaraventandolo a terra.

‹‹Accidenti a te…›› si lamentò Seiya balzando in piedi.

‹‹Ti ho detto che se vuoi combattere devi fare qualcosa, altrimenti io me ne vado››.

‹‹Come vuoi, Blondie›› grugnì Seiya. Si lanciò a testa bassa verso Hyoga mirando al busto e mandando a segno un destro potente.

Hyoga si liberò dall’abbraccio ma la sua gomitata mancò Seiya che s’era abbassato mirando al ventre. Il russo limitò i danni spostandosi indietro di un passo e Seiya ebbe il tempo di rimettersi in posizione di difesa, mostrando il viso concentrato e la fronte sudata e corrugata.

Quell’allenamento era una piccola sfida, l’ennesima gara per stabilire chi dei due fosse il più forte. Shun cominciò a sperare che non finisse come quella precedente.

Di nuovo, il tarchiato ragazzo nipponico prese l’iniziativa, con una seria di pugni alti e bassi, una raffica veloce che sorprese Hyoga ma che non riuscì a stenderlo, facendolo solo indietreggiare di qualche passo. Cessato il bombardamento di colpi, di slancio Hyoga si mosse verso Seiya schivando un calcio e colpendolo con una spallata al petto. In sequenza, Hyoga colpì Seiya, sbilanciato indietro, al viso, gli tolse il piede d’appoggio con uno sgambetto e tentò di mandare a segno un secondo pugno diretto allo stomaco mentre il fratello era a terra. Rotolando di lato, Seiya s’alzò in piedi e tentò un calcio rovesciato, ma Hyoga s’era già abbassato e colse al volo l’occasione per bloccargli il piede, utilizzando la forza del calcio contro Seiya che si rovesciò sulla pedana di schiena.

In un attimo erano già in posizione, con Seiya che cercava con ogni mossa di andare a segno e Hyoga, con un’abilità che Shun non ricordava, che schivava e contrattaccava con efficacia nella quasi totalità dei casi. Il russo aveva subito un paio di calci ai reni che l’avevano rallentato, ma Seiya sanguinava da un labbro ed era fradicio di sudore e affrettato negli attacchi dalla rabbia.

‹‹Stai sudando, Seiya››.

‹‹Chiudi la bocca, russo!›› ringhiò Seiya a denti stretti. ‹‹Se potessi colpirti come vorrei, ti toglierei dalla faccia quel sorrisetto vittorioso!››.

‹‹Non hai proprio altro modo per vincere con me se non con i tuoi colpi segreti?››.

Offeso, Seiya si lanciò contro Hyoga con un urlo feroce fingendo un attacco frontale, poi rapido si spostò di lato nel momento in cui Hyoga incrociava le braccia per parare l’assalto. Trovandosi di fronte il fianco scoperto di Hyoga, Seiya gli sferrò un energico calcio alla schiena, mettendolo in ginocchio, e lo fece volare un paio di metri lontano con un altro calcio in piena faccia. Shun s’alzò in piedi, lamentandosi con Seiya della sua scorrettezza.

‹‹L’hai colpito alla schiena, stupido! Gli avrai fatto male!››.

‹‹Sono affari suoi!›› rispose Seiya pulendosi la bocca, mentre Hyoga con un lamento sommesso s’alzava in piedi. ‹‹Mi ha quasi rotto la mandibola, prima!››.

Hyoga restava in silenzio, con una mano alla schiena dolorante, piegato sulle ginocchia. Seiya poteva sentire il suo respiro affannato, accompagnato da lamenti sofferenti e smorzati, e si pentì d’averlo colpito a tradimento nel suo punto debole, perché in fondo quello doveva essere un allenamento.

‹‹Non ti mettere a piangere adesso, non posso averti fatto tanto male!›› disse fingendo indifferenza e avvicinandosi.

‹‹Mettermi in ginocchio era il tuo scopo, no?…perché adesso mi chiedi scusa?›› mormorò Hyoga alzandosi.

‹‹Non ti sto chiedendo scusa!›› s’affrettò a dire Seiya. ‹‹Volevo assicurarmi che potessi riprendere il combattimento!››.

Hyoga lo colpì con un ceffone. ‹‹Io sono pronto, tu no››.

Si fissarono dritto negli occhi e la sfida si riaccese più agguerrita. Shun s’avvicinò alla pedana cercando di metterli in guardia. Hyoga e Seiya non erano mai riusciti ad andare d’accordo, per un motivo o per l’altro, e ogni volta aspettavano ansiosamente il momento per confrontarsi.

Shun però si rese conto che il livello di combattimento s’era alzato troppo. I due avversari si muovevano troppo velocemente, attaccavano con rabbia e determinazione, cominciavano ad accrescere la loro energia facendo brillare il loro cosmo più del dovuto.

‹‹Adesso smettetela! Per oggi, vi siete divertiti abbastanza!››.

Seiya lanciava raffiche di pugni micidiali e Hyoga si difendeva bene ma attorno a lui, cominciava a risplendere l’alone bianco del suo cosmo, accompagnato da quello rossastro di Seiya.

‹‹Seiya! Hyoga!››.

Le grida d’avvertimento di Shun furono ignorate. Poi, come aveva temuto il Sacro Guerriero d’Andromeda, Seiya si lasciò prendere dalla foga e lanciò il suo Ryuseiken, (4) che esplose con un boato. Centinaia di colpi lanciati alla velocità della luce raggiunsero Hyoga, ed egli non poté far altro che contrattaccare, rispondendo inconsciamente al pericolo come avrebbe fatto in una battaglia vera. Subì l’attacco incrociando le braccia davanti a sé, e rispose lanciando il Diamond Dust, (5) una raffica di vento gelato che turbinò dritto verso Seiya scaraventandolo giù dalla pedana.

Hyoga si rese conto immediatamente della sua reazione e terminò all’istante l’attacco, evitando di causare danni maggiori. Shun corse da Seiya che non aveva subito danni, eccezione fatta per la sorpresa.

‹‹Avreste dovuto ascoltarmi!›› gridò Shun alterato.

‹‹Mi dispiace›› si scusò Hyoga, pur essendo stato costretto a rispondere a difendersi dopo la provocazione.

‹‹Al diavolo le tue scuse!›› gridò Seiya. ‹‹Mi hai congelato la maglia, potevo farmi male!›› aggiunse togliendosi la maglietta e mostrando la zona ricoperta di ghiaccio sul petto e sull’addome.

‹‹Te lo sei meritato!›› lo rimproverò Shun. ‹‹Hai attaccato tu per primo!››.

‹‹Cosa sta succedendo qui?››.

La voce autoritaria di Lady Saori riecheggiò nel grande ambiente, pietrificandoli. Camminò verso di loro con passo lento e solenne, fissandoli dritto negli occhi, uno ad uno e costringendoli ad abbassare il viso sul petto. Shun indietreggiò di un passo, lasciando che Saori fronteggiasse i due duellanti come sembrava avergli ordinato con una prolungata occhiata.

‹‹Vi ho fatto una domanda, esigo una risposta››.

Seiya deglutì e Hyoga incrociò le mani dietro la schiena, entrambi incapaci di sostenere lo sguardo severo.

‹‹Ci stavamo allenando e abbiamo esagerato›› disse infine Hyoga, sempre a occhi bassi.

‹‹Ero stata chiara riguardo queste vostre inutili scaramucce. Non voglio che combattiate tra voi utilizzando i vostri colpi più potenti, è da incoscienti ed è veramente pericoloso. Possibile che non ve ne rendiate conto?››.

‹‹È stata colpa mia…›› azzardò Seiya.

‹‹Non m’interessa chi ha cominciato! Il problema sta nel fatto che avete disobbedito entrambi. Questo è il secondo avvertimento, più accorato ed energico del primo! Badate di non costringermi a sprecare tempo e fiato per un terzo!››

‹‹È stato un incidente, non capiterà mai più. Hai la mia parola›› spiegò Hyoga, con la sua parlata calma ed educata. ‹‹Scusaci ancora per averti fatto venire fin qua››.

Salutò chinando appena la testa e s’incamminò fuori della palestra, verso la Villa.

Saori lo seguì con lo sguardo, mordendosi le labbra di nascosto dagli altri due, poi si rivolse contro Seiya. Shun non poté fare a meno di notare che adesso gli occhi di lei lampeggiavano per la rabbia. Saori aveva sentito il loro cosmo espandersi ed esplodere nei colpi ed era corsa a controllare che la situazione non precipitasse di nuovo. Era suo dovere far rispettare le sue decisioni, e per farsi rispettare aveva dovuto rimproverare entrambi per averle disubbidito, pur sapendo perfettamente che la colpa d’aver cominciato era da attribuire esclusivamente al Sacro Guerriero di Pegasus.

‹‹È chiaro anche per te?›› tuonò all’indirizzo di Seiya che s’irrigidì.

‹‹Cristallino›› rispose Seiya accennando un sorriso per allentare la tensione. Saori lo fulminò con uno sguardo furente.

‹‹Non mi provocare, perché la mia pazienza ha un limite tanto sottile che quando ti ho di fronte mi chiedo come faccia a trattenermi! Ti avverto, Seiya, fa che non accada di nuovo, o sarà peggio per te!››.

Saori li lasciò, affrettandosi ad andarsene. I due rimasero in silenzio, congelati dalla sua severità.

Seiya restava sempre molto scosso dai suoi rimproveri, sentendoli pesare più di tutti gli altri, forse perché teneva molto a Saori, forse perché ne riceveva troppi per i motivi più disparati.

Dal canto suo, Shun, essendo a conoscenza di certi particolari riservati e di rigorosi segreti, non poteva far altro che biasimare il povero Seiya per le sfuriate che riceveva e, cercare di giustificare Saori per il suo comportamento ingiusto nei suoi confronti, in questa e in tante altre occasioni.

Per quanto si potrà sforzare, Seiya non riuscirà mai a competere con lui e, se la situazione non cambia, Saori non lo vedrà mai con occhi diversi.

‹‹Dì qualcosa invece di stare lì imbambolato!›› borbottò Seiya.

Shun si scosse e alzò le mani. ‹‹Non mi pronuncio. Ho paura quando Saori s’infuria e non vorrei mai che se la prendesse anche con me!››.

Aveva appena salito le scale quando si sentì chiamare. Hyoga esitò, combattuto tra il desiderio di fermarsi e quello altrettanto impellente di evitarla, ma poi aspettò che Saori lo raggiungesse nel pianerottolo e riprendesse fiato dopo la corsa.

‹‹Perché sei scappato via così?›› chiese ansante.

‹‹Ti ho chiesto scusa per l’incidente, non avevo altro da dire››.

‹‹Non volevo le tue scuse…›› mormorò Saori, pentita d’averlo aggredito poco prima.

‹‹Ti erano dovute, chi disobbedisce deve prendersi le sue colpe››.

La pausa di silenzio che seguì aumentò la tensione che li agitava. Saori, qualche minuto prima aggressiva e autoritaria, adesso sembrava insicura, mentre Hyoga si sentiva a disagio, con gli occhi fissi lontano nel disperato tentativo di non incrociare quelli di lei, ansiosi di un contatto.

‹‹Ti vorrei parlare, ma non riesco a trovare l’occasione giusta. Ho come la sensazione che tu mi eviti…››.

Hyoga tremò, e si stropicciò la fronte. In quel momento si pentì d’averla aspettata e desiderò solo d’essere lasciato in pace. Temeva d’udire dalla sua bocca parole che non avrebbe voluto ascoltare, ma non poteva rimandare oltre un chiarimento che era necessario.

‹‹Perché ti comporti così?›› chiese lei alla fine.

Hyoga alzò la testa e in quel momento i loro sguardi s’incatenarono, per la prima volta dopo un tempo che era sembrato infinito.

‹‹Non capisco cosa vuoi dire›› tagliò corto lui, voltandosi. Saori sorrise.

‹‹Guardati! Non puoi nemmeno guardarmi dritto negli occhi, mi eviti, sei freddo e distante. Cosa dovrebbe significare questo comportamento?››.

Hyoga si strinse nelle spalle e sbuffò. ‹‹Non so di cosa stai parlando, davvero››.

‹‹Perché non mi guardi, allora?›› insistette lei, parandoglisi davanti e costringendolo a voltare di nuovo la testa. ‹‹Ti vergogni tanto di quello che abbiamo fatto?›› suggerì prendendogli il viso e incollando gli occhi a quelli di lui.

Hyoga scosse la testa. ‹‹No…non mi vergogno›› sospirò. ‹‹Ma è davvero difficile dimenticare e ricominciare, per me››.

‹‹Lo è per entrambi›› lo assicurò lei. ‹‹Trattarti come gli altri, dopo tutto, è quasi impossibile ma non possiamo nemmeno anteporre il nostro problema ad altre questioni di maggior importanza››.

‹‹Questo lo capisco, ma vorrei che tu provassi a metterti nei miei panni. Io non sono forte come te, sono debole. Ancora non riesco a stare solo con te senza sentirmi a disagio, anche in questo momento. Stiamo solo parlando, ma quest’incontro ha lo stesso amaro sapore di tutti quegli appuntamenti consumati in gran segreto, di nascosto dagli occhi di tutti, sempre con la paura di essere scoperti››.

Lei fece uno sguardo terribilmente triste, ripensando a quei momenti. ‹‹Quello di cui parli fa parte del passato…›› disse pur senza troppa convinzione, come se temesse di offenderlo.

‹‹Non per questo l’ho dimenticato›› rispose lui con voce ferma. Lei sospirò.

‹‹Hai dovuto sopportare molte difficoltà e mi dispiace d’averti dato ulteriori preoccupazioni››.

‹‹È tipico di me infilarmi in situazioni che mi causano problemi e che non hanno sbocchi felici››. Hyoga sorrise malinconico e Saori si abbandonò anche lei ad un sorriso.

Si disse che era inutile insistere sul passato da dimenticare perché Hyoga non l’avrebbe mai fatto. Poteva solo sperare che decidesse di collocare la loro avventura tra le esperienza vissute, cercando di ripristinare il rapporto d’amicizia che li aveva uniti prima che diventassero amanti.

‹‹Quello che volevo chiederti›› disse infine Saori, ‹‹è di ricordare che, prima di tutto, ti sarò sempre vicina, considerami una persona su cui puoi contare in caso di bisogno. Non ti chiedo di dimenticare, perché sono io la prima a non voler perdere i bei ricordi che ho di noi, ma vorrei che tu tornassi a confidarti con me, a parlarmi dei tuoi problemi››.

Hyoga ascoltava, toccato nel cuore dalla dolcezza nella sua voce, sentendo svanire un po’ della tensione accumulata negli ultimi mesi grazie al semplice tocco della mano di lei sulla sua guancia.

‹‹Io vorrei parlarti ma…non riesco›› si lamentò con un filo di voce.

‹‹Non temere. So che qualcosa di turba, ma il mio desiderio di aiutarti è strettamente collegato al tuo di essere aiutato. In questo momento, tu non vuoi il mio aiuto e io lo capisco. Potrai venire da me quando sarai pronto per parlare, allora io ti darò tutto il mio appoggio››.

Hyoga si lasciò accarezzare la guancia, e appoggiò la sua mano a quella di Saori, chiudendo gli occhi.

Quante volte l’aveva accarezzato a quel modo, nel buio della sua stanza. Ricordò gli incontri segreti che li avevano uniti e che li avevano fatti litigare e soffrire, le notti passate insieme e le fughe per i corridoi prima del sorgere del sole. Allora quella mano bruciava di passione e lo faceva fremere, adesso il suo tocco gentile gli ridava conforto. Riaprì gli occhi e si fissarono a lungo, e si chiese se le parole di Saori corrispondessero al suo vero sentire o se lei ancora provasse per lui dei sentimenti che superassero la semplice amicizia. Saori era bella, snella ed esile, col viso allungato, incorniciato da serici capelli, con due magnetici e chiari occhi a mandorla.

La risposta alla sua domanda non tardò ad arrivare quando percepì sulla guancia un tocco più insistente, quando sentì un fremito nella mano di lei che gli accarezzava le labbra. Hyoga si odiava profondamente per la sua eterna indecisione, la stessa insicurezza che lo faceva vacillare verso una o l’altra a seconda di quali emozioni provava al momento. Saori aveva saputo come conquistarlo, seducendolo con la sua dolcezza e i suoi modi affabili, amabile tra le lenzuola, ma dura e irremovibile nella vita di tutti i giorni. Anche per questo il loro rapporto era naufragato.

In quel momento, nonostante tutti i suoi buoni proponimenti, nonostante avesse dipinta nella sua mente l’immagine della donna dei suoi sogni che non s’identificava in Saori, nonostante tutto, si sentì irresistibilmente attirato da quelle labbra rosse e lucide che lo invitavano a baciarle. Saori s’alzò in punta di piedi e l’attirò a sé, stringendogli leggermente le guance con le mani.

Erano ad soffio l’uno dall’altra quando Tatsumi chiamò Saori dal pianterreno e cominciò a salire le scale. Loro si separarono immediatamente, rossi in volto, e Saori diede la voce, dicendo che stava giusto scendendo. Non si dissero niente, salutandosi con un’occhiata fuggevole, e mentre Saori s’affrettava a scendere le scale, Hyoga si prese la testa tra le mani e si chiuse in camera.

La camera di Shun, una delle più piccole della Villa, era sullo stesso corridoio e di fronte a quella di Hyoga. Era una mattinata grigia e piovosa di fine settembre, tipicamente autunnale, una di quelle mattine che invogliavano a restare sotto le coperte, e in ogni caso al riparo e al caldo in casa.

Shun non aveva voluto accompagnare Seiya nelle sue peregrinazioni per centri commerciali, alla disperata ricerca di una scusa per spendere soldi e per abbordare ragazze. Aveva abilmente evitato di offendere Seiya col suo rifiuto, e si era abbandonato alla lettura. Steso sul letto, con una rivista poggiata sul viso, in un momento di minor concentrazione, stava dolcemente ritrovando il sonno quando un grido lo fece trasalire.

‹‹Ach, neužéli! Kakája neudáča !››. (6)

In un attimo saltò giù dal letto, attraversò il corridoio ed entrò nella stanza di Hyoga spalancando la porta socchiusa.

‹‹Hyoga! Che succede?››.

‹‹Ho rotto la cornice, čto za čjort !›› (7) esclamò il russo con un diavolo per capello. Era inginocchiato per terra e stava raccogliendo pezzi di vetro e cornice. ‹‹C’è vetro dappertutto, prokljatj !››. (8)

‹‹Non mi sembra così grave da far tanto baccano!›› rise Shun. ‹‹Mi sono spaventato per niente!››.

‹‹Nečégo smejat’sja !…›› (9) cominciò a dire Hyoga ma Shun prontamente lo interruppe.

‹‹Calmati, per favore! Ogni volta che perdi le staffe cominci a straparlare! Non ti capisce nessuno se parli in russo, per la miseria!›› lo rimproverò.

Hyoga sbuffò alzando gli occhi al cielo, ma si tranquillizzò. ‹‹Non c’era niente da capire che non s’intuisse dal tono della voce…››.

‹‹Che peccato, però, era una bella cornice››.

‹‹Pazienza, posso sempre ricomprarla!››. Shun annuì e aiutò Hyoga a ripulire il pavimento della stanza dalle schegge di vetro schizzate in ogni direzione.

‹‹Ecco fatto! Ora possiamo andare!›› esclamò Hyoga trionfante gettando i vetri nel pattume.

‹‹Dov’è che dovevamo andare?››.

‹‹A prendere un caffè, da Danny’s o da Mister Donut, (10) scegli tu quello che preferisci, e poi a comprare una nuova cornice››.

‹‹Hm, Danny’s va bene›› disse Shun. ‹‹Però non avevo molta voglia di uscire con questo tempo. Ho anche detto di no a Seiya!››.

‹‹Su, su! Prima andiamo, prima torniamo!››.

A Shibuya, (11) fuori dalla stazione della metropolitana, si trovava sempre una grande folla. Shibuya era uno dei punti di ritrovo per ragazzi, un quartiere di giovani nel quale sembrava quasi essere vietato l’ingresso a chi avesse più di trent’anni. Hyoga e Shun scesero dalla metropolitana assieme alla massa eterogenea che fluiva fuori dalle vetture come l’acqua, studentesse in divisa scolastica alla marinaretta con scaldamuscoli a metà polpaccio, ragazze che ciondolavano su stivali al ginocchio dalle alte zeppe esibendo con la massima disinvoltura minigonne mozzafiato, e ragazzi disinibiti che correvano da una parte all’altra cercando di far colpo sul sesso debole.

Aveva smesso di piovere e i due presero a camminare senza fretta sotto un cielo minaccioso e grigio.

‹‹Lo sai che qui c’è il sushi (12) bar più economico di Tokyo? Appena cento yen al piattino…›› disse Shun distrattamente.

‹‹Non sarà pesce avariato?›› rise Hyoga.

‹‹Seiya l’ha mangiato e da allora viene qui spessissimo››.

‹‹Seiya digerirebbe anche le pietre, se gliele servissero con doppia carne di maiale o con salsa di soia! In realtà lui viene qui per le ragazze››.

‹‹Vero!›› confermò Shun. ‹‹Proprio come quel ragazzo laggiù…››.

Osservarono incuriositi un ragazzo sui vent’anni dai capelli ossigenati, con un curioso giubbotto dalle tinte pastello e larghi calzoni, impegnato a sbarrare la strada alle sue coetanee, afferrarle per un braccio o affiancarle per lunghi tratti di strada, che dava sfogo alla peggiore logorrea nella speranza di strappare loro un’uscita.

Quando finalmente sedettero al tavolo del bar, ricominciò a piovere con forza.

‹‹Appena in tempo!›› esultò Shun. ‹‹Fortuna che abbiamo già comprato la cornice!››.

Hyoga, seduto dall’altra parte del tavolo, passò la mano sul pacchetto accuratamente confezionato e tirò un sospiro soddisfatto.

‹‹Ti ricordi quando abbiamo scattato questa foto?›› disse porgendola al fratello.

Shun annuì. ‹‹Sì, certo. Sarà stato…Quando? Tre anni fa?››.

‹‹Mi pare›› concordò Hyoga. ‹‹Mancava Ikki: che peccato››.

‹‹Come sempre›› brontolò Shun. ‹‹Non avevo mai visto le ragazze così felici››.

‹‹Hm… Questa è una delle poche foto in cui anche Saori ride››.

‹‹Praticamente una rarità›› scherzò Shun. ‹‹Senti, la cornice non era appesa alla parete? Come ha fatto a rompersi?››.

Hyoga alzò un sopracciglio, distratto dai suoi pensieri, e Shun gli ripeté la domanda.

‹‹Stanotte ho fatto un sogno strano, di quelli che al risveglio ti lasciano un senso d’insoddisfazione e di vuoto… Mi è venuto in mente il bel periodo in cui è stata scattata quella foto, ho preso la cornice, e mi è caduta. Da stamattina, non faccio altro che pensare al sogno e a tutto quello che avrei dovuto fare e che non ho nemmeno provato a fare››.

Con i gomiti appoggiati sul tavolo e la tazza di caffè fumante stretta fra le mani, Shun bevve un sorso e scosse la testa.

‹‹Tu pensi troppo, Hyoga, era solo un sogno››.

‹‹Forse hai ragione…ma ho sognato anche la principessa d’Ásgarðr…››.

‹‹Freija?! Ora si spiega il perché della tua agitazione…››.

‹‹…››. Hyoga tamburellò le dita sul tavolo e si accese l’ennesima sigaretta, aspirando una lunga boccata. Il suo viso preoccupato era avvolto dalle spirali di fumo bianco.

‹‹Smettila di fumare, che esempio dai a tuo fratello minore!›› lo rimproverò Shun premendosi una mano sul petto.

Hyoga alzò le sopracciglia e bevve il suo caffè.

‹‹Temo di non essere guarito…›› mormorò con la fronte corrugata.

Shun sospirò. ‹‹L’avevo sospettato. Ne abbiamo parlato fino allo sfinimento, ma ogni volta si ripropone in termini diversi lo stesso problema. Prendi una decisione chiara, per la miseria!››.

‹‹Non è facile come sembra, brat ››. (13)

‹‹No, invece è facile!›› sbottò Shun sporgendosi sul tavolo. ‹‹Decidi se andare da lei o se dimenticarla del tutto. Una volta mi avevi detto che Erii era carina… perché non esci più con lei? Potrebbe essere un buon antidoto››.

‹‹Ma dai, mi avevi chiesto cosa ne pensavo e io l’ho detto. Erii è una bellissima ragazza. Ammetto che quando l’ho conosciuta, sono rimasto colpito, ma era uno sbandamento passeggero, è passato subito››.

‹‹Sono sinceramente preoccupato per te›› disse Shun. ‹‹Possibile che dopo tanto tempo, tanti anni senza vedersi né scriversi né sentirsi in alcun modo, pensi ancora a lei? Secondo me sei fissato! Sì, ti sei convinto del fatto che non potrai mai amare nessun’altra, e reagisci di conseguenza smorzando sul nascere qualunque altro sentimento! La tua è una malattia››.

‹‹Sono passati solo due anni, dall’ultima volta che l’ho vista, per me non è un tempo abbastanza lungo per dimenticare!››.

‹‹Una persona normale avrebbe tentato di contattarla oppure si sarebbe fatto una vita nuova! Stai qui a languire e a piangerti addosso, e non sai nemmeno come sta! Non hai mai pensato che forse s’è spo…››. Hyoga alzò la testa e mostrò uno sguardo curioso, che involontariamente gli riuscì glaciale, Shun si sentì gelare. ‹‹…che forse s’è imbruttita…o ingrassata?…Il tempo passa e le cose cambiano velocemente››.

‹‹L’ultima volta che Hilda è venuta a Tokyo, ha detto che ad Ásgarðr andava tutto benissimo. Tutto è possibile, ma l’aspetto fisico non conta… io mi ricordo soprattutto della sua dolcezza, dei suoi occhi verdi e della sua bellissima voce…›› disse Hyoga trasognato.

‹‹Eri un ragazzino quando l’hai conosciuta…Anche a me è parsa bellissima, anche gli altri sono rimasti tutti colpiti…Ma tu esageri, per la miseria! Non è normale questo tuo atteggiamento…››.

‹‹È quello che penso anch’io!›› confermò Hyoga con enfasi.

‹‹Curati, niisan›› sorrise Shun. (14)

‹‹Accetto consigli, ototo ›› rispose Hyoga.

Shun restò in silenzio, con un’espressione meditabonda. Lui era il più piccolo tra i cinque figli del vecchio Kido, e il più dolce. Per ogni sguardo triste aveva una parola di conforto, per ogni problema si sforzava di trovare una soluzione, aveva una visione estremamente positiva di una vita che anche a lui, come ai suoi fratelli, non aveva mai dato tanto di cui gioire.

‹‹Ho un’unica cosa da dirti›› disse infine. ‹‹Ti stai rovinando la vita con tutti i tuoi "se", e si sa che a ragionare col senno di poi sono tutti bravi! Dimentica quello che hai fatto, o che non hai fatto, e parti da zero, in questo stesso momento››.

‹‹Temo di non capire››.

‹‹L’unica soluzione al tuo problema si chiama confronto diretto. Tu vai da lei, le parli e chiarisci questa situazione che è in sospeso da sette interminabili anni. A quel punto, saprai anche se sei corrisposto e, nel caso non fosse così, avresti alla fine una risposta››.

‹‹Detto da te sembra una cosa semplice…››.

‹‹Se tu volessi davvero seguire questo mio consiglio, sembrerebbe facile anche a te. A questo punto comincio a credere che la tua ostinazione a rimandare questo chiarimento sia dovuta alla paura di essere rifiutato››. Hyoga sgranò gli occhi. ‹‹Non ti devi vergognare, è una paura più che lecita se t’interessa davvero una persona. Capita a tutti di aver paura di fallire ma bisogna rischiare. Chi non risica, non rosica, è così che si dice, no?››.

‹‹Ah! Vorrei tanto avere un briciolo della tua spigliatezza, ne avrei davvero bisogno›› sorrise Hyoga nonostante l’espressione affranta.

Non sarebbe mai riuscito a seguire la via indicata da Shun, che pure era l’unica possibile, perché non poteva fare a meno di ingarbugliare ulteriormente la matassa, perdendosi in mille riflessioni. In tutti quegli anni, aveva tentato più volte di organizzare un discorso nella sua testa, intenzionato a partire per andare da lei, aveva pensato alle parole da dire, ai complimenti da fare… ma per ogni buon inizio riusciva ad immaginare una corrispondente reazione negativa della controparte. Hyoga non era nemmeno sicuro che Freija lo avrebbe voluto incontrare, dopo quello che era successo. Quest’ultima, tra tutte le eventualità, era quella che lo preoccupava maggiormente. Shun invece continuava ad essere ottimista.

‹‹Esiste un sogno che può essere visto solamente dai ragazzi, quando si diventa adulti non si può più vedere›› disse improvvisamente Hyoga. ‹‹Il mio sogno era quello di riuscire a conquistarla, ma più passa il tempo e più lo vedo irrealizzabile, e ogni giorno sento svanire la forza di tentare››.

‹‹Non è ancora troppo tardi, ma decidi in fretta, o lascia perdere per sempre. Le storie incerte che si trascinano a lungo non hanno quasi mai un lieto fine››.

‹‹Ora basta con questi discorsi tristi! Andiamo a mangiare?›› chiese Hyoga.

‹‹Sei un tipo strano tu!›› disse Shun infilandosi il cappotto. ‹‹Abiti in Giappone da moltissimi anni, ancora non hai perso quel tuo inconfondibile accento russo che si riconosce lontano un miglio, eppure mangi più frequentemente e molto più abbondantemente di qualunque giapponese io abbia mai conosciuto! Certe volte mi chiedo dove la metti tutta quella roba che ingurgiti!››.

‹‹Devo crescere ancora›› scherzò Hyoga guardando Shun dall’alto del suo metro e ottantasei.

Pioveva ancora e furono costretti ad aprire l’ombrello che si erano portati dietro.

‹‹Guarda che cielo, sembra di piombo. In giornate grigie come queste, con questo soffitto di nuvole, a mezzogiorno c’è la stessa luce di quando sta per fare buio. È strano vero?››.

‹‹Sì. Potresti dipingere un quadro con questo cielo, che ne dici?›› suggerì Hyoga mentre si abbottonava la giacca. ‹‹Ho voglia di sashimi…››.

Shun pensò un attimo. ‹‹Sashimi con gamberetti e tenpura !››. (15)

‹‹Aggiudicato!››.

Uscirono in strada e s’incamminarono verso un ristorante tradizionale lì vicino.

Note:

  1. Mi scusi (isvinítie)
  2. Gesù Cristo (Iísuse Christié)
  3. Arrivederci (do svidaniia)
  4. Stelle cadenti di Pegasus (Pegasus Ryuseiken)
  5. Polvere di Diamanti (Diamond Dust)
  6. Ah, non è possibile ! Che disdetta ! (Ach, nieujiéli! Cacáia nieudáča !)
  7. Che diavolo ! (čto sa čiort)
  8. Accidenti ! (procliati)
  9. Non c’è niente da ridere (niečiégo smieiat’sia)
  10. Danny’s è una famosa catena di bar-ristoranti, Mister Donut è una catena di caffè di stile americano dove vengono serviti i doughnut. Entrambi i locali sono diffusissimi in Giappone e frequentati in prevalenza da giovani.
  11. Un quartiere di Tokyo
  12. Sushi: bocconcini di riso condito con aceto sormontati da pezzetti di pesce crudo aromatizzato con una pasta vegetale piccante (wasabi) o tōfu fritto, frittatine etc…, accompagnati di solito da pezzetti di zenzero in salamoia. Si mangiano dopo averli intinti in salsa si soia. Il tōfu è una pasta di fagioli di soia di colore biancastro e della consistenza di un budino.
  13. Fratello (Brat)
  14. Niisan è il fratello maggiore, ototo significa fratello minore.
  15. Il sashimi è pesce crudo tagliato a fettine che prima di essere mangiato viene intinto in salsa di soia. Il tenpura è un piatto misto di pesce, verdure, alghe, funghi, etc., passati in una pastella e fritti.