CAPITOLO IV

Il grande freddo

 

L

a pendola aveva da poco battuto nove rintocchi quando lasciarono Villa Kido in direzione dell’aeroporto Narita. Vestita di un’elegante giacca di pelle, con un grande scialle avvolto sulle spalle, Lady Saori consegnò a Hyoga la lettera che aveva scritto e non mancò di dargli alcuni consigli dell’ultimo minuto.

La giornata si era fatta ventosa e il cielo grigio minacciava di piovere. Quando scesero dalla macchina, cominciarono a cadere alcune gocce. Saori volle accompagnare Hyoga fino alla scaletta del suo aereo privato: un jet da dieci posti, otto passeggeri e due piloti. Si raccomandò perché Hyoga non si facesse problemi a chiedere qualunque cosa di cui avesse bisogno, indicando un ometto che stava arrivando di corsa con una ventiquattrore.

‹‹Azaki-san sarà a tua disposizione per tutta la durata del viaggio›› disse Saori stringendosi nello scialle per il freddo. ‹‹Ti procurerà tutto ciò di cui avrai bisogno. Basta chiedere››.

‹‹Molto piacere, Balakirev-san››. Azaki salutò con un inchino e porgendo una mano. Hyoga gliela strinse, poi Azaki corse via stringendosi nella giacca, salì la scaletta del jet e sparì.

‹‹Ora vai›› disse Hyoga. ‹‹Fa freddo e ti bagnerai››.

L’accompagnò indietro per qualche passo e, quando Saori si voltò a guardarlo, gli sembrò quasi che avesse gli occhi lucidi, ma cominciavano a cadere le prime gocce e, con gli occhi chiusi a fessura per il fastidioso battere dell’acqua sul viso, pensò d’aver confuso gocce di pioggia per lacrime.

Saori l’abbracciò di slancio e lo tenne stretto.

‹‹Vsegó tebé choróščo , (1) buona fortuna›› augurò lei.

Hyoga si lasciò stringere, poi cedette all’impellente desiderio e ricambiò l’abbraccio, nascondendo il viso tra i capelli soffici di Saori. Avrebbe voluto piangere, perché in fondo Saori occupava sempre un posto molto speciale nel suo cuore, ma l’amore che li aveva uniti non era stato abbastanza forte né profondo.

Semplicemente, io non sono stato sincero.

Saori si sciolse dall’abbraccio, pur continuando a stringergli un braccio, con la testa china, indecisa. Infine, gli regalò un fugace bacio sulle labbra. Poi, con un lieve cenno di saluto, s’allontanò e sparì dentro la macchina.

Il jet procedeva il suo volo, noncurante della forte pioggia che batteva sui finestrini della fusoliera, ondeggiando di tanto in tanto, forse per qualche vuoto d’aria. Era un aereo veloce, in grado di decollare e atterrare anche su piste brevi. La cabina era lussuosa e ampia, con sedili comodi, e toilette privata. Nella parte anteriore della cabina, davanti al portello d’ingresso, c’era un frigorifero con bevande e qualche rinfresco per chi, come ad esempio il signor Azaki, non poteva resistere a lungo senza mangiare qualcosa.

Dopo un’oretta di volo, Hyoga si alzò per controllare se ci fosse qualcosa di suo gradimento, mentre Azaki, senza problemi, dopo aver sgranocchiato uno snack di cioccolato, stava masticando con gusto delle arachidi. Nel frigorifero trovò bottigliette di gin, acqua tonica e qualche liquore. Naturalmente non mancava la marca di whisky bevuto da Saori, né il ghiaccio. Poi c’era vodka, la sua preferita, una bottiglia ancora da aprire. Lo fece con piacere, versandosi un bicchiere, che assaporò senza fretta.

Tornò a sedere, abbassando il sedile reclinabile, e ripensò al saluto di Saori, a quel suo ultimo bacio d’addio. Quando sarebbe ritornato a Villa Kido, Saori l’avrebbe accolto come uno dei suoi Sacri Guerrieri, come un caro amico, ed egli non avrebbe più temuto di doversi confrontare con lo spettro del loro amore. Si sentiva sollevato, perché avrebbe affrontato l’altro suo problema col cuore leggero.

Era sinceramente legato a Saori, l’affetto che provava per lei qualche volta si coloriva di sfumature indecifrabili, come se da un momento all’altro avesse potuto di nuovo innamorarsi di lei, ma poi, se solo il pensiero di Freija sfiorava la sua mente, qualunque altra cosa passava in secondo piano, sbiadiva, mentre l’immagine di lei e il suo ricordo gli riempivano progressivamente la testa.

Sono stregato…

‹‹Questo non è il periodo migliore dell’anno per andare in Svezia››.

Hyoga sollevò la testa dallo schienale e guardò pigramente Azaki, che sedeva in maniera composta di fronte a lui. Seccato per essere stato distratto dalle sue visioni estatiche, Hyoga annuì sbrigativamente, cercando di non mostrarsi troppo scortese.

‹‹É la prima volta che si reca in Svezia?›› chiese ancora l’uomo sistemandosi gli spessi occhiali sul naso.

‹‹No, ci sono già stato. E lei?›› domandò garbatamente. Azaki sorrise mostrando gli incisivi sporgenti.

‹‹Oh, io ci sono stato tante volte››. Azaki abbassò di nuovo lo sguardo sul libro che teneva in mano e si rimise a leggere.

Hyoga aspettò un momento, per vedere se il signor Azaki avesse ancora qualcosa da chiedere, poi appoggiò la testa allo schienale. Sorrise e si disse che quello sarebbe stato certamente il viaggio più strano della sua vita, in compagnia di un buffo personaggio che sembrava una caricatura. Osservò di sfuggita, dalla comoda posizione, la cura con cui l’uomo voltava le pagine del libro. Era vestito di nero, il che lo faceva sembrare ancora più piccolo e minuto se paragonato al biondo russo, che, pur essendo nato da padre giapponese, aveva ereditato ben poco della minutezza nipponica.

‹‹Vi tratterrete a lungo?›› riprese Azaki.

‹‹Non saprei, devo sbrigare alcune commissioni per…››.

‹‹Peccato, Balakirev-san›› lo interruppe Azaki, fissandolo intensamente. ‹‹È un bel posto, la Svezia. Fosse per me, ci resterei tutta la vita, anche se in questa stagione è già molto freddo››.

Hyoga si grattò la fronte, perplesso. Lady Saori gli aveva trovato una compagnia singolare e pregò di non dover sopportare a lungo quell’interrogatorio. Ad ogni modo, a prescindere dalle deludenti apparenze, il signor Azaki era uno dei più fidati collaboratori di Lady Saori, il suo diretto corrispondente in Svezia, e sapeva perfettamente come muoversi in quel paese. Hyoga sapeva come raggiungere la sua meta, ma in fondo ringraziò Saori per avergli trovato un compagno di viaggio cui appoggiarsi in caso di difficoltà.

Cullato dai movimenti dell’aereo, Hyoga si abbandonò ai suoi tormentati pensieri, tranquillizzato dal prolungato silenzio del signor Azaki, impegnatissimo nella sua lettura.

Arrivarono all’aeroporto internazionale di Arlanda, a Stoccolma, che era notte inoltrata. Ebbero giusto il tempo di mangiare un boccone e bere una tazza di caffè, prima di ripartire alla volta di Sundsvall.

‹‹Sundsvall si trova nella provincia del Medelpad, che è il centro geografico della Svezia›› spiegò Azaki. ‹‹I paesaggi della regione, detta anche Västernörrland, sono molto belli, e proseguendo verso nordovest, incontreremo presto le montagne››.

Hyoga ringraziò Azaki per ciò che gli stava raccontando. Poi fu assalito da un dubbio atroce e non poté trattenersi dall’informarsi.

Possibile che Saori gli abbia chiesto di controllarmi?

‹‹Signor Azaki, fin dove mi accompagnerà?›› chiese improvvisamente.

Gli occhi allungati dell’uomo scintillarono. ‹‹Fino a Fornminne, (2) dopodiché proseguirà da solo, Balakirev-san››.

‹‹Il paesaggio montagnoso svedese si schiera dalla Svezia centrale fino al Circolo Polare Artico, e la maggior parte delle province dell’entroterra di Jämtland e Lapponia sono costituite da un superbo territorio, aspro e desolato. Le estese province del Nord, pur essendo abitate dall’uomo fin dalla preistoria, hanno una densità di popolazione molto bassa, quasi mai supera un abitante per chilometro quadrato››.

Hyoga sbarrò gli occhi per lo stupore. ‹‹Davvero?››.

Il signor Azaki annuì vigorosamente. ‹‹Proprio così. Nello Jämtland si possono ammirare centinaia di iscrizioni rupestri che risalgono all’età della pietra. Oggi, l’industria moderna ha già lasciato la sua impronta nella Svezia del Nord, sfruttando le sue vaste risorse di legname, minerali ferrosi e risorse idriche, ma la tradizione culturale contadina e l’eterna civiltà della gente indipendente, i Lapponi per intenderci, sono rimaste immutate››.

Da Sundsvall, proseguendo verso nord, il viaggio era ancora lungo e tanta la strada da percorrere. Viaggiavano in auto, in direzione di Östersund, situata sull’intricata battigia del lago Storsjön nella provincia montagnosa dello Jämtland, attraverso un altopiano rigoglioso.

Saori aveva pianificato quel lungo viaggio con minuzia, senza badare a spese come suo solito, provvedendo a prenotare i voli aerei e la macchina, con autista, che li aveva aspettati all’aeroporto di Sundsvall.

Comodamente seduto sul sedile posteriore, assieme al suo cicerone, Hyoga ascoltava con interesse il fiume di informazioni profuse dal logorroico Azaki.

‹‹La Città di Östersund è la naturale entrata alle montagne dello Jämtland. È situata sulle rive del lago Storsjön, che poi è uno dei laghi più grandi della Svezia, ed è collegata all’isola di Fröso, l’antica capitale di questa regione, tramite un ponte. Dall’altezza sul livello del mare di Fröso, si gode un’incredibile vista su tutta la regione››.

‹‹Conoscete molto bene la Svezia››.

‹‹In effetti, sì. Vi avevo detto che ci sono stato molte volte, no?››.

Hyoga annuì. ‹‹E qual è il periodo dell’anno che preferite?››.

‹‹Non esiste realmente un periodo migliore dell’anno, perché, soprattutto qui, al nord, ogni stagione ha qualcosa di speciale da offrire. Certo, gli inverni sono lunghi e molto freddi, un freddo secco e molto piacevole a dir la verità, e come vedete, ›› disse pigiando un dito sul finestrino, ‹‹ha già nevicato abbondantemente. Questo è un vero paradiso per gli amanti degli sport invernali! Le estati sono brevi, ma possono essere calde. Non è raro avere temperature alte, e naturalmente c’è il magnifico sole di mezzanotte che illumina serate e notti estive. Nel lontano nord, dove sono stato una volta sola purtroppo, oltre il Circolo Polare Artico, non c’è notte dalla fine di maggio a metà luglio. Spettacolare, non trova?››.

Questo Hyoga lo sapeva bene, e sorrise al signor Azaki che continuò a parlare all’infinito, fino a quando lasciarono la strada principale per dirigersi a sud, a Svenstavik, e poi di nuovo a nord, in direzione di Häggsåsen. Una volta superato il piccolo centro, s’infilarono in una viuzza secondaria, quasi impraticabile per la neve e il fango, stretta e sterrata. Fu come se stessero viaggiando a ritroso nel tempo e la vista del piccolo villaggio di Fornminne, abbarbicato su un piccolo altipiano ai piedi delle torreggianti montagne innevate, rivelava come, in quel luogo isolato, in cui gli unici suoni appartenevano alla natura selvaggia e incontaminata, le antiche tradizioni fossero davvero ancora presenti.

Il rustico insediamento offriva ben poco alla vista, se non qualche vecchia casa dall’aspetto caratteristico, e le renne nei loro recinti, ma Hyoga si sentiva a suo agio, perché ritrovava l’atmosfera familiare del villaggio siberiano di Kohotec. Quando scese dalla macchina, si stiracchiò e respirò a pieni polmoni l’aria fresca e pura sentendo svanire in un momento le fatiche del lungo viaggio.

‹‹Fa freddo!›› si lamentò Azaki, strofinandosi le mani, cercando di farsi strada tra la neve. ‹‹Siamo quasi in inverno e si sente!››

Hyoga sorrise mentre Azaki si dirigeva con passo svelto incontro ad un uomo che camminava verso di loro. Pensò che la loro presenza aveva di certo attirato l’attenzione e gli sembrò di vedere alcune donne affacciate alle finestre che li osservavano incuriosite attraverso i vetri appannati. Nelle sue visite precedenti, non si era mai fermato al villaggio di Fornminne, preferendo evitare d’incuriosire gli abitanti del posto. In quell’occasione, si chiese cosa avrebbero fatto se gli abitanti li avessero interrogati sui motivi della loro visita. Si strinse nelle spalle, mentre osservava il loquace Azaki che parlava e gesticolava, e si disse che, sicuramente, Saori aveva provveduto anche ad un alibi perfetto.

Azaki fu presto di ritorno e sfoggiò il suo solito rassicurante sorriso.

‹‹Tutto a posto, Balakirev-san! Togliamo i bagagli dalla macchina e andiamo a casa››.

‹‹Quale casa?››.

‹‹È tardi, Balakirev-san. Tra poco calerà la fredda notte nordica, che saprebbe essere terribile e pericolosa… anche per un uomo come lei che è abituato ai rigidi climi siberiani. Potrà partire domani, in mattinata››.

Hyoga si mise sulle spalle il suo zaino e, senza troppe domande, si avviò, assieme ad Azaki, dietro all’uomo che li aveva accolti. Azaki aveva dimostrato, in diverse occasioni, di essere a conoscenza di più informazioni sul suo conto di quanto non sembrasse. Sospirò cercando di convincersi che come collaboratore diretto di Lady Saori, forse era naturale che fosse a conoscenza di segreti che la maggior parte della gente di loro conoscenza ignorava.

Sedettero a tavola verso le sette, mentre fuori imperversava un insistente vento gelido che faceva turbinare i grossi fiocchi di neve che scendevano da almeno un’ora.

Finngalk, il padrone di casa, che Hyoga scoprì essere un vecchio amico di Azaki, si era dimostrato cordiale e li aveva sistemati in una calda e confortevole stanza.

La casa della famiglia Arrankoski era molto grande, su un unico piano, con le pareti spesse e l’alto tetto spiovente. La sala in cui cenarono era spaziosa, con un grosso tavolo centrale, posto di fronte al camino in cui bruciavano grossi ceppi di legno, e arredata di semplici suppellettili, per lo più addossate alle pareti.

‹‹Grazie›› disse Hyoga, sorridendo a Inge, la corpulenta moglie di Finngalk, che gli porgeva un piatto di fumante carne in umido.

Gli Arrankoski erano una famiglia di Lapponi, per meglio dire, di "Same", come desideravano essere chiamati, ed erano allevatori di renne, da molte generazioni.

‹‹L’addomesticamento progressivo delle renne è durato quasi un millennio!›› spiegava Finngalk.

Hyoga, cercando di superare l’imbarazzo, si limitava ad ascoltare ma la cordialità con cui l’avevano accolto lo spinse a partecipare alle allegre conversazioni. Azaki, invece, sembrava essere a suo agio, e Hyoga cominciò a chiedersi come potesse conoscere l’allegra famiglia Arrankoski.

‹‹È vero che vieni dalla terra che è sempre coperta dai ghiacci?››. Hyoga si scosse e prestò più attenzione ad uno dei figli di Finngalk che lo tirava per una manica. ‹‹Li hai mai visti gli orsi bianchi? Io li ho visti su un libro!››.

‹‹Thorin, lascialo mangiare!›› lo rimproverò la madre. Il bambino sgranò gli occhi e fece il broncio, deluso.

‹‹Certo che li ho visti!›› disse Hyoga. ‹‹Ora però mangia. Forse avremo tempo più tardi per parlare degli orsi››. Thorin sorrise soddisfatto e addentò un pezzo di pane.

‹‹Com’è la Siberia, herr Balakirev?›› (3) chiese allora Tiina, una ragazza sui diciott’anni che non gli aveva tolto un attimo gli occhi di dosso. Era molto graziosa, con la pelle chiarissima e le guance arrossate.

Come fa questa gente a sapere tante cose sul mio conto? Alzò la testa e per un attimo incrociò lo sguardo del sorridente Azaki, che gli fece un cenno di saluto col capo.

‹‹È una terra fredda e desolata, con… ampie distese di ghiaccio, a perdita d’occhio e un cielo azzurro e limpido. Certi giorni la luce è così abbagliante e il riverbero della neve così intenso che quasi non si riescono a tenere gli occhi aperti››.

‹‹Allora, dev’essere un posto bellissimo›› insistette la ragazza, cercando di farsi notare da Hyoga senza attirare l’attenzione dei genitori.

‹‹Da, lo è davvero››.

‹‹Che accento curioso ha, herr Balakirev›› lo lodò Tiina sbattendo gli occhi.

Hyoga ringraziò, e nessuno notò il suo rossore perché l’ambiente, per sua fortuna, non era ben illuminato.

‹‹I miei figli sono curiosi!›› esclamò Finngalk versando altra birra per sé e riempiendo anche il boccale di Hyoga. ‹‹Non capita spesso di avere ospiti, anzi non capita mai, specialmente in questa stagione!››. Hyoga si lasciò sfuggire un sorriso nervoso ma evitò di approfondire l’argomento.

Mangiarono il delizioso umido preparato da Inge, accompagnandolo con funghi e patate bollite e brindarono molte volte. Alla fine della cena, Hyoga assaggiò anche una fetta di torta alle mele dal profumo talmente intenso che non vi si sarebbe potuto rinunciare.

‹‹Ti siamo grati per l’ospitalità, Finngalk, ma abbiamo un ultimo favore da chiederti››.

Hyoga sollevò un sopracciglio e squadrò Azaki con fare interrogativo. Il piccolo giapponese e il massiccio same erano molto in confidenza. Finngalk infatti annuì e lo esortò a parlare.

‹‹Balakirev-san ha bisogno di un cavallo, perché va di fretta e, a piedi, impiegherebbe troppo tempo a raggiungere la sua meta››.

Hyoga rimase senza parole ma cercò di mascherare il suo stupore sorridendo al padrone di casa.

‹‹Naturale›› rispose Finngalk riempiendo di nuovo il suo boccale e quello di Hyoga che cercava disperatamente di impedirglielo.

‹‹Vorrei scambiare due parole con voi, herr Arrankoski›› disse poi Hyoga. Con una semplice occhiata fece capire ai due uomini che desiderava delle spiegazioni.

‹‹È molto tardi, Inge, porta i bambini a letto››.

La donna ubbidì e si avviò alle stanze da letto, portando in braccio il piccolo Thorin che si lamentava perché voleva ascoltare le storie sugli orsi bianchi, mentre Tiina salutava Hyoga con la mano e gli sorrideva. Lui ricambiò il saluto nascondendo a fatica il disagio dovuto allo sguardo insistente della ragazza, e ai suoi ampi sorrisi maliziosi.

‹‹Devono andare a scuola domani›› puntualizzò Finngalk, ‹‹e se fanno molto tardi faticano ad alzarsi››.

Hyoga aveva la sensazione che l’uomo sapesse, o comunque avesse intuito la destinazione del suo viaggio. La necessità di saperne di più sul conto di Azaki e di Finngalk era tanta, ma non voleva essere scortese né arrogante.

‹‹C’è una scuola qui?›› chiese.

‹‹C’è ad Häggsåsen, distante un’ora da qui, dove avete preso la strada per Fornminne. Il loro pastore ha un piccolo bus e ogni mattina viene a prendere i bambini, li porta a scuola e poi li riporta a casa››.

‹‹Non avete mezzi di trasporto? Macchine, intendo››.

Finngalk sorrise. ‹‹Abbiamo i cavalli, per la bella stagione, e carrozze. E d’inverno, quando tutto è coperto dalla neve, allora usiamo le slitte. Fornminne è ancora legata alle antiche tradizioni e alle antiche religioni… e non siamo ancora schiavi della civiltà e delle comodità: ci serviamo del minimo indispensabile e viviamo benissimo!››.

Hyoga vagò con lo sguardo, distrattamente: lampade ad olio per l’illuminazione, forno a legna nella cucina, un grande camino nella sala principale; niente telefono né radio o televisione. A Fornminne, il tempo s’era fermato. Era un luogo rimasto immutato mentre, tutt’intorno, il mondo cambiava velocemente.

‹‹Il pastore insegna la religione ai miei figli e vuole che crescano nel timore del suo Dio, anche se io non lo vorrei. Per questo li ho mandati a dormire: anche se immaginano, non è bene che sentano quello che ci diremo stasera. Il pastore s’infurierebbe se li sentisse parlare di certe cose››.

Hyoga si stropicciò il mento, perplesso, lanciando rapide occhiate ad Azaki, che se ne stava seduto vicino al lappone, con le braccia incrociate sul petto e il solito irritante sorriso sulle labbra.

‹‹Di cosa parleremo, esattamente?›› domandò.

‹‹Del viaggio che intraprenderete domattina e che vi porterà, attraverso la Foresta di Eid, ad Ásgarðr››. Hyoga non riuscì a trovare parole per esprimere la sua meraviglia e l’unica sua reazione fu quella di umettarsi le labbra.

‹‹Non vi stupite di questo, herr Balakirev. Io, come mio padre prima di me e mio nonno prima di lui, sono il Messaggero, sono il contatto tra Ásgarðr e il nostro mondo››.

Hyoga seguì con lo sguardo il lappone che si alzava e usciva dalla stanza.

‹‹Azaki-san, perché non mi ha avvertito? Sono impreparato ad incontrare una persona così…così…Capisce cosa intendo?››.

‹‹Naturale, Balakirev-san, Lady Saori Kido mi aveva descritto perfettamente la reazione di imbarazzo in cui si sarebbe trovato››. Hyoga sbuffò. ‹‹Ma se le avessi detto subito che saremmo venuti qui, lei avrebbe cortesemente rifiutato. Lady Kido ha invece ritenuto utile che lei incontrasse il Messaggero››.

Hyoga ammise che Azaki aveva ragione. Poche ore non sarebbero state sufficienti per chiarire tutti i suoi dubbi ma parlare con Arrankoski gli sarebbe ad ogni modo ritornato utile.

Il lappone finalmente ritornò nella sala. Si era acceso la pipa e portava una scatoletta di legno intagliata. Quando la posò sul tavolo e l’aprì, luccicò, tra le pieghe del velluto rosso, un medaglione d’oro, sul quale era stato abilmente inciso un elmo con ali di corvo, una spada e uno scudo, le armi del dio Odino, che rappresentavano l’emblema dei reali d’Ásgarðr.

‹‹Con questo al collo, attraverso il Confine e sono ammesso al cospetto della Grande Sacerdotessa››. Hyoga osservò il medaglione e poi Finngalk, che sembrava maestoso e solenne.

‹‹Il Messaggero…degli Dèi›› sussurrò Hyoga. ‹‹Perché Ásgarðr appartiene ora ad un altro mondo?››.

‹‹Per la follia di uomini che volevano dominare il mondo con la loro religione››.

Si scambiarono uno sguardo, attraverso il fumo bianco della pipa del lappone.

‹‹Stiamo parlando dei Cristiani?›› chiese Hyoga con un filo di voce.

‹‹La tragedia di quelli che credono in Dio, è che la religione controlla il loro intelletto››. Finngalk aspirò una boccata di fumo che si liberò intorno a lui come una nebbia quando ricominciò a parlare. ‹‹Nelle terre del Nord non c’è mai stato nulla di più caratteristico dell’antica religione norrena, una religione politeistica, in apparenza priva di organizzazione. Essa dava una spiegazione della creazione del mondo e definiva la condanna a venire. Provvedeva a misteri trascendenti e oggetti da venerare, e, al pari delle altre credenze, rallegrava il devoto con una verità nascosta e accontentava i semplici con occasioni sacrali e conviviali. I vichinghi veneravano gli dèi Asi, cui faceva capo Odino, il Dio Supremo, il Padre di Tutti. Veneravano Þórr il Dio del Tuono e Tyr il Monco, cui si appellavano nelle battaglie. Ingvi-Frey il signore dell’abbondanza e della fecondità, Njörðr, protettore delle navi, e tante altre divinità, Frigg, la signora degli dèi e Freya, la bella infedele. Si celebravano riti e sacrifici, si adoravano idoli e simboli sacri, nel pieno rispetto del mito e della leggenda. Con l’avvento dei cristiani, la situazione cambiò notevolmente.

‹‹Nell’anno 830 Ludovico il Pio, Sacro Romano Imperatore, inviò un missionario in Scandinavia, per convertire i Vichinghi al Cristianesimo. Sperava che se si fossero convertiti, i Vichinghi avrebbero smesso di saccheggiare i monasteri d’Europa, ma il missionario fu assalito prima di poter mettere piede a terra. La Chiesa cattolica proibiva ai cristiani di commerciare con i pagani, così a volte i mercanti vichinghi accettavano di essere considerati iniziati al Cristianesimo, in altre parole prendevano una croce per mostrare il loro interesse alla religione cristiana. Nel frattempo però, la maggior parte dei vichinghi continuava ad adorare le antiche divinità e si convertiva solamente quando era costretta a cambiare religione. Fu Olaf Tryggvason, re di Norvegia fino all’anno Mille, ad introdurre il Cristianesimo in Norvegia, Groenlandia e Isole Orcadi, e addirittura pretese che anche l’Islanda accogliesse la nuove fede. I metodi di Olaf Tryggvason non furono sempre pacifici: a volte irrompeva nei templi e distruggeva gli idoli.

‹‹La sua opera di conversione continuava implacabile, nonostante un numero sempre maggiore di uomini si rifiutasse di abbracciare la religione del Dio Bianco. Si narra che Olaf inflisse una morte spaventosa a Rauth, un famoso capo villaggio che non si piegava al suo volere, una punizione esemplare che sarebbe valsa da esempio per tutti coloro che osavano disubbidirgli. Rauth fu immobilizzato, con le braccia legate saldamente ad una lunga asta infilata nelle maniche della sua casacca, poi gli venne introdotta a forza tra i denti una canna forata in cui era stato infilato un serpente velenoso. Rauth è morto lentamente, ucciso dal serpente che gli era scivolato dentro lo stomaco!››.

Impressionato dal racconto del lappone, Hyoga si passò una mano sul petto, tastando da sopra il maglione la croce che portava al collo.

‹‹Scoppiarono guerre e rivolte in tutto il paese, perché l’imposizione di una nuova fede che proibisse l’adorazione degli idoli e i riti sacrificali in onore degli dèi non poteva essere tollerata. I cristiani volevano abolire il culto pagano e distruggere gli antichi templi. I re convertiti incendiavano i distretti se gli abitanti si opponevano alla conversione, strappavano gli occhi e tagliavano le lingue, e coloro che alla fine accettavano di diventare cristiani dovevano lasciare i propri figli come ostaggi, in pegno della loro fede. I metodi di Olaf di Norvegia erano così brutali che la popolazione si ribellò contro di lui e la sua nuova fede e lo cacciò. Intanto in Svezia, un altro re cristiano, Olaf Skötkonung, si diede a convertire la popolazione, ma anche lui ebbe vita dura. Il paganesimo sopravvisse a lungo, fino a quando si ebbe una grande rinascita pagana promossa da Sacrifice Sven. Da quel momento, giorno dopo giorno, i missionari e i preti furono uccisi o cacciati, altri scapparono per evitare la furia vendicativa dei vichinghi costretti a sottomettersi ad un unico Dio, quei vichinghi che non si erano mai unificati, pur avendo viaggiato per il mondo in lungo e in largo, sotto un comando unico. Il Cristianesimo venne scacciato, e rimase solo come ricordo nei racconti, e il culto degli dèi ripristinato. Il mondo dei vichinghi divenne un altro mondo, cui è possibile accedere solo attraverso la Foresta di Eid, luogo in cui la barriera che separa i due mondi è più flebile. Ma questo già lo sapevi!››.

Finngalk si rimise in bocca la pipa e nella stanza calò il silenzio. Inge era tornata per sistemare le ultime cose, era stata in loro compagnia per un po’, poi aveva augurato la buonanotte. Anche Azaki s’era congedato, scusandosi d’essere troppo stanco per restare ancora alzato. Hyoga si appoggiò allo schienale della sedia, lasciando penzolare le braccia.

‹‹La Foresta di Eid…›› mormorò soprappensiero. ‹‹È possibile per chiunque attraversare il Confine?››

‹‹No›› rispose telegraficamente Finngalk, dopo una lunga aspirata. Pigiò l’indice nel fornello della sua pipa, e riprese a fumare. ‹‹Può attraversare il Confine solo chi è degno, e che naturalmente sappia dove cercare!››.

‹‹Solo chi è degno›› ripeté Hyoga, sempre più assente.

‹‹Cosa ti preoccupa?›› disse Finngalk alzando le spalle. ‹‹Sei stato altre volte nella Terra degli Dèi, pensi forse di non riuscire più ad attraversare il Confine?››.

‹‹Net…No, no…››. Hyoga si sporse sul tavolo, e tamburellò con le dita. ‹‹A dir la verità, sono rimasto stupito della storia che mi ha raccontato… In effetti, sono un po’ preoccupato…››.

‹‹Comportati normalmente, Balakirev. Ciò che ti ho detto deve esserti di aiuto, non deve crearti problemi››.

Hyoga annuì gravemente, poi si schiarì la gola.

‹‹Ho un’altra domanda, herr Arranskoski››.

‹‹Finngalk. Non essere così formale: io sono un amico››.

‹‹Sì…Vorrei sapere, Finngalk, come fate a sapere tante cose sul mio conto…se è lecito››.

Il lappone prima sorrise, poi rise.

‹‹Ti dirò che ho conosciuto Mitsumasa Kido, all’epoca in cui viveva il famoso re Njörðr d’Ásgarðr. Eravamo grandi amici, e mi sono dispiaciuto molto per la sua scomparsa prematura. Era un grande uomo, generoso e intelligente››. Finngalk sospirò. ‹‹Njörðr non era molto interessato ai rapporti col nostro mondo, per lui contavano soprattutto il mare e le guerre. Lui era un vero condottiero vichingo, ma sua moglie, la regina Skaði, s’impegnò anima e corpo per consolidare i legami tra Ásgarðr e… diciamo pure, il Santuario di Grecia. L’unione di queste due grandi potenze avrebbe costituito un solido baluardo contro le forze del male, una coalizione di fondamentale importanza per il mantenimento di un sottile equilibrio di pace…mondiale. Ora le cose sono cambiate molto, ma quando Mitsumasa e la regina Skaði s’incontravano qui, saranno passati più di vent’anni, al Santuario regnavano ancora l’odio e la bramosia di potere assoluto››.

‹‹Al Santuario era Grande Sacerdote Saga, l’usurpatore del titolo e l’assassino di Sion›› precisò Hyoga. ‹‹Lady Saori era già nata, allora…››.

‹‹Sì, certo›› annuì Finngalk col sorriso. ‹‹Compì cinque anni il giorno in cui fu suggellata l’alleanza tra Ásgarðr e il Santuario. Hilda era anche lei una bambina, appena sette anni. Mitsumasa e Skaði erano entrambi consapevoli dell’importanza che avrebbero avuto, in futuro, le due bambine. L’erede della famiglia Kido e la primogenita dei Signori d’Ásgarðr avrebbero dovuto continuare il lavoro dei loro predecessori, un compito difficile, tu lo sai bene››.

‹‹Sì, davvero difficile››.

‹‹Ho incontrato per la prima volta Saori quand’era appena quindicenne, e già allora aveva lo stesso cipiglio autoritario di Mitsumasa, una piccola grande donna, se posso dirlo››. Sorrise. ‹‹Ho capito subito che sarebbe stata all’altezza dei gravosi incarichi che avrebbero pesato sulle sue spalle. In quell’occasione, Mitsumasa mi parlò anche di voi››.

‹‹Di noi?››.

‹‹Dei giovani guerrieri che sarebbero stati i protettori di Saori…Atena››. Finngalk fece una pausa, posò la pipa ormai spenta sul tavolo. ‹‹So di voi ciò che mi ha detto Mitsumasa prima, e Lady Saori poi. Non molto in verità, ma è sufficiente. Non sono un tipo curioso››.

Hyoga aggrottò la fronte, incrociando le mani sul tavolo. C’erano veramente molte cose che non sapeva, su Saori, sul vecchio Kido, su Ásgarðr. Avrebbe voluto parlare ancora ma Finngalk decise che il tempo per parlare era finito.

‹‹S’è fatto tardi, Hyoga Balakirev. Ti vedo perplesso, è meglio che tu ci dorma sopra! Domani ti aspettano parecchie ore di viaggio, dormire poco non ti sarà di grande aiuto››.

‹‹Ma ho ancora molte cose da chiedervi!›› disse Hyoga precipitosamente, cercando di trattenere il lappone che si era alzato.

‹‹Non temere, andrà tutto bene. Mi sembri un giovane in gamba, non uno sprovveduto. Ma adesso dormiamo, perché non ho nient’altro di importante da dirti››.

La notte passò veloce, sgombra d’incubi e di riflessioni. Hyoga s’addormentò profondamente, nonostante le perplessità suscitate dalla discussione di fine di serata che lo avevano accompagnato fin sotto le coperte. Si svegliò riposato, godendo lo spettacolare paesaggio montano dopo l’abbondante nevicata notturna.

Inge aveva preparato un’abbondante colazione e gli fornì uno spuntino per il pranzo.

Sarebbe dovuto partire presto, per arrivare ad Ásgarðr nel pomeriggio, ma insistette per aiutare Finngalk e gli altri uomini a sgombrare strade e abitazioni dalla neve.

‹‹Non importa, ragazzo!›› continuava a dire Finngalk. ‹‹Ti aspetta un lungo cammino, non puoi permetterti di perdere tempo!››.

‹‹Se non sbaglio, impiegherò poco più di un’ora per arrivare alla Foresta di Eid, a cavallo. Poi una volta superato il Confine, con tre orette di marcia serrata, forse meno, sarò alle porte d’Ásgarðr! Nessun problema, quindi! Mi avete offerto vitto e alloggio, lasciate che mi sdebiti in qualche modo!››.

Lavorarono sodo e quando furono soddisfatti, Finngalk sellò uno dei suoi cavalli migliori e fissò lo zaino di Hyoga.

Azaki era rimasto per tutta la mattina al caldo, nella casa degli Arrankoski, e uscì solo per un breve saluto.

‹‹Allora buon viaggio, Balakirev-san, e buon lavoro! Al vostro ritorno, Finngalk vi darà il mio recapito a Östersund. Arrivederci a presto!››. S’inchinò e si rintanò nuovamente in casa.

‹‹Mi dispiace, Hyoga›› si scusò ancora Finngalk. ‹‹Non sarà facile arrivare ad Ásgarðr a piedi, ma ho davvero bisogno di tutti i miei cavalli!››.

‹‹Non vi preoccupate per me, Finngalk›› sorrise Hyoga. ‹‹Avevo già programmato di dover camminare per l’intero tragitto. Quando sarò arrivato al Confine, lascerò libero il cavallo e spero davvero, come dite, che tornerà verso casa da solo, o morirà assiderato››.

‹‹Tornerà, te lo assicuro. Buon viaggio!››.

Le imperiose montagne innevate s’avvicinavano con estrema lentezza mentre il cavallo di Hyoga percorreva faticosamente un sentiero ingombro di neve fresca. La strada, rialzata di qualche metro, costeggiava le anse tortuose di un fiumiciattolo ghiacciato, dalle cui sponde s’alzavano spogli alberelli, con gli esili rami spolverati di bianco, ed era bordata da un lato da un’alta parete rocciosa lucida e liscia per l’acqua gelata, addobbata con lunghe stalattiti di ghiaccio.

Accompagnato dallo sciacquio flebile dall’acqua, Hyoga s’inoltrò nella Foresta di Eid, nella sua folta vegetazione di sempreverdi appesantiti dal peso della neve che, di tanto in tanto, piombava a terra con un sordo rumore. Era da poco passato mezzogiorno quando si fermò per pranzare sulle sponde di un laghetto, ai piedi di un’alta parete.

Il Confine era lì vicino, lontano appena una trentina di metri. Si rimise lo zaino sulle spalle e lasciò libero il cavallo, fissando le redini alla sella, lente ma in modo che non rischiassero d’impigliarsi. L’animale senza aspettare, prese la via di casa, avviandosi trottando sul sentiero, e presto sparì alla vista.

Hyoga cercò il punto di Confine, due abeti dritti, cresciuti vicini, una sorta di porta immaginaria. In realtà non avevano niente di diverso dalle centinaia d’abeti che crescevano allo stesso modo in tutta la Foresta ma quelli, per chi sapesse cosa cercare e dove andare, pur non avendo niente di particolare, erano sicuramente caratteristici e inconfondibili.

Solo chi è degno…

Dopo tutto quello che gli aveva detto Finngalk la sera prima, il suo gesto sarebbe potuto sembrare azzardato ma Hyoga tirò fuori la Croce del Nord, la bellissima croce d’oro incastonata di gemme che gli aveva donato sua madre, e pregò. Poche parole bastarono a rincuorarlo, e gli infusero un po’ di coraggio per affrontare quella prova. Nascose la croce sotto il maglione, attraversò gli alberi, sperando d’essere ritenuto degno, ancora una volta, di passare il Confine.

Sentì solamente un alito di vento tiepido, insolito in quel grande freddo. La Foresta intorno a lui non era cambiata ma, uscendo dal folto intrigo che tutto nascondeva alla vista, poté finalmente ammirare in lontananza l’enorme complesso della fortezza di Ásgarðr, in netto contrasto con le cime dell’imponente catena montuosa che si estendeva alle sue spalle, un’elevata e impervia protezione naturale indefinitamente lunga, della quale non si scorgeva ad occhio nudo inizio o fine.

Hyoga si fermò al limitare della Foresta di Eid, indugiando nella contemplazione di quello che sembrava, ai suoi occhi, una vera e propria proiezione architettonica della potenza divina.

La roccaforte d’Ásgarðr, costruita su una piccola altura, spiccava su Iðavöllr, l’ampia pianura che circondava la cittadella facendola apparire come un’isola edificata su un mare bianco e immacolato. Anche da quella distanza, s’intravedevano le tremende rupi scoscese che da tempo immemorabile delimitavano e proteggevano la dimora degli dèi, impedendone l’accesso ai nemici. Dall’oscurità di quelle rocce aguzze, pronte ad inghiottire gli sciagurati che osassero tentare un assalto suicida alla cittadella, s’innalzavano e si protendevano alti verso il cielo gli imponenti bastioni, colossale opera di difesa, costituiti da una parte inferiore a scarpata e da una superiore verticale. La cinta muraria esterna, di forma poligonale, un’alternanza di torri e camminamenti, racchiudeva una vasta area occupata in gran parte dal piccolo villaggio sorto nella parte inferiore della cittadella e separato dalla parte superiore da una seconda cinta muraria, invisibile in lontananza. In mezzo alla moltitudine di edifici ammassati all’interno delle mura, salendo verso la parte più alta della cittadella, lo sguardo di Hyoga si posò sul magnifico palazzo, la dimora dei Signori d’Ásgarðr, che risaltava per il contrasto nitido tra le pareti di pietra rossa e il colore metallico dell’ardesia che rivestiva il tetto, appena visibile sotto la coltre nevosa tinta del rosso del tramonto.

Riempiendosi gli occhi della celestiale visione, Hyoga s’incamminò, ben deciso a non concedersi altre soste.

 

 Note:

  1. Buona fortuna (vsiegó tiebié choróščiego)
  2. Fornminne significa ‹‹ vestigio di tempi antichi››, ed è una località non esistente.
  3. Signore (herr)