CAPITOLO XII

Padrona del suo destino

L

a sala dove fu servito il nàttverðr era spaziosa, riscaldata, e ben illuminata dalla fila di torce sistemate lungo le pareti. Il loro fumo si univa a quello dei due camini e usciva da una delle finestre lasciata aperta sul fondo.

Il salone, al pianterreno e non molto lontano dalla Válaskjálf, misurava più di quaranta passi in lunghezza e almeno quindici in larghezza. Sul soffitto era bene in vista il sistema di travi di legno finemente intagliato e, alla parete che fronteggiava le finestre, erano stati appesi quattro meravigliosi arazzi che ritraevano scene del mito.

Seguendo le disposizioni di Freija, tre lunghe tavole erano state disposte nel senso della lunghezza della sala mentre la quarta, molto più piccola delle altre, era opposta alla parete su cui si aprivano le due porte d’ingresso. Era il tavolo dei signori d’Ásgarðr, apparecchiato su un lato e solo per quattro.

Sempre a braccetto con Hilda, Hyoga attraversò la sala a testa alta, diretto alla tavola piccola, con lo sguardo fisso su Freija. Lei era già seduta e non sostenne il contatto visivo, preferendo girare la testa per un saluto veloce all’indirizzo di qualcuno seduto agli altri tavoli. Hilda la Grande Sacerdotessa e la principessa Freija sedettero al centro. Alla destra di Hilda, c’era Hyoga, il Landvarnarmaðr, e alla sinistra della principessa stava Freyr, abbigliato di una sgargiante tunica rossa.

Negli altri tre tavoli regnò la confusione, perché gli invitati discussero a lungo prima di decidere dove sedersi. Alla fine, i re, gli jarls assieme ai campioni delle loro hirð, e tutti gli altri invitati che non avevano partecipato al Consiglio ma che erano presenti per il fatto d’essere personaggi importanti, riuscirono ad accomodarsi. Finalmente i thraells entrarono nella sala, tra gli applausi e le grida d’approvazione, e cominciarono ad imbandire le tavole. La sala si riempì dell’odore del pesce e della carne arrostita, mentre il vociare si accentuò aiutato dalle grandi quantità di birra consumate, alle quali bisognava aggiungere vino e idromele.

Durante le feste conviviali, i padroni di casa vichinghi dovevano offrire i cibi migliori che si potevano permettere, e i signori d’Ásgarðr rispettarono egregiamente questa tradizione.

Gli uomini che avevano partecipato al Consiglio mangiavano e bevevano senza remora, e di sicuro avrebbero finito la serata sulla paglia stesa sul pavimento, ubriachi. Le poche donne cicalavano e sghignazzavano, preoccupate più di parlare che di mangiare.

Hyoga si servì di carne da uno dei vassoi e la azzannò accompagnandola con grossi bocconi di pane. La sacerdotessa mangiò poco, soprattutto pesce, ma nel suo boccale non mancava mai il vino. Freija era allegra. Non riusciva a vederla ma la sentiva ridere. Di tanto in tanto, spuntava la sua mano bianca ed esile che spiluccava nel piatto un morso di carne o un pezzetto di formaggio. Più in là, invece, Freyr non alzava mai la faccia dal piatto, un cosciotto in una mano, il corno con la birra nell’altra, la bocca sempre piena.

Nel resto dei tavoli, gli ospiti mangiavano e si divertivano. La sala era piena del rombo confuso di troppe voci che parlavano contemporaneamente, tra le quali spiccava quella baritonale di Sveigdir. Ogni tanto s’udiva la risata aspirata e squillante di una donna che non conosceva.

Sigtrigg e Hardradi erano seduti uno di fronte all’altro, e si litigavano persino il cibo e la birra, così pure il piccolo gruppo di guerrieri dei loro equipaggi, seduti vicino a loro. Óðr di Vanaheimr si distingueva perché era l’unico vestito di chiaro. Di fianco a lui c’era Víkarr, e gli altri jarls norvegesi, seduti allo stesso tavolo, sembravano tenerlo in gran conto. Mikka e i Lodbrok si disinteressavano degli altri, e delle buone maniere, e facevano i loro comodi.

Hyoga vagò con lo sguardo per la sala, lungo le tavole affollate, e riconobbe tutti gli uomini che avevano partecipato al Consiglio. Oltre a loro erano presenti molti altri personaggi sconosciuti, partendo dai campioni delle hirð, facilmente riconoscibili per la spontaneità dei modi spiccioli da campo, fino ad arrivare agli jarls d’Ásgarðr, di maniere più raffinate ma stereotipati.

Senza qualche indicazione più precisa sul suo aspetto, non avrebbe mai potuto indovinare quale fosse, tra tutti quegli uomini d’ogni età, il misterioso jarl Leif. Soffiò aria tra i denti, rendendosi conto di quanto fosse patetico il suo comportamento, non giustificato nemmeno dalla curiosità.

‹‹Cosa stai guardando con tanta attenzione?›› domandò Hilda sfiorandogli una mano.

‹‹Niente di particolare››.

Uomini e donne, finito lo strabiliante banchetto, si erano abbandonati alla musica, con Hilda che si mise a danzare prima di tutti con Óðr. Molti si fermarono da Sigval Thorgilsson, lo scaldo mezz’elfo d’Ásgarðr, che narrava una meravigliosa leggenda. Hyoga restò a lungo ad ascoltarlo, incantato dalla sua voce melodiosa e dai suoi modi raffinati. Quando li raggiunse, qualche tempo dopo, Hilda li presentò e Hyoga poté finalmente conoscere il mezz’elfo.

Non appena riuscì a liberarsi dall’insistenza di alcuni ospiti, Freyr girovagò alla ricerca della ragazza che aveva visto parlare con sua sorella quella mattina. Finalmente la vide, seduta assieme ad altre donne.

‹‹La tua bellezza oscura quella di tutte le altre donne, proprio come il sole splendente nasconde le stelle al mattino!››.

La ragazza alzò gli occhi senza fretta. In un attimo, le donne lì vicino, non molte per la verità, cominciarono a bisbigliare, lodando la bellezza e le maniere garbate del principe. Soltanto la ragazza sembrava insensibile al fascino dell’uomo e gli rispose con calma e senza arrossire.

‹‹Sei gentile, ma lascia che ti ricordi che la meraviglia del sole dura soltanto il dì, poiché, come ogni notte, le stelle tornano a splendere››.

‹‹Eppure l’uomo di rado osserva le stelle, poiché col buio si corica nell’attesa del giorno che deve venire. Quindi, è sempre alla ricerca del sole… ››.

‹‹Una volta ho letto di un uomo che voleva raggiungere la stella del giorno e, per lo scopo, si costruì un paio di ali di cera. Volò in alto, perché voleva toccarlo, ma le sue ali si sciolsero ed egli cadde, rimpiangendo il momento in cui decise d’osare tanto, e morì››.

Gerðr fissò Freyr dritto negli occhi e sorrise. Tutt’intorno, le donne li ascoltavano e, sebbene la maggior parte di loro non avesse ben compreso lo scambio di battute, erano tutte concordi nel pensare che la principessa Gerðr stesse cercando di evitare le attenzioni del suo corteggiatore.

Freyr, stupito dell’atteggiamento aggressivo, si trovò impreparato a controbattere. Si contavano sulla punta delle dita le occasioni in cui aveva tentato di parlare con le donne. Era facile per lui ammaliarle con uno sguardo languido e farle cadere ai suoi piedi prima ancora di dire una parola oltre al saluto. Ma era pur vero che fino allora aveva conosciuto soprattutto prostitute che accompagnavano gli eserciti e serve che lavoravano nella cittadella. Quella ragazza, invece, eludendo i suoi complimenti, rifiutava apertamente la sua corte ed era l’unica, perché si accorgeva di avere su di sé lo sguardo incantato delle altre donne presenti.

Forse avrei dovuto chiedere di lei a Freija prima di cacciarmi in questo pasticcio, si disse lisciandosi il mento senza però mostrarsi preoccupato.

La situazione non gli era congeniale, certo, ma Freyr non poteva rinunciare perché, dal momento in cui l’aveva vista, era rimasto affascinato. Non ricordava d’averla mai vista, perché era sicuro che si sarebbe ricordato di quei ribelli riccioli ramati e degli allegri occhi chiari dalle lunghe ciglia. Avrebbe potuto lasciarla andare per cercare un’altra che si facesse corteggiare con meno ritrosia, ma la realtà era che lei l’aveva incantato.

‹‹Se ti può essere di consolazione, non era mia intenzione arrivare a tanto. Volevo solo parlarti e conoscere il tuo nome. Io sono…››.

‹‹So chi sei, principe Freyr›› lo interruppe lei, alzando un sopracciglio e stringendo le labbra, evitando in quel modo di sorridere. ‹‹Non occorre che ti presenti, poiché, in tutti i regni, tutte le donne ti conoscono. Nonostante io venga da molto lontano, anche nella mia terra si parla della tua bellezza. Sei quasi una leggenda, la tua fama ti precede››. La sincerità di Gerðr era disarmante e Freyr si trovò sempre più in difficoltà.

‹‹Spero avrò modo di dimostrare che sono reale, se me ne darai l’opportunità››.

‹‹Ma io ti conosco già. La cosa divertente, in quest’incontro, è che tu non hai ancora riconosciuto…››.

Gerðr gli sorrise ma Freyr corrugò la fronte. ‹‹Se ti conoscessi, mi ricorderei di te. Una donna così bella non si dimentica››.

‹‹È passato molto tempo dal nostro ultimo incontro…››.

Restarono in silenzio, a fissarsi, ignorando il viavai chiassoso che li circondava. Gerðr era rimasta seduta mentre Freyr le stava di fronte, con un’espressione meditabonda.

‹‹Ti serve aiuto, sorella?››.

Litr aveva assistito all’incontro da lontano e, da bravo fratello, voleva assicurarsi che quell’uomo non stesse importunando sua sorella. Posò una mano sulla spalla dello sconosciuto per farlo girare ma riconobbe Freyr e impallidì.

‹‹Freyr?!›› balbettò impacciato chinando la testa. ‹‹Mi dispiace, signore. Vi ho visti parlare da laggiù, non ti avevo riconosciuto… Sono spiacente››.

Freyr alzò una mano per farlo smettere. ‹‹Nessun problema…››. Capiva il sentimento di protezione che lo aveva mosso, lo stesso che lo spingeva a vigilare su Freija. Poi sgranò gli occhi, e restò immobile con l’indice puntato verso il ragazzo.

‹‹Sei Litr›› disse. ‹‹Litr, figlio di Gymir della Stirpe delle Montagne…››.

Il ragazzo gonfiò il petto, orgoglioso d’essere stato riconosciuto. Freyr, infatti, era sulla bocca delle fanciulle che lodavano la sua bellezza, ma era pure preso come modello dai giovani, che sentivano narrare delle sue glorie militari e desideravano assomigliare a lui, in tutto e per tutto.

‹‹Sì, sono Litr››.

‹‹Che Þórr mi fulmini!›› esclamò il principe incredulo. ‹‹Gerðr?!››.

‹‹In carne e ossa›› sorrise lei.

‹‹Più carne, direi!›› si lasciò sfuggire Freyr. ‹‹È passato molto tempo davvero, ma l’ultima volta che ti ho visto eri tanto secca da far spavento…adesso…insomma è tutto ben distribuito! Nessuno ti avrebbe riconosciuto!››.

Gerðr gonfiò le guance, offesa e imbarazzata, e incrociò le braccia sul petto. ‹‹Freija l’ha fatto!››.

‹‹Freija è una donna›› obiettò Freyr muovendo una mano e scambiando uno sguardo d’intesa con Litr.

‹‹Sta attento, principe, perché mia sorella morde!›› avvertì il figlio di Gymir.

‹‹Sì, ›› assentì Freyr lanciando un’occhiata a Gerðr, ‹‹tua sorella sa difendersi perfettamente da sola, me l’ha appena dimostrato››. La ragazza si vergognò un po’, ma non distolse lo sguardo fiero da quello di Freyr.

Litr scosse la testa. ‹‹Gerðr è sempre stata una ragazza grintosa e ribelle. Mio padre ha rinunciato da tempo a trovarle un marito perché ha respinto tutti i pretendenti, uno dopo l’altro››.

Gerðr spalancò la bocca e protestò ma Freyr sembrava divertito.

‹‹Tu lo sai, Litr, ›› gli disse Freyr all’orecchio, ‹‹che i cavalli migliori sono quelli che danno più da fare!››.

‹‹Penso che le gioverà passare un po’ di tempo con te›› rispose Litr. ‹‹Forse potresti addolcirla e farle capire che, per una donna, non è bene fare la sostenuta quando un uomo la corteggia››.

‹‹Adesso basta!››. Gerðr si alzò in piedi sbuffando. ‹‹Non ha bisogno dei tuoi consigli, Litr. Sei pregato di andartene: riuscirò a tenere testa a Freyr anche senza intermediari!››.

‹‹Sarai accontentata›› rispose Litr alzando le mani. S’inchinò a Freyr che lo fece sollevare e gli tese invece una mano.

‹‹Non essere così formale, Litr. Se sarò fortunato, forse un giorno saremo parenti››.

Litr annuì e ricambiò la stretta. ‹‹Lo spero proprio, Freyr! Mio padre sarebbe felice!››

‹‹Bene!›› gli disse Freyr con una strizzata d’occhi. ‹‹Allora io e Gerðr prenderemo una boccata d’aria, così potremo parlare in tranquillità!››.

L’aria era pungente e, prima d’uscire nel grande giardino interno, Gerðr si buttò sulle spalle un pesante scialle di lana. Freyr l’aveva presa sottobraccio, ma era stranamente teso e non disse una parola durante il tragitto che, attraverso l’enorme salone, li condusse all’aperto. Per non tradire l’emozione al sentirla così vicina, fingeva indifferenza nei suoi confronti, e nascondeva l’imbarazzo trattandola come una delle tante cadute tra le braccia. Sentiva appena il contatto col braccio di lei ma non osava stringerla di più, perché Gerðr era di corporatura minuta, e magra nonostante le rotondità.

Lasciò il braccio di Gerðr e si appoggiò ad un muretto di pietra, inspirando profondamente, fissando per un po’ il buio davanti a sé, ancora senza guardarla. Pensò che se Gerðr l’aveva seguito, se si era fatta condurre nel giardino, lontano dal frastuono della festa, allora forse poteva sperare di riuscire a parlarle con maggior tranquillità. Era convinto che lei l’avesse tenuto a distanza perché, con buona probabilità, si era trovata in imbarazzo per la presenza delle altre donne, e anche del fratello. Ora erano soli e non gli avrebbe risposto sgarbatamente ma, come doveva fare ogni ragazza bene educata e rispettosa, sarebbe stata docile e contenta del fatto che lui provasse interesse. Non l’avrebbe baciata, questo no, perché non voleva certo svergognarla. Le avrebbe parlato come si conviene, senza precipitare le cose, perché per la prima volta nella sua vita si sentiva innamorato. Dopo tutti quei pensieri, si sentì pronto per affrontarla nel migliore dei modi con una strategia pronta in testa che considerava infallibile nella pratica. Respirò profondamente e si sporse verso di lei, sfoggiando un ampio sorriso.

‹‹Finalmente soli›› disse con occhi radiosi.

Gerðr gli mollò un ceffone che lo lasciò a bocca aperta per lo stupore.

‹‹Cosa ti salta in mente?›› gridò lei. ‹‹Presuntuoso che non sei altro! Cosa ti fa credere con tanta sicurezza che voglia impelagarmi con te?››.

Freyr si portò una mano alla guancia bruciante e, sebbene non avesse visto anima viva, nessuno mai sarebbe uscito all’aperto con quel freddo, si guardò attorno per assicurarsi che fossero davvero soli.

‹‹Pensi che tutte le donne cadano ai tuoi piedi solo perché fai loro un complimento, o un bel sorriso?››. Gerðr era furiosa e parlava velocemente, senza lasciargli il tempo di controbattere. ‹‹Credi che ti ammiri, o che sia stata ammaliata dai tuoi begli occhi? Sei bello, è vero, ma non credere che la bellezza sia sufficiente per far innamorare una donna. Ci vuole ben altro, per quanto mi riguarda: cose di cui non sai il significato, come la modestia e la riservatezza. E, tra le altre cose, come ti permetti di abusare della tua fama e autorità per accattivarti la simpatia di quel bietolone di mio fratello? È stato scorretto coinvolgerlo in questa faccenda che è una questione privata tra me e te!››.

Freyr subì la sfuriata isterica mentre si massaggiava la guancia.

‹‹Allora abbiamo qualcosa da dirci, se è una questione privata!›› sghignazzò. ‹‹Volevo ben dire!››.

‹‹Meriteresti un altro schiaffo!›› minacciò Gerðr agitando una mano. ‹‹Così impari a parlare come si deve! Hilda non sarebbe per niente contenta se ti sentisse!››.

‹‹Qualcosa hai imparato nel periodo che hai vissuto qui, ad essere noiosa come Hilda. Ah!, se tu fossi diventata dolce come Freija, invece!››.

‹‹Ho preso il meglio da entrambe!›› si difese lei, puntando i pugni sui fianchi.

‹‹Mi hai fatto male›› disse Freyr dopo un po’. ‹‹Sei minuta ma devo ammettere che sei forte››.

‹‹Ben ti sta!›› sbuffò Gerðr, arricciando le labbra. Poi la sua espressione s’addolcì. ‹‹L’hai meritato, per la tua sfacciataggine››.

‹‹A tutte le donne piacciono i complimenti, Gerðr! Non mi sembra male che un uomo ti lodi per la tua bellezza›› sbuffò Freyr. ‹‹Io l’ho fatto e non me ne pento››.

‹‹E, sentiamo, cosa vorresti in cambio per i tuoi complimenti? Oh, non mi guardare così, perché l’innocenza sul tuo volto stona! Gli uomini desiderano sempre qualcosa in cambio e non fanno niente senza uno scopo: non è forse per ricevere un compenso che mi hai portata qui, dove nessuno ci può vedere?››.

Freyr indietreggiò di un passo. ‹‹Cosa dici?›› si risentì. ‹‹Volevo solo parlare!››.

Gerðr le pareva bellissima e, se fosse stata un’altra donna a parlargli a quel modo, forse l’avrebbe già dimenticata, oppure avrebbe cercato di baciarla, perché per esperienza sapeva che le donne ritrose erano anche le più vogliose.

Sono stregato dall’unica donna al mondo che non mi vuole!

Gerðr gli stava di fronte e il suo volto allungato e pallido, illuminato dalla debole luce della luna, era quello d’un a donna che lo accusava d’essere un misogino, un uomo il cui unico scopo nella vita era adulare una donna in cambio d’un bacio o d’una notte d’amore. Forse era quello che si raccontava sul suo conto, ma era dispiaciuto soprattutto perché sapeva che l’idea che Gerðr si era fatta di lui era veritiera. Eppure, quella sera, sarebbe potuto restare con lei per ore senza chiedere altro che parlare, anzi, cosa ancora più difficile per lui da ammettere e da comprendere, sarebbe stato felice anche stando in silenzio vicino a lei.

Þórr mi fulmini! Quasi quasi comincio a capire gli strani ragionamenti di Hyoga sulle donne…

La sua confusione emotiva era, evidentemente, ben visibile sul suo volto stravolto e inebetito, e Gerðr non tardò ad accorgersi del repentino cambio d’atteggiamento.

‹‹Mi dispiace d’averti offeso›› si scusò. ‹‹Mio fratello, Litr, non ha mentito… Alle volte divento intrattabile, specialmente se mi sento mancare di rispetto. Ma… a pensarci bene, tu non l’hai fatto. Perciò, perdonami per le mie parole irriverenti››. Sorrise mostrando una tale innocenza e dolcezza che le si sarebbe perdonato qualunque cosa. ‹‹Per lo schiaffo però non ti chiedo scusa: quello te lo sei meritato!››.

Freyr rimase con gli occhi fissi a terra. ‹‹Forse non ho fatto torto a te, Gerðr, ma ad altre sì. Avevo bisogno di qualcuno che mi desse una scrollata, per farmi capire che, in effetti, mi comporto in maniera sfacciata e irrispettosa. Non ci avevo mai pensato, finora…››.

Dalle sale illuminate provenivano musica e voci, ma in quel momento sentirono soltanto il vento che soffiava e il lamento di un uccello notturno, nascosto tra il fogliame degli alberi. Gerðr si morse le labbra vedendo la costernazione sul volto di Freyr. Il principe aveva perso la sua sicurezza e si era fatto cupo e serio. L’aveva aggredito mentre lui avrebbe voluto semplicemente parlare, e aveva esagerato con le parole, cosa che le accadeva spesso.

‹‹In questo caso… scusami anche per lo schiaffo›› scherzò Gerðr cercando di strappargli un sorriso.

Freyr, in effetti, sorrise ma senza troppa convinzione. Stava meditando seriamente sul groviglio di emozioni che gli s’agitavano nella testa, cercando d’afferrare nella confusione delle idee un punto fermo che gli permettesse di ritrovare l’abituale sicurezza di chi non fallisce che sembrava smarrita per sempre nel confronto con quella ragazza dall’incredibile personalità. Non era abituato a riflettere sugli affari sentimentali, che non erano mai stati tanto complicati da richiedere dei ragionamenti complicati. Quelli erano pensieri che l’avrebbero tenuto impegnato per lungo tempo.

‹‹S’è fatto troppo freddo per stare fuori, torniamo dentro›› disse porgendole il braccio.

Hyoga, esausto per la lunga giornata e impigrito dal cibo e dalla birra, dopo aver ascoltato alcune leggende raccontate dallo scaldo, si era appartato in un angolo. Osservava gli invitati, ascoltava la musica, seguiva con attenzione gli spostamenti di Hilda, e soprattutto di Freija.

Era vestita di blu, con al collo una bella collana di tre fili d’oro intrecciati, e i capelli sciolti. Per tutto il tempo in cui l’osservò, non le si avvicinò nessuno che sembrasse lo sconosciuto jarl Leif, ma in effetti, avrebbero potuto esserlo tutti. Freija era sempre circondata da uomini che la salutavano, le sorridevano si complimentavano con lei, e Hyoga dal suo angolino li invidiava tutti. Era persino geloso di quelli che s’intrattenevano più a lungo degli altri.

Poi lo raggiunse Knut, da solo perché suo fratello Harald non lasciava mai il padre Sveigdir, e si unì a loro anche Hroðgar, figlio di Healfdene.

Hroðgar parlò molto della sua famiglia, delle gesta gloriose di suo padre Healfdene, dei suoi fratelli Halgar, jarl della Skáney e dell’Halland, e di Herald, che era appena diventato un soldato d’Ásgarðr. Non mancò di tessere le lodi di bellezza della sua promessa, Gyda figlia di Sveigdir. Knut non volle essere da meno. Lui aveva solo un fratello, Harald, ma aveva tre sorelle e cercava in tutti i modi di convincere Hyoga ad andarli a trovare. Voleva presentargli Thyri ed Estrid, tutte belle al pari di Gyda, cosicché egli avrebbe potuto sceglierne una e sposarla.

Hyoga si limitava a sorridere, sviando gli inviti senza offenderli. Hilda era sparita, innamorata della sua politica, e Freyr era corso dietro alla ragazza coi riccioli che sembrava sfuggirgli di continuo. Restò per lungo tempo con Knut e Hroðgar, gradendo molto la loro compagnia, e i due lo lasciarono solo quando si accorsero che la sua attenzione era tutta calamitata dalla principessa che, nel frattempo, si era unita a loro.

Molti jarls avevano cercato in tutti i modi di corteggiarla, ma Freija aveva trattato tutti con la stessa disinteressata gentilezza che rendeva meno amaro il rifiuto. Poi, stanca delle insistenti cortesie, si era allontanata regalando a tutti un bel sorriso. Aveva intravisto Hyoga, e senza far capire che lo aveva cercato per tutta la sera, lo aveva raggiunto. All’arrivo di lei, Hroðgar si comportò con naturalezza mentre Knut perse quasi la parola. Hyoga aveva smesso di ascoltare nel momento stesso in cui l’aveva vista camminare verso di loro. Hroðgar, non immune al fascino di Freija ma capace di resisterle per il fatto d’aver felicemente donato il cuore ad un’altra, riuscì a capire che, tra tutti i presenti in sala, il Landvarnarmaðr era l’unico che era riuscito a calamitare l’attenzione della principessa. Poco dopo li salutò, trascinò con sé Knut, troppo estasiato per accorgersene.

Quando rimasero soli, Hyoga ostentò un atteggiamento distaccato, indugiando con lo sguardo sugli arazzi per non essere costretto a guardarla. Appena lei gli parlò, con la sua voce gentile, smise di fingere indifferenza e si lasciò coinvolgere, perché era inutile nascondere o ignorare il suo interesse nei confronti di lei.

‹‹Questi abiti ti donano molto›› gli disse lei.

‹‹Grazie››.

Hyoga ringraziò con un sorriso, ma non si voltò. Era difficile intavolare un dialogo su un qualunque argomento, quando sentivano entrambi la necessità di chiarire la loro spigolosa situazione.

Freija l’aveva cercato proprio per questo motivo, per riuscire a spiegare le sue ragioni, perché era inutile nascondere la realtà. Purtroppo non poté farlo, perché Hyoga sperava ancora di poter capovolgere la situazione, e di poter soppiantare nel cuore di lei questo jarl. Questa sua convinzione derivava essenzialmente dal fatto di non conoscere nel dettaglio tutti i particolari della storia, perché niente era perduto fin quando lei non gli avesse assicurato che non aveva più alcuna possibilità.

Niente è perduto, pensò più volte in quella lunga pausa di silenzio. Fin quando non sentirò dalle sue labbra un rifiuto secco, fin quando esiterà, anche solo un momento, vorrà dire che per me c’è ancora qualche speranza!

‹‹Mi dispiace›› mormorò alla fine Freija. ‹‹Avrei voluto dirtelo di persona, ma mi è mancato il coraggio››.

Hyoga serrò le labbra e socchiuse gli occhi, inspirando profondamente.

Niente è perduto.

‹‹Sono stati densi di avvenimenti, questi ultimi giorni›› esclamò Hyoga con un lungo sospiro. ‹‹Ma la serata è cominciata nel migliore dei modi, sta andando tutto bene, e nessuno può prevedere come finirà!››.

Freija aveva previsto una reazione diversa, quindi si stupì, e intuì che Hyoga non voleva affrontare l’argomento. In effetti, quello non era il momento migliore.

‹‹Abbiamo concluso felicemente le trattative con gli alleati e con condizioni soddisfacenti per tutte le parti in causa›› tergiversò lui. ‹‹Temevo di fallire, anche se il mio apporto è stato misero, ma ho confidato nelle mie possibilità, e ciò che mi sembrava impossibile si è invece realizzato››. Si grattò il mento. ‹‹Mi è piaciuto partecipare al Consiglio, mi hanno trattato tutti come loro pari…diciamo che alla fine l’hanno fatto…ma è stato gratificante! Questa piccola soddisfazione mi ha rincuorato, Freija. Stasera potrei riuscire in qualunque impresa, anche la più disperata›› azzardò lui, fissandola intensamente.

‹‹Sì›› si complimentò lei, arrossendo leggermente. ‹‹Ho sentito parlare bene di te, sono tutti entusiasti. Non dev’essere facile trattare con i re e gli jarls, sono sempre molto diffidenti… Nonostante tutto, Hilda non ha sbagliato nemmeno stavolta…››.

‹‹Anch’io le ho detto che avrebbe dovuto scegliere qualcun altro per questo ruolo, ma lei ha creduto in me››. Hyoga guardò l’anello del Landvarnarmaðr, poi fece un sospiro triste. ‹‹Quel che è fatto è fatto, ormai››.

‹‹Non volevo dire che dubitavo di te…›› balbettò lei presa dal panico.

‹‹Net, non l’hai detto ma l’hai pensato›› scherzò Hyoga.

Non era davvero gentile che lei dubitasse sulle sue capacità, soprattutto per quello che sapeva di lui, e nemmeno che lo dimostrasse così apertamente. Hyoga però le sorrideva, con le fossette sulle guance, con gli occhi, e sorrideva solo perché poteva parlare con lei.

‹‹Sono felice d’essermi sbagliata, allora›› si corresse lei nel tentativo di riprendersi dall’imbarazzo. ‹‹Hilda e Lady Saori saranno orgogliose di te!››.

‹‹Non è la loro attenzione che vorrei, ma la tua››.

Lei scosse la testa. ‹‹Ma ce l’hai!›› rispose cercando di riprendere il controllo. ‹‹Ho dimenticato tutti gli altri ospiti per venire qui da te›› scherzò.

‹‹Anche quello jarl?›› chiese Hyoga.

Lei lo fissò un momento poi girò gli occhi e strinse le labbra.

‹‹Parliamo d’altro, Hyoga…Non è il momento››.

‹‹Quand’è il momento allora?››.

Hyoga si avvicinò di un passo, parandosi proprio di fronte a lei, e Freija cominciò a guardarsi attorno nervosamente. Non le importava che la vedessero parlare con Hyoga. Lei era la principessa e lui il Landvarnarmaðr, era una cosa normale che discutessero, magari del Consiglio appena concluso, eppure non voleva rischiare d’insospettire lo jarl. Si sentiva in colpa, anche se solo parlava con lui, come se stesse cedendo ad una tentazione pericolosa.

‹‹Non è adesso, c’è troppa gente che ci guarda›› disse Freija infine.

‹‹Stiamo solo parlando, Freija. Non ti posso neanche parlare?››.

Freija fece un passo indietro, aumentando un po’ la distanza. Potevano parlare, certo, ma lei temeva la gelosia di Leif che in quel caso, come in altri, sarebbe stata fuori luogo. Invece, non si spiegava l’imbarazzo e il disagio che provava quando Hyoga le era vicino. Si convinse che, se avesse mantenuto la calma e avesse messo in chiaro la situazione in modo definitivo, Hyoga avrebbe desistito. Dunque si sforzò di sembrare assolutamente convinta delle sue idee, salda nella decisione di voler interrompere il loro confuso rapporto, ma il tremolio della sua voce rivelò che, in fondo al cuore, non voleva che lui smettesse di corteggiarla in maniera così riservata, come sembrava che stesse facendo.

‹‹Hai la mia stima, ma non posso dare di più…››.

‹‹...una speranza…››.

Disperata perché sembrava incapace di rifiutargli qualcosa, Freija chiuse gli occhi come se volesse cercare di non vedere a chi voleva negare persino la speranza.

‹‹Sai che non posso…›› mormorò dispiaciuta.

‹‹Non so proprio niente…›› si lamentò Hyoga con un mormorio. All’istante sparì dal suo volto il bel sorriso e con lui scomparve anche ogni traccia di determinazione. ‹‹Una volta, qualcuno ha detto che l’amore è una rivelazione, l’espressione naturale e involontaria del raggiungimento della pace dell’anima›› citò Hyoga. ‹‹Nessuno può decidere, da un giorno all’altro e con leggerezza, chi amare e chi dimenticare, non è possibile. Io non ci riesco! Ho perso una gara dove non c’è altro premio, per il secondo arrivato, se non la delusione, ma mi è rimasta la lucidità necessaria per non ignorare i miei principi, e credo tu mi conosca abbastanza per sapere quanto sono profondi e inattaccabili››. Fece una lunga pausa, passandosi una mano sulla fronte corrugata, poi sorrise amaramente mentre appariva sul suo volto l’ombra della disillusione, l’ultimo appiglio per un uomo che dalla vita non si aspettava nulla di buono e che mai l’aveva fatto. ‹‹So che sembra retorico ma…se tu sei felice, allora lo sono anch’io››.

Non sta mentendo…

Freija s’illuminò in viso di una nuova consapevolezza. Percepiva lo sforzo di Hyoga nel pronunciare quelle parole e le vennero i brividi al solo pensiero che poteva esistere un sentimento di una tale forza e purezza da spingere un uomo a gioire per la persona amata, pur non essendo lui l’oggetto della sua felicità.

‹‹Voglio che tu faccia un cosa per me, vuoi?›› chiese Hyoga quasi implorante. ‹‹L’ultimo desiderio del condannato…››.

Freija tenne lo sguardo basso, per non rischiare di scoprirsi troppo. Avrebbe fatto più di una cosa per lui, ma non era conveniente che si mostrasse troppo disponibile nei suoi confronti, adesso che Hyoga sembrava convinto dell’impossibilità di rimediare alle ferite sentimentali ricucite male dal passare del tempo.

‹‹Cosa?››.

‹‹Vorrei passeggiare, prendere una boccata d’aria fresca. Vuoi accompagnarmi?››. Freija esitò e lui, in un gesto infantile e innocente, la prese per mano. ‹‹Solo due passi…›› disse allegramente.

Per risposta, lei si ritrasse di scatto, turbata dal fugace contatto che fu sufficiente a riportarla alla realtà, mentre nella sua mente stavano prendendo forma pensieri nuovi, o forse erano ricordi dovuti al confondersi d’eventi del passato e del presente.

‹‹È meglio di no›› si scusò incrociando le mani sull’addome, col preciso intento di convincersi a resistere all’invito.

Rimasero fermi, uno di fronte all’altra, e Freija era assorta al punto di non rendersi conto di quello che stava per accadere se non quando fu tardi.

Hyoga, deluso ancora una volta, strinse la mano, strofinandosi il palmo con le dita e le dita col pollice, nervosamente. Quello forse era il rifiuto secco che non voleva sentire, un po’ incerto forse, ma indicativo del fatto che Freija volesse ridurre al minimo i contatti con lui.

Poi sentì il tocco di una mano sulla sua spalla e con uno strattone violento fu costretto a voltarsi.

‹‹Cha!›› esclamò sorpreso.

Si trovò di fronte un uomo dai capelli cortissimi e neri che portava barba e baffi ben curati. Le percezioni di Hyoga, forse per lo sforzo d’indovinare i sentimenti reali della principessa, forse per il fatto d’aver sviluppato in quegli anni di allenamenti e battaglie una sensibilità superiore, erano amplificate al punto che ebbe la sicurezza di sapere chi era l’uomo che lo guardava, dal basso in alto, con aria di superiorità prima ancora che Freija lo chiamasse.

‹‹Leif… calmati, per favore!›› esclamò allarmata.

Leif la ammutolì con un gesto. Hyoga lo superava in altezza almeno di mezza testa, ma lo jarl assunse una posizione spavalda, piantato sulle gambe con le mani sui fianchi. Si esaminarono velocemente, e Hyoga ricambiò un’occhiata infuocata con uno sguardo di ghiaccio.

‹‹È un po’ che ti osservo, e non mi piace come guardi la mia donna!››.

‹‹È normale che un uomo guardi una bella donna, voi non lo fate?›› ribatté Hyoga.

Leif sorrise superbamente e mosse un passo in avanti, abbassando le mani.

‹‹Conosci il detto, "guardare ma non toccare!"? Se le metti ancora le mani addosso, non troverai un medico capace di sistemarti le ossa!››.

Hyoga scosse la testa, accennando una risata incredula, poi si rifece serio. In quel momento avrebbe potuto sfogare su Leif tutta la rabbia inesplosa accumulata negli anni, in fondo l’uomo che lo fronteggiava era quello che gli aveva rubato Freija. Respirò profondamente.

‹‹Allora mi limiterò a guardare›› rispose alzando le spalle.

‹‹Non fare il furbo con me!›› lo ammonì Leif premendosi un pollice sul petto. Hyoga incrociò le braccia sul petto, e l’anello d’oro del Landvarnarmaðr luccicò sulla sua mano attirando l’attenzione dello jarl. Hyoga se ne accorse e nascose subito la mano.

‹‹Ti ho visto alla tavola dei signori, che ti vantavi del tuo titolo! Mi meraviglio di come Hilda abbia potuto scegliere come protettore della roccaforte divina un utlänning, mai visto in Ásgarðr e sconosciuto ai più!››.

‹‹È un amico di famiglia, Leif, ed è stato altre volte ad Ásgarðr, prima che arrivassi tu…›› intervenne Freija per cercare di calmare Leif. ‹‹Il suo nome è…››.

‹‹Non ti ho chiesto niente, lo so il suo nome! Adesso mettiti da parte: non sarebbe successo niente se tu fossi stata al tuo posto, vicino a me!››.

Freija indietreggiò di un passo, abbassando gli occhi a terra per non stuzzicare ulteriormente l’irascibile jarl, che peraltro sembrava abituato a dominarla solo con la severità del suo sguardo. A Hyoga però non piacque l’atteggiamento remissivo di lei. Si parò davanti a Freija, intercettando le occhiate iraconde dello jarl, e la difese con parole che risuonarono come una sfida.

‹‹Non date colpe a chi non ne ha! Prendetevela con me, piuttosto››.

‹‹Cosa?›› grugnì Leif col volto tirato e paonazzo per la collera ‹‹Togliti da lì e seguimi, allora!››.

Anche se le voltava le spalle, Hyoga avvertì il sussulto che scosse Freija e decise di tirarsi indietro per il quieto vivere. Scosse la testa e alzò le mani in segno di scusa: il suo eccessivo istinto di protezione nei confronti di Freija l’aveva messo contro la persona sbagliata. Si era ripromesso di non crearle problemi ma, involontariamente, stava producendo l’effetto contrario. Si affrettò a correggere l’errore appena commesso e si accorse del sollievo di Freija.

Le ho già dato troppe preoccupazioni…in passato…

‹‹Net…Non ce n’è bisogno, non era mia intenzione offendervi›› si scusò porgendo la destra.

Leif ignorò il gesto cortese di Hyoga e si protese in avanti spingendolo con una mano.

‹‹Pensi di cavartela con così poco, utlänning? Voglio soddisfazione, non m’impressiona il tuo titolo, né l’anello che sfoggi!›› disse Leif con decisione. ‹‹Un utlänning non dovrebbe sfoggiarlo così spavaldamente!››.

Hyoga riprese la posizione. ‹‹Non sono intenzionato a combattere con te››.

‹‹Leif, ti prego! Non è successo niente… dimentica…››.

‹‹Freija, non t’intromettere!›› la zittì lo jarl senza staccare gli occhi da quelli di Hyoga. ‹‹Non voglio combattere, utlänning, voglio che tu la lasci in pace, e che te ne vada!››.

Il russo sollevò un sopracciglio e la sua unica reazione fu una risata divertita.

‹‹Perché mai dovrei?››.

Freija si guardò attorno con circospezione. Il battibecco tra Hyoga e Leif stava attirando troppi spettatori. Stavano pian piano alzando la voce, e sempre più persone si accalcavano attorno a loro tre per vedere cosa stava succedendo. L’ultima cosa che voleva era quella di essere al centro di un vortice di dicerie incontrollate.

‹‹Vi prego, abbassate la voce…›› cercò di dire.

‹‹La tua presenza non è gradita, qui›› sentenziò Leif muovendo le mani come se volesse tagliare l’aria davanti a lui.

‹‹Leif…Hyoga…state attirando l’attenzione di tutti…›› disse ancora lei ignorata da entrambi.

‹‹Non ha importanza se sei tu che non la gradisci! Mi interessa prima il parere d’altri!››.

‹‹Non so come hai convinto Hilda a concederti tanto potere, ma sappi che Leif Ericson non permette a nessun uomo di parlargli in questo modo!››.

‹‹Allora sarò io il primo a farlo!›› sibilò Hyoga avanzando di un passo.

Il repentino cambiamento di Hyoga la impressionò al punto che Freija si spostò di lato per riuscire a vederlo in viso. Erano emerse l’aggressività e la strafottenza che caratterizzavano le sue reazioni nei momenti di eccessiva tensione. Hyoga non si lasciava travolgere quasi mai dagli eventi e non abbandonava la sua singolare eloquenza, espressiva e penetrante e mai triviale, anche se lo tradiva la sfumatura glaciale e seccata della sua voce. Freija s’emozionò nello scorgere la grande determinazione con cui dominava l’innata aggressività, pur continuando a sfidare Leif, visibilmente carico di rabbia verso quell’uomo sconosciuto che occupava un posto che avrebbe voluto per se stesso.

Hyoga, non puoi proprio accettarlo?

‹‹Non tollero che tu posi gli occhi su di lei!›› sentì dire da Leif che minacciava Hyoga, puntandogli contro l’indice. Era rosso in volto e sudato.

‹‹Non ho intenzione di smettere!››.

Leif si risentì per l’insistenza di Hyoga e prese ad insultarlo, senza che Hyoga si scomodasse troppo però. Freija li guardava alternativamente e li implorava di calmarsi, ma i due furono sul punto di venire alle mani, o per meglio dire, Leif s’era talmente scaldato che aveva preso Hyoga per la casacca, e Hyoga aveva afferrato il braccio dello jarl.

Poi apparve Hilda, ignara e tempestiva, ad impedire che l’accesa discussione si trasformasse in una rissa. Il suo arrivo riportò momentaneamente il sorriso sui volti dei due litiganti, ma la sua eccessiva spigliatezza fece incupire Freija.

‹‹Eccoti qua, caro!›› esclamò afferrandosi al braccio di Hyoga. ‹‹Pensavo di averti smarrito in questo caos!››. Allora vide anche sua sorella, seminascosta dietro Hyoga, e osservando il trio, intuì che il suo arrivo aveva evitato, o forse solo ritardato, un litigio inevitabile.

‹‹Ho appena conosciuto Leif Ericson›› la informò Hyoga. ‹‹… però, sembra che lo jarl non gradisca affatto la mia presenza››.

Sul volto di Leif era sparita la tinta paonazza ma i suoi occhi accesi rispondevano alla fastidiosa gentilezza di Hyoga saettando odio. Hilda passò lo sguardo dall’uno all’altro, invidiando la sorella per essere al centro di una disputa che coinvolgeva due duellanti così agguerriti.

Due cacciatori che lottano per conquistare un’unica, magnifica preda! Davvero eccitante!

‹‹Se vi siete già conosciuti, non devo fare le presentazioni! Un problema in meno!›› rise Hilda.

‹‹Hilda…›› disse Leif cercando di apparire rilassato ‹‹…gradirei invece che tu mi parlassi un po’ di quest’uomo››.

‹‹Hyoga è il nuovo Landvarnarmaðr, approvato da noi e dal Consiglio!›› spiegò brevemente Hilda accarezzando il braccio di Hyoga.

‹‹Ma lo conosci bene per affidargli questo titolo…?››.

‹‹Naturale!›› rispose la sacerdotessa enfatizzando le parole con una marcata mimica del viso e del corpo.

‹‹Ma è straniero… Nessuno che viva ad Ásgarðr, o a Miðgarðr, ha un accento simile!››.

‹‹Hyoga è un amico intimo di famiglia, alleato di Ásgarðr da molti anni. Ci conosce meglio di te, caro Leif, e viceversa››. Hilda, con un ampio gesto della mano, indicò se stessa, Freija e poi Freyr, fermo dietro di lei.

Leif serrò le labbra e corrugò la fronte, conscio della pessima figura, ma si sforzò di sopportare la compagnia di Hyoga. Tuttavia, quello spiacevole imprevisto lo costrinse a cambiare le carte in tavola. Alzò la mano e fece un cenno ad un uomo che era rimasto per tutto il tempo fermo in un angolo della sala. Non appena notò il gesto della mano di Leif, l’uomo si mosse rapido e si avvicinò al gruppo di persone, inchinandosi cerimoniosamente di fronte ai signori, evitando però di mostrarsi al principe, impegnato in quel momento ad indicare qualcosa a Hyoga.

‹‹Vedi quella ragazza laggiù? Quella con i capelli rossi…›› insisteva Freyr. ‹‹È lei! Gerðr!››.

‹‹Non ora, Freyr, non vedi in che pasticcio mi sono cacciato!››.

‹‹Affari tuoi!›› si disinteressò Freyr lanciando un’occhiata distratta all’uomo che stava vicino allo jarl. ‹‹Te l’avevo detto che non era il caso!››.

‹‹Invece è colpa tua!›› sibilò Hyoga, tirandolo per una manica. ‹‹Non hai detto niente mentre hai avuto tutto il tempo per avvertirmi che c’erano questi problemi! Tu sapevi come stavano le cose!››.

Leif intanto si scusò e si allontanò di qualche passo.

‹‹Dobbiamo velocizzare i tempi!›› sussurrò all’orecchio del misterioso uomo. ‹‹Va a prendere quello che sai!››. L’uomo esitò un momento ma Leif lo esortò a sbrigarsi.

Nel frattempo, Hilda, sempre a braccetto con Hyoga, costretto ad ascoltare pure le snervanti e sdolcinate parole di Freyr che lodava a piè sospinto la bellezza della principessa Gerðr, da brava sorella maggiore, si preoccupò d’informarsi se Freija si stesse divertendo.

‹‹Moltissimo, sorella›› rispose Freija con finta allegria.

Meravigliandosi del suo tono acido e scoprendosi gelosa dell’atteggiamento di estrema confidenza con cui sua sorella trattava Hyoga, Freija si trovò a pensare maliziosamente che forse l’intimità che Hilda aveva proclamato poco prima riguardava solo loro due.

Ancora una volta, la sua mente si perse in improbabili pensieri, suscitati sempre dalle informazioni avute da Fulla e Hlin, che la innervosirono al punto di non sopportare la vista della sorella avvinghiata al guerriero russo come l’edera al tronco di un albero.

Nel suo animo si fece strada uno strano sentimento, identificabile con la gelosia ma che si manifestò come sentimento di rivalsa nei confronti di Hilda, e soprattutto di Hyoga che nonostante le belle parole, si lasciava strisciare senza dare segno di dispiacersi. Per ripicca, Freija si strinse a Leif, che aveva licenziato il suo interlocutore, e lo jarl non si fece sfuggire l’occasione, più unica che rara, di poterle cingere le spalle con un braccio, un gesto che assumeva in quel frangente un enorme significato.

L’insolito trasporto col quale Freija si lasciò abbracciare in un primo momento sorprese Hilda, ma la sacerdotessa decifrò in un baleno la misteriosa scintilla che aveva fatto scaturire quell’improbabile fiammata di dolcezza. Con un impercettibile cenno della testa, un gesto cortese di scusa che nessuno percepì eccetto la diretta interessata, Hilda finse un colpo di tosse, lasciò il braccio di Hyoga e incrociò le mani sull’addome.

Era cosa davvero rara vedere la sacerdotessa esibirsi in qualunque azione che potesse, anche solo lontanamente, somigliare ad una manifestazione di risentimento per un suo comportamento indelicato o scorretto. Ma Hilda amava sua sorella e con quel suo scostarsi da Hyoga voleva chiedere perdono per la leggerezza che aveva mostrato nel prendersi tanta confidenza.

Freija, naturalmente, con i pensieri incanalati su altri binari, fraintese. La principessa aveva sempre pensato che sua sorella fosse al corrente dei sentimenti che l’avevano legata al giovane guerriero e vedeva nel comportamento libertino di Hilda una costante accusa alla sua verginale condotta. Hilda la spingeva alla gelosia, mostrando con orgoglio di essere in grado di conquistare qualunque uomo, e poi si ritraeva e lo allontanava, dando ad intendere che, in ogni momento, avrebbe potuto lasciare la preda, magari cedendola alla sua inconcludente sorella.

Lo spiacevole malinteso, oltre al fatto che inasprì visibilmente i rapporti tra le due donne, gravò soprattutto sul già provato spirito di Hyoga che, d’un colpo, si trovò solo a dover rispondere, privo del confortante appoggio di Hilda, alle inconsistenti domande di Leif che, oltretutto, continuava ad abbracciare Freija davanti ai suoi occhi, mentre lì vicino Freyr, anziché dargli man forte, continuava a fare gli occhi dolci alla principessa che guardava in tutte le direzioni fuorché verso di lui.

L’agonia di Hyoga fu breve perché fu interrotta dall’arrivo del misterioso uomo che, di ritorno dalla stanza di Leif, gli aveva portato un sacchettino di tela. Prima di sparire ebbe il tempo di sussurrare qualcosa a Leif.

‹‹Spero che tu sappia quello che stai facendo››.

‹‹Ho il pieno controllo della situazione!›› assicurò Leif con un ghigno. ‹‹Temo che quest’uomo possa portarmela via!››.

L’uomo s’inchinò e sparì in mezzo alla folla, evitando ancora una volta, d’incrociare lo sguardo con Freyr.

Leif strinse il pugno attorno al misterioso oggetto e il suo silenzio riflessivo attirò l’attenzione di Hilda.

‹‹Che ti succede, Leif?›› chiese Hilda. ‹‹Hai perso la parola?››.

Leif scosse la testa e il suo volto s’illuminò d’un gran sorriso.

‹‹Va tutto benissimo! L’emozione mi aveva distratto›› rispose giovialmente. Poi prese Freija per mano e lanciò una rapida, vittoriosa occhiata a Hyoga. ‹‹Andiamo, Freija. Penso sia giunto il momento!››.

Hyoga osservò Leif e Freija che si dirigevano verso il lato opposto del salone, mano nella mano, e la sua curiosità aumentò quanto vide che anche Freyr e Hilda sembravano stupiti quanto lui.

‹‹Temo d’aver perso un passaggio. Esattamente per che cosa è giunto il momento?›› chiese Freyr sbattendo gli occhi.

Hyoga alzò le spalle mentre Hilda, una donna con i piedi per terra, aveva già fatto tutta una serie di congetture che non tardarono ad avverarsi. ‹‹Posso solo immaginare ciò che non so con certezza, ma temo che non mi sbaglierò di molto!›› disse corrugando la fronte.

I due uomini e la sacerdotessa osservarono la coppia fermarsi e videro che Leif attirava l’attenzione degli ospiti gesticolando e chiamando. Non poterono udire le parole, data la confusione e la grande distanza che li separava, ma la scena che si presentò ai loro occhi fu chiara e non lasciò spazio ad alcun dubbio. Leif mostrò uno scintillante anello e lo infilò al dito di Freija mentre gli invitati presenti, profondamente coinvolti, cominciarono ad applaudire.

La notizia delle imminenti nozze della principessa Freija arrivò velocemente alle orecchie di tutti e in un attimo la sala si riempì di gente, e la festa, che cominciava a languire, si rianimò improvvisamente.

Le uniche persone rimaste impietrite dalla scioccante rivelazione erano la sorella e il fratellastro della fidanzata, e assieme a loro il povero Hyoga. Stavano in un angolo della stanza, dalla parte opposta rispetto al punto in cui si era consumata quella che per loro era una piccola tragedia, seri e immobili vicino alla parete, uno al fianco dell’altro, come tre ombre sul muro. Molti ospiti passarono vicino a loro e si congratulavano per il lieto evento con Freyr e Hilda che si limitarono a sorridere.

‹‹Sviatye ugódniki …››. (1) La voce di Hyoga era talmente fioca che si udì solamente un sibilo.

‹‹Per il martello di Þórr!›› esclamò Freyr. ‹‹È accaduto prima di quanto non credessi! Era per questo che non ti volevo parlare di lei›› continuò ignorando gli sguardi severi di Hilda. ‹‹Non ti scoraggiare, amico mio. Se ti può far piacere saperlo, faccio il tifo per te!›› disse battendo amichevolmente la spalla di Hyoga. ‹‹Sembra che tutti si stiano divertendo, adesso! Bene allora, vado a cercare una donna che voglia ballare con me!››.

‹‹Questa scena l’ho già vista in un incubo…›› mormorò Hyoga strappando un sorriso forzato e involontario a Hilda.

‹‹Prova a pizzicarti… Poi pizzica anche me, per vedere l’incubo è lo stesso››.

Risero, per isteria più che altro, poi si ricomposero per affrontare con serietà il problema. Hyoga fissava il pavimento, si sentiva terribilmente a disagio. Hilda avrebbe voluto dirgli qualche parola di conforto ma sapeva che sarebbero state inutili.

‹‹Freyr ha la delicatezza d’un orso ma immagino che, a modo suo, volesse essere gentile›› disse.

‹‹Il Consiglio s’è concluso e così pure il banchetto. A questo punto, dato che non rimane più niente da fare, penso sia ora ch’io vada a letto›› disse sconsolato e si girò per uscire dalla stanza.

‹‹Non ti perdere d’animo›› lo incitò la sacerdotessa. ‹‹Conosco troppo bene mia sorella per credere che abbia organizzato tutto questo senza consultarsi con me. Immagino sia stupita quanto noi››.

Hyoga voltò la testa al di sopra della spalla e intravide Hilda con lo sguardo enigmaticamente fisso nel vuoto.

Avrebbe voluto trattenersi con lei che si era dimostrata gentile e disponibilissima, ma non si sentiva dello stato d’animo giusto. Aveva soprattutto bisogno di riflettere.

‹‹Ho bisogno di un po’ di tempo per pensare›› disse per scusarsi. ‹‹Farò un bagno alla Pozza di cui m’hai parlato, forse m’aiuterà a rilassarmi››.

‹‹Non avrei saputo darti un consiglio migliore›› concluse la sacerdotessa.

‹‹Buonanotte, Hilda››.

‹‹Buonanotte, Hyoga››.

Si scambiarono una lunga occhiata carica di comprensione, e si sorrisero.

Hilda non sapeva esattamente come avrebbe affrontato l’argomento ma quel fuoriprogramma aveva sconvolto i suoi piani, e quella era certamente una cosa che la irritava. Quando li raggiunse, i due promessi sposi erano ancora sommersi dalla folla che si complimentava con loro. Aspettò che rimanessero soli, poi si fece avanti.

‹‹Hilda, finalmente! Ci stavamo chiedendo che fine avessi fatto›› disse Leif prendendo sottobraccio Freija, come per sottolineare che quello che diceva rispecchiava il pensiero di entrambi.

Hilda, come prima mossa di un piano che si cominciò a delineare nella sua prolifica mente, cercò di guardare sua sorella dritto negli occhi, ma Freija immediatamente abbassò il viso, evitando accuratamente di incrociare il suo penetrante sguardo. La sacerdotessa sorrise, soddisfatta. La ritrosia che mostrava la sorella poteva certamente essere dettata dall’imbarazzo del momento, eventualità plausibile dato il suo carattere timido e pudico ma Hilda era però convinta, fiduciosa del suo infallibile sesto senso, che ci fosse un’altra spiegazione, ben più probabile e vicina alla realtà, che giustificasse quell’inconcepibile atteggiamento remissivo.

‹‹Si era raccolta talmente tanta folla, attorno a voi, che non abbiamo avuto modo di raggiungervi!››.

Freija mosse leggermente il viso incuriosita, o forse preoccupata, per quel "noi" e Hilda sorrise nuovamente, compiaciuta.

‹‹Sono venuti tutti a congratularsi…›› disse Leif, sottolineando che lei non vi era compresa. Hilda si risentì per quel piccolo rimprovero ma alzò comunque il bicchiere e lo fece tintinnare contro quello dello jarl.

‹‹Manco solo io, allora?›› esclamò guardando fissamente Freija. ‹‹Brindo con voi al felice e inaspettato evento!›› disse bevendo un sorso di vino. Si schiarì la voce e, facendo schioccare la lingua, continuò con un tono più pungente. ‹‹Devo complimentarmi con voi, era stato tutto preparato a regola d’arte. Davvero una bella sorpresa!››.

Leif sorrise. ‹‹Ad essere sinceri, Hilda, niente era stato organizzato, tutto è venuto da sé. É stata una decisione improvvisa che può aver stupito, ma era tempo che si facesse questo passo. Perché allora non cogliere al volo quest’occasione. Giusto?››.

Sbagliato, pensò Hilda esibendo un sorriso finto. Sei un ingenuo se pensi che tutto sia così facile. Non basta desiderare una cosa perché semplicemente diventi tua, specialmente se per ottenerla pesti i piedi a me!

Hilda sapeva essere dolce e gradevole, ma ciò che la distingueva era il fatto d’essere una donna tenace e vendicativa, una donna che otteneva sempre le cose che desiderava senza aver l’aria di chiederle. In Ásgarðr, chiunque avesse abbastanza buon senso, sapeva perfettamente che non c’era niente di più pericoloso del suscitare l’ira della Grande Sacerdotessa. E Hilda era, in quel preciso momento, nella fase transitoria, condita naturalmente col perfido sarcasmo che era la sua specialità, che seguiva lo sbalordimento iniziale, dovuto al verificarsi di un fatto non atteso, e che precedeva l’ira.

Freija continuava a tacere ma quando alzò gli occhi intuì subito che Hilda non era per niente soddisfatta di quella situazione. Il viso della sorella era teso e i suoi sorrisi tirati: si stava astutamente prendendo gioco di Leif mentre lo squadrava con occhi gelidi e crudeli. Hilda si sarebbe potuta considerare una buona persona, capace di atti di grande generosità, ma Freija aveva imparato a temere la sorella nei momenti in cui, come quello, riusciva con un solo sguardo a manifestare tutta la sua autorità e a mostrare tutto il suo disprezzo per una persona senza perdere il contegno.

‹‹Non hai tutti i torti, caro Leif›› disse infine Hilda. ‹‹Avevo creduto però che se ne sarebbe potuto parlare, prima››.

Leif sgranò gli occhi e si rivolse a Hilda con un tono che tradiva il suo disappunto. Era davvero un ingenuo perché sperava di compiacere la sacerdotessa, che a detta sua era semplicemente una zitella isterica e orgogliosa, con banali e adulatorie scuse.

‹‹Non credo di aver bene interpretato le tue parole, Hilda. Ho appena spiegato che è stata una decisione improvvisa. Pensi che ti avremmo nascosto una simile cosa?››.

‹‹Conosco abbastanza bene mia sorella per sapere che lei non mi avrebbe mai nascosto niente di così grande importanza … Dunque confido, per il tuo bene, che non lo faresti nemmeno tu! Tuttavia ancora non mi è chiaro il perché di tanta fretta. Puoi darmi una spiegazione? Se era vostro desiderio annunciare il matrimonio, si sarebbe potuto benissimo organizzare la cosa in altra maniera…››.

Leif continuava a fissare Hilda sconcertato. Si trovava in difficoltà, anche se si sforzava di non darlo a vedere, e cominciava a temere d’essersi imbattuto in un osso troppo duro per i suoi denti. Si guardò attorno, cercando conforto, ma non vide il misterioso uomo in nero.

Hilda avvertì in lui una gran tensione, che aumentava ogni minuto, aggravata dal preoccupante silenzio di Freija. Continuò dunque con maggiore insistenza, col preciso intento di chiarire quale fosse il ruolo di ognuno di loro in quella faccenda, onde evitare spiacevoli malintesi.

Leif aveva mostrato apertamente d’essere interessato a Freija, e Hilda, seppur con disappunto, gli aveva dimostrato tutta la sua amicizia per non dispiacere la sorella che sembrava, in qualche modo, ricambiare le attenzioni del bel giovane. Eppure aveva sempre pensato che Freija meritasse un uomo migliore, che doveva, in parole povere, rispecchiare o almeno avvicinarsi alla figura d’uomo ideale così come compariva nella sua fervida ed esigente mente. Naturalmente, Leif era tanto lontano dal rappresentare anche blandamente questo meraviglioso e inarrivabile modello maschile da non poter essere, secondo il parere di Hilda, nemmeno lontanamente accettabile.

‹‹Insomma, se si fosse discusso assieme, avremmo potuto organizzare una festa che fosse degna del grande avvenimento! Invece, avete fatto le cose in fretta, quasi senza pensare!››. Il tono della voce di Hilda era salito, fino a terminare in parole che erano un vero e proprio rimprovero.

Freija aveva smesso di fissare il pavimento e aveva incollato gli occhi a quelli della sorella. Improvvisamente presagì che quella discussione, forse, non era fine a se stessa. Era sicuramente un’ingegnosa macchinazione che mirava ad un chiarimento della situazione, e andando oltre, al raggiungimento di un obiettivo di più difficile identificazione.

Hilda era un’abile oratrice e sapeva come servirsi delle parole per abbindolare gli ingenui e farli scivolare senza fatica nella sua trappola. Era assolutamente necessario che Freija riuscisse a parlare in privato con Leif, per discutere con calma e chiarire quello spiacevole malinteso, ed era indispensabile che ci riuscisse prima che Leif si lasciasse ingannare dai trucchi di sua sorella. Leif però, che non brillava in quanto a intelligenza, ricominciò a parlare prima che Freija potesse intervenire.

‹‹Forse stavolta sei tu a non capire: tutto si è svolto molto velocemente, ma possiamo assicurare che niente è stato fatto senza pensare!››.

Leif si stava scaldando, come del resto gli accadeva spesso quando si trovava in una situazione che gli era difficile gestire, e Freija desiderava solo che Hilda smettesse di stuzzicarlo. Il piccolo dramma di cui era stata prima attrice a sorpresa s’era già consumato dolorosamente, ed era davvero superfluo l’intervento di Hilda come severo e implacabile critico.

‹‹Lo spero di cuore, non è così sorella? L’importante è che siate davvero convinti delle vostre azioni›› sorrise Hilda.

‹‹Non credo sia questo il luogo per discutere l’argomento!›› interloquì Freija stizzita.

‹‹Perché no?›› la interruppe Leif. ‹‹Sembra che tua sorella non sia convinta della spontaneità della nostra scelta, ed è bene chiarire subito il malinteso. Vorrei che capissi la profondità dei sentimenti che hanno portato a questa scelta importante e che li approvassi, perché non c’è niente di male nell’amore che ci lega!››.

‹‹Non sono io che devo essere convinta della profondità dei sentimenti che hanno portato a questa scelta importante!›› cantilenò Hilda facendo il verso a Leif. ‹‹A parte questo, c’è tutto di male!›› concluse drasticamente.

Freija sgranò gli occhi e si lasciò sfuggire un’esclamazione di sorpresa. ‹‹Hilda?!››.

Hilda s’accorse d’aver esagerato, e notando l’espressione corrucciata di Leif, s’affrettò ad aggiungere una piccola precisazione, per rimediare alla momentanea debolezza.

‹‹Hai pensato a quanti cuori hai infranto questa sera, caro Leif?››. Il repentino cambio d’umore di Hilda, che stava ora sorridendo innocentemente, raffreddò immediatamente l’irascibile Leif. ‹‹Quante lacrime si verseranno stanotte›› continuò Hilda. ‹‹…ragazze che piangeranno te, Leif…e giovani che rimpiangeranno di non essersi mai dichiarati alla mia attraente sorella. Per quanta gioia possa arrecarvi, se così è, l’annunciato matrimonio per alcuni… è una vera rovina!››.

Freija afferrò al volo l’imbeccata e trasalì perché nella confusione che si era creata, dentro di lei e tutt’intorno, aveva completamente dimenticato Hyoga. Esplorò con attenzione il salone affollato ma il suo sguardo deluso tornò a posarsi sulla trionfante Hilda senza aver trovato traccia del russo.

Leif stava ringraziando per i complimenti appena ricevuti, ed era placido e totalmente ignaro del fatto che Hilda si fosse divertita alle sue spalle fino allora. La sacerdotessa lo guardava con finta ammirazione e il suo comportamento era affettato, pura finzione. Hilda era una brava attrice e, con quel discorso ben architettato, aveva raggiunto con successo il suo scopo. A lei non interessava Leif: questo Freija lo sapeva per certo, perché, nei momenti in cui avevano parlato, sua sorella non aveva mai cercato di nascondere la sua disapprovazione per quell’uomo che definiva "sciatto e insignificante, senza spina dorsale".

Freija, reduce da un dettagliato e severo esame di coscienza, sapeva di aver sbagliato in tante piccole cose e Hilda aveva trovato la maniera più irritante di fargliele notare tutte. Oltretutto, era pienamente convinta del fatto che sua sorella avesse anche altri progetti per la mente e per l’ennesima volta la sua mente crudele volle ricordarle parole che non avrebbe mai voluto sentire.

…il nuovo amante di mia sorella…

Freija si scosse, sforzandosi di allontanare quei pensieri crudeli, ma decise di pretendere una spiegazione per il comportamento irriverente di sua sorella nei confronti di Leif.

‹‹Vuoi scusarci un attimo, desidero parlare da sola con mia sorella›› disse prendendo Hilda sottobraccio.

‹‹Tra noi non dovrebbero esserci segreti!›› esclamò Leif.

‹‹In fondo, non siete ancora sposati!›› si affrettò a dire Hilda. ‹‹Una donna deve sempre mantenere qualche piccolo segreto, il minimo indispensabile che le renda la vita interessante. Inoltre, ›› aggiunse facendosi seria, ‹‹ci sono cose, fino a prova contraria, che si devono discutere solo tra donne!››.

Nella sua stanza, Hyoga rimase per lungo tempo seduto sulla cassapanca sotto la finestra spalancata, al buio. La camera era affacciata sul piazzale antistante il palazzo e il rumore della festa gli giungeva lontano, come lo stormire delle fronde o lo scorrere delle acque in un fiume. E allo stesso modo fluivano i suoi pensieri, una tempesta di ricordi, una fiumana di emozioni. Risentimento e rabbia, delusione e sconforto. Tutte sensazioni già provate in molte altre occasioni, stati emotivi cui credeva d’essersi abituato, e che invece assumevano in quella particolare occasione un risvolto nuovo.

Era giunto ad Ásgarðr con un compito ben preciso che aveva svolto con successo. Freija era, però, la vera ragione che l’aveva spinto ad accollarsi il gravoso ruolo d’ambasciatore, solo per rivederla s’era finalmente deciso ad intraprendere il lungo viaggio.

Voleva parlarle per esprimere chiaramente i sentimenti che provava e che aveva provato per lei fin dal primo momento in cui l’aveva vista. Si rendeva conto che avrebbe potuto essere respinto, l’aveva messo in conto, come si dovrebbe fare in casi come questi, quando cioè non si è affatto sicuri di riuscire. Ma si sa che è bene non dirsi certi delle proprie reazioni, per quanto riguarda le faccende di cuore, perché, razionalmente, ci si sente audaci e sicuri di poter affrontare anche la peggiore situazione, ma la mente opera nella maggior parte dei casi in maniera incomprensibile, e nel momento in cui si dovrebbe dimostrare solidità e forza d’animo, ci si potrebbe ritrovare in lacrime, incapaci di tenere fede nemmeno ad uno dei bei proponimenti formulati con convinzione e subito sommersi dall’ansia e dimenticati. Questo accadde a Hyoga, impreparato nonostante la preparazione ad affrontare quella schiacciante sconfitta.

La sua stanza era fredda perché soffiava un vento gelido e tagliente, e lui aveva spento il fuoco nel camino per la rabbia, congelando la legna, e lo stesso aveva fatto con le candele, ma il freddo e il buio erano ciò che più rispecchiava lo stato d’animo di Hyoga.

La perdita della speranza di conquistare Freija s’era abbattuta su di lui come le lame d’un aratro sul terreno, e aveva tagliato il guscio che imprigionava un sentimento d’insoddisfazione che aveva radici profonde e tenute nascoste.

In quel momento, la delusione amorosa non rappresentava di per sé un grosso problema, ma era la goccia che faceva traboccare un recipiente colmo di frustrazioni accumulate in tanti anni. Quel velo di tristezza che appannava ogni suo moto d’animo e smorzava ogni suo sorriso, che lo qualificava come un insensibile incapace di dimostrare affetto; quell’infelicità universale che non gli permetteva di godere delle gioie come gli altri, né, in verità, di comprendere il perché di quelle gioie; la fastidiosa sensazione d’impotenza e l’inquietudine che gli rendevano difficoltosa la gestione di situazioni d’ordinaria quotidianità che nessuno troverebbe difficile affrontare; quel sentirsi fuori posto e fuori luogo; il senso di smarrimento e di costrizione che l’opprimevano nei luoghi affollati; tutto questo mal di vivere era la manifestazione di un disagio interiore che non trovava appagamento in nessuna persona e in nessuna cosa. Per la prima volta, ebbe una visione globale della sua situazione, di tutte le piccole e grandi insoddisfazioni che, come tanti tasselli, si incastravano in un complicato mosaico. Mai s’era sentito così schiacciato dall’insopportabile peso dell’incapacità di reagire.

S’era rassegnato, in tutti quegli anni, e aveva accettato la sua misera e infelice condizione, perché era stato più facile chiudersi nel proprio dolore e incolparsi ingiustamente di atti compiuti contro volontà ma inevitabili, piuttosto che alzare la testa e cercare di ribellarsi contro le ingiustizie della vita. In una situazione simile, era luogo comune pensare che, dopo essere scesi tanto in basso, non si poteva far altro che tentare la risalita, una faticosa ascesa verso la normalità.

Hyoga invece era tanto avvezzo alle delusioni che, dopo quell’ultimo micidiale colpo al cuore, non provò nemmeno a risollevare il suo morale e si considerò colato a picco, definitivamente inabissato.

Negli ultimi tempi gli eventi gli erano scivolati addosso senza coinvolgerlo, e lui aveva fatto l’abitudine all’abulia e apatia che caratterizzavano la sua esistenza svuotata di vita. Aveva cercato di vincere la sua inerzia nel momento in cui aveva deciso di partire per Ásgarðr e trovò la forza di schernirsi, dicendosi che era stato proprio il suo desiderio di reagire a dargli il colpo finale. Freija era stato il suo pensiero felice, la svolta che aveva deciso definitivamente il suo destino.

Sospirò profondamente e stinse i denti, trasfigurando il viso in una smorfia per tentare di ricacciare indietro il magone che gli serrava la gola. Nonostante tutti i suoi sforzi, alcune lacrime colarono dagli occhi lucidi, tracciando un ondulato tragitto, seguendo lente la sporgenza degli zigomi e l’incavo delle fossette ai lati della bocca, giù fin sotto il mento. Lì si raccolsero e formarono una grossa goccia che gli precipitò sulle mani, ciondolanti dagli avambracci poggiati sulle ginocchia.

Si stropicciò gli occhi e cominciò a passeggiare per la stanza. Se avesse pianto si sarebbe sfogato, si sarebbe liberato dalla tensione accumulata, ma qualcosa glielo impedì. Un’immagine apparve netta nella sua mente, un uomo spavaldo che gli stava di fronte con le gambe divaricate e i pollici infilati nella cintura e che lo sfidava con lo sguardo. Hyoga sentì la rabbia sopraffare l’amarezza e si fermò di scatto, incredibilmente furioso e smanioso di sfogare l’ira crescente. Afferrò un boccale che era stato lasciato sul tavolino della sua stanza in compagnia di una brocca d’acqua, e lo tenne teso davanti a sé, fissandolo con disprezzo, come se in quell’insignificante oggetto identificasse il suo rivale. Se non ci fosse stato Leif Ericson, Freija sarebbe sicuramente stata felice al suo fianco. Colpevolizzò Leif, maledicendo la sua presenza, e per la prima volta nella sua vita, bruciando di gelosia, pensò che avrebbe potuto uccidere un uomo, non per legittima difesa ma per il semplice fatto che rappresentava un ostacolo al raggiungimento della felicità. Mentre la stanza s’illuminava d’una fredda luce azzurra che irradiava dal suo corpo, con un crepitio crescente, l’aria cominciò a congelare attorno alla mano di Hyoga che stringeva con forza il boccale.

Potrei riservarti lo stesso trattamento, Leif. Liberarmi di te sarebbe facile come trarre un respiro!

E nel tempo d’un respiro, il boccale congelò, si tramutò in ghiaccio e si sbriciolò stritolato dalla forte stretta del russo. Quando aprì il pugno, nel palmo della mano rimaneva una manciata di polvere ghiacciata e quella vista più che a rafforzare il suo desiderio omicida servì a farlo svanire del tutto. Si pentì subito per aver anche solo pensato d’uccidere Leif e soffiò via la polvere scintillante di cristalli di ghiaccio, cacciando dalla mente ogni pensiero di vendetta.

Prese un cambio d’abito e si diresse alla Pozza.

Le due donne si allontanarono dalla bolgia dei festeggiamenti e si ritirarono in una stanzetta. Hilda chiuse la porta alle sue spalle e assaporò la piacevole sensazione di sollievo dovuta al silenzio che regnava nell’ambiente. Fissò la sorella che passeggiava nervosamente avanti e indietro ma non poté parlare perché Freija, che a malapena era riuscita a trattenersi fino allora, sbottò di colpo.

‹‹Si può sapere cosa ti è venuto in mente?›› urlò stizzita battendo un piede per terra.

‹‹Cosa vorresti dire? Ho fatto qualcosa di male?›› chiese Hilda fingendosi stupita. La situazione la divertiva perché, in tanti anni, era la prima volta che si rendeva conto di aver veramente fatto innervosire sua sorella.

‹‹Non fare l’ingenua con me, Hilda, risparmia la fatica!›› tagliò corto la principessa sbuffando. ‹‹Come hai potuto trattarlo in quel modo? Ti sei presa gioco di lui, sfacciatamente! Avrebbe potuto offendersi…››.

Hilda sorrise, divertita. ‹‹Non sopravvalutarlo, sorella!››.

‹‹Adesso basta! Come puoi essere così crudele? Ti rendi conto che ti stai beffando dei sentimenti altrui?››. Hilda s’incupì e scosse il capo.

‹‹Quali sentimenti, cara? I suoi o i tuoi?››.

Freija rimase a bocca aperta per lo stupore e alzò la voce. ‹‹Non ha importanza! Dovresti comunque comportanti correttamente con lui!››.

La sacerdotessa alzò la testa, fiera, e fissò Freija con severità.

‹‹Proprio tu mi parli di correttezza?›› disse cupamente, avvolgendosi dell’alone di mistero che circondava un sacerdote sacrificale nell’atto di compiere un rito. ‹‹Niente del tuo comportamento lasciava intuire quanto profondamente fossi legata a quell’uomo, ma ora vengo a sapere che avete intenzione di sposarvi! Non pensi che avresti dovuto avvertirmi di questa tua scelta?››.

Freija prese a fissare il pavimento e rispose sommessamente, con voce insicura e tremante. Non riusciva ad accettare l’idea che la sua esistenza fosse continuamente controllata dalla vigile presenza di Hilda, che dispensava consigli e ordini ai suoi sudditi dall’alto del suo scranno, senza distinguere tra amici e nemici, tra parenti e servi.

‹‹So quello che m’aspetta e non è necessario che tu, con la tua irritante saccenteria, mi faccia la predica! Ho sempre fatto tutto ciò che ritenevi meglio per me, senza oppormi, e ammetto che sei stata un’ottima guida. Ma stavolta non sarà così! Penso sia giunto il momento che tu rispetti le mie decisioni… ››.

‹‹È questo quello che desideri?›› chiese allora Hilda con dolcezza. La sua era una semplice domanda, dettata dal desiderio di conoscere la volontà di Freija per comprendere le sue ragioni. Hilda vide però che le sue parole avevano messo in difficoltà la sorella, che restava a testa china e in silenzio.

Perché ti sei lasciata trascinare in quest’impiccio se non è ciò che desideri?

‹‹Tu ami Leif, sorella?›› insistette Hilda.

Freija fu scossa da un brivido ma stavolta trovò la forza di rispondere: ‹‹Questo non c’entra… È stato gentile e paziente. So che per un uomo non è facile aspettare e restare in sospeso per tanto tempo, ma lui l’ha fatto! Io… sì, credo d’amarlo…››.

‹‹Credere non è sufficiente, devi esserne sicura!›› la rimproverò Hilda. Freija si riprese dal suo torpore e reagì con impeto.

‹‹Cosa ne sai tu di amore?›› disse quasi con disprezzo.

‹‹So che è un sentimento da non sottovalutare. Pensi che io…››.

‹‹Tu non hai mai amato nessuno, Hilda!›› la interruppe Freija. ‹‹E non cercare di farmi credere il contrario! Non posso fare anch’io lo stesso? Non posso anch’io allora essere libera di scegliere un uomo con cui vivere? Anche senza amore?››.

Freija si bloccò di colpo, Hilda alzò le sopracciglia, interdetta.

‹‹Tu sei libera›› la calmò Hilda. ‹‹Non sono qui per comandarti di non fare, ma per supplicarti di guardare bene nel tuo cuore per vedere se è veramente Leif che vuoi oppure un altro…››.

‹‹Credo d’aver intuito dove vuoi arrivare con questa recita ma è sicuro che non ti lascerò tramare alle mie spalle. Non sono più una bambina, Hilda, e riuscirò a cavarmela anche senza i tuoi amorevoli consigli!››.

‹‹E va bene›› mormorò alla fine la sacerdotessa. Sembrava stanca della discussione e vedendola in quello stato, a Freija sembrò che Hilda fosse riluttante nel riferirle quelle parole. ‹‹Quando incontrasti per la prima volta Leif, io capii immediatamente che egli era attratto da te. Allora ebbi un terribile presentimento…››. Hilda esitò un attimo, conscia del fatto che Freija, che la fissava perplessa, si sarebbe infuriata ma convinta dell’importanza di rivelarle quel piccolo segreto. ‹‹Io ho guardato nell’acqua sacra della Fonte di Mímir e ho visto… ››.

‹‹Cos’hai fatto?›› la interruppe Freija arrossendo violentemente per la rabbia.

‹‹Calmati, Freija››.

‹‹Come hai potuto farlo? Ti avevo avvertito che non volevo che tu usassi i tuoi poteri per vedere il futuro… specialmente il mio! Sono pratiche sconvenienti, Hilda!… magie proibite! Avevi promesso ma mi hai tradito! Su tutto ciò che ho di più caro, giuro che…››.

‹‹Silenzio!››. La voce di Hilda spezzò le parole di Freija che si fece piccola al cospetto della sorella, eretta di fronte a lei in tutta la sua autorità. ‹‹Te lo comando, non giurare, per non diventare spergiura!››. Freija ammutolì e non ebbe il coraggio di controbattere quel secco comando. ‹‹Questo io ti dico!›› continuò Hilda. ‹‹Che soffrirai, e farai soffrire chi ti ama! La visione non fu chiara e potrei averla interpretata in maniera errata. Io so, però, che egli nuocerà ad Ásgarðr. Dunque, sorella, percorrerai la strada del tuo destino oppure gli dèi dovranno trascinarti contro la tua volontà?››.

‹‹Cosa dovrei fare?›› sussurrò Freija ma con una punta di rabbia.

‹‹Sono sicura che se guarderai dentro di te, farai la scelta giusta››. La voce di Hilda era di nuovo affettuosa. ‹‹Come tu ben sai, ci sono molti uomini che ti corteggiano ma è solo cercando che troverai la felicità, che sembra difficile da raggiungere eppure non è lontana da te…››.

‹‹Non capisco…››.

‹‹Non è detto che una donna debba scegliere come compagno il primo uomo che si dimostra gentile con lei…Alle volte è necessario guardarsi intorno e tenere aperte più porte››.

Freija rise istericamente, troppo sconvolta dalle enigmatiche profezie di Hilda per cogliere il vero significato di quelle parole.

‹‹Oh!›› esclamò con sarcasmo. ‹‹Gli dèi in cui credo, dunque, chiedono a me di prostituirmi e a mia sorella, la Grande Sacerdotessa, di farmi da mezzana! È questo che vuoi suggerirmi?››.

Il volto di Hilda si fece burrascoso come il mare in tempesta e i suoi occhi fiammeggiarono di rabbia. ‹‹Come osi?››.

‹‹Ora basta, Hilda, ti prego›› disse semplicemente Freija. Si passò una mano tra i capelli e sospirò, fissando la sorella con occhi disperati.

Vedendola in quello stato, pallida e spossata, Hilda si calmò immediatamente, sforzandosi di trovare il modo di rassicurare sua sorella. Sapeva di averla ferita rivelandole forse più di quanto avrebbe dovuto ma l’aveva fatto con uno scopo ben preciso. Non si trattava solo del sentimento di disgusto che provava per Leif, né del profondo ed ambiguo coinvolgimento che la spingeva a parteggiare per Hyoga. Ciò che la spingeva ad agire, in maniera discutibile e con metodi opinabili, era soprattutto il desiderio di proteggere sua sorella dalle sofferenze cui sarebbe andata incontro se si fosse lasciata convincere della validità di scelte nelle quali non credeva veramente. Hilda desiderava solo il bene di Freija e, dalle occhiate severe che riceveva in cambio, intuiva invece che tutti i suoi sforzi erano stati totalmente fraintesi.

Se Freija crede che io voglia decidere della sua vita, niente le farà cambiare idea, purtroppo. Mi sta odiando per quello che le ho detto e non si rende conto che mi sono resa un demonio ai suoi occhi solo per il suo bene. È davvero forte di carattere, nonostante il fragile aspetto, molto più simile a nostra madre di quanto non sembri all’apparenza. Eppure non vuole rendersi conto del pericolo che corre! Non se ne rende conto… o forse me ne accorgo solo io, che posso sentire dentro di me le parole del Padre di Tutti e posso vedere grazia alla vista che mi ha donato?

Sospirò, rivolgendo una piccola preghiera perché gli dèi le dessero la forza per compiere un ultimo, disperato tentativo.

‹‹È strano›› mormorò Hilda come se stesse parlando a se stessa. ‹‹In molte occasioni avevi tessuto le lodi del Sacro Guerriero d’Atena, di Hyoga… È passato molto tempo, eri una ragazzina allora, ora sei una donna. Credevo…››.

‹‹Credevi male!›› la interruppe bruscamente Freija arrossendo.

Ti ostini a negare i tuoi sentimenti ma dovrai capitolare!

‹‹Bene!›› esclamò trionfante Hilda, protendendo le labbra in avanti in uno strano ghigno. ‹‹Se sei convinta della tua scelta… ››.

‹‹Non vedo perché non dovrei esserlo!›› balbettò Freija, esitando sotto lo sguardo attento della sorella ma incapace di fuggirlo.

Hilda ripensò con dolcezza alla bontà d’animo che accompagnava ogni gesto di Freija, che aveva pensato a difendere quel villano di Leif, senza preoccuparsi del fatto che era lei la prima ad essere sotto accusa. Freija era però troppo rispettosa per sfidare a lungo la sua autorità e, una volta che si era spento l’ardore iniziale, aveva finito per accettare il rimprovero della sorella.

‹‹Non voglio rimproverarti… ma semplicemente avvertirti. Tuttavia, dato che ti sforzi di mostrarti convinta delle tue idee, fingerò di crederti›› sorrise la sacerdotessa. Passeggiò per la stanza e quando si fermò, si sistemò il lungo vestito attillato. ‹‹Come conseguenza diretta, questo implica inevitabilmente che mi ritengo libera d’agire a mio piacimento…››.

‹‹Cosa devi fare?›› s’informò Freija ingenuamente. ‹‹Non hai mai chiesto il permesso per fare qualcosa che avevi già deciso di fare, permetti che mi sembri strano che tu lo faccia ora›› finì di dire Freija abbozzando un sorriso.

Hilda le lanciò un’occhiata decisamente significativa e si passò la lingua sulle labbra prima di parlare.

‹‹Stavolta credevo di dover chiedere il permesso…a te›› disse sistemandosi i capelli. ‹‹Credevo male›› ripeté guardando fisso Freija.

Finalmente, dopo l’ennesima sfida, Hilda vide scintillare gli occhi di Freija. Se fosse riuscita a farle capire che, comportandosi come stava facendo, avrebbe perso per sempre l’amore di Hyoga, se l’avesse messa di fronte a quell’eventualità, Hilda era sicura che sua sorella sarebbe rinsavita e avrebbe dimenticato Leif. Almeno era quello che sperava, quello cui aveva mirato fin dal principio.

Purtroppo l’elaborata strategia della sacerdotessa non ebbe l’effetto desiderato. Freija aveva raggiunto il limite massimo di sopportazione e l’ulteriore provocazione riuscì solo a farla tremare per la rabbia. Rossa in volto, lanciò un’occhiata carica di disprezzo all’indirizzo di Hilda.

‹‹Fa ciò che vuoi, con chi vuoi, sorella!›› gridò puntandole contro l’indice. ‹‹Spera solo di non dovertene pentire!››.

Le sue parole suonarono come una maledizione e quando uscì sbattendo la porta, Hilda rabbrividì ripensando allo sguardo indemoniato di Freija.

Note:

1) Santissimo cielo, ( sviatyie ugódniki ).