CAPITOLO XIII

Le relazioni pericolose

L

a festa volgeva lentamente alla fine. Gli invitati, che avevano bevuto, cantato e ballato a sufficienza, cominciavano a sentirsi stanchi. Con estrema lentezza, singolarmente o a piccoli gruppi, abbandonarono le sale del palazzo, ognuno dirigendosi nel luogo dove avrebbe passato le ore che restavano di quella lunga notte di festeggiamenti prima che spuntasse il sole.

Poche erano le donne che avevano accompagnato i mariti al Consiglio. Hilda aveva fatto preparare delle stanze appositamente per quelle che avevano chiesto ospitalità, mentre le altre avevano deciso di passare la notte assieme agli uomini che dormirono sotto le enormi tende di pelle nei campi allestiti nella pianura. La luna, ancora piena, mentre percorreva l’ultimo tratto della sua lenta corsa nel cielo stellato, illuminava Iðavöllr, che in quella fredda e umida notte risplendeva della luce di tanti piccoli fuochi ed era animata dai canti dei guerrieri che non avevano potuto partecipare ai festeggiamenti a palazzo.

Mentre all’aperto si brindò vuotando rozzi corni colmi di mediocre birra fino all’alba, nelle sale del palazzo molto presto smisero di risuonare le allegre voci degli scaldi e cessarono le note dei musicanti.

Mikka, il mastodontico condottiero finnico, sedeva ancora al suo posto a tavola. Non si era alzato nemmeno quando gli altri commensali, molte ore prima, avevano abbandonato la sala per dedicarsi ad altri divertimenti. Stava ancora bevendo e spiluccando dai grandi vassoi gli avanzi della cena, in compagnia dello sparuto gruppo di guerrieri Lodbrok al suo seguito, alcuni dei quali, dopo la colossale bevuta, erano crollati addormentati sul tavolo o sul pavimento.

In un angolo della sala, Freyr e Harald figlio di Sveigdir parlavano a voce alta e ridevano sguaiatamente e, di tanto in tanto, si mollavano qualche amichevole cazzotto, troppo sbronzi perché i loro colpi fossero pericolosi. Sedevano uno di fronte all’altro e gareggiavano per vedere chi fosse il bevitore più forte, perché bere forte era ritenuta una gran prodezza e un vero eroe doveva saper vuotare molti corni senza posa, anche a costo di rimettere.

Sigtrigg la Tempesta e Hardradi di Duro Consiglio stavano ancora discutendo, nonostante si fosse trovata per il loro problema una soluzione buona e vantaggiosa per entrambi.

Freija era esausta e desiderava solo stendersi. Gestire un festeggiamento come quello che si stava per concludere, con suo gran sollievo, era estremamente faticoso e, oltre tutto, quella giornata le sembrava interminabile. Cominciò a sperare che il gruppo di nottambuli che la circondava decidesse di andare finalmente a dormire. Di tanto in tanto, lanciava un’occhiata distratta in direzione di Leif che stava discutendo con tre uomini.

Dopo l’accesa lite con Hilda, Freija non era più riuscita a divertirsi e non aveva fatto altro che esaminare approfonditamente i suoi sentimenti, nel tentativo di cogliere anche la più piccola variazione emotiva che le facesse piacere la nuova situazione in cui si trovava o che, perlomeno, la rendesse sopportabile. Il risultato era stato tanto disastroso da farle scartare entrambe le prospettive.

Aveva vissuto serenamente il rapporto con Leif, attribuendogli il valore di un’amicizia, che avrebbe potuto significare qualcosa considerando l’interesse che provava per il bel giovane, ma comunque in tempi molto lunghi. Ora, spinta alla riflessione dallo splendente anello che le riportava continuamente alla mente gli eventi della serata, era stata costretta a rivedere quell’innocente rapporto e aveva scoperto che niente di quello che aveva fatto, o detto, avrebbe in alcun modo potuto autorizzare Leif a prendersi la libertà di una tale decisione.

Disperata, premette le dita sulle tempie per cercare di far passare l’emicrania che aumentava ogni minuto. Si trovava in una situazione senza apparente via d’uscita, vincolata ad un uomo che non era sicura d’amare veramente, e soprattutto sola.

Non poté negare che quel tumulto interiore si era scatenato nel momento stesso in cui si era trovata di fronte Hyoga. Era conscia del fatto che simili turbamenti, tali da incrinare un rapporto che aveva imboccato la difficile strada del matrimonio, anche se per vie traverse e non ancora chiarite, non potevano certo nascere dal nulla, e difatti dovette ammettere che i sentimenti che aveva provato per Hyoga non erano stati dimenticati ma solo ricacciati in un angolo nemmeno troppo nascosto del suo cuore. Con tutta probabilità, se non l’avesse mai rincontrato, se al suo posto si fosse presentata Lady Saori, Freija avrebbe accettato di buon cuore l’opportunità di sposare un uomo gentile e premuroso come Leif. Ma ragionare col senno di poi non giovò mai a nessuno, per cui, sconsolata e affranta, dovette ammettere che non aveva voluto dimenticare Hyoga e che, in realtà, aveva sempre sperato che un giorno lui sarebbe tornato.

‹‹Stai attenta bene a quello che chiedi, Freija›› le diceva sempre Hilda. ‹‹Gli dèi potrebbero decidere in qualunque momento d’esaudire un desiderio per il quale si prega con ardore e fervore. Eppure non sempre siamo soddisfatti di vedere realizzate, come per miracolo, le nostre richieste!››.

Hilda…

Aveva bisogno di parlare con qualcuno e si stupì di sentire l’impellente necessità di avere Hilda al suo fianco. Si guardò attorno cercandola disperatamente. Avevano sempre avuto un meraviglioso rapporto che si era allentato solo quando, col passare degli anni, Freija aveva cominciato a disapprovare l’indignante licenziosità e facilità con cui Hilda cambiava rispettivamente amante e atteggiamento.

Freija dovette però ammettere che Hilda, svergognata ma di carattere, non avrebbe mai permesso ad un uomo di intrappolarla con tanta disinvoltura. Avrebbe voluto piangere e si sentì in colpa per essersi comportata come una bambina: era già pentita per aver litigato con sua sorella e si sarebbe scusata con lei, se solo Hilda non avesse già abbandonato la festa.

Rivide il volto impassibile di Hyoga e desiderò ardentemente poter tornare indietro per rimediare alla situazione. Se avesse potuto avere una seconda possibilità non avrebbe avuto esitazioni. Hyoga se n’era andato in sordina, come se improvvisamente si fosse sentito inutile. Lei se n’era accorta, anche se un po’ in ritardo, ma era rimasta al fianco di Leif, come avrebbe fatto una delle tante e insipide donne di sua conoscenza, il cui unico scopo nella vita era quello di trovare un marito da esibire o che la esibisse come un oggetto.

Hyoga, a modo suo, aveva finalmente trovato il coraggio di aprirle il suo cuore, e lei si era dimenticata di lui. L’aveva abbandonato per farsi trascinare in un ingarbugliato intrigo dal quale non sarebbe mai riuscita a liberarsi da sola. Certo, avrebbe potuto rifiutare la proposta di Leif in qualunque momento ma era terrorizzata per ciò che avrebbero potuto pensare del suo comportamento, dopo che addirittura Leif aveva annunciato le nozze di fronte ad un così gran numero di persone.

Ho ferito Hyoga, ma non è forse quello che ha fatto lui con me? Ma non lo meritava…non ho saputo ascoltare con pazienza le sue spiegazioni e l’ho ferito…Ho tradito la fiducia di mia sorella, rivoltandomi contro di lei. Ma lei non mi ha forse tradito, dimenticando ciò che le avevo chiesto, di non guardare nel mio futuro? Ma nemmeno lei meritava d’essere trattata male…Ho fatto tutto questo per difendere i miei sentimenti e Leif…Ma Leif lo merita?

Adesso Hyoga l’aveva lasciata sola, e così pure Hilda. Sospirò, mentre un senso di costrizione e confusione le faceva palpitare la testa. Si sentì terribilmente sola e il suo malessere aumentò quando realizzò quale fosse in realtà la sua più grande preoccupazione. La paura d’aver perso l’amore dell’uomo che aveva amato, e la stima di sua sorella, era insignificante se confrontata con l’angoscia che l’assalì al pensiero di averli spinti l’uno nelle braccia dell’altra. Si sentì mancare a quel pensiero eppure non poté fare a meno di colpevolizzarsi, perché se Hilda avesse cercato, a seconda dei punti di vista, di sedurre o consolare Hyoga, l’avrebbe fatto col suo implicito consenso.

…il nuovo amante di mia sorella…

Profondamente turbata da quella tragica eventualità, si alzò per andarsene ma non riuscì a lasciare la stanza. Hilda, inspiegabilmente, si era già ritirata anche se i festeggiamenti non s’erano ancora conclusi. Freija avrebbe voluto lasciare il gravoso incarico di congedare gli ultimi invitati a suo fratello ma quando lo vide, accasciato a terra, ubriaco, scartò immediatamente l’idea. S’avvicinò a Freyr e cercò di fargli riprendere lucidità con qualche leggero schiaffo, poi s’arrese e chiamò Skirnir, il suo fedele servitore.

‹‹Portalo a letto, per favore›› ordinò stancamente.

Lì vicino, nello stesso penoso stato d’ebbrezza, era accasciato Harald. Freija lo guardò con una sguardo disperato.

‹‹Mi dispiace che tu debba assistere a questo spettacolo indecente, prinsessa›› disse gentilmente Knut, l’altro figlio di Sveigdir. Si chinò e sollevò suo fratello, mostrando in quel gesto una disinvoltura che colpì Freija, considerando la mole di Harald. Una semplice finzione per attirare l’attenzione della principessa.

‹‹Sei davvero forte… ›› esclamò Freija divertita. ‹‹Ma…temo di non conoscere il tuo nome››.

Knut arrossì e lasciò cadere a terra Harald, esibendosi in un profondo inchinò. ‹‹Sono lusingato per il solo fatto che tu l’abbia chiesto. Io sono Knut, figlio di …››.

‹‹Knut, raccogli tuo fratello e non importunare la principessa!››.

Sveigdir s’avvicinò a grandi passi mentre Knut, dispiaciuto per l’occasione persa, s’allontanò caracollando sotto il peso del fratello. Il re di Svealand, reso loquace dall’alcool, cercò d’intavolare una discussione ma si accorse dalle telegrafiche risposte di Freija che forse aveva scelto il momento sbagliato.

‹‹Non ti senti bene, signora?›› le chiese, preoccupato per lo strano pallore sul viso della donna.

‹‹Sono molto stanca e credo di aver bevuto troppo vino… ›› mentì lei. ‹‹Scusami se sono stata scortese. Dicevi a proposito di Harald?››.

Sveigdir le sorrise, mostrando tutta la comprensione che gli era consentita, che era davvero tanta considerando i boccali di birra che aveva ingurgitato, si scusò per averla importunata a quell’ora, e lei gli fu infinitamente grata quando lo sentì invitare tutti ad abbandonare la sala.

‹‹È tardi, maledetti! Cavatevi di torno e andate a dar tormento alle vostre donne se le avete! Sigtrigg e Hardradi, litigate sempre che sembrate due innamorati!››.

‹‹Ti possa cadere la barba, Sveigdir!›› urlò Sigtrigg mentre si allontanava seguito da Hardradi Duro Consiglio.

‹‹Ben detto!›› annuì Hardradi.

Sveigdir si prese il disturbo di trascinare via Mikka Lodbrok, che non era in grado di andarsene sulle sue gambe, e dietro loro si allontanò anche il gruppo dei guerrieri finnici.

Nel silenzio della sala, ora completamente vuota, la voce di Leif che la salutava la fece trasalire.

‹‹Aspetta, ti prego›› esclamò. ‹‹Devo parlarti… ››.

Leif aggrottò la fronte e indicò i tre uomini con cui aveva parlato fino allora. Uno dei tre, interamente vestito di scuro, era il misterioso personaggio che gli aveva portato l’anello. Il secondo era biondo, con i capelli raccolti in due lunghe trecce dietro la nuca e lunghi baffi. Freija sorrise, non ricordava d’averli mai visti, ma salutò con un cenno della testa Sámendill, figlio di Þjazi.

‹‹Ora non posso, Freija, perché ho in sospeso un grosso affare›› rispose Leif. Sembrava seccato ma aggiunse gentilmente: ‹‹Sarò di ritorno tra breve, però. Verrò a bussare alla tua porta e se sarai ancora sveglia, allora parleremo››. Parlò come se fosse già convinto del fatto che lei si sarebbe addormentata presto, prima del suo ritorno. La salutò frettolosamente e s’allontanò a grandi passi, facendo segno ai tre uomini di seguirlo.

‹‹È stato un piacere trattare con te, Sámendill››.

Sámendill sorrise. ‹‹Con me ci si accorda sempre, Ragnarr, tu lo sai bene. L’importante è che Bylistr mantenga la parola data››.

‹‹Non temere: è un uomo d’onore e sa trattare con riguardo gli alleati fidati››.

‹‹Lo vedremo quando sarà il momento di spartire il bottino›› grugnì Sámendill. ‹‹Le mie navi arriveranno tra cinque giorni, come promesso, con cinquanta valorosi guerrieri!››.

‹‹Verrà Logi a Timrå, e ti porterà una parte delle monete che ti spettano. Il resto, a lavoro terminato! Che i tuoi uomini siano davvero valorosi, ne avremo bisogno!››.

‹‹Se va tutto come deve, la riuscita sarà facile come vuotare un corno della birra migliore!››.

Le viuzze del villaggio nella cinta interna erano deserte. Dalle skjall tese sulle piccole aperture nelle pareti delle case non filtravano luci, né usciva fumo dai ljóri. Le uniche fiamme visibili provenivano dalle fiaccole che illuminavano il cammino della ronda sulla cinta muraria esterna ed interna, sempre sorvegliate, di giorno e di notte. Ad intervalli regolari, potevano vedere, rivelati dai riflessi del fuoco, i soldati della guardia che camminavano lentamente nelle due direzioni e che si fermavano di tanto in tanto a chiacchierare per ingannare il tempo. Leif, Sámendill, Ragnarr ed Helblindi si erano fermati vicino alle porte della città, in un punto riparato dagli occhi vigili delle guardie, e parlavano sottovoce.

Quando Sámendill s’allontanò, lo guardarono finché non sparì nell’oscurità, restando per qualche tempo in silenzio, ascoltando l’eco delle voci confuse dei guerrieri accampati in Iðavöllr portate dal vento.

‹‹Festeggiano ancora!›› rise Leif per rompere il silenzio forzato dei suoi compagni. Eppure il ghigno gli sparì dal volto quando s’accorse che essi lo fissavano, cupi in viso e per niente inclini al riso. S’agitò e sentì un brivido scuoterlo dalla testa ai piedi quando incrociò lo sguardo con Ragnarr. L’espressione dura nei suoi occhi, accentuata dalle sopracciglia diritte e folte e dal naso aquilino, e le sue labbra sottili serrate, fecero impallidire lo jarl che serrò la bocca e deglutì rumorosamente.

Ragnarr era un guerriero possente e un abile spadaccino. Era diventato famoso per la velocità che caratterizzava i suoi duelli di spada, poiché egli era rapido e preciso nei suoi colpi, al contrario dei suoi avversari che erano lenti e piantati sulle gambe, abituati com’erano a combattere di potenza, parando e contrattaccando senza muovere un passo. Ragnarr, invece, sempre abbigliato di scuro, balzava attorno all’avversario come i corvi volteggiano su un campo di battaglia nell’attesa di cibarsi dei cadaveri, dicevano, con l’agilità di un elfo e la determinazione di un nano. Non era solo per questo motivo però che Ragnarr s’era guadagnato l’appellativo di Hrafna-Ragnarr, ossia Ragnarr dei Corvi.

‹‹Cosa ti è successo?›› chiese improvvisamente Helblindi. ‹‹Hilda è prudente, Leif, al contrario di te che sei uno sprovveduto!››.

Leif si scosse. ‹‹Io non capisco…›› balbettò in preda al panico.

Helblindi lanciò un’occhiata fuggevole a Ragnarr, come se volesse verificare il suo umore, poi si schiarì la gola e continuò. ‹‹Hai agito con troppa fretta, Leif. Bylistr ti aveva messo in guardia, sottolineando in più d’una occasione l’assoluta necessità di guadagnarsi la stima di Hilda prima di compiere qualunque mossa!››.

‹‹La stima di Hilda…›› farfugliò lo jarl.

‹‹La Grande Sacerdotessa è reggente del trono, anzi è regina, e ha pieni poteri. Sai cosa vuol dire?›› sibilò Helblindi. ‹‹Purtroppo sappiamo tutti che Hilda è un donna astuta, incredibilmente perspicace e diffidente! E sappiamo anche che Freija non regnerà, non finché Hilda vive… Per questo è necessario che tu conquisti la stima della Grande Sacerdotessa! Se lei ti cacciasse, noi perderemmo prima di cominciare a combattere, è chiaro?››.

‹‹Ho l’appoggio di Magni e i soldati al suo comando sono numerosi e agguerriti!›› azzardò a dire Leif.

‹‹Magni è uno stupido, se è vero che s’è fatto abbindolare da una nullità come te!››. Ragnarr sputò per terra, proprio tra i piedi di Leif e fece un passo avanti, serrandogli una mano intorno al collo. ‹‹Sei un pezzente e un vigliacco! Non dimenticare che tutto ciò che hai lo devi a Bylistr! Senza di lui staresti ancora a piangere sulla carcassa di tuo padre oppure saresti morto!››.

Leif era pallido e respirava a fatica, tanto che aveva già le labbra livide. ‹‹Ragnarr, ti supplico… sto soffocando…Helblindi, aiutami…››.

‹‹Ti sei pisciato nei calzoni solo perché Hilda ha nominato un Landvarnarmaðr che non conosci e che fa gli occhi dolci alla principessa!››. Ragnarr strinse più forte e Leif gemette. ‹‹Se tu fossi stato più accorto, non avresti dovuto correre ai ripari!››.

‹‹Helblindi…digli di lasciarmi…soffoco…››.

‹‹Ragnarr, adesso lascialo››. Leif crollò a terra, traendo profondi respiri, e le sue labbra ripresero colorito. Helblindi s’accosciò di fianco a Leif. ‹‹Voglio dirti una cosa, caro amico. Ragnarr non è un uomo paziente, l’hai già capito, ma Bylistr lo è ancor meno. Oltre a ciò abbiamo rischiato grosso, stasera, perché Ragnarr avrebbe potuto incrociare gli occhi col principe Freyr in qualunque momento e naturalmente c’erano Healfdene l’Alto, i suoi figli, e certi jarls norvegesi di nostra conoscenza! Sai quello che voglio dire? Capisci?›› Leif annuì vigorosamente. ‹‹Bene. Se hai capito quanto abbiamo rischiato venendo alla cittadella, capirai anche che non possiamo permetterci di fallire, per nessun motivo! Abbiamo lavorato troppo per arrivare fino a questo punto››.

Leif, sconvolto, annuì. ‹‹Cosa devo fare?››.

‹‹Noto con piacere che non sei stupido come si dice! Ormai quel che è fatto è fatto, dunque inutile cercare di tornare indietro. Ora temiamo che Hilda si sia risentita terribilmente per il tuo comportamento ed è necessario che tu la rabbonisca!››.

‹‹L’ho fatto, Helblindi, le ho parlato con gentilezza e cortesia…››.

Helblindi alzò un braccio stizzito per farlo tacere serrando il pugno nervosamente. Leif chiuse gli occhi spaventato.

‹‹Devi convincerla ad approvare il matrimonio, perché le due sorelle sono molto legate e senza il consenso di Hilda non ci sarà nessuna cerimonia!››. Helblindi era rosso in volto ma si calmò subito e abbassò il braccio. ‹‹Ad ogni modo, l’importante è che la principessa sia consenziente… il resto s’aggiusterà, spero››.

Helblindi s’alzò e si stropicciò la fronte poggiando le mani sui fianchi.

‹‹Abbiate fiducia, non vi deluderò›› mormorò Leif servizievole, alzandosi e sistemandosi i vestiti stropicciati.

‹‹Ci hai già deluso›› disse semplicemente Ragnarr, smorzando l’entusiasmo di Leif. ‹‹Stai attento, figlio di Eric il Vile, perché Hrafna-Ragnarr segue ogni tua mossa e ti controlla! Aspetto con ansia il giorno in cui commetterai l’errore fatale, e allora terrò fede al mio nome e ti riserverò con piacere lo stesso trattamento che ricevette tuo padre! Nessuno può permettersi di vivere dopo aver deluso Bylistr!››.

‹‹Tieni a mente queste parole, Leif›› ribadì Helblindi.

Ragnarr sputò di nuovo a terra e si allontanò furtivo assieme ad Helblindi, fingendosi guerrieri ubriachi che tornavano agli accampamenti in Iðavöllr.

Leif ripensò con orrore al raccapricciante spettacolo di suo padre, inchiodato ad un albero e torturato a morte dal crudele Ragnarr, mentre lì vicino Bylistr e i suoi uomini osservavano impassibili lo scempio del traditore. I suoi fedeli guerrieri l’avevano soprannominato Ragnarr dei Corvi per elogiare una terribile usanza dell’uomo che lo avvicinava molto ai neri uccelli. Era solito, come se volesse lasciare una sorta di firma che identificasse senz’ombra di dubbio l’autore del delitto, togliere gli occhi alla sua vittima, con le dita, per poi mangiarli, proprio come facevano i corvi.

Rabbrividì, per la paura e per il freddo, e s’affrettò a tornare a palazzo, rimuginando mille pensieri.

Freija lasciò finalmente la sala e s’affrettò verso la stanza di Hyoga. Una volta che tutti se ne furono andati, il palazzo piombò di colpo in un silenzio quasi innaturale, e i corridoi erano paurosamente vuoti e bui. Freija sapeva muoversi velocemente in quegli ambienti conosciuti ma badò di non produrre il minimo rumore. Mentre si avvicinava alla porta della camera di Hyoga pensava a cosa sarebbe successo se qualcuno, per caso, l’avesse vista entrare in una stanza diversa dalla sua a quell’ora della notte. Alzò le spalle e, nonostante il timore d’essere scoperta, bussò alla porta. Attese qualche minuto ma non avvertì alcun rumore. Bussò ancora, con maggior forza, e per la seconda volta, nessuno rispose. Hyoga stava forse dormendo, e Freija scosse la testa sconsolata, perché forse sarebbe stato tardi parlare con lui anche quella stessa mattina.

E se non fosse nella sua stanza?

Il fugace pensiero la turbò più dell’eventualità che lui non avesse risposto volutamente al suo bussare. Bussò una terza volta, con insistenza, e ancora nessuna risposta.

Si avviò rapida verso le stanze di Hilda, sentendo l’agitazione crescere ad ogni passo. Era sicura che sua sorella non fosse ancora addormentata, era passata appena un’ora da quando aveva lasciato la festa. Esitò lo stesso davanti a quella porta chiusa che le sembrò un ostacolo insuperabile. Restò immobile per un lungo tempo, assorta in chissà quali pensieri, con gli occhi serrati, concentrata nel tentativo di carpire il più piccolo suono che provenisse dall’interno della stanza. Tutto intorno taceva ma la sua titubanza la tradì.

‹‹Cerchi tua sorella, prinsessa?››. Freija trasalì nel sentirsi chiamare e per poco non urlò.

‹‹Sei tu…›› balbettò.

‹‹Scusa se ti ho spaventato›› continuò Gna avvicinandosi. ‹‹La sacerdotessa non è nella sua stanza, ha detto che non aveva sonno››.

Freija scambiò una lunga occhiata con la ragazza. ‹‹Dov’è, allora? Devo parlarle››.

‹‹È molto tardi per parlare…››.

Gna era astuta e Hilda l’aveva scelta per la sua perspicacia. Era fedele alla sua signora e sapeva proteggere gelosamente i segreti di Hilda. Gna, in condizioni normali, avrebbe accuratamente evitato di riferire qualunque cosa la sacerdotessa non volesse far sapere, ma Freija, che ad ogni modo odiava ricorrere a simili subdoli mezzi, conosceva il modo di strappare alla ragazza informazioni riguardanti Hilda.

‹‹È molto tardi anche per girovagare a quest’ora… Dove sei diretta?››.

Gna impallidì. ‹‹Nella… camera di tua sorella, prinsessa…››.

‹‹E poi?›› chiese Freija. ‹‹Mio fratello ha bevuto molto stasera… non credo che si sveglierà per quanto tu possa bussare forte…E se avesse lasciato la porta aperta…anche in quel caso, penso che resterebbe profondamente addormentato››.

‹‹La sacerdotessa mi ha detto che voleva fare un bagno caldo e che non voleva essere disturbata››.

‹‹È alla Pozza, quindi?››.

Gna annuì. ‹‹Ma non dire ad Hilda ciò che sai, ti prego… S’infurierebbe…››.

Freija sorrise a Gna e la ringraziò per l’informazione. Non voleva farsi vedere mentre vagava alla disperata ricerca di conforto e augurò la buonanotte alla thírs fingendo di andare a dormire. Qualche minuto dopo Freija sentì Gna che usciva dalla camera di Hilda e si allontanava. Quando ritornò il silenzio, uscì dalla sua stanza e corse alla Pozza.

Hilda arrivò nella grotta ed entrò nella piccola anticamera adibita a spogliatoio. Le pareti erano di roccia e trasudavano umidità ma l’ambiente era caldo per via dei vapori che si alzavano dalle sorgenti calde. Le uniche suppellettili erano una panca e una grande cassa, piena di tovaglie accuratamente ripiegate.

Sulla panca Hilda vide un cambio maschile e lì vicino, gli abiti che Hyoga aveva indossato quella sera. Sfiorò con la mano gli indumenti puliti e profumati, perfettamente piegati.

Hyoga ha sempre un buon profumo…

Si spogliò, prese un asciugamano dalla cassa e avvolse il suo flessuoso corpo nella tovaglia. Esitò un attimo, cercando di convincersi che ciò cui si apprestava non era un’azione meschina.

No, non lo è.

Aveva dato la possibilità a Freija di riflettere sulla sua scelta e come risultato aveva ottenuto di farsi odiare. Annuì a se stessa come per infondersi coraggio ed entrò nella caverna principale. Fu pervasa subito da una piacevole sensazione di calore dovuta al vapore che diffondeva per tutto l’ambiente.

Hyoga era immerso fino alla vita, seduto sulle sporgenze rocciose che fungevano da sedili, e stava comodamente appoggiato con la schiena e le braccia al bordo della pozza, con la sua testa rovesciata all’indietro, in una posa che indicava il suo totale rilassamento.

Hilda camminò verso di lui lentamente, con l’intenzione di non farsi sentire e intanto ammirò compiaciuta, attraverso la nebbia di vapore, il torace e le braccia muscolose del guerriero. Quando arrivò al bordo della vasca mise un piede in una piccola pozzanghera e rivelò la sua presenza.

Attirato dal rumore, Hyoga sollevò la testa e la vide. Istintivamente abbassò le braccia cercando di coprire quello che, per la trasparenza dell’acqua, era già stato oggetto dell’attenzione dell’inattesa visitatrice.

‹‹Bóže moj, Hilda?!›› esclamò sorpreso. ‹‹Non ti ho sentito arrivare…››.

Avrebbe voluto uscire immediatamente dall’acqua per coprirsi con l’asciugamano, lontano solo qualche passo, ma temeva di mettere in imbarazzo Hilda. Ben presto si rese conto che il problema era tutto suo. Hilda era ancora ferma sul bordo della pozza, silenziosa, avvolta in un panno che la copriva giusto lo stretto necessario. Sentiva su di lui lo sguardo attento della donna e cominciò ad agitarsi.

‹‹Mi sentivo un po’ abbattuto e ho pensato di fare un bagno caldo per tirarmi su…››.

‹‹Vedo che ha funzionato›› disse Hilda facendo scorrere lo sguardo fino alle mani di Hyoga, ancora raccolte a proteggere la sua intimità. Si lasciò sfuggire un sorriso di approvazione e lo fece arrossire.

‹‹Ti senti meglio ora?›› domandò Hilda dolcemente.

‹‹Da, certo… se non nello spirito, almeno nel corpo›› si affrettò a dire Hyoga. ‹‹Stavo giusto pensando di andare via››.

Sorrise nervosamente cercando di escogitare uno stratagemma che gli permettesse di andarsene senza doversi sottoporre alla vergogna di mostrarsi nudo quando, inaspettatamente, Hilda fece scivolare a terra l’asciugamano mostrando le sue generose forme. Hyoga non poté non ammirare lo spettacolo, sicuramente degno d’attenzione, poi si sentì avvampare e distolse lo sguardo.

‹‹Perché dovresti?››. La voce di Hilda era calda e invitante. ‹‹Non potremmo invece fare il bagno assieme?›› propose immergendosi lentamente nella pozza.

‹‹A?…Il bagno…assieme?››.

‹‹Sì›› ribadì Hilda. ‹‹Non ti andrebbe?››.

La sacerdotessa assaporò la sensazione che procurava il contatto dell’acqua calda sulla sua pelle fredda e si lasciò sfuggire un gemito di piacere, mentre il suo corpo reagiva di conseguenza.

‹‹Meraviglioso, non trovi?›› disse riaprendo gli occhi.

Hyoga annuì, respirando profondamente per mantenere il controllo, ma crebbe in lui uno strano turbamento che gli impediva di lasciare la pozza e aumentava il desiderio di avvicinarsi alla provocante Hilda.

La sacerdotessa, dal canto suo, attanagliata dalla stessa smania, era conscia dell’importanza di mantenere il controllo per gestire la situazione al meglio. Se avesse affrettato i tempi, avrebbe perso l’opportunità di concludere felicemente quel piacevole e stuzzicante incontro che aveva idealizzato come la migliore conclusione della serata. Si rilassò e si abbandonò mentre i capelli si sparsero attorno al suo viso e i seni rigogliosi apparvero sulla superficie dall’acqua, mossa solamente dal lento movimento delle sue braccia.

‹‹L’imprevisto mi ha lasciata senza parole›› cominciò a dire mentre con noncuranza si avvicinava a Hyoga. La sua infallibile strategia consisteva nel fingere disinteresse, oltre che nell’ostentare una totale mancanza di imbarazzo nell’esibire il suo corpo, del quale peraltro andava fiera, in maniera più o meno spudorata. ‹‹Non riesco ancora a spiegarmi come possa mia sorella trovare attraente una nullità come Leif!›› continuò con una nota di rancore nella voce.

Sospirò, appoggiandosi con la schiena alla parete della pozza, vicino a Hyoga, e si abbracciò il petto, in un subdolo tentativo di nascondere il seno che, in realtà, sotto la pressione esercitata, risultò sollevato e aumentato nelle rotondità.

Hyoga restò in silenzio, con lo sguardo fisso in un punto indeterminato di fronte a lui e la faccia tirata in un’espressione che si sarebbe detta sofferente.

Hilda, godendo intimamente dell’agitazione che coglieva nella rigida immobilità del russo, non mancava di mantenere un’espressione turbata e perplessa, che serviva a mascherare perfettamente i suoi loschi proponimenti.

‹‹Cosa pensi di fare?››.

Si voltò a guardarlo, con un movimento lento della testa, e si pentì immediatamente della domanda. Hyoga sembrava essersi improvvisamente liberato dalla sua ammaliante magia e lo sguardo annacquato tradiva i suoi pensieri. La sacerdotessa si morse le labbra e temette di aver compromesso il suo eccellente piano di consolazione e conquista.

‹‹Niente›› rispose lui alla fine. ‹‹In casi come questi, tutti s’aspettano uno strepitoso colpo di scena che ribalti la situazione. Anche Shun probabilmente se lo aspetterebbe. Net, non sarebbe giusto… Non farò niente››.

Hilda si lasciò sfuggire un’esclamazione di sorpresa e subito la sua mente, allenata dalla lunga esperienza politica, iniziò un’attenta valutazione di tutti i vantaggi e gli svantaggi del caso. Grazie alla lucidità speculativa che non l’abbandonava neanche quando si trattava di affari di cuore, si soffermò a considerare la possibilità di sfruttare quella delusione amorosa a suo vantaggio. Hyoga sembrava rassegnato all’idea di aver perso per sempre l’amata, e Hilda si rese conto che egli non avrebbe in alcun modo interferito in quella che vedeva come una condizione irreversibile.

‹‹Non farò niente›› ribadì Hyoga, stavolta sforzandosi di mostrarle un sorriso.

Sentirono la tensione allentarsi, inconsci del fatale fascino che li accomunava e che li attirava l’uno all’altra. Hyoga, infatti, rimase ipnotizzato dallo sguardo di Hilda: i suoi occhi allungati color del ghiaccio, assieme alle labbra socchiuse perfettamente disegnate, trasmettevano una profonda sensualità che non lo lasciavano indifferente. A sue spese, capiva perfettamente perché quella donna attirasse gli uomini come il miele le api. Freyr l’aveva avvertito di prestare attenzione alla sorella ma ora quelle parole erano soltanto un ricordo lontano. Hilda era così vicina e, in quel momento, gli parve che fosse la donna più bella che avesse visto. Tentò di convincersi che quella era soltanto un’illusione. Il magnetismo erotico di lei lo attraeva inesorabilmente mentre la sua mente tentava di prendere il sopravvento e di ricondurlo alla ragione. Il desiderio suscitato dall’eccitante presenza della donna, alla fine, ebbe la meglio e gli fece dimenticare il senso di oppressione e delusione che gli costringevano l’animo.

Dal canto suo, la sacerdotessa, nel vedere come Hyoga si sforzasse, nonostante tutto, di sembrare allegro, fu mossa a compassione per quell’uomo infelice e fu sul punto di andarsene, per lasciarlo solo a meditare e leccarsi le ferite. Cominciò persino a dubitare delle sue azioni e per un attimo ripensò al viso corrucciato di sua sorella e alla sua sfuriata.

Fa ciò che vuoi, con chi vuoi. Spera solo di non dovertene pentire!

Freija aveva parlato senza pensare, fuori di se per la rabbia e la gelosia, e Hilda comprese allora il significato di quelle parole.

Forse dovrei andarmene e fare una bella dormita! Domattina, dopo un bel sonno, le mie voglie saranno dimenticate!

Accadde però l’imprevisto, un evento totalmente inaspettato che riaccese in lei il desiderio e che riaprì le porte della speranza che sembravano chiuse per sempre.

Hilda guardò sconcertata il braccio di Hyoga sollevarsi e sussultò quando, lentamente, la mano di Hyoga le accarezzò una spalla. Il semplice tocco la fece trasalire per i brividi che ne seguirono e, quando la mano proseguì lenta il suo tragitto, la sensazione di piacere si amplificò. Il suo petto si alzava e si abbassava seguendo il ritmo della respirazione irregolare mentre Hyoga saliva fino alle spalle e poi lungo il collo, sempre sfiorandole la pelle dolcemente. Hilda si lasciò accarezzare la guancia e le labbra ma non riuscì a resistere oltre. Guidata dalle richieste sempre più insistenti del suo corpo, si mosse verso Hyoga e un istante dopo si trovò a sedere a cavalcioni sulle sue gambe.

Lui non si oppose ma chiuse per un attimo gli occhi al contatto del petto di Hilda contro il suo, quando le mani della donna gli accarezzarono il volto. Poi la strinse forte e la baciò. Piacevolmente coinvolta, Hilda si serrò ancora di più contro il petto di Hyoga ed egli la abbracciò con maggiore ardore, attirandola a sé mosso da una voglia smaniosa e incontenibile.

Entrando, Freija notò subito i vestiti della sorella e pensò che forse un bagno caldo le avrebbe fatto bene. Aveva appena cominciato a slacciarsi l’abito quando la sua attenzione si concentrò su un particolare non da poco che le era sfuggito. Sulla panca c’erano altri vestiti, vestiti maschili. Hilda non era sola.

In condizioni normali, Freija si sarebbe allontanata immediatamente dalla grotta, lasciando ai due nella Pozza la dovuta riservatezza, in quanto non era sua abitudine impicciarsi degli affari altrui né tanto meno spiare. Stavolta però rimase ferma, combattuta tra il dovere di non violare la privacy della sorella e la necessità di verificare chi era con lei in quel momento. Come ipnotizzata, si avviò verso la grande apertura nella parete che immetteva nella grotta. Aveva paura di quello che avrebbe potuto vedere, perché sapeva bene chi aveva indossato quei vestiti la sera stessa. Tremava per l’agitazione, ma la speranza di essersi sbagliata la spingeva ad avanzare nonostante tutto.

Non osò entrare nella grotta, si affacciò solo. Il vapore aveva formato quasi un muro e non fu facile vedere attraverso quell’umida caligine. Purtroppo per lei, la sua vista non impiegò molto tempo ad abituarsi e, attraverso le zone meno dense di vapore, riuscì ad intravedere qualcosa muoversi nella Pozza.

Riconobbe con drammatica sicurezza i corpi di Hilda e Hyoga, nudi, intrecciati in un abbraccio appassionato che portava ad un’unica sconvolgente spiegazione.

Le lacrime le offuscarono del tutto la vista ma non sarebbe potuta restare un secondo di più, ferita a morte da ciò che aveva visto, più che da ogni altro evento sciagurato della sua giovane vita. Si appoggiò per un attimo alla parete della stanza, incapace di smettere di piangere, disperata per la terribile rivelazione e terrorizzata dall’eventualità di rivelare involontariamente la sua presenza. Rimase ferma, con gli occhi chiusi nel tentativo di ricacciare indietro le lacrime e una mano premuta sulla bocca per ammortizzare il rumore dei singhiozzi che la scuotevano, e aspettò di calmarsi. Finalmente, stringendo forte le labbra, riuscì a scostarsi dal muro che l’aveva fino allora tenuta in piedi e si allontanò più velocemente che poté.

‹‹Che succede?›› chiese Hilda mentre sulle sue labbra si dipingeva un incredulo sorriso.

Hyoga l’aveva allontanata. Adesso lei lo fissava con aria interrogativa mentre il russo continuava ad accarezzarle la pelle chiara luccicante di gocciole di vapore.

Era come assorto e sembrava non aver udito le parole della sacerdotessa. Sentiva il dolce sapore di quel bacio sulle sue labbra e il suo corpo palpitare di piacere al solo pensiero di stringerla di nuovo. Aveva visto chiaramente lampi di desiderio negli occhi di lei, chiari messaggi che avevano amplificato il suo desiderio, ma non era soddisfatto per come si era comportato. Hilda era in grado di decidere da sola la condotta da tenere, ma non avrebbe comunque potuto approfittare di lei, che pure gli si offriva spontaneamente. Era stata capace di eccitarlo e conquistarlo con estrema facilità ma giacere con lei non era la soluzione dei suoi problemi. Anzi, era sicuro che l’illusione sarebbe svanita dopo il piacere, lasciando il posto all’amarezza di aver tentato di rimpiazzare un amore che non era ancora morto nel suo cuore. Accarezzava il corpo di Hilda ma sapeva che altrove erano i suoi pensieri, che non era quella davanti a lui la donna con cui avrebbe voluto provare simili emozioni.

Hilda intanto lo fissava, con gli occhi ridotti a due fessure. Hyoga non alzava lo sguardo su di lei e questo la insospettiva e la innervosiva.

‹‹Che succede?›› ripeté Hilda sorridendo. ‹‹Forse non ti piaccio?››.

‹‹Tu… sei bellissima›› rispose Hyoga balbettando.

La voce sensuale e suadente di Hilda aveva la capacità di confonderlo. Oltre a ciò, sentire il corpo di lei così vicino al suo faceva vacillare continuamente la sua buona volontà di resisterle. Si passò una mano sulla fronte e cercò di spiegare le sue ragioni.

‹‹Sei bellissima. Il problema è mio… ››.

Hilda però non era disposta a rinunciare a lui facilmente e gli si appoggiò addosso, buttandogli le braccia al collo. ‹‹Qual è esattamente il tuo problema?›› gli sussurrò in un orecchio, in tono divertito.

L’eccitazione di Hilda crebbe e le sue labbra divennero insistenti nel baciarlo. Cominciò a muoversi e le sue mani presero ad esplorare il corpo di Hyoga che s’irrigidì.

‹‹Hilda…net… io non voglio››.

Hilda, da esperta seduttrice, smise di importunarlo ma tentò di convincerlo con le parole.

‹‹Preferirei credere al tuo corpo che mi dice tutt’altro›› affermò Hilda con estrema sicurezza. Prese allora ad accarezzargli il volto, dolcemente. ‹‹Perché non vuoi, caro? Questo è normale se due persone si sentono attratte l’una dall’altra››.

‹‹È normale, da… ma non è giusto›› ribatté Hyoga con determinazione.

Hilda sospirò incapace di trovare una spiegazione plausibile a quell’improvviso voltafaccia. Stava perdendo una battaglia che credeva ormai vinta e non le piaceva. Guardò con distacco la croce che pendeva dalla catenina d’oro sul petto glabro di Hyoga e sentì montare l’irritazione.

‹‹Cosa non è giusto?›› chiese in tono asciutto, quasi seccata. Si fissarono a lungo prima che Hyoga si decidesse a rispondere.

‹‹Non è giusto che una donna si conceda per il solo piacere del corpo… ››. Hyoga era serio ma Hilda non poté fare a meno di scoppiare in una risata isterica.

‹‹Concedersi, come suona equivoco!›› ribatté Hilda. Si stava innervosendo per via dell’ostinata ritrosia di Hyoga e della sua stucchevole moralità. ‹‹Io non mi concedo mai, mio caro, è disonorevole. Io scelgo… e ho scelto te!››.

Hyoga arrossì e mostrò un sorriso contratto. Hilda era una donna decisa e sapeva come comportarsi in qualunque situazione, lui invece non riusciva ad esprimere il suo pensiero con sufficiente incisività.

‹‹Mi lusinghi con le tue parole. Per amare però bisogna essere in due… ›› sospirò quasi dispiaciuto.

‹‹Chi ha parlato di amore?››. Il cipiglio autoritario della sacerdotessa aveva cancellato dal suo volto la dolcezza dell’amante. ‹‹Non mi interessa il tuo amore, Hyoga, voglio il tuo corpo!››.

Hyoga inarcò le sopracciglia, sorpreso, ma trovò la forza di sorridere mentre lei, con occhi di ghiaccio, cercava di decifrare il suo comportamento.

Non era uno stolto, un fantoccio senza cervello come quelli che, più o meno frequentemente, riempivano il suo letto: con lui non sarebbero stati sufficienti gli sguardi languidi e gli atteggiamenti provocanti, parte integrante del suo repertorio di strategie di seduzione. Hyoga desiderava l’amore, desiderio che soltanto Freija avrebbe potuto appagare. Era sempre Freija ad occupare i suoi pensieri, anche ora che la sapeva promessa ad un altro.

Sta pensando a lei anche in questo momento! Anche adesso che sono qui davanti a lui, pronta a soddisfare tutti i suoi desideri!

‹‹È inammissibile!›› disse Hilda.

‹‹Vorrei tanto condividere il tuo punto di vista ma ho ancora degli ideali›› rispose con rammarico Hyoga, appoggiandosi una mano sul petto e stuzzicando in un gesto meccanico la croce.

Ormai consapevole della sua amara sconfitta, colpita profondamente nel suo orgoglioso, Hilda non riuscì più a trattenere l’irritazione. Si alzò dalle gambe di Hyoga e sollevò la testa fiera, traendo un profondo respiro.

‹‹Bollare a fuoco i desideri del corpo, come fossero manifestazione di indecenza, sono questi i tuoi ideali?›› esclamò alzando la voce. ‹‹Mi dispiace, ma fatico a crederti! Non puoi lasciarmi così: che razza d’uomo saresti?››. Hilda si era lasciata trasportare dalla foga del momento e non intendeva certo offenderlo.

Hyoga, da parte sua, non sembrava minimamente scosso e la sua espressione, sempre più severa, dimostrava la piena convinzione delle sue idee.

‹‹Decidi tu. Io penso di non dover dimostrare niente… ›› sorrise. Rimasero per un attimo in silenzio, prima che Hilda tentasse un ultimo attacco.

‹‹Hyoga, perché menti a te stesso?›› domandò con studiata calma. ‹‹So che mi desideri, perché vuoi resistere? Il tuo bacio, il tuo corpo ti hanno tradito…›› aggiunse avvicinandosi di nuovo a Hyoga. ‹‹Vieni qui, fatti abbracciare…›› gli sussurrò all’orecchio.

Hilda si avvicinò, lentamente, poi senza fretta gli passò le braccia intorno al collo. Hyoga la lasciò fare, e sembrò che si stesse abbandonando alle carezze.

‹‹Net!››. Si svincolò e si allontanò di qualche metro. ‹‹Quel bacio è stato uno sbaglio, ti chiedo scusa. Adesso ti prego, non insistere›› intimò alla sacerdotessa alzando le mani.

‹‹Perché? Temi di non poter tenere fede ai tuoi ideali se continuo ad insistere?››. Hyoga, che intanto era uscito dalla Pozza, la fissò e scosse la testa.

‹‹Net, perché il mio rifiuto sarebbe più imbarazzante per te che per me››. Recuperò il suo asciugamano e sparì nello spogliatoio.

Hilda avrebbe voluto controbattere ma scoprì di non avere il coraggio di alzare gli occhi su di lui per la troppa vergogna.

Il bussare insistente alla porta la destò dal torpore e la costrinse a ricordare che aveva chiesto di parlare con Leif. Nonostante fosse tardi, nonostante fosse sembrato seccato dalla sua richiesta, forse Leif aveva deciso di recarsi da lei. Era tornata nelle sue stanze da un’ora almeno, ma da poco aveva smesso di piangere. Sospirò, stesa sul letto, ma continuò a fissare il soffitto.

Se non si fosse mossa, probabilmente Leif se ne sarebbe andato. Non voleva che lui la vedesse in quello stato, sciupata e con gli occhi arrossati.

Se invece fosse stata Hilda, o peggio ancora Hyoga, in quel caso non avrebbe voluto aprire per la troppa vergogna.

Alla fine dovette alzarsi perché l’incognito visitatore non smetteva di battere alla porta e, di quel passo, avrebbe svegliato tutto il palazzo. Prima di aprire spense un paio di candele sperando, col buio, di nascondere il turbamento e gli occhi gonfi. A piedi nudi camminò sulla pietra fredda del pavimento e appoggiò l’orecchio alla porta.

‹‹Sì?››. Dall’altra parte gli arrivò una voce maschile attutita dallo spessore della porta.

‹‹Allora, cosa volevi?››. Leif entrò nella stanza con sicurezza, senza aspettare che lei lo invitasse.

Freija si stupì dell’improvvisa confidenza ma chiuse la porta senza obiettare.

‹‹S’è concluso bene l’affare?›› domandò timidamente.

‹‹Diciamo che sono soddisfatto›› rispose Leif ermeticamente.

Restarono in silenzio, con Leif che passava la mano sulla barba e lei impegnata a strofinare un piede sull’altro per riscaldarli. Poi seguì un momento di stupore, misto ad imbarazzo, quando Freija s’accorse che il silenzio di Leif era dovuto al fatto che lui l’osservava fisso, attirato dalla scollatura del suo vestito. Aveva slacciato i cordoni che lo chiudevano sul petto alla Pozza, poi era fuggita e se n’era dimenticata. Quando s’era buttata sul letto a piangere, il vestito si era aperto e stava mostrando più di quanto Freija avesse voluto.

‹‹Volevo parlarti di quello che è successo stasera›› cominciò a dire incrociando le braccia sul petto. Abbandonò la piccola anticamera e si mosse verso la stanza da letto, scusandosi che sarebbe tornata subito. ‹‹Sono rimasta molto sorpresa… ››.

‹‹Per il comportamento del vostro amico, l’utlänning?››.

Si voltò di scatto sentendo la voce di Leif tanto vicina. L’uomo, infatti, era sulla porta della camera e la stava seguendo con attenzione mentre si sistemava l’abito, dimostrando di non aver molto rispetto della sua intimità. Imbarazzata dalla spudoratezza di Leif, Freija arrossì e non poté far altro che guardarlo entrare e andare a sedersi su una delle poltrone della camera, sentendo sempre il suo sguardo fisso su di lei. Si pentì di averlo invitato nelle sue stanze a quell’ora, anche se quella era la prima volta che lo sentiva come un completo estraneo.

‹‹Sì, si è comportato molto male, da villano›› cominciò a dire Leif. ‹‹Non so come tu possa conoscere gente di quella risma… Poi, non mi piace il modo in cui ti guarda, Freija. Una donna onesta deve evitare uomini come quelli››.

Lei si fece seria guardandolo. Leif era buono con lei e se si dimostrava geloso solo per averla vista parlare con un altro forse l’amava veramente.

In fondo, che cos’è l’amore? Volere bene ad una persona e desiderare ogni felicità per lei, e anche sentirne la mancanza e gioire della sua presenza… Io provo tutto questo per Leif?!

Combattuta tra la necessità di chiarire il vero motivo di quell’incontro e il desiderio di dimenticare il passato per ricominciare una nuova vita, a partire proprio dallo strano rapporto con Leif, Freija rimase ad ascoltare quell’uomo che parlava con ardore del comportamento che lei avrebbe dovuto seguire da quel momento. Mentre lo guardava parlare, si disse che mantenere la tacita promessa fattagli quella stessa sera era l’unico modo che le rimaneva per cancellare dalla sua mente ogni ricordo di Hyoga che aveva già trovato conforto tra le braccia di sua sorella e aveva, a quanto sembrava, dimenticato in fretta le belle parole pronunciate. Leif invece era lì con lei, era una presenza sicura, quello che non era mai stato Hyoga.

‹‹Vedrò di chiarire domani con l’utlänning›› disse alla fine Leif sorridendole, ancora convinto che lei gli volesse parlare del piccolo battibecco con Hyoga. Freija non fece nulla per fargli credere diversamente, perché era sicura che tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modi.

‹‹Dimentica quello che è successo…›› sorrise Freija, ‹‹…perché non succederà più! Partirà presto e ho ragione di credere che non tornerà più…››.

Una volta, non molto tempo prima, mentre parlavano, Leif le aveva detto che non si era mai sentito tanto bene come quando stava con lei e ricordò la gioia che aveva provato nel sentire quelle parole. Avrebbero dovuto solo aspettare che venisse la bella stagione per celebrare le nozze, perché aveva sempre sognato una bellissima cerimonia in una giornata assolata. Si sentiva sollevata al pensiero che avrebbe avuto una persona fidata al fianco che avrebbe diviso con lei gioie e dolori.

Il senso di solitudine, l’angoscia e il pianto… è stato uno sbandamento passeggero… Credo d’essere felice per l’opportunità che Leif mi concede…Forse ho pianto la morte definitiva del mio primo vero amore…

Non riusciva ad ogni modo a dimenticare la preoccupazione mostrata da Hilda, che aveva cercato di avvertirla di un pericolo futuro. Guardò Leif, che le rispose con un bellissimo sorriso che gli fece arricciare la pelle agli angoli degli occhi. Come poteva un uomo con degli occhi tanto dolci rappresentare un pericolo? Non riusciva a crederlo capace di commettere alcun male ma allo stesso tempo non poteva dimenticare le parole di sua sorella.

Hilda non mi mentirebbe mai…

Inconsciamente, chiuse i due lembi del vestito aperto sul petto, e la situazione di colpo cambiò.

‹‹Perché ti sei coperta?›› chiese Leif che le si era avvicinato. ‹‹A cosa servono le belle donne se non è possibile guardare il loro corpo?››.

‹‹Come?››.

‹‹È quello che ha detto l’utlänning, ricordi?›› disse Leif con un tono seccato. ‹‹Ti piaceva, che lui ti guardasse?››.

‹‹No, ma cosa dici?›› balbettò Freija disorientata.

Gli occhi di Leif scintillarono. ‹‹Lui non deve permettersi…ma io posso guardarti…e anche toccarti…perché sarai mia moglie!››.

Lei lo fissò sconcertata dalla durezza nella sua voce. Leif arricciò le labbra, poi sorrise ancora.

‹‹Posso…››. Farfugliò qualcosa d’incomprensibile, deglutendo più volte e umettandosi le labbra. ‹‹Io vorrei baciarti…››.

Freija sgranò gli occhi. ‹‹No…››.

‹‹Perché?››.

Freija tentò di ritrarsi quando Leif allungò una mano per stringerla ma lo jarl la trattenne. Si sentì bruciare in volto per l’imbarazzo quando lui si sporse per baciarla. Si abbandonò tra le sue braccia, lasciandosi coinvolgere. Ricordò le volte in cui aveva sognato e desiderato che fosse stato Hyoga a rubare il suo primo bacio. Nel momento in cui la assalivano strani pensieri, sentì la smania crescente che guidava le labbra e le mani dello jarl.

Un attimo dopo si trovò a petto nudo mentre le abili mani di Leif la toccavano facendola rabbrividire. Cercò di liberarsi più di una volta ma Leif si limitò ad afferrarla più saldamente e continuò a baciarla e a stringerla. Tentò di lasciarsi andare, di provare lo stesso piacere che il contatto fisico sembrava provocare nel suo impaziente amante ma realizzò ben presto che non era ancora pronta per quelle audaci carezze.

‹‹Leif…››.

‹‹Lasciami fare, va tutto bene così››.

La situazione le era sfuggita di mano e Leif proseguiva imperterrito senza preoccuparsi minimamente delle sue accorate lamentele. Alla fine, abbandonando ogni tentativo di resistenza, disperata, si sforzò persino di assecondare l’insistenza che mostrava Leif nel tentativo di spogliarla. Si pentì del deplorevole risultato perché, non appena cessò di opporre resistenza alle sue brusche maniere, Leif la spogliò completamente e la buttò sul letto, svestendosi lui pure.

In fondo, che cos’è l’amore? si ripeté tristemente chiudendo gli occhi per non vedere.

Finì tutto in fretta. Freija rimase rigida e distesa in un atteggiamento di passiva accettazione mentre su di lei, incapace di controllarsi e privo di ogni umana dolcezza, un Leif totalmente diverso da quello che aveva creduto di conoscere prendeva senza mezzi termini ciò che il suo corpo reclamava con insistenza. Quando lui, ancora ansimante, si lasciò cadere di lato, liberandola dal suo peso opprimente, Freija si raggomitolò su un fianco in modo da volgergli le spalle. Cercò di convincersi che tutto si sarebbe sistemato, una volta che si fossero conosciuti meglio, e si sforzò di pensare che questo era quello che accadeva a tutte le donne. Ma pianse per tutta la notte, dolendosi in silenzio per quella che la sua mente classificava come un’inspiegabile e inutile violenza, mentre al suo fianco Leif, profondamente addormentato, scandiva il lento passare del tempo con il suo pesante respiro.

Di ritorno nelle sue stanze, Hilda credette che sarebbe stato sufficiente prepararsi una tisana per scacciare le preoccupazioni e sprofondare in un dolce sonno. L’infuso di biancospino e menta, con l’aggiunta di un pizzico di valeriana, aveva un retrogusto amarognolo ma Hilda la bevve con piacere, anche se ben presto si rese conto che non aveva avuto grande effetto.

Si levò dal letto, indossò una veste di lana chiara e si sistemò sulle spalle il suo mantello sacerdotale. Poi uscì dal retro del palazzo e s’incamminò attraverso il parco nella direzione del Luogo Sacro. La luna splendeva alta e piena e rischiarava la notte con la sua pallida e fredda luce. Hilda, biancovestita e solo in parte coperta dalla cappa, si aggirava silenziosa e leggera in mezzo ai giardini e, se qualcuno l’avesse vista, l’avrebbe scambiata per una dís, una delle divinità femminili in onore delle quali, assieme alle altre divinità della fecondità, venivano officiati sacrifici in quel periodo dell’anno, a metà ottobre, durante vetrnær, la festa delle ‹‹notti d’inverno››.

Il Luogo Sacro era una sorta di tempio, un edificio di media grandezza costituito di un unico grande ambiente al centro del quale era sistemato un altare, su cui erano posati una lama e un bacile. Sul fondo della sala c’era un seggio di pietra ricoperto di rune; dietro al seggio torreggiava la statua del padre di tutti gli dei, Odino, il dio monocolo, raffigurato armato dello scudo e della spada, mentre le statue di Yngvi-Freyr e Þórr avevano posto ai suoi lati.

Hilda si soffermò ad osservare la statua del Dio supremo. Ai suoi piedi c’erano i due famelici lupi, Geri e Freki (1), con le enormi fauci spalancate, che stavano con lui nel Valhöll, dove il dio li nutriva col proprio cibo, poiché a lui era sufficiente il vino. Oltre alla spada magica e allo scudo, sulla testa egli portava un elmo, sul quale erano rappresentati i due corvi Huginn e Muninn, Pensiero e Memoria, suoi amici e consiglieri: per questo Odino era chiamato anche Hrafnagoð, dio dei corvi. Hilda ricordò il mito, dove si diceva che i due corvi ogni giorno, alle prime luci dell’alba, s’alzavano in volo e raggiungevano le più remote regioni della terra e al loro ritorno, all’imbrunire, riportavano le notizie di tutto ciò che avevano visto e udito, e in uno stato di trance, recitò le parole di un antico carme:

‹‹Huginn ok Muninn fljúga hverjan dag

jörmungrund yfir;

óomk ek of Huginn, at ahann aptr né komið,

þó sjámk meirr um Muninn ››. (2)

Respirò profondamente e sentì una parte della tensione svanire. Alzò le braccia, con le palme delle mani rivolte al cielo e pregò:

‹‹Odino, padrone della magia e della saggezza, tu che sei splendente e demoniaco, che dispensi il tuo prezioso aiuto ai guerrieri che ritieni degni, che vedi e sai tutto, concedimi ancora una volta la capacità di vedere il giusto e di non sbagliare!››.

Restò immobile, con gli occhi chiusi, in attesa di un segnale, e si mosse solo quando sentì un fremito nell’aria che fece danzare le fiamme delle torce e che la fece tremare.

Solo allora prese la lama dall’altare e uscì dal tempio. Si tolse le calzature e raggiunse a piedi nudi il , un santuario all’aperto che consisteva di un boschetto in cui sorgeva Yggdrasill, il Frassino del Mondo, l’albero che con le sue radici raggiungeva tutti i nove mondi. Dove ora sorgeva quel boschetto, una volta era stata la gigantesca statua del dio Odino, distrutta nella battaglia contro Dolvar il traditore.

La sacerdotessa s’inginocchiò ai piedi del Frassino, sulla neve fresca, e si specchiò nell’acqua della pozza che si trovava tra le sue radici, che sapeva provenire direttamente dalla sotterranea Fonte di Mímir, la fonte della Sapienza, la stessa dalla quale Odino bevve per ottenere il sapere in cambio di un occhio.

Prese un pizzico di erbe dal piccolo sacchetto che portava sempre con sé quando si recava nei luoghi sacri, e dopo averlo posto sul dorso della mano lo aspirò, chiudendo prima una narice, poi l’altra. Rovesciò la testa all’indietro per l’intenso bruciore provocato dalla polvere magica sulle mucose nasali, e chiuse gli occhi mentre cominciava a tracciare nell’aria gelida, sulla sua testa, arcani simboli che si confondevano con le nuvole bianche del suo respiro.

Come Somma Sacerdotessa del Culto di Odino, aveva conosciuto gli intimi segreti delle rune e dei procedimenti magici loro connessi e poteva usufruire delle tecniche della magia seiðr: divinazioni ottenute in uno stato di trance violenta, durante il quale si avevano visioni di avvenimenti passati e futuri, si aveva la possibilità di nuocere a distanza, imbrigliando nei meandri d’incantesimi verbali le vittime predestinate, e altri terribili poteri, prerogativa degli iniziati alla magia proibita.

Quando sentì che le erbe allucinogene cominciavano a produrre il loro effetto, Hilda recitò una formula magica, una cantilena che ripeté più volte, aumentando gradatamente il tono della voce e spalancando gli occhi dalle pupille dilatate. I suoi movimenti si fecero scomposti e cominciò ad ondeggiare roteando la testa come avesse il collo rotto. Di scattò prese il coltello e si incise un polso, facendo gocciolare il suo sangue dentro l’acqua, che s’increspò e si tinse di rosso. Allora la sacerdotessa, col respiro affannato e la bocca aperta, ansimante e sudata nonostante il freddo intenso, si sporse a guardare nella pozza con occhi spiritati.

Freija… sta piangendo e di fianco a lei un uomo. Molti uomini sono con lui ma si nascondono nell’ombra e non si vedono i loro volti. Loro tramano contro la Signora, e vogliono il suo potere o il suo appoggio o forse la sua morte.

Hilda scosse la testa per cercare di vedere più chiaramente ma le immagini erano confuse e faticava a comprenderne il significato.

È l’eroe che ritorna, la salvezza, l’uomo è nel futuro della terra, ma Colui che vola alto giace disteso ed è pallido e forse sta morendo. Lui salverà la progenie degli dèi…Poi il Drago minaccerà gli uomini ma sarà sconfitto dal Portatore della Spada, che si bagnerà del suo sangue, come fece il prode Sigurðr dei Völsungar… e anche lui avrà l’oro. Colui che vola alto sarà con il Portatore della Spada e la sua forza non sarà l’oro però, ma l’amore che è più forte della ricchezza e la fede che lo è più del potere.

Chiuse gli occhi e li riaprì più volte, cercando di scacciare la nebbia che le offuscava la vista. Si sentiva la gola arsa e la testa che gli girava e voleva abbandonare la trance perché si sentiva male. Qualcosa, o forse qualcuno, la trattenne legata e la costrinse ad ascoltare ancora.

‹‹Chi sei?›› mormorò Hilda e si spaventò quando udì una voce, che parlava alla sua anima e che era profonda e lontana.

Io so che io pendetti dall’albero spazzato dal vento

per nove notti intere,

dalla lancia ferito e sacrificato a Odino,

io stesso a me stesso,

su quell’albero che nessuno sa, da quali radici cresca.

Pane nessuno mi diede né corno per bere,

in basso guardavo;

raccolsi le rune, urlando le presi,

poi caddi di lassù.

Ascolta tuo Padre, il Signore Supremo,

colui che ti ha insegnato la Magia

e il Potere che tutti agognano.

E guardati dal nemico che si finge amico,

che tu non debba perire per mano sua.

Per un momento nella mente della sacerdotessa tutto fu pace e calma, e una sensazione di calore la pervase. Hilda ritornò in sé e osservò, ancora trasognata e con la vista annebbiata, il suo polso sanguinante. Poi una fitta la fece urlare di dolore e si prese la testa fra le mani, prima di perdere conoscenza e cadere distesa al suolo, immobile.

Dolorante e nauseata, Hilda aprì gli occhi e sospirò di sollievo. Era stata un’incosciente a praticare la magia divinatoria senza che nessuno l’assistesse e solo allora che aveva ripreso conoscenza si rendeva conto di essere stata fortunata. Guardò il cielo, le stelle, e calcolò di essere stata svenuta per almeno un’ora. Era vero che aveva usato una dose di erbe minore di quella abituale ma Eir le aveva raccontato che, in altre occasioni, era rimasta incosciente anche per giorni interi e una volta aveva persino rischiato di entrare in coma. Quella sera, sola, sotto l’influsso delle erbe, con le quali si era drogata, ed esposta al temibile freddo, sarebbe potuta morire.

È un rischio che si deve correre, pensò, ma la prossima volta chiamerò Eir perché mi assista. Non è ancora giunto il mio momento e non desidero certo affrettare i tempi!

Sorrise a se stessa per sdrammatizzare la situazione ma quando cercò di alzarsi si sentì svenire, e vomitò. Rimase seduta e si avvolse nel mantello per scaldarsi perché, oltre alla sensazione di nausea, si sentiva gelare.

Uomini che si nascondono, draghi e spade mitiche…

Osservò il sangue rappreso sulla ferita al polso e la veste bianca macchiata in diversi punti. Scrollò le spalle, pensando che Gna era una ragazza intelligente, e non avrebbe fatto molte domande.

Perché non so come interpretare la tua parola, Odino?

Finalmente riuscì ad alzarsi e, seppur con passo malfermo, tornò a palazzo, pensando che quello stesso giorno avrebbe parlato con Eir della sua visione per trovare assieme a lei una spiegazione.

Note:

  1. Geri, ‹‹ghiottone›› e Freki, ‹‹ vorace››.
  2. Huginn e Muninn volano ogni giorno/ intorno alla terra;/ temo che Huginn non torni indietro,/ benché tema di più per Muninn.