CAPITOLO XVII

Momenti di gloria

I

l sole splendeva e il cielo si stendeva come un immenso mare azzurro, sgombro di quelle nuvole scure che avevano portato neve nei giorni precedenti.

Dall’enorme balcone della sala da pranzo, Hyoga osservava il panorama attraverso le chiome degli alti alberi del cortile e si crogiolava nel tepore dei raggi solari che tentavano disperatamente di affermare la loro forza, combattendo contro l’onnipresente brezza gelida che spirava dalle montagne bianche.

Finita la colazione, Hilda li aveva salutati ed era scappata dicendo che Eir la stava aspettando per uscire assieme a lei. Mentre erano ancora nel salone, uno dei soldati di Magni era corso a chiamare Leif, bisbigliandogli qualcosa all’orecchio. Lo jarl era sembrato scosso dal messaggio, e aveva finito la colazione velocemente, ansioso di allontanarsi.

Freija non aveva aperto bocca, con un’espressione in volto che oscillava tra la disperazione e la soddisfazione, mentre Hyoga, nel vederlo allontanarsi, s’era sentito sollevato, o perlomeno libero di muoversi e parlare senza sentirsi costantemente sotto controllo. "A stasera " aveva detto Leif, senza degnare d’uno sguardo Freija né Hyoga.

La mattina trascorreva sorniona ma Hyoga sapeva d’essere solo con Freija. Completamente abbandonato sulla sua comoda poltroncina, con le gambe appoggiate al parapetto di pietra, godeva di quella imperturbabile pace, e soffriva per le scariche di brividi che percorrevano il suo corpo al solo pensiero che lei fosse lì dietro, ad un passo da lui.

Da almeno un’ora, la principessa stava ricamando, impegnata e silenziosa, sillabando una canzone con un filo di voce. Ogni tanto posava sullo scollo il suo lavoro e sollevava la testa per aspirare a pieni polmoni una boccata d’aria pura.

É una bella giornata per fare una passeggiata a cavallo, pensò Hyoga. Forse avrebbe potuto chiederle di accompagnarlo.

Si spostò indietro con la poltroncina. Seduto ad un passo da lei, la fissava, corrugando la fronte e facendo smorfie nel tentativo di parlare. Lei lo anticipò.

‹‹Non pensi che sia una bellissima giornata?›› disse senza alzare gli occhi dal ricamo.

‹‹Stupenda›› rispose immediatamente Hyoga. ‹‹Dove sono spariti tutti?››.

‹‹Hilda è uscita con Eir, saranno andate a cercare delle erbe. Si attardano spesso quando fanno queste loro escursioni››.

‹‹E Leif?›› chiese lui distrattamente. Freija posò il lavoro sulle gambe. L’arazzo che stava ricamando sul velluto era quasi completato, e la parte già finita era sistemata con cura dentro una cesta ai suoi piedi.

‹‹Non saprei. Dice di aver molti impegni di giorno, anche se sinceramente ignoro quali possano essere. Il suo atteggiamento, in fondo, non è molto diverso da quello di mio fratello e di tutti gli uomini: tornano a casa solo per mangiare e per dormire, e talvolta neppure in queste occasioni››.

Hyoga si chiese, come aveva fatto spesso in quei giorni, a cosa fosse dovuta la dolcezza che accompagnava le sue parole. Quando parlava di Leif, la sua voce si ammorbidiva, ma era vibrante, come se volesse tentare di trasmettere sensazioni che Freija voleva assolutamente nascondere. Hyoga s’accorse d’aver sbagliato argomento, lei s’era rattristata e stringeva disperatamente la tela.

‹‹Parlami di come vivono qui le donne››.

‹‹Le donne che lavorano non conducono una vita tanto diversa da quella degli uomini. La maggior parte di loro però resta a casa: una madre di famiglia ha molte faccende domestiche da sbrigare, alle quali si deve aggiungere il tempo che occorre per accudire la numerosa prole, vanto degli uomini e disperazione delle donne. Per quanto mi riguarda, ho la fortuna di non dovere accudire la casa perché c’è chi lo fa al posto mio. Purtroppo, come puoi ben vedere, non mi rimane molto da fare. Non mi piace oziare e quando non ho niente di cui occuparmi mi dedico al ricamo››. Sospirò e aggiunse: ‹‹A Leif non importa molto del fatto che io rimanga sola ad annoiarmi. Non c’è niente da fare, però, così è la vita››.

Freija allargò le labbra in uno splendido sorriso. Hyoga sorrise anche lui e pensò che avrebbe voluto abbracciarla, per darle almeno un po’ dell’affetto che meritava.

‹‹Nemmeno a me piace stare con le mani in mano, specialmente in una giornata come questa››.

Freija lo fissò con tenerezza.

‹‹Mi dispiace che tu ti stia annoiando››.

‹‹Nessuno potrebbe mai annoiarsi in tua presenza›› biascicò, perso in quegli occhi verdi che lo avvolgevano. ‹‹Secondo me, i passatempi dei soldati sono un po’ troppo pericolosi! E poi mi imbarazza il fatto che mi chiamino tutti Landvarnarmaðr…Non sono abituato a dare ordini, mentre tutti s’aspettano chissà cosa!››. Freija scoppiò a ridere e Hyoga si fece contagiare da quella risata limpida e genuina.

‹‹Eppure dovrai abituarti››.

‹‹In realtà, ›› stentò a dire, ‹‹stavo pensando che sarebbe un peccato, in una giornata come questa, restare chiusi entro quattro mura››.

‹‹Aha, ma qui fuori si sta davvero bene, non trovi? Per fortuna ha smesso di nevicare!››. Lui rimase per un attimo senza parole, dopo la sconfitta del suo primo goffo approccio, ma non si sarebbe arreso subito, perché scorgeva con la coda dell’occhio Freija che lo fissava. ‹‹Cosa pensi di fare? A palazzo non sono molti i divertimenti›› disse infatti con un’alzata di spalle.

‹‹Pensavo di uscire››. Hyoga era rimasto sul vago e quelle parole avevano stuzzicato la curiosità di Freija.

‹‹Uscire … per andare dove?›› chiese la ragazza, fermando l’ago sul velluto.

‹‹Ah, non saprei››. Hyoga agitò una mano in un gesto di noncuranza, per lui un luogo valeva l’altro, purché si uscisse dalla cittadella. ‹‹Tu dove andresti?›› chiese lanciandole uno sguardo complice.

Freija sorrise e indicò le montagne davanti a lei.

‹‹Dicono che oltre Ýdalir , (1) ai piedi delle montagne, ci sia una cascata che si tuffa in un lago le cui acque sono sempre calde, proprio come quelle della Pozza››.

Hyoga ripensò alla corroborante sensazione di piacere di quelle acque naturalmente calde e la sua mente, seguendo un immaginario copione, rivisitò l’incontro erotico nella grotta inserendo a sorpresa una sorella al posto dell’altra. Hyoga, inebetito nell’espressione, tornò bruscamente alla realtà sentendosi caldo in viso, e col gomito sul bracciolo cercò di nascondere l’imbarazzo appoggiando il viso alla mano.

‹‹Deve essere un posto meraviglioso››.

‹‹Ho saputo che sei stato alla Pozza… Ti sei divertito?›› chiese.

Hyoga si mosse sulla poltrona, accavallando le gambe, tamburellando le dita. Si sistemò il maglione sul petto e cambiò ancora posizione, in preda ad una crisi di panico da imbarazzo.

‹‹Naturalmente le acque ti fanno sentire bene… ma sono stato poco… Era caldo…ero stanco!››.

‹‹Anch’io ci vado spesso. Avremmo potuto incontrarci…››.

‹‹Nu!…Eta právda ?››. (2) Si schiarì la gola. ‹‹È vero?››.

Si fissarono, e Freija avvertì di nuovo quel brivido che da qualche tempo la elettrizzava. Si chiese cosa sarebbe successo se quella sera, una volta arrivata alla Pozza, non avesse trovato sua sorella che cercava disperatamente di placare la sua sete d’amore, ma solo Hyoga. S’era precipitata alla Pozza proprio per cercare lui, per chiarire una situazione ambigua, ma solo allora, ripensandoci, si rese conto che non avrebbe saputo assolutamente cosa dirgli. Si sporse dalla poltroncina, e cercò immaginare come avrebbe potuto reagire in quel momento, trovandolo solo e avvilito, immerso in quelle acque tonificanti che portavano ad un totale abbandono. Se lui l’avesse guardata con quegli occhi, le avesse parlato con quelle labbra, avesse allargato le braccia per chiedere conforto… Freija s’immaginò in quella situazione e non biasimò sua sorella per il suo comportamento.

‹‹…avrei fatto lo stesso…?›› disse lei trasognata.

Hyoga si sporse verso di lei. ‹‹Allora, andiamo alla cascata?››.

Freija batté le palpebre e si riprese, solo perché l’immagine di Leif si affacciò prepotentemente alla sua mente.

‹‹Si faceva così per dire una cosa come un’altra!›› scherzò.

‹‹Stiamo qui a parlare e crogiolarci al sole come lucertole che godono dell’ultimo caldo sole dell’autunno, quando mi dici che esiste, non lontano da qui, un posto tanto bello… Perché non ci andiamo allora?››.

Freija cercò di eludere l’allettante proposta, ancora con la mente turbata da pensieri pericolosi.

‹‹Hai sempre voglia di scherzare, Hyoga!›› esclamò divertita.

‹‹Non stavolta!›› disse lui seriamente. ‹‹Questa è la giornata ideale per fare una passeggiata a cavallo e mi deprime l’idea di andare da solo. Potresti venire con me, ti andrebbe? Per prima cosa cerchiamo la cascata e se l’acqua è davvero calda, possiamo fare il bagno. Poi girovaghiamo, mangiamo qualcosa all’aperto e quando siamo stanchi torniamo indietro››. Hyoga era entusiasta e già pensava a tutte le cose che avrebbero potuto fare assieme. Rimase ad aspettare la risposta con la felicità dipinta in volto. ‹‹Un programma invitante, net?››.

Freija aggrottò le sopracciglia, in atteggiamento pensoso, e cominciò a mordersi le labbra. Fissava le montagne avanti a sé e taceva.

‹‹Che succede?››.

‹‹Grazie per l’invito ma devo rifiutare››.

‹‹Perché?›› si meravigliò lui. ‹‹Stai qui a ricamare, sola!…Anche Fulla e Hlin sono uscite oggi. Siamo rimasti soltanto noi, su questo terrazzo. Non siamo prigionieri… usciamo!››. Freija riprese in mano il suo lavoro e ricominciò inspiegabilmente a ricamare. Hyoga la fissò sbalordito.

‹‹Hai ragione, ›› disse Freija a sguardo basso, ‹‹siamo rimasti solo noi. Dunque vai pure: non è giusto che tu rimanga qui se desideri fare altre cose››.

‹‹Non voglio che tu resti sola, non capisci?››.

Le prese la mano che stringeva l’ago di modo che non potesse più continuare, lei scattò colta di sorpresa e Hyoga lasciò immediatamente la presa, come se la mano di lei fosse diventata rovente.

‹‹Forse… non ti va di stare con me››. Il suo tono amareggiato la colpì.

‹‹Ma cosa ti viene in mente?›› rise. Desiderava con tutto il cuore accettare l’invito di Hyoga ma rifletté sulla sua situazione. ‹‹Mi piace parlare con te››.

‹‹Se il problema non sono io, perché non vuoi venire?››.

‹‹Leif potrebbe tornare da un momento all’altro e vorrà sicuramente stare con me››.

‹‹Lo vorrei anch’io…››.

‹‹Leif non vuole che stiamo insieme. Lui…teme per la mia incolumità›› sussurrò.

Hyoga rispose bruscamente. ‹‹Sinceramente, quello che pensa Leif non m’interessa. Sai bene che non ti toccherei con un dito, non sono quel genere di persona! Leif non teme per la tua persona fisica, in realtà. Ha semplicemente paura che tu possa aprire gli occhi e renderti finalmente conto della differenza abissale che corre tra lui e me!››.

Freija lo fissò severa.

S’era lasciato sfuggire una parola di troppo ma non sopportava di vedere Freija schiava di quell’uomo sciatto e possessivo. Era come se l’avesse incantata, costretta a prendere per verità le menzogne che lui le raccontava. Non si sarebbe dovuto preoccupare di come Leif trattava Freija, perché in fondo lei aveva accettato quel fidanzamento. Però si ponevano due grandi problemi. Il primo era che Hyoga sentiva d’amare Freija sempre più profondamente e desiderava il bene di lei. Di qui il secondo problema: Leif non la rispettava a sufficienza e la trascurava. Oltre a ciò, Hyoga credeva che, pur di tenerla lontana da lui, Leif raccontasse a Freija chissà quali menzogne sul suo conto. Questo poteva spiegare la ritrosia che mostrava Freija nel rimanere sola con lui. Hyoga si sentì ribollire il sangue per la rabbia. Se avesse potuto, avrebbe dato una sonora lezione a quel pallone gonfiato di Leif ma non osava. Rimase in silenzio con le mani intrecciate, appoggiate alla fronte, cercando di calmarsi.

‹‹Scusami, non volevo dire quello che ho detto›› disse con un filo di voce.

Restarono ancora in silenzio, seduti vicino, entrambi assorti nei loro tumultuosi pensieri. Hyoga era immobile e il suo volto era impassibile. Chi non lo conosceva vedeva, in quella tranquillità esteriore, freddezza e menefreghismo che gli erano, invece, completamente estranei. I suoi amici più intimi sapevano che, dietro quella maschera, si nascondeva un animo troppo sensibile, profondamente turbato da tragedie che avevano lasciato in lui ferite profonde e insanabili. Hyoga aveva fatto della calma la sua forza: un’efficace protezione contro gli insulti della vita e un’infallibile arma contro ogni nemico che la scambiasse per debolezza.

Freija passava nervosamente le mani sul ricamo e, di tanto in tanto, alzava la testa per vedere se il russo manifestasse una qualche reazione che le permettesse di valutare il suo atteggiamento.

L’attesa di un suo moto d’animo era però snervante e Freija decise di parlare per prima, senza aspettare. Avrebbe voluto rappacificarsi con Hyoga perché l’ultima cosa che desiderava era che lui le serbasse rancore. Non immaginava che le sue parole avrebbero sortito l’effetto contrario.

‹‹Posso immaginare quello che stai provando ora, ma devi capire che nemmeno per me è facile andare avanti in questa situazione››.

Parlò lentamente, tentando di esprimere tutta la dolcezza che provava nel vederlo affranto e abbattuto, ma i suoi sforzi non resero meno amara la delusione che provò Hyoga nel sentire quelle parole.

‹‹Cha-cha! Non credo tu possa "immaginare" quello che sto provando veramente, perché altrimenti eviteresti di commiserarmi! Non voglio né la tua compassione né il tuo perdono, sto già pagando un prezzo altissimo!›› ribatté Hyoga. Fece una breve pausa e, quando riprese a parlare, Freija notò che la sua voce era incrinata dall’emozione. ‹‹Mi sto illudendo ancora, Freija! Vorrei solamente che tu mi dicessi quello che devo fare: se devo aspettare e continuare a sperare, oppure desistere e sparire per sempre. Vorrei soltanto questo, che mi dicessi un volta per tutte come stanno le cose››.

‹‹Non lo capisci da solo?››.

‹‹Net!›› rispose lui bruscamente. ‹‹Ho l’impressione che tu non sia felice, non come dovresti, e non so spiegarmi il perché! Trattami come un bambino che non riesce a capire, ma dimmi la verità, perché io non ti ho mai mentito e l’unica colpa che ho è di averti taciuto i miei sentimenti!››.

Freija si sentì un nodo alla gola. Strinse forte i denti e si coprì gli occhi con una mano cercando di non piangere.

‹‹Hyoga, ti prego, non dirmi queste cose! Non so nemmeno io cosa provo, sono confusa. Avrei bisogno di tempo per pensare e so di non averne. Non posso pretendere che tu stia qui ad aspettare una mia decisione, perché non sarebbe né facile né immediata. Leif è importante per me. Quando avevo bisogno di un appoggio e avrei voluto vederti, c’era lui al posto tuo. Tu eri lontano, non sapevo dov’eri né chi c’era con te! Non sapevo cosa facevi, se eri felice o se ti sentivi vuoto e sconsolato come lo ero io! Inevitabilmente a lui mi sono legata, a Leif che mi è sempre stato vicino!››. Hyoga impietrì, con un’espressione indecifrabile negli occhi. ‹‹Questo non significa che ho dimenticato quello che hai fatto per me. Sei sempre nei miei pensieri, Hyoga. Purtroppo la sorte c’è stata avversa. Non voglio colpevolizzare nessuno e se di qualcuno dei due è la colpa adesso non importa più!››. Hyoga non mosse un muscolo, Freija continuò. ‹‹Non voglio mentire perché, a ragione, hai detto che non lo meriti. La verità… è che non so decidere. Questo non significa che sia solo tu a soffrire ma star male, adesso, non servirà a riunirci. So che la parola finale è la mia e questa è l’unica sicurezza che ho. Sei stato comprensivo con me finora, pur sapendo che, in fondo, avevo… tradito il tuo amore››.

Anch’io ho tradito il tuo amore…ma non ho il coraggio di ammetterlo…

‹‹Ho bisogno di tempo per riflettere›› disse Freija dopo una pausa. ‹‹Se tu… non vorrai più aspettare, lo capirò. Se deciderai di dimenticarmi e di farmi uscire completamente dalla tua vita, capirò e accetterò la tua scelta››.

Hyoga finalmente alzò la testa e Freija si voltò a guardare il bel profilo del russo. Si spaventò nel vedere il suo sguardo di ghiaccio e si stupì ancora di più della sua risposta glaciale.

‹‹Questo significa che per te non farà differenza se deciderò di aspettarti in eterno o di dimenticarti per sempre. È una buona soluzione, considerando la tua presunta indecisione!››.

‹‹Perché devi dirmi queste cattiverie? Sai bene che non era questo che intendevo, ma tu devi sempre peggiorare le cose!››.

Ogni suo tentativo di riconciliarsi con Hyoga aveva prodotto l’effetto contrario e ora sentiva che il distacco tra loro era aumentato. Fortunatamente Hyoga si accorse di aver straparlato e rimediò al suo errore come meglio poté.

‹‹Mi dispiace, scusa. Io sono…confuso. So che quando sono arrabbiato non devo dire la prima cosa che mi viene in mente, ma non ho ancora imparato la lezione e ogni volta faccio lo stesso sbaglio. Non intendevo offenderti. Ho capito perfettamente le tue parole. Penso di dover riflettere anch’io, ne ho bisogno››.

Si alzò in piedi battendo le mani sui braccioli della poltroncina.

‹‹Dove vai ora?››.

‹‹Ti avevo detto che avevo voglia di fare una cavalcata. Se tu non vuoi, o non puoi venire con me, allora vado, da solo! Ci vediamo più tardi››. La salutò con un sorriso inaspettato e si allontanò fischiettando, lasciandola con i suoi pensieri e con quel "solo" che le rimbombava in testa.

‹‹Salve Jòn!››. Hyoga salutò lo stalliere che stava strigliando un cavallo.

‹‹Sei pronto per una nuova cavalcata?››.

‹‹Da! Approfitto della bella giornata››.

‹‹Certo, una buona idea›› commentò Jòn. ‹‹Ti preparo Hrìmfaxi?››.

‹‹No, grazie, oggi faccio da solo›› disse Hyoga battendo una mano sulla spalla dello stalliere.

Poco dopo ripassò vicino Jòn col cavallo sellato e pronto.

‹‹Credi che sia una buona soluzione scappare ogni volta che si presenta un problema?››. Hyoga si voltò a guardare lo stalliere, perplesso. ‹‹Riflettere è utile, perché la fretta è una cattiva consigliera, ma è anche vero che bisogna battere il ferro finché è caldo›› disse ancora Jòn, ricambiando lo sguardo di Hyoga.

‹‹Cosa significa?››.

‹‹Ah, non fingere con me, Landvarnarmaðr! Uno come te non può nascondere l’apprensione, con un semplice sorriso. Ciò che ti turba, lascia il segno sul tuo viso. Spero che tu possa trovare al più presto la soluzione ai tuoi problemi››.

‹‹Sono stata una stupida!›› si rimproverò Freija mentre si affrettava a raggiungere le sue stanze. Si chiuse dentro ed estrasse un baule dall’armadio. Mentre apriva il lucchetto, si ricordò di una discussione avuta con Leif, una delle tante occorse negli ultimi giorni, ed esitò.

‹‹Posso sapere, una volta per tutte, quello che stai facendo?›› le aveva chiesto Leif.

‹‹Cosa vuoi dire?››.

‹‹L’utlänning ti fa gli occhi dolci e tu ti lasci incantare dalle sue belle parole!››.

‹‹Cosa dici?›› aveva riso lei.

‹‹Non parlare!››.

Freija temeva le reazioni violente di Leif. Aveva l’irritante abitudine di alzare la voce quando c’era qualcosa che lo infastidiva e i suoi occhi lampeggiavano minacciosamente.

‹‹Pensi che sia tanto stupido da non rendermene conto? Se ne sono accorti tutti che ti ha messo gli occhi addosso! E tu civetti con lui, come una ragazzina viziata che ha per le mani un giocattolo nuovo. Non fingere con me, perché ti ho già inquadrato! Ti lamenti del comportamento vizioso di tua sorella ma non sei diversa da lei!››.

‹‹Leif, calmati. Dici cose senza senso e non ti accorgi di offendermi!››.

‹‹Ma sì, la verità fa male!›› sibilò stringendole una mano.

‹‹Non sai quello che dici! Lasciami, mi fai male!››.

‹‹Voglio che ascolti attentamente quello che ho da dirti, prima››. Le aveva parlato con durezza, facendole chiaramente capire che non ammetteva obiezioni sulle sue decisioni. ‹‹Vuoi che si cominci a spettegolare anche su di te? No, certo che non vuoi. Allora devi metterti in testa che non devi fare l’oca quando un uomo ti fa dei complimenti, specialmente se te li fa l’utlänning! Con il tuo comportamento sconsiderato alimenti le dicerie e mi metti in imbarazzo. Penseranno che sia sufficiente uno sguardo o una parola dolce per permettere a chiunque di infilarsi sotto le tue lenzuola!››.

Sono sicura di non aver fatto niente di male!

Aveva dei dubbi, però, e il fatto di rimanere sola con Hyoga la turbava. Richiuse il baule e andò a stendersi sul letto. Leif si era lasciato trasportare dalla gelosia, ma erano parole infondate le sue? Quando Hyoga stava con lei, si sentiva felice e aveva voglia di ridere e scherzare, si sentiva viva. Le piaceva ascoltarlo e se lui la guardava si sentiva ammirata, desiderata. Forse, senza accorgersene, rispondeva alle gentilezze di Hyoga con atteggiamenti equivoci.

Forse Leif intuisce cose di cui non m’accorgo nemmeno io?

Se le sue accuse fossero state fondate, non avrebbe avuto il coraggio di guardare negli occhi un’altra persona senza vergognarsi delle sue azioni. L’avrebbero accusata di essere una donna di facili costumi e scoprì di aver paura delle opinioni altrui. Tentò di focalizzare l’attenzione su quel lato dal suo carattere che emergeva prepotente di cui non si era mai accorta.

Era sempre stata sincera e spontanea, e non si era mai preoccupata eccessivamente del giudizio della gente perché la sua condotta era sempre stata irreprensibile. Era diventata un modello per via della bontà d’animo e della temperanza. Hilda, al contrario, era famosa per il cipiglio autoritario, nonché per le sue discutibili attitudini alla lussuria. Per la prima volta nella sua vita, Freija temette di essere paragonata alla sorella.

Si raggomitolò e si coprì il viso con le mani. Sua madre le aveva insegnato che una persona dall’animo puro e limpido doveva camminare a testa alta, senza preoccuparsi delle malelingue che gettavano fango sulle presunte colpe degli altri per nascondere le proprie. Respirò profondamente, cercando di distogliere la mente e di pensare ad altro, ma continuava a rivedere la faccia arrossata di Leif che la rimproverava per il suo comportamento, il suo parlare concitato e irritato: aveva in mente solo le sue parole.

‹‹Non voglio una moglie che ha fama di comportarsi licenziosamente! Chi lo vorrebbe? Non certo un uomo che abbia a cuore il suo buon nome e la sua reputazione, come me! Se avessi voluto una sgualdrina, avrei scelto una a caso tra le tue thírs!››.

‹‹Sei ingiusto, Leif!››.

‹‹Mi preoccupo per noi, Freija, ma soprattutto per te, che sei ingenua e ti lasci abbindolare come una sciocca!››.

Le aveva spesso parlato di come si doveva comportare, secondo lui, una donna che volesse dimostrarsi rispettosa e degna del proprio uomo. A parer suo, non avrebbe mai dovuto alzare gli occhi su qualcuno che non fosse lui. Forse Leif si comportava in maniera così distaccata e severa nei suoi confronti perché era deluso. L’aveva addirittura accusata di amoreggiare con Hyoga.

Ma non è forse vero?

Si stese supina e, chiudendo gli occhi, si sfiorò le labbra con le dita. Il pensiero di Hyoga, involontariamente, la tormentava di continuo, e anche durante la notte i suoi sogni erano animati da qualcuno che gli somigliava o che lo ricordava nell’aspetto o nei modi. Ritornò bruscamente alla realtà. Non aveva mai provato niente di simile per nessuno ma forse era questione di tempo. Leif era il presente, un uomo che l’amava. Hyoga era il passato. Era una tentazione, risvegliava in lei sensazioni e desideri che legano il corpo più dell’anima. Leif aveva ragione di infuriarsi con lei. Non osava immaginare cosa sarebbe accaduto se lo jarl avesse saputo veramente che cosa si agitava dentro di lei al solo pensiero di Hyoga. Si vergognò dei suoi pensieri ma era inutile nascondersi. Hyoga se ne sarebbe andato, prima o poi, questo era quello che sperava, e lei l’avrebbe dimenticato. Non era l’amore che lo legava a lui ma la passione, un legame effimero per durare a lungo, e lei era sicura di potersi dominare.

Leif deve fidarsi di me!

Aprì il baule ed estrasse dei vestiti di pelle scamosciata. Sorrise come una bambina mentre si sfilava il lungo vestito e indossava i calzoni. Le stavano perfettamente e sospirò di sollievo costatando quanto fossero comodi. Infilò la camicia e il contatto del tessuto freddo sulla pelle le fece venire i brividi. Abbottonò la camicia e vide che le stringeva un po’ al petto, ma scrollò le spalle sistemandola sotto i calzoni, che fermò alla vita con una cintura di cuoio nero. Girò su se stessa e si disse che, vestita in quel modo, come un ragazzo di scuderia, nessuno avrebbe fatto caso a lei. Indossò un vecchio maglione e guardò verso la finestra. Fuori il sole splendeva abbagliante ma esitò ancora.

Leif non si fidava di lei, e aveva chiesto a Magni di controllarla, perché non si allontanasse dal palazzo, né da sola né in compagnia di qualcuno che non fosse lui, e il capitano aveva obbedito come un cane al comando del padrone. Dunque, era sola, confinata nel suo palazzo che, per quanto lussuoso e spazioso, sembrava lo stesso una prigione.

Mentre si raccoglieva i capelli dietro la testa, organizzò il piano di fuga. Si sistemò il mantello sulle spalle e calò il cappuccio sugli occhi. Sarebbe passata sotto il naso di Magni e delle guardie senza problemi. Aprì lentamente la porta e sbirciò nei corridoi per vedere se ci fosse qualcuno. Uscì in fretta e si avviò verso le scale secondarie, quelle che permettevano l’accesso diretto all’ala del palazzo riservata alla Guardia. Da lì sarebbe stato facile recarsi nelle scuderie e poi fuori delle mura interne. Si affrettò per i corridoi pensando alla giornata che l’aspettava. Leif avrebbe potuto scoprirla, era molto probabile, e allora si sarebbe infuriato, ma lei aveva tutto il tempo necessario per inventare una scusa plausibile.

Hyoga conduceva a mano Hrìmfaxi per le vie del villaggio entro le mura esterne. Doveva essere giorno di mercato, nelle strade si era radunata una gran folla che si affaccendava e si stipava contro i banchi dei venditori.

Che disastro oggi, non me ne va bene una!

Quando arrivò nella piazza, il centro del villaggio costruito nella roccaforte, rimase impietrito. L’enorme spiazzo brulicava di gente ed era fitto di bancarelle improvvisate e carri colmi di mercanzia.

Hrìmfaxi nitrì, innervosito da quel chiasso. Non avrebbero potuto attraversare la piazza tanto facilmente. Uomini e donne compravano e vendevano, mentre i bambini correvano da una parte all’altra senza sosta, facendo scherzi ai commercianti e rubando qualche frutto dalle bancarelle più fornite. Metà della piazza doveva essere dedicata al mercato delle bestie e vide buoi e pecore in bella mostra in recinti piccoli, adatti ad accogliere la metà dei capi che in realtà contenevano. Sentì il grugnire dei maiali e il chiocciare di polli, accompagnati dalle grida dei mercanti che cercavano di attirare l’attenzione sui propri prodotti spacciandoli per i migliori.

Avrebbe potuto tentare di attraversare quel mare di uomini, bestie e bancarelle ma aggiungere un altro animale a quelli che c’erano avrebbe potuto scatenare un putiferio. Hrìmfaxi batteva gli zoccoli sul selciato, sbuffando e nitrendo, e l’idea di inoltrarsi in quella massa brulicante e frenetica di persone con lo stallone già innervosito non gli parve buona. Fissò lo sguardo sulle alte torri che fiancheggiavano l’ingresso della cittadella e che spiccavano alte su tutti gli edifici e si disse che, prendendole come punto di riferimento, avrebbe potuto evitare la piazza e giungere alle porte della cittadella senza perdere tempo nel dedalo delle viuzze.

Freija arrivò velocemente nelle scuderie. Il palazzo era deserto e persino nelle cucine, dove di solito si lavorava continuamente per preparare da mangiare o per sistemare le provviste, non aveva incontrato nessuno. Il sabato era il giorno in cui si radunavano nella cittadella allevatori e agricoltori per vendere i loro prodotti. Eccitata aveva riempito una sacca di cuoio con le cibarie che aveva trovato, e si era allontanata indisturbata.

È un segno del destino!

Arrivò in un baleno davanti allo stallo di Skinfaxi e la cavalla, riconoscendo la sua padrona, cominciò a nitrire e a battere con lo zoccolo nella porta.

‹‹Zitta! Mi farai scoprire!›› bisbigliò mentre la faceva uscire. ‹‹Stai buona mentre ti preparo. È andata bene finora, non vorrai rovinare tutto!››.

Spazzolò con cura il mantello lucido di Skinfaxi ma proprio mentre sistemava la sella si sentì chiamare.

‹‹Hai bisogno d’aiuto, prinsessa?››. Si voltò di scatto e vide Jòn che si avvicinava. La sua fuga era dunque finita prima di cominciare.

‹‹Fai bene ad approfittare della bella giornata, principessa, ho idea che non ne verranno altre come questa prima dell’estate! Lascia che ti aiuti a preparare Skinfaxi››.

Jòn lavorava nelle scuderie da prima ancora che lei nascesse. Era stato lui ad insegnarle a cavalcare ed aveva domato Skinfaxi apposta per lei, uno dei regali più belli che avesse mai ricevuto.

‹‹Non importa, Jòn›› disse sconsolata. Andò a sedersi su una balla di fieno e si prese la testa fra le mani, mentre lo stalliere la osservava attentamente.

‹‹Era da molto che non ti vedevo indossare quegli abiti. C’è un motivo particolare che ti ha spinto a camuffarti a quel modo? So che la nostra sacerdotessa non approva quando ti vesti e ti comporti come un ragazzo, perché non è decoroso››. Freija sorrise. Jòn la conosceva bene ed era inutile mentire con lui.

‹‹Ora che mi hai scoperto è inutile nascondere la verità!›› esclamò. ‹‹Mi sono travestita perché volevo fuggire››.

Jòn annuì gravemente. ‹‹Invece non puoi muoverti perché Leif ha chiesto a Magni e ai suoi uomini di controllarti››.

‹‹Lo sanno tutti!›› sbuffò, oscurandosi in volto e abbassando lo sguardo.

‹‹Non abbatterti, prinsessa. So perché ero presente quando Leif ha parlato con Magni. Non mi piace quell’uomo, se posso esprimere il mio parere››. Jòn zoppicò verso Freija e le si fermò di fronte. ‹‹Ha uno sguardo crudele e non ha rispetto per gli altri. Crede di essere il padrone e questo non gli rende onore!››.

Freija rifletté su quelle parole. A nessuno piaceva Leif e tutti le avevano fatto notare, in un modo o nell’altro, difetti che lei non aveva mai notato.

‹‹Anche il Landvarnarmaðr è stato qui, stamattina›› aggiunse Jòn, tornando ad occuparsi di Skinfaxi.

‹‹Ed è stato molto tempo fa?›› chiese Freija agitandosi.

‹‹No›› rispose Jòn, squadrandola. ‹‹Con la confusione che c’è oggi, starà ancora cercando il modo di arrivare alle mura››.

Freija balzò in piedi, illuminandosi in volto. Avrebbe potuto raggiungerlo prima che riuscisse ad uscire dalla cittadella. Hyoga non conosceva le strade ed avrebbe faticato a raggiungere le porte. Se fosse partita subito sarebbe arrivata alle porte d’Ásgarðr prima di lui.

‹‹Vuoi andare da lui?›› chiese Jòn sorridendo.

Freija arrossì e voltò la testa per cercare di nascondere l’imbarazzo. ‹‹Cosa dici? Lui non c’entra!›› sbottò. Jòn intanto rideva e finì in un attimo di preparare il cavallo. E Freija, stupita, gli domandò perché l’avesse fatto.

‹‹Sei giovane, prinsessa, e per me sei un libro aperto! Non vedevo la vita brillare nei tuoi occhi da troppo tempo! Stai attenta a quello che fai però. Mi si spezzerebbe il cuore se ti succedesse qualcosa e non me lo perdonerei mai!››.

‹‹Con lui, non ho niente da temere. È forte e valoroso…››.

‹‹Questo lo so, ma non è al Landvarnarmaðr che mi riferisco. Guardati bene intorno, prinsessa, perché temo che chi dice d’amarti aspiri a molto di più››. Jòn si schiarì la gola. ‹‹E adesso raggiungilo prima che arrivi a Iðavöllr, o non saprai più che direzione ha preso. Io fingerò di non averti visto, ma state attenti!››.

Freija si commosse e abbracciò Jòn.

‹‹Però… Magni non si allontanerà mai dalle porte. È troppo ligio al dovere pervenire meno alla parola data! E qua intorno, ci sono tutti i suoi uomini›› disse Freija, realizzando solo in quel momento quanto sarebbe stato difficile allontanarsi senza essere vista. ‹‹Come farò a oltrepassare la cinta interna?››.

Jòn sorrise. ‹‹Lascia che mi occupi io delle guardie e quando sarà il momento pensa solo a correre!››

‹‹Salve, Heimdallr!››.

Hilda e Eir passarono sotto le grandi porte d’Ásgarðr e il custode le salutò dall’alto di una delle due torri. Le due donne camminavano scherzando allegramente, a braccetto e Hermóðr le seguiva, portando per loro una grande cesta. Attraversarono il Bifröst e s’incamminarono lungo il sentiero che conduceva ad Asabigð.

Hermóðr aveva accettato di accompagnarle alla ricerca di erbe officinali solo perché era stata Eir in persona a chiederglielo. Il capitano era, in effetti, estremamente pigro e avrebbe preferito restare alla Casa della Guardia, al caldo, piuttosto che uscire e camminare per ore alla ricerca di piante.

Ma Eir la guaritrice il giorno prima l’aveva cercato e l’aveva invitato ad accompagnarle, e lui aveva accettato volentieri, perché non riusciva a rifiutare niente ai grandi occhi azzurri di lei. Le seguiva ad una certa distanza, perché non voleva interrompere le loro discussioni, e intanto rideva, ripensando alla faccia che aveva fatto Hadingus quando l’aveva saputo.

In quello stesso momento, dall’altra parte della cittadella, Hadingus era impegnato in tutt’altro compito e non aveva certo il tempo d’invidiare Hermóðr.

Jòn lo stalliere era corso a chiedere aiuto perché gli era scappato uno stallone e non riusciva più a catturarlo.

‹‹Spaccherà tutto, Magni! Ha sentito l’odore delle femmine, combinerà un disastro se non lo riprendiamo subito!››.

Fu così che Magni e i suoi soldati abbandonarono per qualche minuto le loro posizioni alla cinta muraria interna per correre in aiuto dello stalliere.

Prima di andarsene Magni ordinò ad Hadingus di non muoversi dalle mura, perché anche a lui Leif aveva chiesto lo stesso favore, di controllare che Freija non si allontanasse da palazzo durante la sua assenza. Hadingus però non resistette alla tentazione di correre ad aiutarli, proprio come aveva previsto Jòn, e Freija ebbe il tempo di sgattaiolare indisturbata fuori per affrettarsi a raggiungere le porte d’Ásgarðr.

Nessuno si accorse di lei nemmeno quando incontrò Hyoga. Attraversarono il ponte conducendo i cavalli a mano, mescolandosi alle persone che entravano e uscivano impegnate nei loro affari.

Lei gli chiese solo di non dire una parola finché non si fossero allontanati e per Hyoga fu una spiegazione sufficiente. Quando ebbero attraversato il ponte salirono a cavallo e si lanciarono al galoppo attraverso Iðavöllr, tagliando la pianura e dirigendosi a tutta velocità verso le montagne e le "valli del tasso".

Hermóðr passeggiava pigramente e s’era distanziato dalle due donne abbastanza da non sentire nemmeno le loro voci.

‹‹Ah!›› esclamò d’un tratto Hilda, fermandosi di scatto.

‹‹Che succede?›› chiese Eir.

‹‹Quella è mia sorella!››.

Eir si guardò intorno. ‹‹Dove? Io non vedo nessuno!››.

Hilda lanciò un’occhiata al capitano, dietro di loro, che le seguiva distratto masticando un pezzo di carne secca, e ricominciò a camminare trascinando Eir per un braccio.

‹‹Laggiù, a cavallo!›› mormorò indicando distrattamente la pianura.

Eir allungò la testa e annuì. ‹‹Davvero?!…Ma dove va? E poi… chi c’è con lei?››.

‹‹Proprio non lo immagini›› sibilò Hilda fingendosi adirata.

‹‹È Hyoga! Ora capisco perché fingi d’essere arrabbiata! Volevi nascondere la gioia!›› sghignazzò Eir.

‹‹Da quando sei un’indovina?›› la rimproverò Hilda.

‹‹Ho imparato da una che la sa fare bene!›› rispose Eir. ‹‹Secondo te dove vanno?››.

Hilda guardò le due figure a cavallo che si allontanavano sempre più, vide Hyoga e Freija salire sulla cima d’una collinetta e sparire scendendo dal versante opposto.

‹‹Chi può dirlo? Presi singolarmente sono fin troppo tranquilli, ma quando sono assieme sono imprevedibili!››.

‹‹Magari è una fuga d’amore…›› azzardò Eir.

‹‹Non penso che mia sorella sia il tipo da fare certe cose››.

‹‹Quello è tanto bello che farebbe perdere la testa a qualunque donna!››. Si guardarono e sospirarono, sorridendo, poi Eir parlò ancora. ‹‹Io non lo conosco, Hilda, ma sembra innamorato. La corteggia in una maniera così riservata e dolce, ha sempre uno sguardo o una parola per lei… Mi chiedo cosa la trattenga ancora!››.

‹‹Sono fatti tutti così gli uomini, prevedibili e sempre uguali. Una volta che hanno ottenuto ciò che vogliono fingendo d’essere ciò che non sono, si dimenticano che esisti per correre dietro a un’altra sottana. Questo la spaventa! Ma stavolta sento che è diverso…››.

‹‹Quell’uomo fuori del comune però te lo sei lasciato scappare››.

‹‹Non essere sciocca, Eir›› disse Hilda dandosi delle arie. ‹‹Avrei potuto averlo, se avessi davvero voluto, ma non ho voluto perché, come puoi vedere, il suo cuore batte per Freija››.

Eir sospirò, scuotendo la testa. Conosceva Hilda meglio di quanto la sacerdotessa credesse.

‹‹Naturalmente, se ti fa piacere che ci creda, allora ci credo. In fondo, so che per te è impossibile ammettere un fallimento››. Hilda la guardò con occhi severi ma col sorriso sulle labbra.

‹‹Quando mi ha detto che voleva lasciare Ásgarðr, stavo per piangere dalla disperazione. No, non ridere… Se è vera l’interpretazione che abbiamo dato al messaggio che ho ricevuto dal Padre di Tutti, lui è l’unico che può evitare l’inevitabile!››.

‹‹Rimane sempre il dubbio d’aver sbagliato, Hilda. L’importante però è che abbia deciso di restare, giusto?››.

Hilda annuì soddisfatta ripensando all’ultimo bacio che si era scambiati, senza uno scopo preciso. Aveva continuato a chiacchierare tranquillamente, dopo essersi concessi quel piccolo peccato, e lui le aveva confidato di voler lasciare Ásgarðr.

‹‹È bastato insinuare nella sua mente il dubbio che Freija non fosse davvero felice, cosa di cui ci siamo accorti tutti, peraltro! Hyoga non si arrenderà fin quando non la vedrà felice, con Leif o con chiunque altro, lui è fatto così››.

‹‹Che idiozie fa fare l’amore!›› disse Eir storcendo il naso. ‹‹Dove andranno mai? Sono troppo curiosa!››.

‹‹Vorrei saperlo anch’io…›› mormorò Hilda, fissando lo sguardo sul sentiero.

‹‹Ti sei mai innamorata?›› le chiese Eir improvvisamente.

‹‹Ho amato i miei genitori, e amo Freija e anche Freyr›› rispose pacatamente Hilda.

‹‹No, di un uomo››.

Hilda stavolta alzò la testa ed era triste in volto. Lanciò un’occhiata furtiva verso la collina dove aveva visto sparire Hyoga e Freija.

‹‹No, mai››. Il medico sorrise dolcemente, non era convinta.

‹‹E lui?››.

‹‹Ti sarà sembrato amore, e forse mi ero sbagliata anch’io, all’inizio. Ma mi sono guardata dentro e ora è tutto risolto›› esclamò trionfante. ‹‹Non esiste uomo che mi abbia ancora fatto innamorare!››.

Svestirono i cavalli e li lasciarono liberi di pascolare. Hyoga si lasciò cadere sull’erba e Freija gli sedette vicino. Poteva godere della bellezza e della tranquillità di quel piccolo paradiso assieme a Freija, ed era talmente felice che sentiva come delle fitte di dolore al petto e allo stomaco. Non gli importava del motivo che l’aveva spinta a raggiungerlo, l’importante era che fossero insieme. Chiuse gli occhi, per godere fino in fondo quella parentesi di felicità, e passò il palmo della mano sull’erba umida.

Freija l’aveva guidato attraverso Iðavöllr e oltre le colline, fino a che si erano inoltrati nella foresta e avevano oltrepassato Ýdalir, le "valli del tasso". Poi Freija aveva ammesso di non conoscere esattamente la strada per giungere alla cascata.

‹‹Avevo pensato che fosse visibile dalle valli›› aveva detto delusa.

Allora avevano scelto una direzione da seguire e si erano incamminati alla ricerca della fantomatica cascata, fino a quando, attirati da un rumore lontanissimo d’acqua scrosciante, non avevano deciso d’avventurarsi più oltre nel fitto bosco e poi dentro una grande apertura. Conducendo i cavalli a mano nella sospetta luce che illuminava la grotta, dopo un brevissimo tratto, seguendo il rumore crescente, avevano finalmente scoperto un’incredibile radura, nascosta tra le rocce delle montagne, il lago e la cascata.

‹‹È un posto meraviglioso›› esclamò eccitato riaprendo gli occhi.

‹‹È ancora più bello di quanto immaginassi!›› gli fece eco Freija.

La principessa non riusciva a distogliere lo sguardo dalla cascata e dalla pozza, scura e profonda, nella quale si raccoglieva l’acqua che scendeva spumeggiante. Decidere di disubbidire a Leif era stato difficile ma era soddisfatta della scelta. Leif non aveva il diritto di pianificare la sua vita perché, in fondo, nessuno era padrone di decidere per lei se non lei stessa. Si lasciò cadere anche lei sull’erba e rimasero stesi, una a fianco all’altro, assorbiti nei loro pensieri.

‹‹Mi dispiace per come ti ho trattato prima›› disse alla fine Freija.

‹‹Cosa ti ha fatto cambiare idea?››.

‹‹Volevo trasgredire alle regole››. Freija sospirò. ‹‹E poi… volevo farmi perdonare per averti fatto arrabbiare…››. Hyoga girò la testa e osservò il profilo di lei.

‹‹Quali regole? Pensavo che una principessa fosse libera di scegliere come e con chi passare il suo tempo››.

Vide Freija fare il broncio. ‹‹Libera? Io non sono libera, Hyoga! Ho dovuto travestirmi e sgattaiolare fuori del palazzo per sfuggire alle guardie! Leif mi fa controllare: ha paura che qualcuno mi rubi!›› disse storcendo la bocca e facendo la lingua. Hyoga ricordò di aver pronunciato lui quelle parole e si mise a ridere. ‹‹Non ridere, ›› si lamentò Freija, ‹‹sono prigioniera nel mio palazzo!››.

‹‹Se non sei soddisfatta di Leif, … lascialo››.

‹‹Non scherzare. È meno facile di quanto sembri. Qui non siamo nel tuo mondo!››.

‹‹Tutto il mondo è paese, si dice. Sarebbe facile, se tu lo volessi davvero››.

Inconsciamente, Freija cominciò a pensare ad un metodo che le permettesse di liberarsi di Leif senza perdere l’onore.

‹‹Parliamo d’altro, ti prego…›› supplicò. ‹‹Oggi voglio divertirmi››.

Hyoga annuì, sollevandosi sui gomiti e si sforzò di trovare un argomento di conversazione. La sola presenza di lei lo aveva reso felice, tanto che avrebbe potuto restare tutto il giorno steso a guardare il cielo che si poteva ammirare attraverso lo squarcio tra le rocce sulla loro testa, in silenzio. C’erano tante cose di cui voleva parlare, tante cose da dire e altrettante da ascoltare, eppure gli riusciva difficile iniziare un discorso.

‹‹Ti stanno bene questi vestiti›› disse infine.

‹‹Lo credi davvero? Sono comodissimi ma è da molto tempo che non li indosso… ›› ripose lei sorridendo.

‹‹In effetti, ›› azzardò Hyoga, schiarendosi la gola con un colpetto di tosse, ‹‹si vede… ››.

Freija si alzò a sedere, incuriosita, seguì il suo sguardo fino a scoprire che le fissava il seno, ben sagomato dalla camicia, molto aderente in quel punto.

‹‹Hyoga!›› squittì, incrociando le braccia sul petto.

‹‹Prostí .., (3) mi dispiace… mi è… caduto l’occhio… non intendevo offenderti…››. Incrociò le mani dietro la testa e sollevò i gomiti per nascondersi il viso e Freija sorrise vedendo il rossore che gli colorava le guance.

Sei così dolce quando mi chiedi scusa…

Hyoga era diverso da tutti quelli che aveva conosciuto. Era rispettoso e mai si sarebbe permesso di recare offesa a qualcuno. Era fiero e aveva il temperamento di un guerriero ma si rendeva conto dei suoi sbagli e accettava di buon grado i rimproveri. Freija era affascinata dall’indole docile di quell’uomo che, in fondo, conosceva appena. L’aveva incontrato in circostanze spiacevoli e aveva apprezzato in lui, prima di tutto, l’ardore e lo spirito combattivo. Aveva combattuto per lei e l’aveva protetta dal pericolo, sfidando la collera di Hilda e la potenza dei Guerrieri Divini per salvarla.

Era rimasta colpita dalla sua bellezza, la prima volta che l’aveva visto, e ricordò con un sorriso l’innocenza di quell’infatuazione d’adolescente. Ora, a distanza di tanti anni, le cose erano molto cambiate.

Hyoga aveva tagliato i lunghi capelli e sul suo volto rasato brillavano al sole corti fili d’oro della barba. Gli occhi azzurri spiccavano su quel viso da bravo ragazzo e sulla sua fronte facevano capolino, di tanto in tanto, marcate ed espressive rughe che, assieme alle fossette ai lati della bocca e alle labbra carnose, lo rendevano attraente. Freija lo fissò attentamente e notò il fisico prestante che non era nascosto dall’ampio maglione e dai pantaloni usurati e stinti. Era ancora bellissimo, ma d’una bellezza diversa, non più tenera e innocente, ma sensuale. E Freija si sorprese a fantasticare e a chiedersi quante donne avesse stretto tra quelle sue forti braccia, lottando con la gelosia e l’invidia.

‹‹Raccontami qualcosa di te››.

Hyoga abbassò le braccia, e scoprì il viso. ‹‹Che cosa vuoi sapere?››.

La principessa alzò le spalle. Non le importava l’argomento della discussione, le interessava sentirlo parlare. Hyoga le piaceva, perché, a prescindere dall’aspetto fisico, pur sempre importante, sembrava condensare tutte le qualità e i pregi che caratterizzavano il suo uomo ideale.

Ma deve pur avere un qualche difetto! Scoprirò qualcosa di lui che non posso assolutamente sopportare, neanche con tutta la buona volontà di cui sono capace. Allora mi convincerò che non siamo fatti l’uno per l’altra. A lui non devo pensare, io ho Leif! È la strategia migliore, si disse compiaciuta, per spezzare l’incantesimo che la imprigionava sempre più strettamente. Allora avrebbe capito di preferire Leif, anche se cominciava a credere che un uomo qualunque sarebbe stato meglio di lui.

‹‹Raccontami le tue battaglie, Sacro Guerriero››.

Hyoga inarcò le sopracciglia in un’espressione mista di stupore e perplessità.

‹‹È una storia lunga, triste e…per te poco interessante, credo››.

‹‹Nessuno ci fa fretta, oggi, ma non sarà un problema se non vuoi›› rispose Freija dolcemente.

Hyoga agitò una mano, per farle capire che non era per lui un problema.

‹‹La cosa più triste di tutta questa storia, ›› cominciò a narrare ‹‹l’abbiamo scoperta pochi anni fa, quando io, e i ragazzi, abbiamo capito che eravamo nati solo per proteggere Atena. Il nostro destino, insomma, era già stato deciso prima ancora della nostra nascita››.

‹‹Una premessa interessante!›› esclamò lei. ‹‹Ascolterò tutta la tua storia, se vorrai raccontarla››. (4)

‹‹Avevo sette anni, quando arrivai alla Fondazione Grado, creata dal vecchio Kido. Sono stato con gli altri orfani per due lunghi anni, una vera tortura. Poi finalmente fui destinato in Siberia, per completare l’allenamento e diventare un vero guerriero. Sei anni di allenamenti, e poi finalmente ho potuto fregiarmi del titolo di Sacro Guerriero››.

Hyoga non si dilungò molto sui quegli anni. Mentì, dicendo che non era successo niente di interessante.

‹‹Se avessi obbedito ciecamente agli ordini del Santuario, le cose sarebbero andate diversamente›› disse improvvisamente. ‹‹Saori continuava a scrivermi per chiedermi di tornare a Tokyo. Voleva che mi unissi ai Guerrieri che avrebbero partecipato al grande Torneo che aveva organizzato. Io la consideravo una pagliacciata. Era umiliante esibirsi in un’arena, combattendo battaglie inutili, per la sola gioia del pubblico. Odiavo Saori, era sempre stata odiosa e impertinente. Quel maledetto Torneo l’avrebbe resa ancora più ricca e strafottente. Non ero interessato, anzi ero davvero seccato per l’insistenza con cui mi perseguitava››.

‹‹Ora le cose sono cambiate›› azzardò a dire Freija. ‹‹Non la odi più, mi sembra››.

Nella mente di Freija, le sue parole sarebbe dovute suonare come una provocazione, perché il tono della voce di Hyoga era troppo dolce quando pronunciava il nome di lei.

È assurdo! Non posso essere gelosa di Saori, anzi non devo essere gelosa!

Naturalmente Hyoga non colse il significato di quelle parole e riprese a raccontare senza preoccuparsi troppo.

‹‹Net, ora la adoro›› precisò, facendola un po’ innervosire. ‹‹Allora non sapevo ancora chi fosse realmente, e non potevo immaginare che il suo scopo fosse quello di raccogliere una schiera di guerrieri che diventassero i suoi protettori, né avrebbe potuto presentare il torneo in questi termini››.

‹‹Se non le rispondevi, e non sapevi niente di lei, come hai accettato di partecipare al Torneo? Perché tu…hai partecipato!››.

Hyoga disse di sì. ‹‹Sono stato obbligato. Assieme all’ennesima lettera di Saori, un giorno ne arrivò una mandata dal Santuario di Grecia. In quegli anni, Camus, il grande maestro delle energie fredde era venuto spesso in Siberia per verificare di persona i miei progressi. Il Grande Sacerdote lo mandava apposta per me, e io ero felice di ricevere l’attenzione del Santuario, mi riempiva d’orgoglio. In quella lettera, il sacerdote mi ordinava di eliminare i traditori, e di recuperare la Sacra Armatura d’oro del Sagittario, trafugata dal Santuario vent’anni prima. Saori aveva l’armatura, e le sacre vestigia erano il premio per il vincitore del Torneo››.

‹‹E al torneo, Ikki ha rubato la Sacra Armatura››.

Hyoga rise. ‹‹Sì, come lo sai?››.

‹‹Ho sentito Hilda e Freyr che ne discutevano, una volta. Ikki però ha cambiato campo, e ora è un guerriero fedele ad Atena››.

‹‹E sempre assente›› aggiunse Hyoga, un po’ seccato. ‹‹Sì, Ikki rubò la Sacra Armatura e dovemmo lottare per riaverla. Il problema fu che, sulle tracce dell’armatura, c’erano altri sicari inviati dal Santuario, che avevano il compito di uccidere tutti i traditori. Quello che avrei dovuto fare io››.

‹‹Ma tu non l’hai fatto…››.

‹‹Net›› disse Hyoga. ‹‹Cominciai a nutrire i primi dubbi sulla giustezza della mia missione quando rincontrai i miei vecchi compagni, al Torneo. Prestai poca attenzione a loro, ma avvertivo una certa serenità in loro compagnia e…anche alla presenza di Saori, in verità. Poi, quando i guerrieri del Santuario cominciarono ad attaccarci indistintamente, pensai che al Gran Sacerdote non importava della vita dei suoi seguaci, era interessato solo a riavere l’armatura d’oro.

‹‹In quei giorni, ho riflettuto sul mio ruolo di guerriero. Per proteggere Atena avevo ricevuto l’Armatura di Cygnus, a prescindere dai miei obiettivi personali che mi avevano aiutato nell’impresa. Quando si svelò a noi il cosmo della dea, non ho avuto più dubbi. Fu uno shock scoprire che la ragazzina viziata che ci aveva tormentato con le sue cattiverie era, in realtà, la dea che avevamo giurato di proteggere. Accettando Saori come Atena, eravamo entrati in guerra aperta col Santuario››.

‹‹Perché? Il Sacerdote era anche lui un seguace di Atena, avrebbe dovuto gioire per la comparsa della dea, essere vostro alleato››.

‹‹La situazione era molto complicata, se si considera che quel sacerdote era un impostore e un assassino. Atena rappresentava per lui una minaccia, per questo aveva cercato di ucciderla. Aiolos aveva salvato la bambina, aveva scoperto l’identità dell’impostore ed era stato condannato a morte. Lui era il possessore della Sacra Armatura del Sagittario, il guerriero della speranza››.

Il famoso astrologo Mitsumasa Kido, appassionato di cultura e mitologia greca, durante un soggiorno ad Atene, aveva assistito esterrefatto alla rocambolesca fuga di un uomo che era riuscito, miracolosamente, a sfuggire ai suoi inseguitori riparandosi tra le rovine di un tempio. Lo studioso giapponese aveva scoperto nel fuggiasco un giovane guerriero, vestito alla maniera degli antichi greci, che pure allo stremo delle forze e ferito mortalmente, ancora cullava dolcemente un neonato.

L’eroe morente, in un ultimo disperato tentativo di salvare la bambina che aveva protetto a costo della sua vita, l’aveva affidata a Kido, confidandogli un segreto che gli intimò di conservare gelosamente. La piccola era la reincarnazione della dea Atena, protettrice della giustizia e tutrice della pace, che rinasceva tra gli uomini ogni volta che si ripresentava forte e minaccioso il potere delle forze oscure.

Aiolos aveva salvato la bambina che sarebbe stata altrimenti sacrificata in un barbaro rituale che era alla base di un macchinoso piano di conquista, e l’aveva così strappata dalle crudeli mani del Grande Sacerdote del Santuario di Grecia, che aveva riconosciuto la presenza della dea e si era reso conto del fatto che, fin quando la bambina fosse vissuta, avrebbe rappresentato una minaccia per lui e per i suoi malefici progetti.

Mitsumasa accettò di allevare la bambina, ma faticò a credere alle parole del guerriero, ritenendole vaneggiamenti di un uomo prossimo alla morte. Dovette ricredersi quando il guerriero gli consegnò un magnifico scrigno intarsiato che s’aprì sotto i suoi occhi rivelando una scintillante forma di centauro che tendeva l’arco con una freccia incoccata.

‹‹Questa è la Sacra Armatura del Sagittario›› gli spiegò Aiolos. Quell’armatura gli apparteneva, disse, poiché egli era il Sacro Guerriero d’oro della Costellazione del Sagittario.

‹‹Mitsumasa credette ad Aiolos, per nostra fortuna. Per lunghissimo tempo, Kido tenne nascosta la bambina e l’armatura, fin quando Saori non crebbe abbastanza per sapere la verità. Poi, quando fu sicura della nostra rettitudine, lei stessa ci svelò la sua vera identità. Il Grande Sacerdote aveva plagiato i guerrieri d’oro, perché alcuni di loro dubitavano di lui, e per quasi vent’anni, cercò disperatamente di rintracciare la bambina in cui era rinata la dea e la Sacra Armatura. Intanto, Kido s’impegnò con tutte le sue forze e risorse nella costruzione della Fondazione Grado e del Collegio delle stelle, l’orfanotrofio che avrebbe raccolto i futuri difensori della dea, cioè noi. Quando compì il suo diciottesimo anno d’età, Saori ereditò il patrimonio di Mitsumasa Kido, che nel frattempo era morto, e organizzò il torneo che suo nonno stava progettando da anni, il grande avvenimento che avrebbe riunito tutti i ragazzi che Kido aveva mandato a diventare Guerrieri. Ogni tentativo del Sacerdote di eliminarci fu sventato e uno ad uno caddero tutti i suoi guerrieri, di Bronzo, come noi, e d’Argento. Inviò anche alcuni guerrieri d’oro, come Aiolia del Leone che cercò di freddare Seiya mentre era in ospedale. Aiolia è il fratello minore di Aiolos. La morte di suo fratello come traditore l’aveva sconvolto, ed avrebbe fatto di tutto per riscattare il suo onore macchiato da quello che credeva un indecoroso tradimento. Al Santuario avevamo anche degli alleati, per fortuna. Marin dell’Aquila, donna-guerriero e mentore di Seiya al Santuario, riuscì ad avvertirlo del pericolo che correvamo, e così ci preparammo ad affrontare il nemico. Per quanto mi riguarda, mi toccò una punizione esemplare, perché ero considerato un traditore, meritevole di morte più di tutti i miei compagni.

‹‹Tornai in Siberia, perché Jacob, un amico del villaggio di Kohotec dove abitavo, mi scrisse di aiutarli a ribellarsi alla tirannia di Crystal, il guerriero che era stato il mio maestro. Era scomparso per mesi dal villaggio, e poi era riapparso in compagnia di misteriosi uomini che iniziarono a sfruttare gli abitanti di Kohotec per la costruzione di una struttura che avrebbe rappresentato il potere del Santuario sulla Siberia. Quando arrivai, vidi con i miei occhi l’enorme piramide di ghiaccio, e gli abitanti del villaggio costretti a lavorare, sotto la minaccia delle armi, impegnati nella costruzione di quell’oscenità! Alla mia vecchia abitazione incontrai anche Crystal, l’uomo che mi aveva reso un guerriero e che mi aveva sempre messo in guardia contro i misteriosi progetti del Santuario, che mi aveva fatto anche da padre. Io non gli avevo creduto, desideroso di dimostrare tutto il mio valore a Camus e al Sacerdote di Grecia. In quel momento, le nostre posizioni erano ribaltate, lui schiavo della volontà del sacerdote, e io passato dalla parte opposta, traditore del Santuario. La piramide era solo una scusa per attirarmi in Siberia, il suo vero scopo era quello di uccidermi››.

‹‹Avete combattuto…››.

‹‹Sì›› sospirò lui. ‹‹Al Santuario mi conoscevano fin troppo bene, Camus mi aveva spiato in tutti quegli anni, e sapeva che avevo il cuore tenero, e che non avrei mantenuto il sangue freddo davanti ad un avversario che fosse anche un amico. Marin, però, aveva assistito al colloquio tra Crystal e il Sacerdote, e raccontò a Seiya che, alla presenza di Camus, il Sacerdote aveva ordinato al mio maestro di uccidermi››.

Quando Seiya arrivò in Siberia allievo e maestro stavano già affrontandosi. Quello non era l’unico pericolo però. Camus aveva intuito la forza di Hyoga e aveva esortato il Sacerdote a prendere altre misure, per sicurezza, perché se Hyoga si fosse deciso a combattere avrebbe potuto battere il suo maestro. Hyoga cercava di far ragionare il suo maestro, evitando di combattere per quanto gli fosse possibile, senza sapere di essere sotto il tiro di cecchini appostati sulla piramide ormai terminata. Quei sicari, che avrebbero freddato Hyoga nel più vile dei modi, furono intercettati da Seiya.

‹‹Crystal era già libero dalla schiavitù mentale del sacerdote quando mi obbligò ad ucciderlo col mio colpo più potente. Quella fu la sua ultima lezione, insegnarmi ad essere impassibile di fronte all’avversario. Così, dopo mia madre, anche il mio maestro era morto per farmi vivere. Sono stato un pessimo allievo, però, perché c’è voluto molto tempo perché la imparassi, e la morte di altre persone a me care…››.

‹‹È davvero un uomo spietato, il sacerdote!›› disse Freija con disprezzo.

‹‹Questo è sicuro›› disse Hyoga con voce cupa. ‹‹DeathMask del Cancro attaccò Shiryu mentre si trovava ai Monti Ro, in Cina, ma il guerriero d’oro fu cacciato dal vecchio maestro di Shiryu. E nello stesso momento, Milo dello Scorpione fu mandato sull’Isola di Andromeda per cercare Shun, che fortunatamente era in Giappone, a fianco di Saori. Il guerriero d’oro devastò l’isola, senza lasciare un solo superstite. L’unica che si salvò fu June, donna-guerriero della costellazione del Camaleonte. Anche Ikki fu trovato e attaccato nella sua isoletta, e anche lui riuscì a scampare.

‹‹Arrivati a quel punto, non potevamo aspettare oltre. Passammo un anno di angosce, durante il quale ogni attimo della nostra vita era condizionato dal terrore di nuovi agguati. Se fossimo restati inerti e sulla difensiva ad attendere le mosse del Santuario, saremmo stati abbattuti, uno dopo l’altro, per sfinimento. Lady Saori prese così una coraggiosa decisione. Sarebbe andata lei stessa al Santuario, per incontrare il Grande Sacerdote e discutere con lui la situazione. Saori era convinta che il confronto diretto, a parole naturalmente, sarebbe stato la soluzione migliore ai nostri problemi. Non avremmo mai potuto lasciarla andare sola, senza protezione, e partimmo tutti per Atene››.

Il Santuario era situato a qualche chilometro dalla città di Atene, vicinissimo eppure impossibile da trovare per chi non sapesse dove cercare.

‹‹Proprio come Ásgarðr!›› disse Freija sorpresa.

‹‹Esatto››.

Era un complesso di edifici, una città costruita per la dea Atena e per i suoi fedeli, guerrieri e servitori, cresciuta intorno ad un’alta montagna e sviluppata su un territorio molto vasto. Nella parte bassa sorgevano i dormitori, per i giovani aspiranti guerrieri, il refettorio dove si riunivano per i pasti, i bagni, e un piccolo agglomerato con le abitazioni dei servitori e alcuni bazar. Al Santuario erano presenti anche molte donne, che abitavano però strutture separate: dividevano con gli uomini soltanto la mensa. Sulle pendici più basse della montagna sacra, sorgevano le dimore dei guerrieri, sistemate secondo il grado d’importanza. Appartenevano ai guerrieri di Bronzo quelle più piccole, e ai guerrieri d’argento le case più grandi e belle. In cima alla montagna, si ergeva maestoso il Grande Tempio, la residenza del Gran Sacerdote e la sede principale del culto della dea. Per arrivarvi, era necessario salire la lunga scalinata che si arrampicava serpeggiando sul fianco della montagna, e attraversare dodici templi, dimore degli uomini più fedeli alla dea.

‹‹Dodici templi per dodici Sacri Guerrieri d’oro, uno per ogni segno zodiacale››.

Avevano pochi alleati tra quei dodici guerrieri plagiati dal Grande Sacerdote, quando invece quegli uomini avrebbero dovuto riconoscere il cosmo della dea e inchinarsi al suo passaggio. Oltre a questo, i quattro guerrieri di bronzo avevano con alcuni di loro conti aperti da risolvere e grandi motivi di odio.

‹‹Sapevamo fin dall’inizio che non sarebbe stato facile giungere fino al Gran Sacerdote, ma eravamo fiduciosi perché entravamo nel Santuario al seguito della dea Atena stessa. Invece, attraversare quei dodici templi divenne una disperata corsa contro il tempo, perché fummo assaliti nella piazza da cui partiva la grande scalinata. Saori aveva scritto al sacerdote, informandolo del suo arrivo, e quella fu la sua risposta››.

Tramy, guerriero d’argento della costellazione della Freccia, li attaccò con una pioggia di frecce. Hyoga e compagni si pararono di fronte alla dea, per proteggerla, ma abbassarono la guardia quando si accorsero che quelle lanciate da Tramy erano dardi illusori. In quel momento partì l’unica freccia reale e si conficcò dritta nel petto di Saori, all’altezza del cuore. Tramy venne polverizzato dagli attacchi dei guerrieri di bronzo ma ormai aveva svolto il suo compito.

‹‹L’unico modo possibile per salvarle la vita, come scoprimmo più tardi, era quello di arrivare dal Sacerdote, lui doveva aiutarci. Intanto la lasciammo lì, in quel piazzale, in compagnia di Tatsumi, il maggiordomo di Villa Kido. Aveva voluto accompagnarci a tutti i costi, quel pazzo››. Fece una pausa, poi alzò un braccio. ‹‹C’è una torre, al Santuario, un orologio gigantesco con i simboli dei segni zodiacali al posto dei numeri, e dodici fiammelle che si spengono, una alla volta, al passare delle ore. Questa torre è molto alta, e visibile da ogni punto del Santuario. Era il nostro punto di riferimento, scandiva il tempo che restava da vivere a Saori››.

I quattro guerrieri, poiché di Ikki non avevano avuto alcuna notizia, corsero verso il Grande Tempio senza perdere un attimo, sapendo che presto gli altri guerrieri di bronzo avrebbero raggiunto il Santuario per proteggere Saori. Hyoga, Seiya, Shun e Shiryu erano gli unici che avrebbero potuto affrontare l’ardita scalata, poiché erano i più forti e determinati tra tutti i guerrieri.

Passato il primo tempio, dove Mu dell’Ariete, una vecchia conoscenza, riparò le loro armature, dovettero affrontare il primo avversario. Aldebaran del Toro, titanico difensore della seconda casa, diede del filo da torcere a Seiya, che alla fine riuscì a spuntarla. Il guerriero d’oro perse uno dei due corni che ornavano il suo elmo, ma li lasciò passare, perché aveva acquisito piena consapevolezza dei suoi dubbi verso il Sacerdote.

I guai grossi arrivarono alla casa dei Gemelli, quando i quattro fratelli si accorsero di vagare senza meta in corridoi che avevano già percorso, senza riuscire a guadagnare l’uscita.

‹‹Ciò che c’insospettì maggiormente fu che non si avevano più notizie del guerriero dei Gemelli da moltissimi anni. Il terzo tempio avrebbe dovuto essere deserto, invece si rivelò un labirinto creato appositamente per disorientarci. Quando arrivammo finalmente a quella che credevamo l’uscita, scoprimmo di essere di nuovo nel piazzale davanti al tempio, che nel frattempo s’era sdoppiato in due edifici assolutamente identici. Il guerriero dei Gemelli non doveva essere lontano, perché le illusioni erano una delle sue specialità››.

L’unica soluzione era separarsi. Seiya e Shiryu entrarono nel tempio di destra, Hyoga e Shun nell’altro. I primi che fossero riusciti ad uscire sarebbero dovuti correre al tempio successivo senza aspettare gli altri.

‹‹Entrare nel tempio dei Gemelli fu come attraversare un mondo di opposti. Al suo interno, in quel labirinto infinito, si susseguivano zone di ombra e luce, sentivamo il rumore dei nostri passi, e subito dopo il silenzio. Ma eravamo sempre accompagnati dalla sgradevole sensazione del cosmo del guerriero d’oro, forte e minaccioso. Alla fine l’abbiamo incontrato, o meglio, ci siamo trovati di fronte all’armatura d’oro dei Gemelli senza guerriero. Inquietante, con due maschere scolpite ai lati dell’elmo, una triste e l’altra con un sorriso malvagio››.

Hyoga volle attaccare il guerriero d’oro senza perdere tempo, nonostante le catene dell’armatura di Shun, famose per l’abilità nell’individuare un nemico, fossero restate immobili. Intanto nell’altro tempio, Seiya e Shiryu si trovarono di fronte ad un secondo guerriero dei Gemelli, in tutto identico all’altro. Shiryu aveva riportato gravi lesioni agli occhi ma aveva voluto lo stesso partecipare all’impresa. Fu Seiya ad avvertirlo della presenza dell’avversario, proprio di fronte a loro. La cecità di Shiryu fu la loro salvezza. Seiya, come Hyoga, avrebbe voluto attaccare ma il compagno lo bloccò assicurando di non sentire la presenza del guerriero nel tempio.

‹‹La vista ci aveva ingannato, avremmo dovuto badare di più agli altri sensi. Il guerriero d’oro era lontano, il suo cosmo aveva potuto creare le illusioni dei due templi, ma non era presente fisicamente. Shiryu riuscì così a condurre Seiya fuori dal tempio dei Gemelli››.

‹‹E voi?›› chiese Freija. ‹‹Come avete fatto tu e Shun?››.

‹‹Per noi la situazione si complicò notevolmente››.

Non appena Seiya e Shiryu uscirono, il loro tempio sparì e rimase un unico edificio. L’armatura, che fino allora si era limitata a respingere gli attacchi di Hyoga, improvvisamente si animò e li attaccò. Il colpo investì violentemente Hyoga e Shun, che furono risucchiati nei vortici dell’Altra Dimensione. L’intervento provvidenziale di Ikki, che disturbò telepaticamente il guerriero dei Gemelli, salvò Shun. Al secondo assalto, Andromeda fu in grado di difendersi da solo e riuscì a superare la dimensione parallela creata dall’avversario con l’aiuto delle sue catene, e a colpirlo. L’armatura dei Gemelli si compose nella sua forma di riposo, e apparve l’uscita della casa. Davanti a sé, Shun vide la scalinata che conduceva al quarto tempio, ma non c’era traccia di Hyoga, perso nella dimensione parallela.

‹‹Quando mi sono ripreso, mi sono trovato in un luogo sconosciuto, e con me c’era Camus dell’Acquario custode dell’undicesimo tempio››.

‹‹Eri all’undicesimo tempio, ad un passo dal Grande Tempio!››

‹‹Purtroppo no›› disse lui. ‹‹Camus mi aveva salvato dalla dimensione parallela, ma era sceso al settimo tempio, quello della Bilancia››.

Il guerriero d’oro della Bilancia era Doko, il maestro di Shiryu, che da moltissimi anni non abitava più il suo tempio al Santuario, preferendo restare a meditare davanti alla cascata dei Monti Ro.

Al Santuario la gerarchia era stabilita in base alla potenza di un guerriero, ma soprattutto in base allo sviluppo dei suoi poteri. I guerrieri di bronzo avevano sviluppato il sesto senso, paragonabile ad un intuito che permetteva loro di usufruire dei poteri derivanti dalla loro costellazione protettrice. Un gradino sopra loro, stavano i guerrieri d’argento, che riuscivano a sviluppare e a controllare maggiormente le loro potenzialità. Sopra tutti c’erano i guerrieri d’oro, coloro che aveva acquisito il settimo senso, la piena consapevolezza dei loro poteri, il controllo assoluto del loro cosmo.

‹‹Camus voleva che io acquisissi il settimo senso, prerogativa di un guerriero d’oro, perché altrimenti non sarei sopravvissuto agli scontri con gli uomini più fedeli alla dea, i suoi guerrieri più forti. Era una condizione indispensabile››.

‹‹Voleva aiutarti›› si stupì Freija. ‹‹Ce l’hai fatta?››.

Lui accennò un sorriso. ‹‹No. Camus voleva combattere. Io, nonostante tutto, lo rispettavo ancora come maestro. Per risvegliare la mia forza, per scuotere il mio orgoglio di guerriero, lui…››. Fece una pausa lunghissima, come se ricordare quel momento fosse ancora troppo doloroso. ‹‹Perché avessi valide motivazioni per attaccarlo, lui fece sprofondare la nave in cui giaceva il corpo di mia madre nelle profondità del Mare del Nord, in un punto dove mi sarebbe stato impossibile raggiungerlo. Non è servito a nulla, perché anziché trovare la forza di reagire, mi sono lasciato scoraggiare dal timore di non poterla più vedere, e ho perso lo scontro››. Lei lo fissò intensamente, lui abbassò lo sguardo. ‹‹Penserai che sono un debole, ma in effetti è vero››.

‹‹No, credo che tu abbia una grande sensibilità, troppa forse››. Lui annuì.

Intanto al tempio del Cancro, il quarto, Shiryu restò solo ad affrontare DeathMask, il tenebroso guardiano, mentre Seiya per guadagnare tempo correva al quinto tempio, dove l’aspettava Aiolia del Leone.

Il guerriero d’oro del Cancro trascinò Shiryu nella valle della morte, dove le anime vagavano silenziose verso la bocca degli inferi. In quel luogo tetro, Shiryu vide tra le anime, quelle di Hyoga e di Saori, che si dirigevano anche loro silenziose verso il luogo del non ritorno, la bocca degli inferi. Shun recuperò Shiryu, malconcio dopo la vittoria su DeathMask. Il Dragone aveva miracolosamente recuperato la vista, e insieme raggiunsero Seiya, che stava affrontando un vendicativo Aiolia.

Il giovane Aiolia aveva visto in Saori la dea Atena, avrebbe dovuto appoggiarli nella scalata al Grande Tempio. Invece, plagiato dal Sacerdote, si oppose a Seiya in tutta la sua furia. Le parole non avrebbero sortito effetto, Aiolia avrebbe riacquistato la lucidità solo dopo aver ucciso il suo avversario. In quel frangente, Seiya fu salvato dal sacrificio di Cassios.

‹‹Chi è Cassios?››.

Hyoga si grattò la fronte. ‹‹Le vicende che accaddero al Santuario sono difficile da riassumere, per il fatto che coinvolsero molte persone. In quel luogo s’intrecciarono relazioni e congiure che nemmeno noi siamo riusciti a comprendere fino in fondo. Ciò che ti sto raccontando, sono solo i fatti principali, quelli che ci riguardano direttamente, ma immagina che in questa vicenda furono coinvolte molte più persone di quante ne abbia nominate. Ti dirò che Seiya conquistò l’armatura di Pegasus in Grecia, sconfiggendo Cassios, il pupillo di Shaina dell’Ofiuco, un’altra donna-guerriero. Seiya era di origini giapponesi, ed era tollerato a fatica il fatto che uno straniero sottraesse l’armatura ad un guerriero greco. La vittoria di Seiya scatenò l’ira dei guerrieri del Santuario che cercarono di ucciderlo per riprendersi le vestigia di Pegasus. Li guidava l’agguerrita Shaina, desiderosa di vendicare Cassios che aveva perso un orecchio nello scontro con Seiya. Shaina non riuscì a battere Seiya, e lui non la colpì, perché, nonostante tutto, è difficile combattere con una donna" Hyoga sorrise. "Per sua sfortuna, l’onda d’urto le spaccò la maschera…".

‹‹Cosa significa?››.

‹‹Al Santuario vigono leggi severissime, che riguardano il comportamento dei guerrieri, sia uomini che donne. Una di queste regole, forse la più vecchia e rigorosa, impone alle donne che vogliono diventare guerrieri d’indossare una maschera che non devono mai togliere. Se una donna-guerriero perde la sua maschera, ha solo due alternative: uccidere il suo avversario, o uccidersi. È una questione d’onore, perché perdere la maschera è considerata una grande umiliazione››.

‹‹Non posso credere a quello che dici…››.

‹‹Eppure è così. Al Santuario esistono molte regole, rispettate da tutti, che potrebbero essere considerate inumane. È sempre stato così, e finché la dea non dirà la sua, nessuno oserà opporsi. Certo, noi abbiamo causato un certo scompiglio, eppure molte di queste regole valgono anche per noi. Saori ha dato disposizioni perché venissero allestiti i nostri alloggi nel Grande Tempio, un grandissimo onore per un guerriero, e siamo collocati al massimo grado d’importanza nella gerarchia, sopra tutti. Nessuno può sedere al nostro tavolo, nel refettorio, a meno che non siamo noi ad autorizzarlo, e comunque evitiamo di invitare chiunque a sedere con noi. Ogni classe di guerrieri occupa il suo posto, nella grande sala del refettorio, a seconda del grado. E fino a poco tempo fa, donne e uomini mangiavano in tavoli separati, e non potevano parlarsi, né al refettorio, né durante la giornata se erano ancora novizi. Ai guerrieri è concessa una maggiore libertà, sempre nei limiti››.

‹‹Vivere al Santuario è come stare in carcere! Avrei voluto vederlo, una volta, ma mi è passata la voglia!››.

‹‹Solo il Grande Sacerdote, o Lady Saori, può permettere agli estranei di entrare al Santuario, e finora non l’ha mai fatto nessuno dei due. Se fosse stato possibile, ti avrei già invitato a venire››.

Freija scosse la testa, ridendo.

‹‹Ma sto divagando›› si riprese Hyoga. ‹‹Ti dicevo di Shaina. Naturalmente aveva scelto di uccidere Seiya, e ci provò in molte occasioni. Col tempo però, per come si susseguirono gli eventi, lei…prese Seiya in simpatia, diciamo così, e non desiderò più ucciderlo ma salvarlo dalla furia del sacerdote e degli uomini del Santuario. Il quadro si completa se ti dico che Cassios aveva sempre amato Shaina, e avrebbe fatto qualunque cosa per farla felice. Alla quinta casa, Cassios salvò Seiya, perché sapeva che se fosse morto, Shaina avrebbe sofferto moltissimo. E Aiolia fu liberato dall’incantesimo del Sacerdote››.

Il prezzo del fallimento della missione era troppo alto, ed era necessario giungere al più presto alla stanze del sacerdote, per tentare di salvare Saori e Hyoga. Al sesto tempio, Ikki raggiunse gli altri guerrieri, giusto in tempo per sostenere lo scontro con Shaka della Vergine, considerato l’uomo più vicino alla dea. Il suo intervento fu provvidenziale, ma pagò la sua tempestività, che permise a Seiya, Shun e Shiryu di proseguire, con la vita.

Avevano perso Hyoga, al tempio dei Gemelli, e subito dopo il suo arrivo, anche il guerriero della Fenice si era sacrificato per farli proseguire. Eppure le sorprese non erano finite, perché al tempio della Bilancia, il settimo, quello custodito da Doko, i tre guerrieri si trovarono di fronte all’enorme blocco di ghiaccio, eretto da Camus, dov’era imprigionato Hyoga. Dentro a quel gelido feretro, inspiegabilmente, il cuore di Hyoga batteva ancora. Con l’armatura della Bilancia, che Doko fece apparire alla settima casa, tentarono di salvare Hyoga. l’armatura della Bilancia possedeva sei paia d’armi, una per ogni guerriero d’oro. Shiryu scelse la spada e con quella formidabile lama poté fendere il ghiaccio e liberare il corpo inerte di Hyoga.

‹‹Libero dal ghiaccio di Camus, sarei morto assiderato…. Non potrò sdebitarmi con Shun in nessun modo, perché mi ha ridato la vita››.

Shun rimase con Hyoga, bruciando il suo cosmo per produrre energia sufficiente per scaldarlo, l’unico modo possibile per rianimarlo. Se Hyoga non si fosse ripreso in tempo, Shun si sarebbe consumato liberando il suo cosmo e sarebbe morto, regalando la sua vita per far rivivere l’amico.

‹‹Quando ho riaperto gli occhi, ho trovato Shun accasciato vicino a me, pallido come un morto. Respirava appena ma era vivo. Camus mi aveva tolto la cosa più preziosa che avevo, mia madre, ma per Shun, e Saori, ho ritrovato la forza di andare avanti››.

Intanto, all’ottavo tempio, Milo dello Scorpione aveva già sopraffatto Seiya e Shiryu. Non poté assaporare il trionfo perché apparve Hyoga, l’unico tra tutti loro che avrebbe potuto affrontare il Sacro Guerriero dello Scorpione e il suo terribile Scarlet Needle . (5)

‹‹I miei attacchi sembravano inefficaci, non scalfivano nemmeno la sua armatura. Milo aveva un attacco formidabile, che lanciava con un dito››. Sollevò l’indice, mentre descriveva come l’unghia del suo avversario si trasformava in un aculeo scarlatto ‹‹del tutto simile a quello di uno scorpione. Di quindici stelle è composta la costellazione dello Scorpione, e di tante punture era composto il suo colpo micidiale. Milo mi ha assicurato che nessuno è mai sopravvissuto oltre la sesta puntura, perché chiunque le ricevesse impazziva per il dolore e invocava pietà. Io le ho subite tutte, compresa la quindicesima puntura, che prende il nome dalla stella situata al centro della costellazione: Antares, la puntura mortale›› affermò con una punta d’orgoglio.

‹‹Come hai fatto? Non sentivi dolore?››.

‹‹Da impazzire, ma pensavo ad Atena. Lei è sempre stata al nostro fianco, in ogni battaglia, e ci ha protetto. Non m’importava di morire, a nessuno di noi importava molto, vivevamo solo per proteggerla, e per nient’altro››.

Era la loro devozione e lo spirito di sacrificio che rendeva forti i Sacri Guerrieri. Nessuno di loro si sarebbe mai ritirato da una battaglia né si sarebbe arreso davanti ad un nemico apparentemente invincibile.

Seiya e Shiryu avevano oltrepassato l’ottavo tempio, portando con loro il corpo esanime di Shun. L’obiettivo primario di Hyoga era stato quello di trattenere il Sacro Guerriero d’oro per permettere ai suoi compagni di allontanarsi, ma sconfiggere lo Scorpione avrebbe significato riunirsi a loro per salire assieme a loro verso il Grande Tempio. Anche se le difese di Milo sembravano impenetrabili, ad ogni puntura dello Scorpione Hyoga rispondeva con un attacco mirato, seguendo una sua disperata strategia. Sicuro della vittoria Milo si preparò a lanciare Antares contro Cygnus, ormai privo di forze, ma non poté muoversi perché Hyoga aveva indirizzato tutti i suoi colpi alle gambe dell’avversario, che adesso era immobilizzato a terra da una morsa di ghiaccio.

‹‹Non ha funzionato?!›› esclamò Freija incredula. Hyoga scosse la testa.

Colpì lo Scorpione con tutta la sua forza, scaraventandolo lontano. Milo però non era ancora sconfitto, mentre Hyoga gocciolava sangue che sgorgava dalle quattordici ferite, indebolendosi sempre più.

‹‹Camus mi aveva imprigionato nel ghiaccio per risparmiarmi una morte atroce, questo mi disse Milo. Non ero pronto per affrontare la lotta al Grande Tempio, perché ero debole e avevo ancora troppe lacrime nel cuore. Sarei stato sconfitto, umiliato e ucciso, mentre in quel ghiaccio avrei riposato in eterno, senza soffrire››.

Hyoga fissò lo sguardo lontano, mordendosi le labbra. ‹‹Milo voleva risparmiarmi, per rispetto a Camus, e io ho rifiutato. Non potevo abbandonare la lotta solo per sopravvivere. Milo m’aveva umiliato voltandomi le spalle, era come se non avesse riconosciuto in me un valido avversario. Combattere era più onorevole che implorare pietà! Quando ha lanciato l’Antares, avevo a malapena la forza di alzare le braccia, ma ho attaccato lo stesso, con tutta la forza che mi rimaneva. La quindicesima puntura mi ha colpito all’addome, proprio qua››. Sollevò il maglione e mostrò una cicatrice circolare al ventre, pochi centimetri a destra dell’ombelico.

Col suo ultimo colpo Hyoga, quando sembrava non avesse nemmeno più energia per trarre un respiro, congelò i punti di forza dell’armatura dello Scorpione. In una frazione di secondo, nel tempo in cui Milo lanciava Antares, Hyoga colpì quindici volte dimostrando, nel momento della sconfitta, la sua superiorità. Impressionato dalla devozione che spingeva Hyoga, stremato, a strisciare sul pavimento pur di superare l’ottavo tempio, Milo fu assalito dai dubbi.

I profanatori del Santuario si dichiaravano protettori di Atena e la ragazza pretendeva addirittura di essere la dea stessa, ma avrebbero potuto dimostrare tanta forza se davvero la dea non li avesse sorretti in quell’impresa?

‹‹Milo mi ha soccorso e mi ha lasciato passare, quando avrebbe potuto finirmi con un dito solo››.

Hyoga s’affrettò a raggiungere i compagni al tempio del Sagittario dove per miracolo, dopo quasi vent’anni di assenza, riapparve la Sacra Armatura d’oro. Al decimo tempio incontrarono Shura del Capricorno che si presentò come l’assassino di Aiolos del Sagittario, l’eroe che aveva salvato la dea dalla follia omicida del Grande Sacerdote impostore. Shiryu affrontò senza timore le "sacre spade", i taglienti colpi sferrati dalle mani di Shura, deciso a vendicare la morte di Aiolos. Riuscì a spezzare le braccia del Sacro Guerriero del Capricorno, neutralizzando i suoi colpi, ma al decimo tempio finì la sua corsa.

‹‹Abbiamo visto un Dragone volare alto nel cielo, e poi più nessuna traccia del cosmo di Shiryu››.

Avrebbero voluto tornare indietro ma avevano poco tempo: le ore passavano veloci e avevano ancora molta strada da percorrere per arrivare al Grande Tempio, al cospetto del Sacerdote.

Camus li stava aspettando all’ingresso dell’undicesimo tempio. Non degnò d’uno sguardo né Seiya, né Shun, la sua attenzione era tutta rivolta al suo allievo, strappato dal suo sonno gelido e pronto ad affrontare una sorte peggiore.

‹‹Camus non era interessato a Seiya e Shun, li ha lasciati passare senza ostacolarli. Avevo molte domande, avrei voluto che il mio maestro sciogliesse i miei dubbi sulla condotta del Santuario, sul perché del suo comportamento. Dal Grande Sacerdote avevo ricevuto ordini ben precisi, di uccidere i traditori, e avevo trasgredito passando dalla parte dei presunti nemici del Santuario. Avevo ucciso il maestro dei ghiacci che era stato mio mentore. Avevo ignorato l’aiuto, se così si poteva chiamare, di Camus, il suo ultimo tentativo di farmi crescere come guerriero. Avevo tante domande da fare che sono rimaste senza risposta. Camus non mi avrebbe più insegnato niente, ormai era giunto per noi il momento dello scontro decisivo››.

‹‹È stato Camus ha a insegnarti ciò che sai…i tuoi colpi…››.

‹‹In Siberia, avevo un altro maestro, Crystal, ma Camus veniva spesso, ed era un grande onore. Quando arrivammo al Santuario, ognuno di noi sapeva dell’esistenza dei Sacri Guerrieri d’oro, ma ignoravamo che fossero tanti e tanto potenti. Avevo paura, al Santuario. Saori era ferita, avevamo pochissimo tempo a disposizione, avevamo pochi amici e molti nemici››.

‹‹Come finì all’undicesimo tempio?››.

Hyoga non parlò di quello scontro, non le disse d’aver superato il suo maestro, d’aver sfiorato lo zero assoluto, la più bassa temperatura raggiungibile, limite cui non era mai potuto arrivare nemmeno il Sacro Guerriero d’oro dell’Acquario. Non avrebbe sminuito la forza del suo maestro, ostentando d’essergli stato superiore. Disse che aveva vinto lo scontro perché aveva imparato dal suo maestro l’Esecuzione dell’Aurora, aveva quindi risposto all’attacco di Camus con lo stesso colpo appena più potente. Ancora una volta le sue mani si erano macchiate del sangue dei suoi cari, e Freija evitò di guardarlo, perché sembrava che stesse per piangere. Poi Hyoga fece un sorriso distante, e trasse un profondo respiro.

‹‹Atena mi ha trovato all’undicesimo tempio. Quello che era successo a Shun e Seiya l’ho saputo dopo, quando già Saga era stato sconfitto››.

Anche Hyoga, come Shiryu di Dragon, era caduto sul campo, mentre ad Andromeda e Pegasus restava poco tempo arrivare dal Gran Sacerdote. Shun ebbe la stessa sciagurata sorte al dodicesimo tempio dove, dopo aver sconfitto Aphrodite, finì la sua corsa trafitto dalle rose assassine dell’efebico Sacro Guerriero dei Pesci.

Seiya arrivò da solo al Grande Tempio, dove scoprì, attonito, che il Sacerdote usurpatore era in realtà Saga, Sacro Guerriero d’oro dei Gemelli. Apparentemente pentito, Saga rivelò a Seiya il modo per salvare la vita a Saori, ma quasi contemporaneamente il suo aspetto mutò, come se la natura gemellare della costellazione influenzasse anche la psiche del guerriero. Sfruttando la confusione generata in Saga dalla feroce battaglia tra il suo lato malvagio e quello buono, grazie anche all’aiuto provvidenziale di Ikki, Seiya raggiunse la statua della dea e si impossessò del suo scudo.

‹‹Dall’alto della terrazza del Grande Tempio, Seiya riuscì ad illuminare il corpo di Saori riflettendo la luce solare sullo scudo, un attimo prima che l’ultima fiammella della torre si spegnesse. Tutti al Santuario videro quel fascio di luce squarciare il crepuscolo, ma non ci fu segno di vita. Fu allora che Saga commise il suo più grande errore: credersi sicuro della vittoria. Dalla terrazza del Grande Tempio, Saga estese il suo cosmo a tutto il Santuario e i Guerrieri d’oro sopravvissuti lo riconobbero all’istante. C’erano stati molti dubbi riguardo la sua misteriosa sparizione, vent’anni prima, e in quel momento si dissolsero. Da sempre, il Grande Sacerdote in carica sceglieva il suo successore tra i dodici Guerrieri d’oro, giudicando tra loro quello dal cuore più puro. Sion, aveva già scelto il suo erede in vista della nuova Guerra Santa…››.

‹‹Hyoga!›› esclamò lei. ‹‹Non ti seguo…Perché dubitavano di lui…e poi chi è Sion?››.

Erano successe davvero tante cose, ed era difficile spiegare quella storia intricata a chi non aveva mai visitato il Santuario, né aveva mai sentito parlare dei guerrieri che vi si trovavano o delle guerre per la conquista del potere. Strinse occhi e labbra, cercando di scegliere la parole giuste per darle un quadro chiaro, anche se semplificato, della situazione.

‹‹Circa duecentocinquanta anni fa, si combatté una sanguinosa guerra che coinvolse Atena e le forze malvagie di Hades. In quel terribile scontro, Atena rinchiuse lo spirito del re dell’oltretomba e dei suoi guerrieri col suo sigillo, e poi lasciò la terra, confidando, per il mantenimento della pace, nelle capacità di Sion, nominato Gran Sacerdote. Egli era l’unico sopravvissuto alla Guerra Santa, assieme a Doko, il maestro dei Monti Ro e Sacro Guerriero della Bilancia. Quando nacque Saori, Sion seppe che era giunto il momento di approntare un nuovo esercito che avrebbe combattuto al fianco della dea contro le forze del male. Lui era vecchio e convocò allora, tra i giovanissimi Sacri Guerrieri d’oro, gli unici che avrebbero potuto concorrere per la carica di Grande Sacerdote, Aiolos del Sagittario e Saga dei Gemelli. L’unica colpa di Sion fu quella di preferire alla smisurata bontà d’animo di Saga, l’equilibrio e la rettitudine di Aiolos. Forse Sion aveva intuito la duplice natura di Saga e per quel motivo non lo scelse, nonostante apparisse agli occhi di tutti il candidato favorito.

‹‹Ad ogni modo, in un momento di debolezza, il lato oscuro di Saga si fece sedurre dal fascino del potere che avrebbe ottenuto se fosse diventato lui Grande Sacerdote: avrebbe potuto comandare su tutti i guerrieri del Santuario e governare la terra. Saga assassinò Sion, prendendo il suo posto come sacerdote, inscenando una sua misteriosa sparizione dal Santuario. Il suo passo successivo fu quello di assicurarsi la vittoria, uccidendo anche la neonata dea, che ancora in fasce non poteva rappresentare per lui un problema. Fu allora che Aiolos salvò Saori e svelò i piani di Saga. Se fosse sopravvissuto, Aiolos avrebbe potuto smascherarlo, vanificando i suoi progetti. Saga richiamò i guerrieri del Santuario perché catturassero il traditore, vivo o morto, e tra tutti, Shura fu il suo carnefice. Per nostra fortuna, Aiolos riuscì a vivere abbastanza da affidare la bambina al vecchio Kido, anche se non poté raccontargli la storia per esteso››.

‹‹Tutto questo è incredibile››.

‹‹Sì, può sembrare incredibile›› sospirò Hyoga, strappando qualche filo d’erba. ‹‹Saga si accanì con tutto il suo odio su Seiya, ma ormai la sua sconfitta era vicina. Miracolosamente, la freccia nel petto di Saori si dissolse colpita dal fascio di luce e la dea, dopo oltre duecento anni d’assenza, salì di nuovo la scalinata fino al suo Tempio. Davanti alla dea s’inginocchiarono i Sacri Guerrieri d’oro sopravvissuti, pentiti d’aver seguito ciecamente il folle che si spacciava per Grande Sacerdote e colpevoli di non aver riconosciuto subito in lei la dea. Atena ci guarì dalle ferite che ci avrebbero ucciso, e ci diede la forza per abbattere Saga››.

‹‹Chi è il nuovo Sacerdote?››.

Hyoga scosse la testa. ‹‹Nessuno. Atena non l’ha ancora scelto. Quando Saori manca dal Santuario, Doko governa per lei, ma anche lui è troppo vecchio per rivestire quella carica››.

‹‹Ma non ci sono altri Guerrieri d’oro. Ariete, Toro…Vergine?››.

‹‹Non sappiamo nemmeno se Atena deciderà di nominare un Grande Sacerdote nel tempo in cui starà sulla terra. Poi, tra i dodici Guerrieri d’oro ce ne sono alcuni che non hanno la sua piena fiducia e la sua diffidenza è più che giustificata, dopo quello che è successo››.

Freija sembrò preoccupata. ‹‹Vuoi dire che forse Saori lascerà la terra?››.

‹‹No, voglio dire che forse Atena governerà sul Santuario. La dea è rinata con Saori, sono la stessa persona. Solo la morte di Saori può cacciare Atena dalla terra. I sigilli sono già stati rotti, Atena è uscita vittoriosa dalla Guerra Santa ma il fatto che sia lei stessa a governare il Santuario, a vigilare sui suoi protetti, ci ha preoccupato. Forse non è ancora arrivato il momento per noi di riposare››.

‹‹Non dire così, ti prego, mi spaventi››.

‹‹Mi dispiace›› si scusò Hyoga, pensando per un po’. ‹‹Forse, vuole semplicemente riorganizzare il Santuario. Dopo il grande scontro dei dodici templi e la morte di tanti Sacri Guerrieri, era seguita una grande confusione. Eravamo rimasti in pochi ad affrontare i pericoli derivanti dalla rottura dei sigilli di Atena, e quel momento si avvicinava pericolosamente. Questo ci disse Atena: di restare con lei e di essere forti, perché sentiva che presto, avremmo dovuto affrontare grandi difficoltà. Aveva previsto tutto, Saori, ma non poté organizzare una strategia prima che la situazione precipitasse. Accaddero una serie di eventi a catena che ci coinvolsero senza tregua, prima fra tutti quella che ad Ásgarðr chiamate la Guerra dell’Anello. Eravamo ancora al Santuario, quando, un giorno, Saori mi fece chiamare e mi chiese di svolgere per lei un compito di grande importanza. Mi parlò di Ásgarðr, di Hilda e dei suoi Guerrieri Divini, e mi chiese di venire qui, per verificare lo stato delle cose, perché Atena aveva avvisato una fonte di potere oscuro che emanava da Ásgarðr››.

Freija aveva vissuto quegli avvenimenti in prima persona ed era per lei un grande dolore riesumare i ricordi di quei terribili giorni in cui aveva visto sua sorella trasformarsi in una malvagia strega assetata di potere.

‹‹Quello che accadde ad Ásgarðr lo sappiamo entrambi›› disse semplicemente Hyoga. ‹‹Hilda ricevette in dono il malefico anello che piegò la sua volontà, rendendola schiava di un uomo che aspirava alla conquista del potere assoluto. La mia sparizione insospettì Saori, per questo lei e gli altri guerrieri vennero ad Ásgarðr. Non volevamo né invadere, né tanto meno privare Ásgarðr dei suoi valorosi guerrieri, ma Hilda doveva essere liberata, e per farlo…››.

‹‹Lo so›› lo interruppe Freija, senza astio nella voce. ‹‹Per spezzare il maleficio avreste dovuto avere l’appoggio dei Guerrieri Divini, che avrebbero dovuto consegnarvi gli zaffiri incastonati nelle loro armature. Siegfried, Thor, Alberich, Fenrir, Syd e Bud, Mime…e anche Hagen… Tutti loro erano fedelissimi ad Hilda e mai avrebbero disobbedito ad un suo ordine, anche se alcuni di loro dubitavano della giustezza delle scelte di mia sorella. Nessuno vi ha mai accusato della loro morte, e Hilda si è punita a sufficienza per una colpa che non fu sua››.

Hyoga si stropicciò la fronte, per non essere costretto a guardarla negli occhi, mentre la sua mente gli riproponeva la straziante immagine di Freija che piangeva disperata sul corpo di Hagen.

Freija mi ha liberato dalle segrete di Ásgarðr, ha messo la sua vita nelle mie mani e io l’ho portata di fronte ad Atena, le ho offerto il mio aiuto. Hagen mi ha cercato quando ha saputo che Freija era fuggita da palazzo, lui e Hilda credevano che l’avessi costretta a seguirmi. Mi avrebbe ucciso, per vendicarsi del torto che avevo fatto alle due sorelle, mettendole l’una contro l’altra. Mi avrebbe ucciso, ma avrebbe ucciso anche Freija…Ai suoi occhi eravamo due traditori.

Freija lo fissava con un’espressione un po’ triste, ma sorridente, con quei suoi grandi occhi verdi.

Mi sarei buttato nella lava incandescente delle grotte di Hagen se fosse servito a renderla felice.

Hagen non sarebbe mai riuscito a competere con Hyoga tra i ghiacci d’Ásgarðr e lo condusse a tradimento nelle sue grotte, in cui scorrevano fiumi di lava incandescente, grotte dove il calore rendeva l’aria rovente e irrespirabile per chi, come Hagen, non vi era abituato. Lì, fiaccato dal caldo soffocante che gli nuoceva più di mille ferite, Hyoga sarebbe stato sopraffatto dal fuoco di Hagen. Poi, improvvisamente, arrivò Freija, che aveva sfidato le proibitive temperature dell’inverno nordico per impedire il loro scontro. Hagen non le prestò ascolto, perché, per lui, la fedeltà ad Hilda era prima nel cuore di un guerriero.

Avrei potuto resistere al suo colpo con la mia armatura, Freija invece sarebbe morta all’istante, consumata davanti ai nostri occhi dalle fiamme del Fuoco d’Ásgarðr. Eppure lei si parò di fronte a me, per farmi da scudo, e Hagen lanciò il suo attacco contro di lei. Non potrò mai dimenticare il tuo gesto, Freija, e non avrei mai potuto perdonare la follia di Hagen che ti avrebbe ucciso!

Chiuse per un istante gli occhi e rivide la colonna di fuoco che turbinava verso di loro. Trasalì e s’accorse che gli tremavano le mani. Freija guardava la cascata e sorrideva.

‹‹Alla fine, nonostante la perdita dei valorosi guerrieri, tutto si è risolto››. Hyoga annuì.

‹‹Se Hilda e i suoi guerrieri fossero riusciti a sconfiggere Atena, l’uomo che le aveva donato l’anello avrebbe avuto via libera. Quell’uomo era Kanon, gemello di Saga, divenuto acerrimo nemico della dea, perché lei aveva favorito suo fratello nella conquista dell’armatura d’oro. Kanon odiava il Santuario, perché rappresentava il potere di Atena, e odiava suo fratello perché era invidioso della sua posizione. Fu Kanon a suggerire al gemello di uccidere la bambina e il Sacerdote in carica. Aveva grandi progetti, ma Saga, non ancora plagiato dal male, rinchiuse suo fratello dove nessuno l’avrebbe mai trovato, in un luogo dal quale non sarebbe mai riuscito a fuggire, in una prigione sotterranea, a capo Sounion››.

Sul promontorio di Capo Sounion erano ancora visibili i resti dell’antico tempio di Poseidone, e ciò che Kanon scoprì oltre la parete rocciosa della sua prigione fu provvidenziale. Giorno dopo giorno, si accaniva con tutta la sua forza colpendo la roccia, per aprirsi un varco. Un giorno quella parete cedette e Kanon penetrò in una stanza, cui si poteva accedere anche dal tempio. In quel luogo rinvenne il tridente di Poseidone, piantato nel pavimento della sala e con ancora il sigillo di Atena. Afferrò il tridente e fu trasportato istantaneamente nelle profondità marine, nel regno di Poseidone, dove aprì il vaso in cui Atena aveva rinchiuso lo spirito del dio.

Kanon mentì presentandosi come uno dei suoi generali, e raccontò al dio della rinascita di Atena. Poseidone ordinò a Kanon di lasciarlo riposare, di risvegliarlo completamente solo quando Atena non fosse divenuta un reale pericolo, e scelse come suo rifugio il corpo di un giovane greco, Julian Solo.

Kanon, peccando di presunzione, progettò di sconfiggere Atena senza l’aiuto del dio, per governare lui sul mondo al comando dei generali degli abissi, lasciando che lo spirito del dio del mare rimanesse assopito nel corpo del giovane Solo per l’eternità.

‹‹La forza del dio però non era da sottovalutare›› riprese Hyoga. ‹‹Lady Saori ricevette un invito per partecipare ad un ricevimento organizzato da Julian Solo, erede del patrimonio di un ricco armatore greco, e in quell’occasione ebbero modo di parlare. Solo le chiese di sposarlo, Saori rifiutò ma la richiesta di quell’uomo non era fine a se stessa. Quell’insano sentimento aveva radici profonde, perché da sempre Poseidone, Dio del Mare, aveva voluto Atena per sé, per governare il mondo assieme a lei. Il dio, non a caso, aveva scelto il corpo di Solo per poterla incontrare. La sua presenza non restò celata per molto. Atena capì subito a chi dovevano essere attribuiti i nubifragi e i maremoti che, assieme ad una pioggia torrenziale e ininterrotta, stavano flagellando la terra in quel periodo.

‹‹Poseidone avrebbe purificato la terra, mondandola dei peccati, l’avrebbe tolta agli uomini per restituirla agli dèi. Cercò di far rapire Atena, ma il tentativo fu sventato. Poi il dio inviò un messaggero che avrebbe dovuto giustiziarla, Sorrento di Siren, ma Atena lo obbligò a condurla da Poseidone. Ancora una volta, il dio la chiese in sposa e, per la seconda volta lei rifiutò. Per impedire la rovina del mondo e il massacro degli uomini, Saori accettò di farsi imprigionare nel sostegno principale, una grande colonna che era il centro del regno sottomarino. Nemmeno Atena con tutto il suo potere avrebbe mai potuto frantumare le pareti di quella torre, costruzione resistentissima resa infrangibile dalla presenza di altri sette pilastri, per l’oceano atlantico del nord e del sud, per l’oceano pacifico del nord e del sud, per l’oceano indiano, per i mari glaciali artico e antartico. Era una condanna a morte per annegamento, perché quella sarebbe stata la sua fine se non fosse riuscita a sopportare la quantità di pioggia che altrimenti avrebbe sommerso la terra. Ogni sostegno del regno era protetto poi da un Generale degli Abissi››. Hyoga mosse le mani come se volesse disegnare le colonne in aria, per farle capire meglio com’erano disposte.

Fin quando Atena non avesse acconsentito a sposare Poseidone per governare con lui sulla terra, giudicata un dono troppo prezioso per gli uomini, avrebbe dovuto resistere alla cascata d’acqua che le pioveva addosso. Se avesse ceduto, sarebbe morta e alluvioni ininterrotte avrebbero flagellato la terra.

‹‹Abbiamo seguito Shiryu fino ai Monti Ro, e lì ci siamo consultati col maestro della Bilancia. Con la sua benedizione, seguendo Kiki, discepolo di Mu dell’Ariete, ci siamo tuffati nelle acque della cascata e incredibilmente siamo stati trasportati nel regno dio dei mari. Abbiamo… camminato sul fondo del mare, col mare come soffitto. C’era luce, però era strana, perché l’acqua rifletteva complicate ombre fluttuanti che ci circondavano. Incredibile››.

Tetis, la sirena guerriero, era pronta ad accogliere i Sacri Guerrieri, informandoli del fatto che avrebbero dovuto abbattere una ad una le sette colonne, se volevano attaccare il sostegno principale. I quattro fratelli si divisero, dirigendosi ognuno verso una colonna, che distrussero, dopo aver sconfitto il Generale custode, grazie all’aiuto delle sei paia di armi dell’armatura della Bilancia.

‹‹Doko affidò l’armatura della Bilancia a Shaina, sì, proprio lei, e le ordinò di consegnarcela. Quando arrivò nel regno sottomarino, rimase ad affrontare Tetis, e passò lo scrigno a Kiki che corse a cercarci portando l’armatura da una colonna all’altra. Quando crollavano le colonne, avvertivamo come una scossa, un terremoto. Il mare si abbassava sempre di più incombendo minaccioso sulle nostre teste. Poi cominciarono a piovere grosse gocce d’acqua, ed era il segno che il regno sottomarino stava crollando››.

Seiya abbatté la colonna dell’oceano pacifico del nord, protetta da Baian di Seahorse, subito dopo si schiantò al suolo la colonna dell’oceano pacifico del Sud, dopo che Shun aveva superato le bestie sacre di Io di Scilla. Nella mitologia, Scilla aveva le fattezze di una donna bellissima, nella parte superiore del corpo, ma quella inferiore era composta da sei bestie. Nel generale erano riunite la forza delle sei bestie sacre: gli artigli dell’aquila, le zanne del lupo, la puntura dell’ape regina, il morso del vampiro, la zampata dell’orso e lo strangolamento del serpente. Shiryu invece si trovò di fronte Krishna di Crisaore, "colui che ha la lancia d’oro", l’arma che aveva il potere di eliminare qualunque essere malvagio. Prima del crollo della colonna dell’oceano indiano, si combatté ai suoi piedi uno spettacolare duello tra la lancia d’oro e la "sacra spada" inserita del braccio di Shiryu, un dono di Shura del Capricorno.

Poi accadde l’imprevisto. Hyoga, diretto alla colonna del Mare Glaciale Artico, si ritrovò davanti a quella del Mare Glaciale Antartico, e incontrò il suo maestro redivivo, Camus. Poco dopo arrivò alla stessa colonna anche Seiya che cercava di raggiungere quella dell’Oceano Atlantico del Sud, e trovò ad attenderlo Marin dell’Aquila. Infine Shun, che si era affrettato verso l’Atlantico del Nord, arrivò anche lui davanti al pilastro del Mare Glaciale Antartico e lì, accasciati sul piazzale, rinvenne i corpi di Hyoga e Seiya, colpiti a tradimento. Kaysa di Lymnades cercò di aggirarlo con le sue ingannevoli illusioni, assumendo le sembianze di Ikki, ma Shun non credette all’inganno e svelò le vere sembianze del generale, che per vincere le sue vittime le attirava assumendo le sembianze di persone a loro care, proprio come il demone acquatico della mitologia.

‹‹Anche Shun però non riuscì a combatterlo, pur sapendo che era un’illusione era difficile colpire una persona che rassomigliava in tutto ad un tuo caro. L’unico che avrebbe potuto sconfiggerlo era Ikki, ed è quello che fece. Lui non si lascia dominare dai sentimenti, è il più distaccato tra tutti noi. Nessuna illusione avrebbe mai potuto vincerlo perché lui utilizzava la stessa tecnica, per scoprire le paure nel cuore dell’avversario e sfruttarle a suo vantaggio››.

Hyoga si tirò su i capelli sulla fronte e indicò la piccola cicatrice che Ikki gli aveva procurato col suo colpo. Freija volle sapere com’era successo, e brevemente Hyoga le raccontò di quell’avvenimento, evitando di dirle che Ikki aveva svelato a loro tutti che erano fratelli.

‹‹Al crollo del pilastro del Mar Glaciale Antartico, cominciò a piovere più forte. Meglio così…›› sorrise Hyoga amaramente. ‹‹L’acqua del mare mascherava il mio pianto. Che cosa avrebbe pensato il mio avversario se mi avesse visto piangere come una fontana?››. Scosse la testa, con un’espressione dolcissima. ‹‹Dopo tutto, non ero ancora abbastanza freddo di fronte all’avversario, troppa emotività mi avrebbe ostacolato. Ho dovuto imparare la lezione a forza, perché alla colonna del Mar Glaciale Artico mi aspettava di nuovo il mio passato››.

Nella pausa che seguì, guardarono l’acqua della cascata, in rispettoso silenzio.

‹‹Sai, in Siberia per lungo tempo non sono stato solo›› disse all’improvviso Hyoga, cupo in viso. ‹‹Il maestro dei ghiacci aveva un altro allievo, Isaac di Kraken. Vivevamo separati, ma ci allenavamo insieme per ottenere la stessa armatura››.

Quella precisazione, in quel momento, sconcertò Freija che non riusciva a trovare un nesso logico col racconto, ma era avida di notizie su Hyoga, e ascoltava rapita qualunque parola uscisse dalle sue labbra.

‹‹Davvero?›› esclamò sorpresa. ‹‹Che fine ha fatto?››. Era una domanda che sarebbe sorta spontanea a chiunque ma Hyoga non rispose subito.

‹‹Isaac era molto forte, determinato e grintoso, molto più di me. Ma il maestro gli diceva che non avrebbe potuto mai indossare l’armatura del Cigno, perché il suo cuore, in fondo, era malvagio, e troppo ansioso di ottenere la forza. Il maestro diceva anche che il suo amore per la battaglia lo avrebbe condotto su una strada sbagliata, che dava importanza all’azione più alla ragione››.

Hyoga, invece, molto meno agguerrito e rissoso, dava il giusto peso alla parola e al sentimento. Questo sentimentalismo l’avrebbe messo in difficoltà in caso di lotta, ma il maestro dei ghiacci aveva visto chiaramente che avrebbe potuto trovare comunque la forza di reagire, anche se sommerso dalle emozioni e dai ricordi. Hyoga sarebbe diventato Sacro Guerriero perché, meglio di Isaac, incarnava le doti essenziali di coraggio, valore e forza di spirito.

‹‹Per verificare questa sua teoria, il maestro decise di pronunciare il suo verdetto alla presenza di entrambi. Io accolsi la notizia con reale stupore e incredulità, perché avevo sempre considerato superiore Isaac››.

Ben altra reazione ebbe Isaac. Inveì ferocemente contro il maestro lamentandosi per quella insensata scelta che rivelava la sua incompetenza. Poi si accanì con violenza contro Hyoga, colpendo ripetutamente il compagno che incassava i suoi colpi senza opporre la minima resistenza. Quando si rese conto che quella non era altro che una prova alla quale li aveva sottoposti il maestro era troppo tardi per rimediare.

‹‹Da quel momento la nostra amicizia s’incrinò inevitabilmente, anche se Isaac sembrava aver compreso le ragioni del maestro. Era molto affezionato a lui, e ho tentato di riconciliarmi, anche se mi rendevo conto dell’inutilità dei miei sforzi. Non era possibile dimenticare l’umiliazione d’essere considerati inferiori, per uno come lui, era troppo orgoglioso. Isaac sperava che il maestro cambiasse idea e continuava solitario i suoi allenamenti, aspettando la sua occasione››.

Poi, un giorno, accadde qualcosa che egli credette fosse un segno divino.

Hyoga osservava attentamente lo spesso strato di ghiaccio che copriva il mare, Isaac gli si avvicinò e gli chiese che cosa stesse facendo.

‹‹Questo mare è coperto da uno spesso strato di ghiaccio, ma è laggiù che si è inabissata la nave su cui viaggiava mia madre. Voglio infrangere questo ghiaccio per andare a trovarla. Mi sto allenando da parecchi anni, penso di potercela fare!›› disse Hyoga chinandosi a toccare lo spesso ghiaccio.

Scioccato da quelle parole, Isaac tentò di fermare l’amico. ‹‹Non essere precipitoso, Hyoga! L’acqua è gelata, là sotto, e le correnti sono fortissime, ti trascinerebbero via col loro impeto! Non sei pronto per questa prova di forza, non ancora!››.

Isaac vide la determinazione negli occhi del compagno e per un momento pensò a quello che sarebbe successo se l’allievo prescelto per diventare Sacro Guerriero fosse accidentalmente morto in quella sconsiderata impresa. Avrebbe detto al maestro dei ghiacci che aveva provato a dissuaderlo dal gettarsi in quelle pericolose acque, e che Hyoga non aveva voluto ascoltare i suoi consigli. Hyoga sarebbe stato trascinato via dalle correnti e sarebbe morto annegato, ibernato.

Allora Isaac, rivelando l’esattezza delle congetture del loro maestro, tentò non più di dissuaderlo dall’impresa ma, con fare disinteressato, di convincere l’amico delle sue possibilità di riuscita.

‹‹Ti sei allenato duramente in questi anni. Tuffarsi è estremamente pericoloso, ma se fossi molto prudente, potresti farcela. Basterà che osservi attentamente il moto dell’acqua, e forse riuscirai a trovare il momento giusto per giungere fino alla nave evitando le correnti››.

Rincuorato da quel falso slancio d’amicizia, Hyoga si decise all’azione. Raccolse tutte le sue energie, richiamando più potere di quanto avrebbe potuto il compagno, e si aprì un varco nel ghiaccio. Isaac rimase paralizzato di fronte a quell’inaspettata manifestazione di forza.

Quando capì che, solo per invidia e per un infondato sentimento di vendetta, aveva condannato a morte l’amico, era ormai troppo tardi per fermarlo. Hyoga aveva sferrato a terra un micidiale pugno che aveva frantumato il ghiaccio aprendo una voragine e, senza la minima esitazione, vi si era tuffato.

Isaac corse ad affacciarsi ma non riuscì a vedere niente attraverso le acque nere e letali del Mare del Nord.

Colto dal rimorso, si tuffò a sua volta e solo allora vide, ad una trentina di metri di profondità, il relitto. Approfittando delle acque ora apparentemente calme, nuotò fino a raggiungere Hyoga che, nonostante tutto, era riuscito ad aggrapparsi alle sartie della nave. Doveva avere battuto la testa perché, sulla tempia destra, aveva una ferita che sanguinava abbondantemente. Lo liberò dall’intreccio di corde e tentò di riportarlo in superficie. Era allo stremo delle forze per la prolungata apnea ma doveva riuscire e risalire altrimenti sarebbero annegati entrambi. Purtroppo, quando già intravedeva il cielo attraverso il vicino buco nel ghiaccio, li colpì una violenta corrente. A stento Isaac riuscì ad aggrapparsi al bordo dell’apertura, respirando a pieni polmoni ed esponendo all’aria anche l’amico. Una volta recuperate le forze, riuscì a lanciare fuori dall’acqua Hyoga.

Quando la brutta avventura sembrava ormai conclusa, Isaac fu punito per aver desiderato la morte del compagno. Mentre cercava un appiglio migliore per riemergere, una seconda corrente, ancora più forte della prima lo investì in pieno. Ormai esausto non riuscì a mantenere la presa, e venne trascinato via da quelle acqua impetuose e impietose.

‹‹Quando mi sono ripreso, ricordavo solo di essermi tuffato per raggiungere mia madre, poi più niente. Il maestro dei ghiacci mi disse che mi aveva trovato mezzo morto vicino alla voragine, e che Isaac aveva lasciato la Siberia››.

‹‹Sei un incosciente!›› lo rimproverò Freija. ‹‹Isaac ti aveva avvertito del pericolo che correvi, perché non l’hai ascoltato?››.

‹‹Desideravo vedere mia madre, a qualunque costo. E poi, in realtà, Isaac voleva che io morissi››.

Freija non trovò parole, e solo quando Hyoga finì il suo racconto, tutto le fu chiaro.

‹‹Al quinto pilastro, quello del Mar Glaciale Artico, ho rincontrato Isaac, divenuto Generale degli Abissi. Era vivo, perché Poseidone l’aveva salvato e l’aveva voluto come suo alleato. Per salvarmi la vita aveva perso un occhio››. Si toccò l’occhio destro, poi si passò una mano sulla faccia. ‹‹Ci sono stati dei momenti in cui ho odiato Dio, e mi sono chiesto perché aveva fatto il mondo così triste!››. Afferrò una pietra stringendo forte il pugno e la lanciò lontano, nell’acqua della pozza.

Freija cominciò a chiedersi come aveva potuto affrontare tutte quelle disgrazie senza che i suoi nervi cedessero. Un uomo normale, dopo aver visto tanti orrori, dopo aver assistito alla morte della madre, dopo aver odiato suo padre per il male che gli aveva fatto soffrire, dopo essere stato costretto, per un bene superiore, ad uccidere le persone a lui più care, dopo tutto questo un uomo sarebbe di certo impazzito, e avrebbe forse voluto morire lui stesso. Freija si chiese se Hyoga aveva mai pensato di voler morire, e cominciò anche ad avere un quadro più ampio della sua situazione psicologica, a comprendere più a fondo la sua indecisione.

Come mi comporterei, se fossi nei suoi panni? Avrei rischiato di coinvolgerlo nella mia sciagurata esistenza col rischio di farlo soffrire, o di perderlo? Per questo si pone tanti scrupoli anche con me…per proteggermi?

‹‹Isaac era stupito di vedermi. In tutti gli anni che erano passati, aveva pensato solo alla vendetta. Io ero felice che fosse ancora vivo, ma guardando quella cicatrice che gli deturpava il viso mi sono sentito il più misero tra i miserabili. L’unico suo desiderio era quello di uccidermi, non senza avermi fatto provare il dolore che aveva dovuto sopportare. Per primo ha mirato all’occhio›› disse passandosi un dito sul sopracciglio. ‹‹Per fortuna il danno non è stato grave, ma ho rischiato di perdere l’occhio››. Si guardarono per un momento, e Freija fissò per un lungo momento la pupilla azzurra di Hyoga. ‹‹Ora il disturbo alla vista è passato, ma ho dovuto portare uno scomodissimo paio di occhiali per proteggermi››. Alzò le spalle, e si passò un dito sotto al naso, avanti e indietro.

Un altro dei suoi curiosi tic, pensò Freija, sbirciando con la coda dell’occhio.

‹‹La morte di Isaac mi ha fatto capire molte cose. Chi nella vita non conosce almeno una volta la disperazione, non riesce a capire, fino in fondo, quali cose valgano veramente. Diventa adulto senza aver mai afferrato il significato della gioia, quella vera. Nella sfortuna, io sono stato molto fortunato››. La guardò con un’espressione comica che la fece ridere, nonostante ce ne fossero ben pochi motivi.

‹‹Cos’è per te la vera gioia?››.

‹‹Vivere per se stessi e per qualcuno di cui t’importa come di te››. Si grattò il mento, distrattamente. ‹‹Sì, vivere. La felicità è una gioia passeggera…Alla fine, dopo tanti momenti in cui mi gettavo a capofitto nelle situazioni più disperate senza ragionare, mi sono reso conto di aver voglia di vivere più di quanto non credessi. Ma….devo avertela già detta una cosa del genere…››. Lei sorrise e annuì. ‹‹Alle volte mi chiedo se siamo davvero degni di questo mondo. Con tutto quello che sta succedendo, mi viene da pensare che, forse, avremmo fatto meglio a lasciare che il mondo venisse distrutto. Gli dèi lo reclamano. Era un posto bellissimo, prima che lo donassero agli uomini…che lo hanno rovinato e hanno rinnegato coloro che gliel’avevano donato. Non è terribilmente ingiusto?››.

‹‹Goðheimr è ancora il paese degli dèi, Odino e gli Asi vegliano su di noi, ogni giorno››.

Hyoga la guardò con occhi indagatori. ‹‹Odino…››. Sospirò, soffiando l’aria dal naso. ‹‹Quando sono tornato ad Ásgarðr e Dolvar mi ha costretto ad indossare l’armatura dei Guerrieri Divini, ho sentito una grande presenza, come…proprio come quando sento Atena. È stato strano…mi spronava alla lotta, ma nello stesso tempo era come se cercasse di farmi capire che Dolvar non eseguiva la sua volontà…Eppure mi incitava a combattere, anche contro Shiryu…››.

‹‹Odino è un dio potente, il Padre di tutti, e può decidere se partecipare o meno una battaglia, se appoggiare i suoi protetti, nel bene o nel male, per testare la loro forza, la loro fedeltà. E può decidere, all’ultimo momento, di voltare le spalle ai suoi guerrieri…››.

‹‹È terribile››.

‹‹Sì›› sorrise lei. ‹‹Ma Odino può tutto››.

‹‹Atena non volterebbe mai le spalle ai suoi guerrieri!››.

Freija annuì. ‹‹Credo che non lo farebbe›› convenne senza scomporsi. ‹‹Ma è anche strano che Atena, la dea della guerra, si prodighi per la pace, non trovi? Ci sono molto misteri, molte stranezze cui non so dare una spiegazione logica. Come ad esempio il fatto che tu sia un cristiano al servizio di una divinità pagana? Questo ha un senso?››.

‹‹Net, e non so mai cosa rispondere a chi me lo chiede. Mia madre era cristiana, mio padre…non so cosa fosse, ma di sicuro non avrebbe voluto che mi lasciassi "condizionare" dalla religione cristiana. Una volta mia madre mi disse qualcosa che mi aprì gli occhi. Disse che Kido aveva fatto un viaggio in Grecia, e che al suo ritorno aveva deciso di volere un figlio… Quando mia madre rimase incinta, lui ne fu davvero felice ma la lasciò sola, e cominciò a girare per il mondo. Quando ho saputo quello che aveva fatto, l’ho odiato con tutto il cuore!››. Scosse la testa, passandosi la lingua sulle labbra. ‹‹Atena è venuta dopo, quando stavo diventando Sacro Guerriero e sentivo una forza superiore che mi guidava, e mi dava coraggio e determinazione. Non ho saputo cosa fosse quella meravigliosa sensazione di calore e protezione fin quando Saori non si è svelata a noi. Però pregavo Dio, e lo prego ancora, per avere conforto spirituale, anche se mi rendo conto che molte delle mie azioni sono terribilmente condizionate dal pensiero cristiano, e quindi non spontanee. Forse pregare è un’abitudine, l’unico legame che ho con mia madre, ora che non la vado più a trovare nel relitto››.

‹‹Non avrai altro Dio fuori di me›› citò lei semplicemente. ‹‹È uno dei dieci comandamenti, no? Da qualche parte avevo letto che era peccato servire due padroni›› scherzò lei, agitando l’indice. ‹‹Hm, quanti peccati sul tuo capo…››.

‹‹Davvero tanti…perché un altro comandamento dice: "Non desiderare la donna d’altri"…››. Hyoga si stese di nuovo sull’erba, con le braccia aperte e gli occhi chiusi. ‹‹Cosa mi dici di questo?››.

‹‹Niente›› tagliò corto lei. ‹‹Parlami ancora di te…›› provò a suggerire lei. ‹‹Finisci la tua storia››.

‹‹È terribilmente ripetitiva, da non crederci›› disse lui svogliatamente.

Prima di spirare, Isaac aveva rivelato al vecchio amico un terribile segreto, che Poseidone non era ancora del tutto risvegliato. A muovere i fili della congiura contro Atena era stato Kanon, che aveva pianificato la resurrezione del dio con lo scopo preciso di uccidere la dea e i suoi guerrieri attirandoli nelle profondità marine. Tra i due gemelli però, passava una differenza abissale. Saga era continuamente combattuto tra il bene e il male, e si tormentava per non cedere ai suoi istinti malvagi, mentre Kanon era dominato solo dall’odio.

Alla colonna dell’Atlantico del Sud, il generale Siren di Sorrento stava aspettando Shun. Siren possedeva un eccezionale flauto le cui note penetravano nella mente degli avversari, facendoli impazzire, piegandoli e rendendoli facili bersagli. Fu il canto di Atena, la sua preghiera, che superò il suono del flauto favorendo la vittoria di Shun. Caduto Sorrento, Shun demolì la colonna.

E mentre Seiya correva al tempio di Poseidone perché da lì aveva sentito provenire il cosmo di Shaina, entrata sola ad affrontare il dio, Kanon, il Generale Drago del Mare, difensore dell’ultima colonna, quella dell’Atlantico del Nord, si trovò ad affrontare Ikki.

‹‹Io, Shiryu e Shun corremmo ad aiutare Seiya, confidando nella forza di Ikki. Restava un’ultima colonna da abbattere per poter indebolire il sostegno principale››.

Nel tempio del dio però, li aspettava un problema ben più grave. Le loro armature erano inservibili, incrinate dalle battaglia e ben misera protezione contro gli attacchi di Poseidone. Poi, dal Santuario, arrivò al tempio sottomarino l’armatura del Sagittario, che già altre volte aveva protetto Seiya.

‹‹Indossando le vestigia del Sagittario, Seiya poté tentare di colpire Poseidone scagliando la sua freccia d’oro, ma accadde l’incredibile. Ogni volta che la scoccava, la freccia rimbalzava come su un muro invisibile e ritornava indietro, rischiando di ucciderci tutti. Poi, all’ultimo tentativo, quando ormai avevamo perso la speranza, la freccia colpì il bersaglio, scaraventando via la maschera di Nettuno e ferendolo, in fronte››.

Cogliendo al volo l’occasione, Seiya, Hyoga, Shun, Shiryu e Shaina, corsero fuori dal tempio, verso il Sostegno Principale.

‹‹Colpire il corpo di Julian Solo fu un grande errore. Le poche gocce di sangue sgorgate dalla ferita risvegliarono completamente lo spirito del dio, furioso a causa del tradimento di Kanon, che aveva promesso di destarlo all’apparire del vero potere di Atena e che si era presuntuosamente rifiutato di farlo››.

Il potere di Poseidone esplose in tutto il suo splendore, facendo tremare il regno sottomarino, e primo fra tutti Kanon, ormai smascherato. Dal Santuario, dopo l’armatura del Sagittario, ne partì una seconda, sempre diretta al tempio sottomarino. La furia di Poseidone li avrebbe uccisi tutti, l’unica in grado di fermarlo era la dea imprigionata. Sorrento comprese la gravità della situazione e corse in aiuto di Ikki, trattenendo Kanon il tempo necessario perché il guerriero di Atena potesse abbattere l’ultima colonna.

‹‹Udimmo un violento terremoto, l’ultima colonna era crollata. Ma Poseidone era dietro di noi e ci fermò ad un passo dal sostegno principale. Seiya, grazie alla protezione dell’armatura del Sagittario, era l’unico che potesse tentare di attaccare il sostegno. Noi avremmo solo potuto difenderlo, per evitargli i colpi del tridente di Poseidone. I nostri corpi erano un misero scudo, ma ogni istante guadagnato era una possibilità in più… La prima scarica la presi io›› disse premendosi una mano sul petto.

Freija vide la fiammata di orgoglio negli occhi di Hyoga. Non era importante perdere la vita, se fosse significato permettere a Seiya di liberare Atena.

È questo che mi ha affascinato di te, prima di tutto, il tuo coraggio!

Non avrebbe resistito a una seconda scarica, se ne rendeva conto perfettamente, ma non sarebbe fuggito. Si parò tra Poseidone e Seiya, a braccia aperte sfidando la forza distruttiva del tridente. Quando partì la seconda scarica fatale, Hyoga non chiuse gli occhi e ciò che vide fu un miracolo.

‹‹L’armatura dell’Acquario ci aveva protetto. La scarica di Poseidone mi avrebbe spazzato via come una foglia al vento, e con tutta probabilità avrebbe raggiunto anche Seiya. Camus ci aveva salvato, e per quella grande battaglia mi concesse l’onore di indossare la sua armatura››.

L’ultimo aiuto arrivò dall’armatura della Bilancia. Shiryu la indossò, e insieme, lui Seiya e Hyoga atterrarono Poseidone. Nel tempo in cui il dio rimase a terra, tentarono di abbattere il sostegno con le armi della Bilancia e tutto fu inutile.

‹‹Fu Seiya a proporci la soluzione estrema, e tentammo l’impossibile. Ormai non avevamo più speranze… L’abbiamo scagliato con tutta la nostra forza contro il sostegno, come un proiettile di luce dorata, e con uno schianto Seiya è penetrato dentro al sostegno››.

Poseidone osservò attonito il crollo della preziosa colonna principale. La sua rabbia ora era infinita, ma Atena aveva tra le mani la vittoria, il Vaso in cui Poseidone era stato rinchiuso, custodito al sicuro fino allora dentro al sostegno ormai ridotto ad un cumulo di macerie.

‹‹Lo spirito di Poseidone lasciò il corpo di Julian Solo e fu risucchiato dentro al Vaso, Atena poi pose un nuovo sigillo sul vaso. Poi cominciò a crollare tutto intorno a noi, l’acqua invase il regno sottomarino riversandosi dagli oceani in grosse e violente cascate. Abbiamo rischiato di annegare, intrappolati sul fondo del mare. Io Seiya e Shiryu però eravamo ancora protetti dalle armature d’oro. Seiya protesse Atena, Shiryu recuperò Ikki e io ripescai Shun, ormai in balia del flusso dell’acqua››.

Poi Atena trasse tutti in salvo, facendoli risalire fino al Santuario.

‹‹Gli dèi sono decisamente vendicativi, d’altronde hanno tutta l’eternità per farsi la guerra. In particolare, Atena è sgradita a molti che sono stati sconfitti dalla sua forza e lealtà. Comunque, col passare del tempo, si assottigliava sempre l’efficacia dei sigilli ed ecco che, dopo duecentoquarantatrè anni, si liberarono dalla loro prigione gli spiriti demoniaci guidati da Hades››.

Il signore degli Inferi, Hades, promettendo nuova vita ed eterna giovinezza, convinse i Sacri Guerrieri d’oro morti nella Battaglia dei Dodici Templi a passare dalla sua parte e li resuscitò. Li rimandò sulla terra come suoi sicari con il compito di prendere la testa di Atena, atavica rivale di Hades. Assieme a loro riapparve Sion, vestito dell’armatura nera degli Spectrer, i servitori di Hades, pronto ad uno scontro decisivo con Doko, maestro della Bilancia, tornato anche lui al Santuario, come tutti i guerrieri della dea sparsi nel mondo.

Mentre infuriava una violenta battaglia tra i Guerrieri d’oro del Santuario che difendevano Atena e quelli resuscitati al servizio di Hades, si combatterono anche Doko, unico sopravvissuto all’ultima Guerra Santa, dotato da Atena del potere divino Misopethamenos , (6) e Sion. Il Gran Sacerdote ucciso da Saga e resuscitato da Hades allo scopo di eliminare proprio Doko, che aveva il compito di vegliare sulle centootto costellazioni demoniache imprigionate da Atena.

Lo scontro tra i guerrieri d’oro fece molte vittime ma Shura, Camus e Saga continuarono la loro corsa verso il Grande Tempio, nel tentativo di uccidere la dea prima dell’arrivo del giorno. Se avessero fallito, il piano di Hades sarebbe crollato e loro sarebbero ritornati per sempre nel regno dei morti.

‹‹Hades voleva la testa di Atena, prima dell’alba, e quando siamo arrivati al Santuario, io e Shun abbiamo trovato, dove una volta sorgevano i templi, solo macerie e morte››.

Incredibilmente, Atena ordinò ai suoi difensori di risparmiare i guerrieri d’oro che avrebbero dovuto ucciderla, e addirittura li chiamò tutti al suo cospetto, amici e nemici perché aveva deciso di togliersi la vita, per evitare che altri soffrissero al posto suo. Sarebbe andata nell’aldilà per affrontare Hades da sola.

‹‹Il suo sacrificio non era un gesto sconsiderato, naturalmente lei sapeva cosa fare ma noi abbiamo solo sentito la sua morte. Quando siamo arrivati alla statua abbiamo trovato solo Sion, inginocchiato sul sangue della dea. Lui, Saga e gli altri, non aveva davvero tradito, avevano solo tentato di arrivare da lei per svelarle il segreto della vittoria››. Hyoga si alzò in piedi. ‹‹Atena aveva bisogno di un’armatura per combattere contro Hades, e per avere quell’armatura c’era bisogno del suo sangue: quello era il vero motivo per cui avevano accettato la proposta di Hades fingendosi traditori››.

‹‹Il corpo di Saori…››.

‹‹Non c’era più, perché lei aveva voluto arrivare da Hades e aveva ordinato a Saga di portarla negli inferi››. Freija spalancò gli occhi. ‹‹Sion ha fatto apparire l’armatura d’Atena, d’oro scintillante e bellissima, e poi l’ha ridotta ad una statuetta›› spiegò, indicando l’altezza con le mani, ‹‹e ce l’ha consegnata".

Col sangue della dea, Sion toccò le armature dei guerrieri di Bronzo che tornarono a risplendere in forme nuove. Poi Hyoga e gli altri partirono per raggiungere il castello di Hades, il luogo in cui si trovava la bocca degli inferi. Da lì sarebbero scesi nell’aldilà alla ricerca di Atena.

Lì, Pandora stava aspettando l’arrivo dei guerrieri d’oro traditori col corpo di Atena. Al loro arrivo, Pandora scoprì che Saga, Camus e Shura avevano mentito, fingendosi alleati di Hades. Pandora chiamò Radamantis della Viverna, uno dei tre giganti del mondo dei morti: avrebbe dovuto finire i tre guerrieri d’oro e distruggere il castello prima che qualcuno dei fedeli di Atena trovasse il modo per raggiungere il mondo dei morti.

Quando i guerrieri di Bronzo arrivarono al castello, già si aprivano grandi crepe che facevano scricchiolare pericolosamente le pareti. Nella sala in cui si apriva il pozzo che conduceva nel mondo dei morti, trovarono Radamantis e con lui una gran quantità di Specter.

‹‹Pandora aveva ordinato a tutti i guerrieri di Hades di recarsi nell’aldilà, per proteggerlo››.

Radamantis diede l’ordine di abbandonare il castello di Hades, ma i guerrieri di Bronzo dovevano essere fermati. Il suo viscido servitore Zellos di Frog volle sfidare i guerrieri di Atena, Hyoga lo vinse senza difficoltà. Radamantis ebbe allora il sospetto che la manifestazione così brillante del loro cosmo, nonostante l’aura di Hades, potesse derivare dall’essere stati bagnati col sangue della dea. L’arrivo degli Specter comandati da Radamantis interruppe lo scontro, tra il gigante e Seiya. Prima di sparire dietro al loro comandante, gli Specter sfidarono Seiya e gli altri a seguirli per continuare la lotta nel mondo degli Inferi. Seiya non si lasciò intimorire e si tuffò nella voragine nera dietro a Valentine di Harpy, sparendo insieme allo Spectre nel buio della voragine.

‹‹Mentre tutto ci crollava intorno, quando eravamo già sull’orlo del pozzo pronti a saltare, ci ha raggiunti Doko. Seiya si era buttato nella bocca degli inferi senza pensare alle conseguenze, ma Doko ci spiegò che arrivare da Hades sarebbe stato più difficile di quanto non sembrasse. Tralasciando gli Specter che lo difendevano, era necessario arrivare negli Inferi da vivi, perché da morti, si era sottoposti alle leggi di Hades e non sarebbe stato possibile combatterlo. Tuffandosi nel pozzo senza preparazione, Seiya aveva rischiato di morire. Il maestro della Bilancia ci disse che l’unico modo per riuscire in una tale impresa era di risvegliare l’Arayashiki . (7) Shaka era detto l’uomo più vicino a Dio perché era l’unico tra i dodici guerrieri d’oro che era stato capace di risvegliarla. Prima di morire, mandò ad Atena il suo ultimo messaggio che parlava proprio dell’Arayashiki. Atena e Shaka erano vivi nell’aldilà, ma per noi era indispensabile raggiungere, o comunque avvicinarsi a questa…ottava coscienza››.

Freija si posò una mano sulla fronte, ansiosa di ascoltare, perché anche se Hyoga le era di fronte, in perfetta salute, sapere come aveva fatto ad andare nel regno dei morti e a tornarne vivi la interessava.

‹‹L’ottavo senso si nasconde in ognuno di noi ad un livello molto profondo, e tutti noi trascorriamo la vita senza accorgercene. Solo alla morte, subito dopo la morte, nelle persone comuni si svela l’Arayashiki, l’ottavo senso. Doko ci aiutò a scoprirlo, noi che avevamo già raggiunto il settimo senso››.

‹‹Hai avuto paura?››.

‹‹Sì. Ero già stato nell’aldilà, da morto, e non ne avevo alcun ricordo. Ma in quel momento dovevo cercare di entrare nel regno dei morti da vivo… Ci assalirono i dubbi, sul bordo del pozzo. Saremmo anche potuti morire nel salto, o vivere ma non riuscire a tornare indietro…Lasciavamo la terra nella speranza di salvarla. Tra la morte alle spalle e la morte davanti a noi, abbiamo scelto di proseguire e ci siamo buttati››.

Al suo risveglio, Seiya trovò al suo fianco Shun ma nessuna traccia di Hyoga e Shiryu né degli Specter. Sulle loro teste c’era un cielo buio senza stelle e davanti a loro un deserto infinito. Attraversarono le porte degli Inferi, si ritrovano sulle rive del fiume Sanzu , (8) assieme alle anime degli ignavi, coloro che avevano vissuto senza infamia e senza lode. Per il fatto di aver vissuto una vita inutile, non erano stati accettati né in paradiso né all’inferno e così avrebbero vissuto per sempre sulle rive del fiume.

Caron di Acheronte, il traghettatore dei morti, li attaccò dopo essersi accorto che Seiya e Shun erano ancora vivi. I due guerrieri riuscirono ad attraversare il fiume solo grazie a Shun, alla sua inesauribile fiducia e bontà, cosa che intenerì anche Caron.

‹‹Nove cerchi suddivisi in tre gironi, dieci malebolge e quattro zone. Un mondo scuro e infinito, con un cielo buio da far spavento. Nel primo cerchio, si trovava il Palazzo della Giustizia, luogo assolutamente silenzioso dove era vietato fare rumore. Lo Spectre guardiano era Rune di Barlon, della stella del cielo eccellente, che sostituiva Minos di Grifon alla Corte del mondo della morte. Rune aveva il compito di ascoltare i peccati, di controllarli e di scegliere la destinazione dei morti. Il comportamento di Seiya lo portò ad essere giudicato per primo.

‹‹Al primo girone del settimo cerchio, si trovava il luogo dove si trovavo coloro che hanno usato la violenza contro gli altri, l’inferno del Lago di Sangue. Lì Rune avrebbe mandato Seiya se Shun non l’avesse salvato con le sue catene. Sarebbero morti tutti e due, davanti al banco della Corte, ma Shun ci disse che Rune sembrava sorpreso quando si rivolse a lui. Cercò di giudicarlo ma Shun si svegliò sano e salvo. Rune era sparito e loro due salvi"

"Com’è stato possibile?" lo interruppe Freija.

"Oltrepassata la Corte incontrarono Kanon, anche lui alla ricerca di Hades. Era stato lui a disturbare Rune, costringendolo a fuggire in preda alla disperazione convinto di aver decapitato non Shun bensì Hades in persona››. Kanon cercava di costringere Rune a condurlo da Hades ma l’arrivo di Radamantis destò lo Spectre dall’incubo. Kanon sconfisse Rune senza difficoltà.

Seiya e Shun lo raggiunsero, nel secondo cerchio. Oltre il primo cerchio, trovarono la valle del vento nero spazzata da correnti d’aria violente.

‹‹Quella era la valle dove chi ha peccato di lussuria viene travolto in eterno da un vento furioso››.

Lasciarono Kanon ad affrontare Radamantis e proseguirono la corsa alla ricerca della dea. Poi, al terzo cerchio, furono martellati da una pioggia incessante e gelati da un freddo pungente dove gli avidi venivano battuti da una pioggia pesante e nera.

‹‹Li furono assaliti da Cerberos, il cane infernale a tre teste. La bestia infernale non riuscì a mangiarli perché abituato a mangiare i morti fu disgustato dal sapore dei vivi››. Hyoga rise e la fece ridere, assicurando che ancora adesso, a distanza di tanti anni, la storia di come Cerberos sputò Seiya era una delle loro preferite. ‹‹Shun la racconta benissimo e noi davvero non possiamo trattenerci dal ridere››.

Pharao, la Sfinge della stella della bestia celeste, padrone di Cerbero che divorava le anime che avevano peccato di avidità sulla terra, era anche lui al secondo girone, pronto a fermare i due guerrieri. Lo specter lanciò su Pegasus e Andromeda la sua maledizione.

‹‹Pharao voleva strappare il cuore di Seiya e metterlo sulla Sacra bilancia per giudicarlo. Se fosse risultato più pesante della piuma di Maat, il simbolo della verità, allora Seiya sarebbe stato giudicato malvagio, e il suo corpo e la sua anima sarebbero stati cancellati››.

Intervenne in loro favore Orfeo della costellazione dell’arpa, servo di Hades. Disse di voler uccidere lui i Santi di Atena e li condusse con sé, al Campo Fiorito.

‹‹Lui era quell’Orfeo che era sceso negli inferi per salvare la sua amata Euridice. Hades era rimasto estasiato dalla stupenda musica della sua arpa e gli aveva concesso una possibilità...".

"Se avesse condotto Euridice fuori degli inferi senza mai voltarsi a guardarla, sarebbero stati salvi e liberi di uscire dall’aldilà›› disse Freija.

‹‹Esatto. Ma Pandora, per far sì che Hades potesse godere della musica di Orfeo e per non creare un precedente, convinse Pharao a imbrogliare Orfeo. Al secondo girone, lo Spectre della Sfinge creò l’illusione del sole e Orfeo si voltò verso Euridice credendo di essere già fuori del regno dei morti. Euridice fu pietrificata fino al collo e Orfeo volle restare negli inferi per farle compagnia. Lì la trovarono Seiya e Shun, al Campo fiorito››.

La rabbia di Pharao li raggiunse nel luogo dove Orfeo vegliava Euridice. La Sfinge, desideroso di uccidere i Santi, apparve a loro preceduto da una luce abbagliante, simile a quella del sole.

Orfeo scoprì che era stato Pharao a beffarlo il giorno in cui aveva tentato di salvare Euridice e lo uccise. Il suo desiderio di rivalsa lo portò a schierarsi con i Santi, per cercare di sconfiggere Hades. Orfeo assicurò che Hades non si mostrava nemmeno ai suoi tre fedeli comandanti, i giganti Radamantis, Aiacos e Minos, ma disse che ogni tredici giorni suonava l’arpa per il signore degli Inferi. Quello era proprio il giorno in cui avrebbe dovuto esibirsi.

‹‹Io e Shiryu ci siamo svegliati assieme, sulle rive dell’Acheronte. Lo abbiamo attraversato con la barca di Caron, lui non ha opposto resistenza. Al secondo cerchio abbiamo incontrato Kanon, e lui ci ha spiegato cos’era successo a Seiya e Shun. Orfeo li stava conducendo da Hades, nascosti in un baule colmo di fiori, quelli che crescevano nel Campo fiorito. Non avrebbero potuto affrontare Hades e i tre giganti, e noi avremmo dovuto raggiungere la Giudecca il prima possibile per aiutarli, tanto più che Seiya aveva la Sacra Armatura di Atena e non poteva assolutamente perderla››.

Hyoga, Shiryu e Kanon incontrarono il primo ostacolo al quarto cerchio, dove i peccatori per avarizia e prodigalità erano costretti a far rotolare enormi massi, due Spectre di poco conto che non li impensierirono. Arrivati al quinto cerchio, però, si trovarono di fronte la Palude Nera, dove le anime degli scontenti e degli arrabbiati tentavano di affogarsi l’un l’altro. In quello stesso momento arrivò una zattera, e ne scese Fregias di Licaon, della stella del cielo peccaminoso.

‹‹Stesi, con un colpo solo". Hyoga alzò le spalle. "Fregias ci avrebbe portato nella prigione più dura, per dare l’esempio agli altri profanatori, ma fu provvidenziale la presenza di Kanon che lo atterrò. Guidò lui la zattera, lasciandoci alla riva opposta della Palude Nera, al sesto cerchio. Lì si trovavano gli eretici, coloro che non avevano seguito la dottrina divina, condannati a bruciare nelle loro tombe di fuoco››.

‹‹Che orrore!››.

‹‹Un posto terrificante, caldo e con un odore rivoltante. Avremmo voluto lasciarlo al più presto ma ritrovammo Kanon, e subito ci raggiunse uno dei tre giganti degli inferi, Radamantis. Avrei preferito morire subito piuttosto che sentire le sue parole››.

Seiya e Shun erano giunti illesi fino alla Giudecca, chiusi nel baule di fiori, dove Pandora aspettava Orfeo per condurlo da Hades. Pandora, per non insospettire Hades ancora all’oscuro dell’invasione, aveva fatto chiamare i tre giganti degli inferi perché ascoltassero anche loro le note dell’arpista in una parvenza di serenità. Orfeo, però, usò la sua musica per assopire Radamantis, Minos, Aiacos e Pandora, per creare un’occasione giusta tentare di sconfiggere Hades. Orfeo volle attaccare per primo, ma Hades sparì sotto i loro occhi. Radamantis che non era stato stregato dalla sua musica lo attaccò. Poi entrò in azione Seiya e accadde l’imprevisto. Nel tentativo estremo di eliminare il gigante, Seiya colpì anche Orfeo uccidendolo. Radamantis però era di nuovo in piedi e pronto alla battaglia. Fu allora che riapparve Hades, in tutto e per tutto identico a Shun, entrato nel corpo di Shun.

‹‹Questo ci disse Radamantis, di aver gettato i corpi di Seiya e di Orfeo nel Cocito, l’inferno di ghiaccio, il luogo dove si trovavano coloro che avevano cospirato contro Dio. E ci disse… Che Shun non esisteva più, era Hades. Non avremmo voluto credergli, io avrei voluto ucciderlo ma Kanon ci ordinò di passare oltre, perché aveva un conto in sospeso col gigante degli inferi››.

"Aspetta Hyoga" lo interruppe Freija. ‹‹Ma Shun, davvero era Hades?››. Hyoga restò in silenzio. ‹‹Hyoga?››.

‹‹Sì›› annuì lui serrando le labbra. ‹‹Hades aveva scelto un essere puro che ospitasse il suo spirito. Pandora aveva cercato di rapire Shun, quando ancora era in fasce, e Ikki l’aveva impedito. Pandora aveva desistito, ma aveva donato a Shun un ciondolo, che Ikki aveva confuso nella sua mente con un ricordo di loro madre. Quel ciondolo era il legame del piccolo Shun con Hades. Prima o tardi sarebbe avvenuto il loro incontro. Pandora donò a Shun un ciondolo che l’avrebbe legato per sempre ad Hades. Questo era il destino di Shun, essere il signore degli inferi››.

Mentre Hyoga e Shiryu proseguivano verso la Giudecca, Aiacos e Minos si unirono a Radamantis, e per Kanon sarebbe stata la fine se non fosse giunto miracolosamente Ikki ad aiutarlo. Ikki si batté contro Aiacos di Garuda della stella del cielo intrepido, e lo sconfisse, ma il guerriero della Fenice sparì sotto gli occhi di Kanon e dei due giganti degli inferi. Hades desiderava incontrare il guerriero dal cosmo così aggressivo perché gli ricordava qualcosa.

Quando si trovò di fronte suo fratello seduto sul trono di Hades, Ikki perse la ragione e cercò di arrivare da suo fratello per farlo ritornare in sé. Frantumò il ciondolo, colpì Pandora e minacciò di ucciderla se avesse cercato di fermarlo. Poi aggredì Shun e lo schiaffeggiò, ma l’amara realtà fu un duro colpo anche per il guerriero della Fenice. Di Shun rimaneva solo il corpo, l’aspetto esteriore, perché l’anima era quella del re degli inferi e anche la potenza con cui si accanì contro Ikki.

Ikki non avrebbe mai potuto sconfiggere Hades, ma Shun volle aiutarlo, ribellandosi alla volontà che lo dominava. Uccidere il corpo di Shun era l’unico modo per uccidere Hades, e nemmeno Pandora riuscì a fermare Ikki.

‹‹Un colpo al cuore›› mormorò Hyoga. ‹‹È quello che ho sentito quando Ikki ha ucciso Shun››.

"…Cosa dici…?".

Hyoga sorrise appena. "Ikki voleva distruggere il corpo di Shun per liberarlo dallo spirito di Hades. Era un mostro orrendo Hades…".

In realtà, Ikki non riuscì a finire suo fratello. L’ultima resistenza di Shun fu sopraffatta, e Hades s’impossessò completamente del corpo del Santo i Andromeda.

Lo Spectre Valentine di Harpy dietro ordine di Pandora trasportò il corpo di Ikki al Cocito, il nono cerchio. Seiya si era intanto risvegliato imprigionato nel ghiaccio del Cocito fino al collo, nella stessa prigione dov’erano stati seppelliti vivi tutti coloro che si erano ribellati ad Hades, compresi i guerrieri d’oro. Valentine e Seiya avevano un conto in sospeso. Seiya tentò di sfidarlo e chiese di essere liberato promettendo che, se lo Spectre lo avesse battuto, gli avrebbe consegnato l’armatura di Atena, l’oggetto che tutti cercavano.

Intanto, alla Giudecca, arrivò Shaka della Vergine pronto ad affrontare Hades. Lui ed Atena erano diretti ai Campi Elisi, un luogo difficile da raggiungere per chiunque non fosse un dio.

‹‹Abbiamo sentito Atena, era vicina, vicinissima, ma dovevamo trovare Seiya perché lui aveva l’armatura!››.

Atena arrivò al cospetto di Hades e impedì a Shaka di combatterlo, perché non voleva ferire il corpo di Shun. La volontà del suo guerriero di Andromeda era quasi del tutto spenta, ma c’era un catastrofe peggiore che incombeva sul mondo. Hades, col suo potere universale, stava allineando i pianeti, cosicché la luna avrebbe oscurato per sempre la luce del sole, in un’eterna eclissi che avrebbe ucciso ogni essere vivente sulla terra trasformandola in un mondo morto. Atena si offrì ad Hades, in un disperato tentativo di fermare l’eclissi, ma Shaka, vedendola inginocchiata davanti al re degli inferi, afferrò la lancia di Pandora e la scagliò contro Hades.

Il tentativo fu vano e Hades con quella stessa lancia cercò di uccidere Atena. La dea fermò la lancia con le mani, ben decisa a non morire prima di aver impedito l’eclisse, e il suo sangue scivolò sull’asta dell’arma, rendendola rovente. Il contatto col sangue della dea risvegliò lo spirito di Shun e fece soffrire Hades al punto che dovette abbandonare quel corpo rivelandosi sotto forma di spirito.

Shun era nato per essere guerriero di Atena, non per essere posseduto dallo spirito di Hades. Il dio degli inferi l’aveva scelto ma aveva commesso un errore credendo che il guerriero fosse nato per ospitarlo. Ora che l’anima di Shun rinasceva col sangue di Atena Hades non avrebbe più potuto impossessarsene. Senza il corpo necessario, la reincarnazione di Hades non era possibile, e il re degli inferi giocò l’ultima carta trascinando Atena in un luogo dove era praticamente impossibile arrivare.

‹‹I Campi Elisi. Hades l’aveva condotta oltre il Muro del Pianto, una barriera invalicabile, per chi non fosse un dio, infrangibile solo con la luce del sole. Io e Shiryu avevamo dovuto attraversare tutto l’aldilà…senza sapere che cosa fosse successo a Seiya a Ikki, di cui sentivamo ancora il cosmo, né a Shun. Però avevamo avvertito chiaramente la presenza di Atena, che quindi era viva".

Mu, Milo, Aiolia e anche Doko, morti e segregati nel Cocito, rinacquero a nuova vita grazie al cosmo della dea Atena e raggiunsero la Giudecca. Shaka stava sacrificando la sua vita per aprire un varco nel Muro del Pianto, ma Doko suggerì un’alternativa. Riunire il cosmo dei guerrieri d’oro per cercare di ricreare, anche se di potenze ridotta, la luce del sole.

I guerrieri rimasti al Santuario guardavano preoccupati l’avanzare dell’eclissi, sperando nell’impresa dei loro compagni discesi agli Inferi. Poi dalla casa del Sagittario si alzò una colonna luminosa che sparì in cielo. L’armatura d’oro correva in aiuto della dea per volontà di Aiolos. Subito dopo dalle case Toro, Cancro, Capricorno, Acquario e Pesci esplosero lampi di luce, poiché anche le restanti armature stavano raggiungendo la Giudecca.

"Avvertimmo il potere di undici armature d’oro in risonanza e vedemmo l’ultima mancante, l’armatura dei Gemelli, volare alta in direzione della Giudecca››.

Kanon, privo della protezione dell’armatura, morì distruggendo il gigante Radamantis.

In quello stesso istante alla Giudecca, riuniti davanti al Muro del Pianto, i dodici guerrieri d’oro regalarono la loro vita per aprire una breccia in quell’invalicabile parete, ricreando la forza del sole in virtù della potenza dovuta alla posizione delle dodici costellazioni dello zodiaco sull’eclittica. Lo spirito di Aiolos, il più valoroso di tutti gli eroi, si materializzò nella sua armatura e senza dire una parola incoccò una freccia d’oro nel suo arco.

Doko diede un ultimo consiglio a Seiya e Shun. Spiegò che Hades, nato da Crono e Rea, aveva sempre amato il suo corpo più di ogni altra cosa, fin dall’epoca mitologica. Per questo motivo, per evitare qualunque insulto al suo vero corpo, sceglieva ogni volta un corpo diverso per la reincarnazione, aspettando la conquista della terra per manifestare il suo vero aspetto. Se fossero riusciti ad arrivare nei Campi Elisi, avrebbero dovuto trovare il corpo di Hades e distruggerlo. Solo allora la Guerra Santa avrebbe avuto termine, con la vittoria definitiva di Atena.

‹‹Io e Shiryu sentimmo la terra tremare e vedemmo l’edificio della Giudecca vacillare, e quando arrivammo trovammo le dodici armature d’oro vuote, e il Muro del Pianto squarciato. Un tunnel profondo e scuro... Seiya e Shun stavano bene ma non potemmo parlare. Era tempo per noi di oltrepassare il muro per raggiungere l’Elisio››.

Shiryu rimase nella Giudecca, deciso ad impedire che gli Spectre di Hades attaccassero alle spalle i suoi compagni che correvano attraverso il tunnel.

‹‹Quando arrivammo alla fine del tunnel, ci trovammo di fronte ad un enorme spazio distorto, buio ma luminoso, silenzioso. Trovare la direzione per i Campi Elisi sarebbe stato difficile, perché in quel mare di vuoto era impossibile orientarsi. Seiya e Shun si tuffarono in quella strana dimensione, e li guardai allontanarsi galleggiando, come se fossero attratti impercettibilmente verso un luogo che non era possibile individuare per un occhio umano››.

‹‹Questo significa che non li hai seguiti?›› chiese lei precipitosamente, con un tono di voce incredula.

‹‹Se fossi saltando con loro, Minos che era proprio dietro di me avrebbe potuto colpirci tutti e tre. Almeno gli ho reso la vita difficile!››.

Minos di Grifon della stella del cielo nobile, l’ultimo dei tre giganti, non fu un avversario facile. Riusciva ad annullare i colpi di ghiaccio di Hyoga e lo comandava come fosse una marionetta. Il Cigno riuscì a congelare i fili e a lanciare l’Esecuzione di Aurora, il colpo appreso da Camus. Minos fu colpito pur restando in piedi. Hyoga approfittando del vantaggio si buttò nel vuoto cercando di raggiungere Seiya e Shun.

‹‹Ho temuto di cadere, poi mi sono reso conto di fluttuare. Minos era ancora legato a me da uno di suoi fili e me lo sono tirato dietro nella caduta. Il suo corpo si dissolse in polvere, davanti ai miei occhi. Davvero era impossibile attraversare lo spazio tra la Giudecca e i Campi Elisi senza essere un dio, e noi eravamo salvi solo perché nelle nostre armature scorreva il sangue di Atena››.

‹‹Aspetta…cosa accadde a Shiryu?››.

Hyoga sorrise. ‹‹Ha combattuto nella Giudecca e ha vinto, grazie allo spirito del Drago e alla "spada sacra" che gli aveva donato Shura del Capricorno››. Alzò un braccio al cielo con la mano tesa poi l’abbassò di colpo, come un fendente di spada. ‹‹Non sono riuscito a risalire nel tunnel, come se un muro si fosse parato tra me e la Giudecca, ma l’ho aspettato››.

‹‹Hai detto che Seiya e Shun erano stati risucchiati, come hai fatto a resistere?››.

‹‹Ali›› sorrise aprendo le braccia. ‹‹Il sangue di Atena aveva dato molto più potere alle nostre armature di quanto credessimo. Minos si era polverizzato, mentre io ero ancora vivo. La pressione del vuoto era altissima, e mi sembrava d’essere schiacciato, di soffocare. Poi improvvisamente mi sono fermato. Non venivo più risucchiato nel gorgo scuro davanti me, resistevo ed ero libero di muovermi nella direzione scelta da me. Avevo un paio di ali, bellissime ali dai riflessi argentei come il ghiaccio che riflette la luce del sole, spuntate sulla schiena della mia armatura››.

Aspirò a pieni polmoni e spinse la testa indietro, e a Freija sembrò che le sue braccia aperte proiettassero sul terreno ombre simili ad ali di cigno, ma forse era solo una suggestione.

‹‹Quello era il regalo di Atena, come lo era la grande resistenza acquisita dallo scudo di Shiryu e dalle catene di Shun, come le ali che erano spuntate anche all’armatura di Seiya››.

Hyoga si rimise seduto, poi si stese appoggiandosi sui gomiti.

‹‹Aspettai Shiryu alla fine del tunnel e poi…letteralmente volammo verso l’Elisio. Anche Ikki, di cui avevamo perso le tracce, ci raggiunse là: fu aiutato da Pandora››.

Pandora era vissuta fin dalla nascita nel castello che sarebbe diventato la dimora di Hades. Lei stessa, guidata da un impulso violento, aveva forzato una porta chiusa da oltre duecento anni, ed era entrata nella stanza in cui era stato deposto lo scrigno col sigillo di Atena. Pandora tolse il sigillo, per ingenuità, e liberò gli spiriti di Hypnos, che governa i sogni, e Thanatos, colui che governa la morte. Quei due spiriti le annunciarono la nascita di Hades, come suo fratello di sangue, e le svelarono l’imminenza della rottura di un altro sigillo, quello che imprigionava gli spiriti demoniaci che sarebbero stai l’esercito del signor del regno dei morti.

La madre di Pandora , in seguito, partorì un bambino che era Hades e, inspiegabilmente, uno dopo l’altro con l’esclusione della sola Pandora, morirono i membri della sua famiglia e tutti coloro che lavoravano in quel castello cui nessuno osò più avvicinarsi. Hypnos e Thanatos le diedero il potere di comandare sui centootto Spectre, e le affidarono il gravoso compito di vegliare sullo spirito di Hades fino al giorno in cui non si sarebbe risvegliato il suo potere, fino al giorno della liberazione degli Spectre. I due spiriti le diedero indicazioni precise, e Pandora andò a cercare il piccolo Shun perché quello, dissero, era il corpo prescelto.

Il pentimento di Pandora permise a Ikki di arrivare ai Campi Elisi. Lei, in cambio di vendetta, gli consegnò un amuleto donatole da Hades che le permetteva di avere accesso a qualunque parte del regno dei morti.

‹‹Quelli che dovevamo temere erano i due fedelissimi di Hades, dotati di un potere smisurato, Hypnos e Thanatos, gli stessi che uccisero Pandora nel momento stesso in lei decise di tradire››. Hyoga ricominciò a parlare dopo una breve pausa. ‹‹Il mondo dove si può giungere solo dopo aver percorso una distanza infinita…Molto lontano dalla sorgente del fiume Acheronte…il prato infinito che si trova al di là del fiume Lete. Un mondo ideale cui possono vivere solo gli uomini scelti da Hades, e solo dopo la morte. Non c’è fame, né tristezza, né rabbia. È una terra libera da ogni dolore e desiderio terreno. Questi sono i Campi Elisi, un prato verdeggiante di fiori bellissimi, con canti di ninfe e cupidi che volano come gli uccelli. Un paradiso››.

‹‹Se chiudo gli occhi mi sembra quasi di vederlo. Dev’essere stato bellissimo››.

‹‹Sì›› sorrise Hyoga trasognato, poi si rifece serio. ‹‹È allo stesso tempo terribile, come Hypnos e Thanatos, identici come due gocce d’acqua, il primo con capelli e occhi color dell’oro, e l’altro color dell’argento. Bellissimi e letali. Per fortuna, pur essendo sola ad affrontare il dio degli inferi nel suo regno, Atena non era ancora morta. Thanatos l’avrebbe uccisa, come aveva fatto con Pandora la traditrice. Ma Hypnos non avrebbe mai voluto sporcare di sangue quel paradiso. Addormentò Atena, facendola cadere in un sonno eterno, imprigionata nella Sacra Giara, nel tempio in cui riposava anche il vero corpo di Hades. La giara, impossibile da distruggere anche per le folgori di Zeus, avrebbe assorbito il sangue della dea, e quando il suo colore fosse cambiato in rosso, Atena sarebbe morta senza soffrire. Solo Hades avrebbe potuto salvarle la vita, o decidere di lasciarla morire.

Hypnos lasciò Seiya in balia del fratello Thanatos. La lotta era impari, ma Seiya resistette ripetutamente. Poi accaddero eventi che avevano il sapore dei miracoli. Marin dell’Aquila riapparve al Santuario dopo una lunghissima assenza conducendo Seika, la sorella di Seiya scomparsa da Tokyo il giorno stesso in cui Seiya fu mandatola Santuario per l’addestramento. La vista della sorella rinvigorì Seiya ma Thanatos, il dio della morte, non era un avversario facile da superare.

I santi si riunirono finalmente ai Campi Elisi, ma i loro attacchi avevano l’effetto di aumentare la rabbia furiosa di Thanatos. Anche l’aiuto di Poseidone non migliorò la situazione. Il dio dei mari sfruttò il suo potere per mandare cinque armature d’oro fino ai Campi Elisi, perché i santi potessero indossarle nella lotta contro Thanatos.

‹‹La potenza di Thanatos era…devastante. Lo affrontammo vestiti delle vestigia d'oro, ed egli le polverizzò senza alcuna difficoltà. Divennero inutili pezzi di metallo…".

"…".

Hyoga scambiò un’occhiata con Freija e le sorrise.

"Ancora una volta, " continuò, "Saori… Atena venne in nostro aiuto. Persino imprigionata in quella sacra giara che le toglieva sangue e vita, trovò la forza di incoraggiarci. Seiya fu il primo a rialzarsi…e la sua armatura, che aveva bevuto il sangue della dea, si rigenerò. Il sangue di Atena mostrò tutto il suo potere. Le nostre armature mutarono sul nostro corpo, trasformandosi in splendenti armature divine, proprio come quelle degli dèi dell’Olimpo. Seiya riuscì ad abbattere Thanatos, poi lui e Ikki corsero da Atena. Io, Shiryu e Shun restammo con Hypnos. La vittoria fu difficile, ma riuscimmo a superarlo, perché avevamo nuova forza e vigore››. Strinse i pugni, e un lampo gli illuminò gli occhi, un ricordo del potere che aveva assaporato in quel momento. ‹‹Poi il cielo si fece più cupo, e un rombo di tuono lo squarciò. Seiya e Ikki avevano cercato di liberare Atena dalla giara senza riuscire. Poi erano entrati nella tomba dov’era custodito il corpo di Hades per distruggerlo, ma Hades li precedette e lo occupò prima che potessero anche solo sfiorarlo.

"Quando arrivammo al suo cospetto, lo vedemmo uscire dal suo tempio vestito nella sua nera armatura con una spada in mano. Con quella avrebbe ucciso noi e tagliato la testa di Atena. Allora provammo la vera paura, quando l’allineamento dei pianeti fu definitivo e il cielo si oscurò e divenne nero come la pece››.

Freija si strinse le braccia intorno al petto. Anche ad Ásgarðr avevano visto l’eclisse totale e l’avevano giustamente interpretata come un segno di malaugurio. Hilda aveva pregato fino allo sfinimento, e anche Freija aveva implorato gli dèi di riportare la luce. Non avrebbe mai nemmeno immaginato che Hyoga e i suoi compagni si fossero trovati coinvolti in prima persona in quella catastrofe.

‹‹L’unica luce visibile, quella della speranza, venne dalla Sacra Giara. Atena indossò la sua armatura e frantumò la Giara, ergendosi in tutta la sua potenza per affrontare Hades. Avevamo peccato di presunzione, perché avevamo anche solo pensato di confrontarci con Hades. Alla fine, nonostante tutto il potere donatoci da Atena, eravamo solo umani. Il re degli inferi era un avversario fuori della nostra portata, e riuscimmo solo a proteggerla il tempo necessario perché Atena potesse colpire Hades col suo scettro››. Hyoga si passò una mano sul petto, su e giù, e strinse gli occhi. ‹‹Eravamo feriti, esausti, ma a Seiya andò peggio di tutti, perché la lama nera della spada di Hades lo trafisse da parte a parte, un istante prima che un’esplosione di luce e di calore c’investisse tutti. Un solo colpo, e Atena vinse Hades, mettendo fine alla Guerra Sacra tra le due divinità che si protraeva dalla notte dei tempi››.

‹‹Sparito Hades, come per miracolo, il sole è riapparso nel cielo›› disse Freija. ‹‹Per noi era passata la paura, per noi che avevamo assistito ad un fenomeno che credevamo naturale››.

Hyoga annuì e sorrise. ‹‹È ciò che hanno pensato tutti, ed è stato meglio così. Naturalmente l’anomalo allineamento dei pianeti, pur senza che se ne potesse dare una spiegazione plausibile, non era passato inosservato. Ma quella grande eclissi rimarrà, per tutti fuorché per noi, un mistero irrisolto››.

Restarono per un momento in silenzio, poi Freija cominciò a sorridere.

‹‹Ora capisco perché sei sparito, per tutto questo tempo. Non avevo alcun motivo di portarti rancore, e un po’ mi vergogno d’averlo fatto›› disse per scusarsi. ‹‹Hilda era venuta in Giappone, ma non avevo mai voluto ascoltarla, sebbene lei avesse cercato più di una volta di parlarmi di voi. Anche Freyr provò a raccontarmi le vostre avventure ma ancora non prestai attenzione. Ero davvero troppo infuriata per il modo in cui avevi sconvolto la mia vita, per poi sparire senza una parola››.

Hyoga balbettò qualche parola incomprensibile, ma non disse nulla. Gli capitava spesso di farfugliare parole senza senso, soprattutto quando faticava a spiegare il motivo delle sue azioni, o quando si vergognava per qualcosa. Freija invece aveva molte cose da dire, e colse al volo quell’occasione.

‹‹Quando sei tornato ad Ásgarðr, non credevo ai miei occhi. Ciò che accadde dopo ci ha impedito di…stare insieme, in tranquillità. Avrei voluto trattenerti, ma non fu possibile. Non eravate ancora ristabiliti, quando Saori decise che era giunto per voi il momento di ripartire. In quel momento, l’unico sentimento che ho provato è stato delusione. Sei andato via senza che potessimo parlare. Forse non c’era niente da spiegare per te, è quello che ho pensato, ma io avevo pregato tanto che tu tornassi perché volevo chiarirmi con te››. Sospirò, lanciandogli un’occhiata rapida ma intensa. ‹‹Ora so che fu ingiusto anteporre i miei sentimenti quando c’era in gioco molto di più, quando tu…voi stavate sacrificando tutto ciò che avevate per una causa superiore. Mi vergogno tanto per le cattiverie che ho pensato››.

‹‹Non ti preoccupare, è stata una reazione naturale. Nessuno di noi poteva immaginare ciò che sarebbe accaduto, ma ora è tutto finito, spero››. Si rialzò e si stiracchiò i muscoli.

‹‹Sei giovane, ma hai vissuto intensamente. Io, in tutti questi anni, non ho fatto niente di speciale, ma non ti offendere se ti dico che non t’invidio››.

‹‹Fai bene! Tante volte ho rischiato di morire che quasi non riuscivo più a capire quale fosse il significato della vita. Quando siamo tornati dagli inferi, ci siamo presi un lungo periodo di riposo e riflessione. Ognuno di noi conservava un vivido ricordo di quei luoghi tetri e il fatto d’essere stati giudicati per i nostri peccati, ai quali non pensavamo mai, ci aveva fatto riflettere su molte cose. La più grande battaglia è stato superare quei momenti difficili, perché Atena ci ridava forza e vigore, ma non poteva guarire i mali della nostra anima. Per mia fortuna, Sa…››. Smise di parlare di colpo, perché non era sicuro di volerle rivelare troppo del suo passato, quello privato. Lei intanto aspettava che lui finisse il discorso, ma sorrideva. ‹‹Per fortuna, sapevo di avere l’appoggio di Saori, e questo valeva anche per gli altri. Alla fine ce la siamo cavata bene, e abbiamo vissuto momenti felici, almeno fino a quando non siamo dovuti scendere di nuovo in campo››.

‹‹Cosa vuoi dire? Che hai ancora altro da raccontare?››.

‹‹In effetti, sì›› sussurrò lui. Ma narrarle di Erii, la ragazza greca che attirò sulla terra Eris, la dea della discordia, della venuta di Febo, fratello di Atena, e poi Lucifero…si trattenne perché parlare ancora avrebbe significato dare troppe spiegazioni. ‹‹In effetti, sì›› ripeté lui. ‹‹Magari te lo racconto dopo, vuoi?››.

Aveva l’aria stanca, forse per il lungo parlare, ma era sereno in volto.

‹‹Ma certo››.

Freija si sentiva elettrizzata per aver ascoltato quelle storie insieme sconvolgenti e fantastiche, e angosciata. Non aveva lontanamente immaginato che la vita di Hyoga fosse stata tanto tragica. Pensò che, fosse stata nei suoi panni, non sarebbe riuscita a vivere con quel pesante bagaglio di orrori e tragedie sul cuore. Eppure Hyoga sembrava così tranquillo. Freija ipotizzò che in quella sua mitezza, e nel suo distacco solo apparente, Hyoga aveva trovato l’unico modo di reagire.

Il russo si chinò per immergere una mano nella pozza, poi gridò una delle sue incomprensibili esclamazioni. Quando si voltò, mostrò un sorriso incredibilmente solare.

‹‹È caldissima! Facciamo il bagno!››.

‹‹Cosa?›› esclamò Freija. Lo raggiunse e fissò sconcertata le acque. ‹‹Stai scherzando? Congeleremo!››.

‹‹Net! È calda, proprio come quella della Pozza!››. Hyoga, smanioso, cominciò a svestirsi. ‹‹Faremo finta di essere alle terme!››.

‹‹Non siamo in Giappone qui, Hyoga! A te sembrerà calda, ma non credo che lo sia…››. S’inginocchiò e sentì anche lei la temperatura dell’acqua. Hyoga aveva ragione, ma quella piacevole sensazione di calore non riuscì a convincerla. ‹‹Se vuoi immergerti, fai pure! Ma non contare su di me!››.

Hyoga si lamentò e mentre si svestiva si guardò attorno, alla ricerca di qualcosa che soddisfacesse le sue esigenze.

‹‹La pozza sembra abbastanza profonda per… tuffarsi da là!››.

Indicò una piazzola su una rupe poco distante, alta circa due metri sul livello dell’acqua. Freija guardava, ma il suo sguardo era fisso su Hyoga, che aveva gettato il maglione a terra e si stava sfilando gli stivali. Lo contemplò con sguardi incredibilmente audaci, e senza arrossire, ma si voltò bruscamente, temendo che Hyoga si togliesse anche i pantaloni.

‹‹Torno subito!›› disse lui allontanandosi.

Con la coda dell’occhio lo vide correre verso la rupe. Si arrampicò, scalzo e a torso nudo, con estrema facilità, fino alla piazzola rocciosa. Freija lo vide salutarla da quel trampolino improvvisato, tuffarsi, con una capriola all’indietro, e scomparire tra gli spruzzi d’acqua.

La spontaneità di Hyoga era un’ottima cura per le sue preoccupazioni, ed era contagiosa. Freija sentì che, in quel momento, avrebbe potuto affrontare a testa alta tutti i suoi accusatori, presunti e veri che fossero, senza paure o risentimenti. Se fosse stato presente Leif lo avrebbe fronteggiato e gli avrebbe detto, finalmente, quello che pensava di lui e del suo comportamento. Inspirò a pieni polmoni e sentì svanire la tensione.

Abbracciò con lo sguardo la cascata e la pozza ma si agitò, perché non vedeva Hyoga da nessuna parte. Strinse gli occhi, sforzandosi di scrutare, nella luce del sole e attraverso la nebbiolina di vapore, oltre il velo d’acqua della cascata. Chiamò a voce alta, tanto che l’avrebbe udita anche se fosse stato là dietro, ma non ottenne risposta e cominciò a preoccuparsi. Quanto tempo era passato dal momento del tuffo? Chiamò ancora e intanto si sfilò in un attimo stivali e calze, decisa a tuffarsi, nonostante le sue scarse prestazioni da nuotatrice, per cercarlo.

Stava per gettarsi quando Hyoga emerse proprio di fronte a lei, sollevando di proposito una spruzzata d’acqua che le bagnò la camicia. Freija urlò per lo spavento e indietreggiò di un passo mentre Hyoga usciva dalla pozza, ridendo a crepapelle.

‹‹Ti sembrano giochi da fare questi? Mi sono spaventata!››.

Freija tentava di sembrare arrabbiata ma Hyoga non le badò.

‹‹Volevo vedere quant’era profonda!››. Indicando col pollice la pozza alle sue spalle. ‹‹Nel centro sarà almeno sei metri!››. Hyoga si passò una mano tra i capelli gocciolanti e aggiunse eccitato: ‹‹Ci si potrebbe tuffare da un’altezza maggiore!››.

‹‹Non ti tufferai per niente! Vuoi farmi morire di paura?›› lo rimproverò premendogli l’indice sul petto. Hyoga le prese la mano se la premette sul petto. Freija sentì sotto il palmo il calore della pelle glabra e i battiti accelerati del cuore. ‹‹Ti scoppia il cuore… ›› scherzò lei.

Il tocco delicato della mano di Freija gli aveva fatto venire i brividi. Hyoga cercò lo sguardo di lei e istintivamente si protese in avanti. Le labbra socchiuse di Freija erano una tentazione alla quale non poteva resistere. Per un attimo, la principessa rimase paralizzata, in attesa, ma cambiò idea e spinse forte Hyoga. Il russo si sbilanciò all’indietro ma continuò a stringerle la mano e la trascinò con sé. Freija gridò ma era troppo tardi per riprendere l’equilibrio e caddero assieme in acqua.

‹‹Hyoga, sei uno stupido!›› gridò Freija tentando di afferrarlo. Lui si era già allontanato e rideva.

‹‹Ormai che sei in acqua, restaci!›› propose Hyoga galleggiando pigramente poco lontano.

Freija non riuscì ad arrabbiarsi, e decise di restare in acqua. I vestiti erano ingombranti e la legavano nei movimenti ma quel fuori programma era divertente.

‹‹Cosa facciamo?›› chiese lei.

Nuotarono e giocarono nell’acqua a lungo, come due bambini. Freija non era molto brava mentre Hyoga sembrava nato per il nuoto. Si muoveva in acqua come un pesce, senza la minima difficoltà. Poi Hyoga le propose di arrampicarsi sulla rupe ma Freija si fece quasi venire un attacco isterico.

‹‹Ti ho detto che soffro di vertigini! Se salgo fin lassù morirò!››.

‹‹Non ti agitare, ci vengo anch’io››.

‹‹E questo dovrebbe rassicurarmi?››.

‹‹Navalís ! (9) T’insegno a tuffarti!››.

‹‹Solo a guardarla di qua, mi sento già girare la testa!››.

‹‹Ma non è così alta, quella rupe››.

Hyoga riuscì a convincerla a salire, poi ci volle una lunga preparazione per farla affacciare sulla pozza. Il primo tuffo naturalmente fu disastroso. Freija entrò di pancia con gran un tonfo, e inghiottì tanta di quell’acqua che per poco non si sentì male. Hyoga si tuffò quasi contemporaneamente per andare a ripescarla, e insistette perché riprovasse. Dopo parecchi tentativi, Freija riuscì a tuffarsi correttamente e la cosa le piacque talmente che ci prese gusto.

Restarono a lungo in acqua e Hyoga le insegnò molte altre cose. Le mostrò come si nuotava nei diversi stili e come trattenere il respiro nella maniera corretta per immergersi in apnea. Freija tentò soltanto una volta e mancò poco che annegasse.

Alla fine, esausti, andarono a stendersi al sole.

‹‹Togliti quegli abiti e stendili ad asciugare›› le disse Hyoga lanciandole il mantello. Freija arrossì. ‹‹Provo ad accendere un fuoco, così ci scalderemo un po’››. Si allontanò fischiettando e cominciò a cercare dei ramoscelli da usare come esca.

Il sole splendeva alto e, nella grotta, l’aria era calda, per via dei raggi che penetravano dall’apertura e dei vapori bollenti. Freija andò a spogliarsi nella grotta e tornò avvolta nel mantello.

Hyoga accese il fuoco, legò i cavalli ad un albero e si accasciò per terra, appoggiando la testa alla sella. Freija stese i vestiti fradici su un piccolo cespuglio, poi gli sedette di fianco e tese le mani verso la fiamma per scaldarsi.

‹‹Hai mai pensato di fare il maestro di nuoto? Sei bravo››.

Hyoga sorrise. ‹‹In realtà, faccio il maestro in una scuola di nuoto per bambini››.

‹‹Davvero?››.

‹‹Sì, ma diventerei matto se tutti gli allievi fossero come te!›› scherzò. Faceva il disinvolto, ma evitava in ogni modo di guardarla.

Il vedere un uomo impacciato di fronte ad una donna, seminuda e indifesa, le sembrava allo stesso tempo strano e divertente. Pensò a come si sarebbe comportato suo fratello se si fosse trovato nella stessa situazione. Probabilmente avrebbe tentato di approfittare della sventurata in sua compagnia, senza farsi troppi problemi. Rabbrividì ripensando a Leif che aveva fatto lo stesso con lei, e strinse i denti per accantonare quel terribile ricordo.

‹‹A cosa pensi?›› le chiese Hyoga.

Si era alzato a sedere e adesso la fissava. Freija evitò di girarsi per non incrociare il suo sguardo, che ora le sembrava quasi insistente. Sentì una morsa che le stringeva lo stomaco, una fitta che la fece tremare. Si strinse nel mantello e cominciò a tremare, non per il freddo, perché il sole splendeva e il fuoco lì vicino la scaldava, ma per la paura. Pensò alla fiducia che aveva dato a Leif e a come lui l’aveva trattata, a come aveva sfogato le sue voglie senza preoccuparsi dei suoi sentimenti. Si era chiesta spesso, in quei giorni, se quello era l’amore, e si era risposta che non era poi speciale. Forse quello era l’unico modo che gli uomini conoscevano per dimostrare il loro amore e si preoccupò d’essere sola con Hyoga, lontano da tutto e da tutti. Hyoga si sporse e lei si ritrasse di scatto.

‹‹Freija, che ti succede? Ti senti male?››.

Freija si costrinse a guardare in quegli occhi azzurri e subito si calmò. Hyoga era sinceramente preoccupato per lei, nient’altro, non le avrebbe mai fatto del male. Era onesto e sincero, tutto il contrario di Leif. Sorrise, sentendo un gorgoglìo che saliva dallo stomaco. Si era sentita strana ma la sua non era stata paura.

‹‹Ho fame›› disse incredula.

‹‹Santi numi, avevi una faccia…mi ero spaventato!›› si rincuorò Hyoga sorridendo.

In quel momento, anche il suo stomaco emise un lungo lamento. Non avevano mangiato dalla mattina e, guardando il sole, capirono che l’ora del pranzo era già passata. Hyoga andò a rovistare nella sacca che aveva portato con sé ma si girò con un’espressione preoccupata.

‹‹Purtroppo non ho portato molto con me. Avevo contato di essere da solo››.

Freija lo rassicurò immediatamente. ‹‹Non ti preoccupare›› disse recuperando il suo bagaglio. Tornò a sedere vicino al fuoco e cominciò ad estrarre alcuni pacchetti della sacca di pelle. ‹‹Sono passata dalle cucine, prima di scappare!›› esclamò trionfante.

Mostrò soddisfatta quello che era riuscita a trafugare, approfittando dell’assenza del cuoco e delle donne. Stese sull’erba un panno di lino e tirò fuori dalla sacca pane, formaggio e alcune focacce farcite.

‹‹Nu i nu , (10) hai portato cibo per un esercito!›› esclamò.

‹‹Sono una ragazza d’appetito›› rispose addentando una focaccia. ‹‹C’è anche della frutta, se ne vuoi››.

Mangiarono lentamente e quando furono sazi rimisero gli avanzi nella sacca.

Freija si rivestì, anche se gli abiti erano umidi, perché non si sentiva troppo a suo agio coperta solo del mantello. Si stesero e godettero ancora del rinfrancante calore dei raggi solari.

‹‹È stato bello sentirti parlare, ma bisogna sempre darti l’imbeccata››.

‹‹Davvero? Io pensavo di essere un chiacchierone››.

‹Sì, ma solo se ti spronano a parlare››.

‹‹Ah, è perché sono timido…››.

‹‹Dunque non sei perfetto come sembra!››.

Hyoga rise tra sé e sé, ripensando alla sera in cui aveva discusso con Seiya.

‹‹Net›› ammise scuotendo la testa. ‹‹Se sei a caccia di difetti, continua a cercare, perché questo non è certo l’unico che ho››.

‹‹Sono nascosti bene, sarà difficile trovarne››.

‹‹Naturale, devo tirare acqua al mio mulino!›› si giustificò Hyoga gesticolando.

Freija era davvero felice di essersi lasciata coinvolgere in quell’avventura e si sentì piena di vita e d’energia, cosa che non le accadeva da tempo. Ripensò alle giornate assolate che aveva trascorso seduta su una poltrona a ricamare, o a intrecciare ceste di vimini e s’arrabbiò con se stessa per la sua ottusità. Leif era affascinante e le piaceva, certo, ma ora, per la prima volta, si rendeva conto veramente del suo atteggiamento affettato e per nulla spontaneo, del suo fare presuntuoso che mirava a mantenere sempre un distacco tra loro, come se non desiderasse approfondire la loro conoscenza. Stesa al sole, dopo aver cavalcato e nuotato, dopo essersi saziata addentando pane e formaggio e bevuto acqua fresca di fonte, realizzò quanto fosse stata infelice e misera la sua vita fino allora. In quell’angolo di verde tra le rocce, ai piedi della cascata che rumoreggiava, Freija non era più una principessa, costretta ad una vita che la soffocava, ma era una ragazza coma tante che godeva appieno della libertà, e Hyoga, ai suoi occhi, era un principe che le aveva regalato una giornata di vita scuotendola da una schiavitù mentale e fisica che l’invecchiava più della sua età. Avrebbe voluto restare in eterno in quel paradiso a parlare con lui, ad ascoltare le sue storie o semplicemente la sua voce, soli e felici come Adamo e Eva nel giardino dell’eden prima del peccato.

‹‹Questo posto è davvero un paradiso›› mormorò Hyoga tra sé e sé.

‹‹È molto bello quel tatuaggio›› si complimentò lei, indicandolo con un cenno della testa. Hyoga di riflesso si guardò il braccio destro, su cui si era fatto tatuare un braccialetto costituito da un complicato disegno che ricordava le incisioni rupestri vichinghe. Corrugò la fronte e sembrò quasi stupito, come se si fosse ricordato solo in quel momento d’averlo.

‹‹Spasibo …grazie›› disse, passandosi una mano sul disegno. ‹‹Me lo sono fatto a Mosca, un capriccio››.

‹‹Non mi sembravi tipo da fare certe cose››.

‹‹Mah, è difficile dire che tipo sono›› precisò lui distrattamente.

‹‹Non ti sarai offeso, spero?››.

‹‹Net, net. Pensavo…Mia madre aveva… non so bene da dove provenissero, ero molto piccolo… aveva due bracciali d’argento, molto belli. Non se li toglieva mai, e una volta mi disse qualcosa a proposito di un ricordo dei suoi antenati, o cose simili. Ma sai, per i bambini i gioielli non hanno molta importanza, quindi non ricordo bene quello che mi disse. Più avanti negli anni, mi sono tornati in mente quei braccialetti, e in particolare il motivo ornamentale, che era proprio questo››. Con l’indice, seguì il complicato percorso del disegno, con un sorriso dolce e insieme soddisfatto. ‹‹Ho disegnato il motivo, e me lo sono fatto tatuare così che non avrei mai potuto dimenticarlo››.

Freija guardò ancora il tatuaggio, e pensò che addosso a Hyoga stava proprio bene. Continuò a fissarlo, senza accorgersi che Hyoga s’era incantato a guardare lei.

‹‹È proprio bello…›› ribadì.

‹‹Ty tóže, stanovíešč’sja vsjo krasívee …››. (11) Lei alzò gli occhi e fece il broncio.

‹‹Hyoga, sei scorretto!››.

‹‹Perché?›› domandò lui alzando le spalle.

‹‹Non capisco quello che dici!›› sbuffò lei, quasi offesa. Hyoga intanto sghignazzava e giocherellava con un lungo filo d’erba. ‹‹Perché non parli chiaramente?›› aggiunse seccata.

‹‹Lo so che non capisci›› precisò lui tranquillamente. ‹‹E non fingerti arrabbiata, non ti credo›› aggiunse negando anche con l’indice.

‹‹E perché no?›› si stupì lei.

‹‹Sei solo curiosa di sapere quello che ho detto›› spiegò Hyoga strappando il filo. Lo prese tra i pollici e soffiò. Il fischio risuonò tra le rocce e poi s’incanalò nella grotta. ‹‹C’è l’eco…›› si distrasse.

‹‹Non cambiare discorso›› lo riprese lei. ‹‹Va avanti a spiegare la tua teoria››.

‹‹Non è una teoria›› concluse Hyoga buttando il filo. ‹‹Semplicemente ci sono cose che non… riesco a dire. Non in questo momento››.

‹‹Ma le hai dette!››.

‹‹Però tu non hai capito››.

‹‹Cosa c’entra?›› sbuffò Freija facendosi seria. ‹‹Sì, è vero, sono curiosa, ma è solo perché non mi sembra educato che tu parli senza farti capire››. Lo guardò severamente e Hyoga rispose gonfiando le guance. ‹‹Sbuffa quanto vuoi, ma è così che stanno le cose. Se erano cose belle, perché non dirle chiaramente?››.

‹‹E se erano cose brutte?››. Freija batté le palpebre più volte e arricciò il naso.

‹‹In quel caso non le voglio sapere!›› disse incrociando le braccia sul petto.

‹‹Ma no, sta tranquilla›› si scusò lui con estrema gentilezza. ‹‹Ti stavo solo ringraziando per i complimenti. Volevo farti arrabbiare,›› disse ridendo, ‹‹perché avevo notato che non gradivi le mie incomprensibili parole. Tutto qui››.

‹‹Certe volte fai delle cose davvero strane, lo sai?››.

‹‹Sì, me l’hanno detto anche in altre occasioni›› rispose lui, con un tono neutro ma col solito sorriso. ‹‹Ti ho detto che era difficile dire che tipo sono››.

‹‹In effetti, sì›› realizzò lei stringendo gli occhi. ‹‹Sei pieno di stranezze, a partire dal nome. Hyoga… Non è un nome di origine russa?››.

‹‹No, mio padre era giapponese›› disse con sorprendente serietà e senza sorridere. Poi strinse i denti e gli occhi si ridussero a due fessure ma subito l’espressione del suo viso s’addolcì e, quando parlò di sua madre, la sua voce si fece tenera e malinconica tanto che Freija si stupì di non vedere scendere lacrime a rigargli le guance. ‹‹Natassia, mia madre, mi chiamava Misha. Se chiudo gli occhi, ancora oggi sento la sua voce melodiosa. Era bellissima, mia madre, e cantava con la voce di un angelo››.

‹‹Hai mai conosciuto tuo padre?›› chiese Freija timidamente.

‹‹Sì, l’ho conosciuto senza sapere chi fosse in realtà. Non era vecchissimo, ma morì prima che potessi dirgli quanto lo disprezzavo per il male che ci aveva fatto››. Pensò un momento prima di dirle chi era, poi si decise. ‹‹Lui era Mitsumasa Kido››.

‹‹Quel Kido?›› lo interruppe Freija.

‹‹Proprio lui››.

‹‹Non sapevo niente…››.

‹‹Non è uno dei miei argomenti di conversazione preferiti››.

‹‹Che cose strane ho saputo oggi!›› sorrise.

Lui alzò le spalle. ‹‹Non lo sanno in molti. Hilda forse lo sapeva, ma non ne sono sicuro››.

‹‹Hilda e Saori sono molto legate›› disse Freija, ricordando il periodo in cui aveva invidiato sua sorella per quella bella amicizia dalla quale si sentiva esclusa. ‹‹Adesso so molte cose di te, ma…come hai fatto ad arrivare a Villa Kido? Questo non me l’hai ancora detto››.

‹‹Kido era felice di avere un figlio, aveva grandi progetti per me, ma… temo che non abbia mai amato mia madre, perché l’abbandonò e sparì per molti anni. Le disse solo che il mio nome sarebbe stato Hyoga, che significa "acqua ghiacciata", perché così era scritto nel destino, e che sarebbe tornato quando io fossi cresciuto abbastanza. Le chiedevo spesso dove fosse mio padre ma lei evitava ogni volta di rispondere. Ricordo come fosse accaduto ieri il giorno in cui Kido la fece chiamare perché mi portasse da lui in Giappone, perché, le disse, era giunto il mio momento. Mia madre non ubbidì, perché non voleva separarsi da me per affidarmi ad un uomo che si era sempre disinteressato di suo figlio e di sua moglie. Partì, in nave, per tentare di convincerlo a dimenticarci e mi salutò baciandomi sulla fronte, assicurandomi che quando sarebbe tornata saremmo potuti stare sempre insieme››. Si passò una mano sulla fronte e si schiarì la gola. ‹‹Non seppi mai cosa successe realmente, ma la nave su cui viaggiava naufragò, poco dopo la partenza, e nessuno si salvò dall’abbraccio mortale delle gelide acque del Mare del Nord.

‹‹Nonostante l’odio e la rabbia che ho provato, non voglio pensare che la morte di mia madre fosse stata programmata, mi sono sempre rifiutato di attribuirgli una tale colpa. Eppure, ancora oggi, non mi capacito di come sia potuta accadere una simile tragedia. Questa me la regalò, poco prima di imbarcarsi e anche se mi rassicurò che sarebbe tornata presto, ho spesso pensato che fosse conscia del fatto che non sarebbe sopravvissuta a quel viaggio››. Giocherellò con la croce appesa alla catena, assorto, con lo sguardo vuoto e malinconico. ‹‹Non credo che Kido abbia mai versato una lacrima per la morte di sua moglie. Ad ogni modo, i suoi uomini vennero a prendermi, in Siberia, e così sono arrivato alla Villa. Poi mandò me e tutti gli altri bambini, accomunati, tra le altre cose, da quelle che lui chiamava "fortuite doti naturali", all’orfanotrofio della Fondazione Grado. Il Collegio delle stelle, che nome originale, eh?››.

Freija si morse le labbra. ‹‹Mi dispiace d’averti costretto a ricordare fatti tanto terribili del tuo passato. Non volevo…››.

‹‹Non ti scusare, il tempo è un buon rimedio per molte ferite, e se non guarisce del tutto, almeno allevia il dolore. Ora posso ricordare con più serenità, anche se non riesco a perdonare Kido per quello che ha fatto a me e ai miei fratelli››.

Freija sgranò gli occhi. ‹‹Fratelli?››.

Hyoga rise, ritrovando l’allegria. ‹‹In realtà, ho quattro fratelli e li conosci tutti, abbastanza bene››.

‹‹…››.

‹‹Non ti ho detto che Mitsumasa Kido ebbe cinque figli, da quattro diverse donne, poiché Shun e Ikki sono fratelli naturali. Seiya ha una sorella, Seika, che è stata risparmiata poiché non era figlia di Kido. Nessuno di noi ha amato Kido quando era in vita ma ora, a dieci anni dalla sua morte, abbiamo cercato di comprendere le sue ragioni, osservandole da un punto di vista più maturo. Anche Saori non è realmente sua nipote…››.

‹‹…questo lo sapevo…››.

‹‹Beh, lei è l’unica che l’ha amato veramente e che porta il suo cognome››.

‹‹Shun, Seiya, Shiryu e Ikki. Voi… siete tutti fratelli?››.

‹‹Ti ho svelato un altro terribile segreto!›› scherzò Hyoga facendo la voce grossa.

Freija lo fissava interdetta, come chi ha di fronte una persona che credeva di conoscere e che si fosse rivelata improvvisamente un perfetto estraneo. Quel giorno aveva conosciuto un altro Hyoga, quello vero, ed era rimasta piacevolmente sorpresa dalla sua genuinità. Senza saperlo, stava nascendo in lei un secondo amore.

‹‹Dunque, ›› lo schernì Freija col sorriso sulle labbra, ‹‹ti conoscevo con un nome che non è il tuo, e scopro del tuo passato, cose che non avrei mai immaginato. Se devo essere sincera, sono confusa e non so bene cosa pensare di te, Misha!››.

‹‹Non mi odiare, intanto! Nemmeno Misha è il mio vero nome. È un diminutivo di Mikhail, il mio nome di battesimo, quello che mi diede mia madre. Però tutti mi conoscono come Hyoga››.

‹‹Mi piace… penso che d’ora in poi ti chiamerò Misha!››.

‹‹Ah, per me va bene. Il nome non è importante se la donna che lo pronuncia è interessata anche all’uomo che lo porta››.

Freija si accorse solo allora che Hyoga la fissava dritto negli occhi ed esitò, oscillando tra il desiderio di assecondarlo, per continuare la discussione che stava prendendo una piega interessante, e la voglia di eludere l’argomento, ignorando il complimento.

‹‹Hai ben quattro fratelli!›› disse infine. ‹‹Non sei felice? Io sono la più piccola e per questo sono sempre stata coccolata e viziata dai miei genitori. Hilda e Freyr hanno avuto una vita più dura… Li amo moltissimo entrambi e non potrei vivere senza di loro, anche se alle volte mi sento un po’ esclusa››. Hyoga arricciò il naso, ma parlò ancora volentieri e sempre sorridendole.

‹‹La nostra infanzia, le circostanze nelle quali abbiamo scoperto la nostra parentela, e un insieme di molteplici altre motivazioni, non ci hanno permesso di valorizzare abbastanza il nostro rapporto fraterno. Siamo uniti, anche se non mancano le liti, ma…in fondo, siamo solo un gruppo di amici affiatati che vivono e "lavorano" assieme. L’unico cui sono legato profondamente è Shun, l’unico che mi manca quando sono lontano da Villa Kido, anche in questo momento››.

‹‹Non ho avuto molte occasioni per conoscerlo ma è sembrato tanto dolce e sensibile›› disse Freija. ‹‹Si capisce subito che sei molto affezionato a lui, la tua voce è diversa, quando parli di Shun, più dolce››.

‹‹È il più piccolo di noi›› aggiunse Hyoga. ‹‹Ho sempre paura che gli succeda qualcosa, anche se in fondo ci sono pochi anni di differenza tra noi. Saori dice sempre che sono troppo protettivo nei suoi confronti››.

Anche quando parli di Saori sento qualcosa di diverso. Sarà solo perché le devi devozione e rispetto?

‹‹Forse ha ragione››.

‹‹Sì, può essere›› annuì Hyoga. ‹‹Shun mi sembrò così debole e indifeso, la prima volta che lo vidi a Villa Kido, che non credevo che sarebbe sopravvissuto a quella vita più di una settimana. Oltre a ciò, gli altri si prendevano gioco di lui e lo tormentavano di continuo. Ikki era l’unico che lo difendeva e ricordo che si azzuffava con chiunque solo facesse un commento sul piccolo Shun. Ikki ha un’indole violenta, è sfacciato e irriverente, e per questo motivo era evitato da tutti e punito in continuazione per la sua arroganza e disubbidienza.

‹‹Il primo periodo, appena arrivato in Giappone, fu particolarmente difficile perché non parlavo altro che il russo e non ero in grado di capire e di farmi capire. Sono rimasto solo e isolato nell’affollato orfanotrofio per lungo tempo, evitato e ignorato da coloro che avrebbero dovuto essere i miei compagni. Io e Shun stringemmo subito un’amicizia solida, che iniziò come un semplice accordo tra due bambini che cercavano di risolvere assieme le loro difficoltà, perché come dice sempre Shun, l’unione fa la forza. Shun mi insegnò il giapponese, e ti assicuro che non fu facile con tutti quegli ideogrammi. In cambio, io gli offrivo protezione e lo aiutavo, perché non sopportavo di vederlo ogni sera piangere con la faccia gonfia e il corpo pieno di lividi. Sono passati tanti anni ma, alla fine, penso che quello sia stato il periodo più felice della mia vita, perché tutto ciò che è venuto dopo, gli anni di allenamento e il resto, non è stato altro che sacrificio, disperazione e distruzione, intramezzati da rari e brevi periodi di riposo››.

‹‹Ora che sei qui, puoi vivere pacificamente e dimenticare battaglie e combattimenti››. Freija posò la sua mano su quella di Hyoga, cercando di scuoterlo dal torpore delle memorie. ‹‹Sei al sicuro qui. Puoi restare quanto vuoi… Anzi, perché non ti trasferisci?›› propose con uno ingenuo scintillio di gioia negli occhi. ‹‹Ora che Hilda ti ha nominato Landvarnarmaðr hai dei doveri! Staresti bene›› continuò Freija trasportata dall’entusiasmo. ‹‹Freyr ti adora e Hilda ha un debole per te!››.

‹‹E tu?›› chiese Hyoga stringendole la mano. ‹‹Starei bene, questo è certo ma non sarei felice… del tutto. È bello sapere che c’è un posto al mondo che puoi chiamare casa, un posto dove puoi tornare per amare e per essere amato. Vorrei tanto che Ásgarðr fosse la mia casa, ma ora non è così››.

‹‹Hyoga… ci sono tante cose che vorrei fare ma ho le mani legate. Non biasimarmi per la mia indecisione, sarebbe ingiusto. La mia situazione è più complicata di quanto non sembri››.

‹‹Sì, capisco. Stai tranquilla, però›› la rassicurò lui senza troppa convinzione, ‹‹vedrai che le cose si sistemeranno, in un modo o in un altro. Ma non pensiamo a queste cose tristi!››.

Freija si calmò e seguì il consiglio di Hyoga. Si stesero sull’erba, fianco a fianco, tenendosi per mano, e guardarono il cielo azzurro e si lasciarono accarezzare dal vento.

‹‹Che sensazione magnifica!›› sussurrò Freija.

‹‹Si sta così bene, potrei anche addormentarmi›› mormorò Hyoga.

Freija concordò emettendo un lungo sospiro. Smisero di parlare e si appisolarono entrambi.

‹‹Hyoga?››.

Freija chiamò ancora una volta ma Hyoga non rispose, dormiva ancora profondamente. Tese l’orecchio e sentì, in quel silenzio riempito solo dal frusciare del vento e dal rumore dell’acqua, il suo respiro lento e regolare. Il sole scaldava di meno e aveva cominciato a soffiare una brezza leggera che aveva rinfrescato l’aria. Si era svegliata perché su di lei si era proiettata l’ombra delle alte rocce e aveva sentito freddo, mentre Hyoga, con le mani incrociate sull’addome e la testa leggermente reclinata di lato, non se n’era nemmeno accorto. Freija s’incantò a guardarlo, beatamente appisolato. Il suo corpo era bellissimo e il suo viso trasmetteva una sensazione di tranquillità. Gli stese il mantello addosso e gli sedette di fianco. Il vento muoveva le bionde ciocche di capelli, ma sembrava che niente potesse disturbarlo dal suo sonno.

Ripensando a tutto quello che le aveva raccontato, Freija si commosse. Se lui le avesse chiesto di abbracciarlo, di stringerlo per rassicurarlo, l’avrebbe fatto con estrema gioia e senza la minima esitazione.

Non dovrei nemmeno pensarle certe cose…

Poi avvertì una strana sensazione di piacere nell’osservare le sue labbra. Una smania improvvisa la colse e volle sfiorarle, per verificare se fossero veramente morbide al tatto come sembravano alla vista. Allungò una mano ma la ritrasse subito. Si sistemò i lunghi capelli dietro l’orecchio e si chinò. Chiuse gli occhi e appoggiò le sue labbra a quelle del russo, un contatto quasi impercettibile, ma sentì un fremito e spalancò gli occhi.

Hyoga s’era svegliato. Il suo silenzio sconcertato la imbarazzò più del fatto di essere stata colta in flagrante. Rimasero fermi per un momento lunghissimo. Finalmente Freija si mosse per alzarsi ma Hyoga la trattenne, passandole una mano tra i capelli, e la strinse.

Si abbracciarono, si baciarono. Lei si lasciò stringere, era quello che voleva fin da quando l’aveva rivisto. Leif era un pensiero lontano, era un nome che non significava niente, un brutto ricordo. Si rotolarono sull’erba, si spogliarono, lentamente, e fecero l’amore. Poi lei si abbandonò al fianco di Hyoga, e ascoltò la sua voce che la chiamava, dolcemente.

‹‹Freija››.

‹‹Sì…››.

‹‹Freija, è ora di andare››.

Aprì gli occhi di colpo, scattando in piedi e spaventando Hyoga.

‹‹Pensavo tu stessi dormendo!››.

Lei si guardò attorno. Il fuoco era spento, sparita ogni sua traccia, i cavalli erano sellati e pronti, Hyoga era inginocchiato vicino a dove lei stava stesa. Aveva sognato.

‹‹Infatti, stavo sognando…›› blaterò Freija stropicciandosi gli occhi.

‹‹Mi dispiace d’averti svegliato! Era un bel sogno almeno?››.

 

Note

1) ‹‹Valli del tasso››.

2) È vero?, ( eta právda ).

3) Scusa, ( prostí ).

4) Mi rendo conto che le pagine che seguono sarebbero una lettura difficile anche per gli appassionati della serie. Ho scelto di riassumere le vicende di "Saint Seiya" solo per chi fosse interessato al background dei personaggi di questo libro. Premetto che non sono indispensabili alla comprensione della storia, e che si può riprendere la lettura da pagina 242, senza alcun problema.

5) Letteralmente ‹‹Ago Scarlatto››. Qui s’intende l’aculeo con cui termina la coda dello scorpione, nel quale sboccano le ghiandole velenose.

6) Misopethamenos, la tecnica divina del rallentamento cardiaco. Atena aveva donato a Doko il grandissimo potere di modificare la velocità delle sue funzioni vitali, permettendogli di restare giovane. Dall’ultimo scontro, il cuore di Doko rallentò enormemente la frequenza dei battiti, cosicché la durata di un anno fu per lui pari al passare di un giorno. All’apparenza invecchiato nel corpo, ma non nello spirito, Doko si liberò delle spoglie del vecchio maestro svelando il corpo di un ventenne, essendo passati per lui non duecentoquarantatrè anni ma solo otto mesi.

7) Nella dottrina buddista, Arayashiki significa cosa segreta, o la radice di tutto.

8) Nel buddismo, il fiume che divide il regno dei vivi da quello dei morti.

9) Forza!, ( navalís ).

10) Accidenti, ( nu i nu ).

11) Anche tu, diventi sempre più bella, ( ty tóje, stanovíešč’sia vsio crasívieie ).