CAPITOLO XXIII

Il buio macchiato di rosso

 

A

prì lentamente gli occhi, ancora intontito, e si trovò nell’oscurità, immerso in un innaturale silenzio, interrogandosi se il suo non fosse stato soltanto un incubo. Il fastidioso ronzio che gli echeggiava nella testa e il dolore diffuso in tutto il corpo gli riportarono alla mente il corso degli eventi.

Impiegò un lasso di tempo che sembrò interminabile per ritornare, almeno in parte, padrone del suo corpo e consapevole delle sue sensazioni. I suoi occhi cominciarono ad abituarsi all’oscurità ma non riuscì a vedere niente che gli permettesse d’indovinare dove fosse. In compenso, l’odore penetrante della pietra umida e la pesantezza dell’aria viziata, entrambi già conosciuti, gli suggerirono che era nuovamente rinchiuso nelle segrete del palazzo.

Poteva tentare la fuga, come quando Freija lo aveva aiutato a scappare. Per prima cosa avrebbe dovuto liberarsi, più facile da pensare che da realizzare. Le corde con cui l’avevano legato gli segavano i polsi, gli avevano procurato uno spiacevole formicolio alle mani che gli rendeva difficile persino il chiuderle a pugno. Altre corde, anche quelle strettissime, gli tenevano unite le caviglie: gli avevano tolto gli stivali di modo che non potesse liberarsi le gambe sfilandoseli. A peggiorare la situazione si aggiungeva la scomodo sistemazione che gli avevano trovato i suoi carcerieri. Una seconda corda gli stringeva i polsi, e con quella l’avevano appeso al soffitto, abbastanza in alto perché non riuscisse a toccare terra nemmeno con la punta dei piedi.

Perché tentare la fuga…? Dopotutto, lei ha voluto tutto questo. O forse, in tutta quest’incredibile storia, quello di vederla è stato il vero incubo?

Col passare del tempo la visibilità migliorava e ora poteva vedere una flebile luce che filtrava dalla fessura sotto la porta e proveniva dalle torce che illuminavano il corridoio.

Mosse le mani, insensibili, e avvertì una fitta intensa al braccio sinistro. Il fatto di dover sorreggere il peso del corpo non avrebbe lenito quel dolore, ma Hyoga cercò d’ignorarlo e si concentrò per richiamare l’energia del suo cosmo. Grazie al suo potere, avrebbe congelato le corde che lo imprigionavano e le avrebbe frantumate con facilità. Strinse forte i pugni e tese i muscoli nello sforzo. Sentì il crescente calore del potere invadergli il corpo e ristorarlo. Era convinto di essere riuscito quando, d’un tratto, perse la concentrazione e tutti i suoi sforzi svanirono in uno slavato alone azzurro che lo illuminò quasi impercettibilmente. Era distrutto e non era in grado di evocare le energie fredde che padroneggiava. Strinse i denti e s’impegnò in un secondo tentativo ma fu inutile. Allora si accorse di non essere solo. Sentì dei rumori dietro di lui, forse un altro prigioniero. La risposta ai suoi interrogativi gli arrivò accompagnata da una violenta bastonata ai reni.

‹‹Non ti sforzare, bastardo, capisci che non puoi liberarti? Stavolta non potrai usare i tuoi meschini trucchi!››.

Magni…

Il capitano andò ad aprire la porta e passando gli diede una spinta che lo fece dondolare scompostamente, risvegliando un’infinita di dolori ben distribuiti in tutto il corpo. Magni parlò con qualcuno nel corridoio che si allontanò a grandi passi. Il capitano rientrò nella cella con una torcia che infilò in un anello di metallo incastrato nella pietra del muro, illuminando debolmente l’angusto ambiente.

‹‹Mio padre avrebbe dovuto ucciderti quando ebbe l’occasione!›› disse improvvisamente. Si avvicinò minacciosamente a Hyoga e gli strinse il viso con la sua mano fasciata dal guanto metallico. ‹‹Stavolta però non verrà nessuno a salvarti, e avrò l’onore di ammazzarti quando sarà il momento!››.

Hyoga fissò attentamente Magni, i suoi occhi marrone chiaro screziati di riflessi rossastri, e ancora una volta rivisse quel momento, come se l’uomo che aveva di fronte gli ricordasse qualcuno che aveva conosciuto, molto tempo prima.

‹‹Cosa vuoi da me?›› biascicò Hyoga. ‹‹Non ho idea di chi fosse tuo padre…››. Magni lo interruppe subito mollandogli un ceffone.

‹‹Lo sai benissimo, bastardo!›› urlò diventando rosso in volto per la collera. ‹‹Maledetti, voi l’avete assassinato! Ora finalmente il mio martello berrà il tuo sangue!››.

Si scambiarono un lungo sguardo e Hyoga riuscì a collegare Magni ad un uomo che aveva incontrato sette anni prima.

‹‹Tu sei…››.

‹‹Io sono il figlio del possente Thor, (1) il Portatore di Mjöllnir, lo Stritolatore!››. Pronunciò quelle parole solennemente, alzando fiero la testa e battendo la mano sul martello che teneva appeso alla cintola. Hyoga riconobbe allora il temibile martello che era appartenuto a Thor. Quell’inestimabile e ineguagliabile strumento d’offesa, una volta lanciato in aria, tornava nelle mani di chi l’aveva scagliato, dopo aver inesorabilmente frantumato il bersaglio, come un insolito ma ben più devastante boomerang.

Hyoga si trovava ora in balia di un uomo assetato di vendetta che vedeva in lui l’assassino del padre. Non era esattamente la verità, Hyoga avrebbe voluto spiegarsi. Purtroppo si rese conto che non aveva il tempo per farlo e che, tanto meno, il vendicativo guerriero lo avrebbe ascoltato.

Non ho la forza per liberarmi, né l’avrei per difendermi se fossi libero… Sono morto…

Magni intanto aveva estratto un pugnale e con quello si divertiva a punzecchiargli la gola, accompagnando ogni puntura con parole d’odio e di scherno. Hyoga chiuse gli occhi e cominciò a pregare nel momento stesso in cui sentì la lama premere sul suo collo in tutta la sua lunghezza. Si aspettava, da un momento all’altro, di sentire scorrere l’affilata lama sulla sua pelle e, paragonandola alle gocce di sudore che ora gli bagnavano il corpo, immaginò l’agghiacciante sensazione che avrebbe provato quando il sangue fosse sgorgato dalla mortale ferita.

Voci e passi in avvicinamento nel corridoio distolsero Magni dal suo insano divertimento e, quando cessò il freddo contatto con la lama, Hyoga tirò un sospiro di sollievo. Magni rinfoderò il pugnale e si spostò di lato per lasciare il posto a Leif.

‹‹Ben svegliato!››. Lo jarl si fermò davanti a Hyoga assumendo la solita, spavalda postura, con le mani sui fianchi e le gambe divaricate. Il sorriso che sfoggiava esprimeva la gran soddisfazione che provava nel vedere il suo acerrimo rivale umiliato a quel modo. Si lisciò con una mano la barbetta nera sul mento e si sforzò di non ridere. ‹‹Ti trovo in ottima forma!›› disse incrociando le braccia sul petto. ‹‹Sono davvero stupito, anzi, che tu ti sia ripreso tanto velocemente!›› aggiunse con un tono di voce che univa sarcasmo e una nota di sincero stupore. ‹‹Avevo sperato che il tuo sonno si protraesse più a lungo, per tutto il giorno sarebbe stato l’ideale. È incredibile come tu riesca a crearmi dei problemi anche in queste condizioni! È un vero peccato, per te naturalmente, ›› continuò fingendosi dispiaciuto, ‹‹perché ora abbiamo un impegno urgente e non possiamo certo lasciarti sveglio e incustodito. Saremo costretti a farti prendere sonno con la forza e, credimi, la cosa non mi dispiace per niente!››.

‹‹In queste condizioni non posso certo creare dei problemi! Oppure devo pensare che mi temi anche legato e appeso come un sacco?››. Hyoga cercava di prendere tempo e sapeva che il modo migliore era quello di stuzzicare Leif. Orgoglioso e permaloso com’era, Leif non si sarebbe mai sottratto al duello verbale.

‹‹Ottimo tentativo›› rise lo jarl. ‹‹Alcuni amici hanno provveduto ad informarmi sul tuo conto e quello che ho sentito non mi è piaciuto, Sacro Guerriero!››.

Hyoga si chiese se fosse stato Magni a svelargli il suo segreto. Non dovevano essere molte ad Ásgarðr le persone che lo conoscevano per ciò che era veramente, e si rifiutò di credere che Hilda, Freyr o Freija potessero averlo tradito. Però, nonostante si sforzasse di convincersi, il ricordo della figura di donna nell’ombra alimentava i suoi crescenti dubbi.

‹‹Perché mi stai facendo questo? Ho diritto ad una risposta›› disse Hyoga sfidando Leif con uno sguardo gelido.

Leif scoppiò a ridere e con lui, i due uomini che l’avevano

‹‹Magni, va a vedere se è tutto pronto per la nostra partenza. Non vorrei fare tardi!››. Magni uscì velocemente dalla cella.

Quello era il giorno del Þing, e Hyoga provò la spiacevole sensazione che Leif avesse progettato qualcosa che andava ben oltre la sua eliminazione.

‹‹Perché l’hai mandato via?›› chiese. Il presentimento di un pericolo ben più grave di quello che correva in prima persona gli fece dimenticare che la sua situazione era disperata e lo fece preoccupare per coloro che gli erano cari. ‹‹Forse perché temi che ti abbandoni sentendo la verità?››.

Non sapeva esattamente che effetto avrebbero avuto le sue supposizioni ma intuì di aver colto nel segno quando vide che Leif aveva abbandonato il suo sorriso beffardo e si era fatto serio. Era dunque vero che Leif aveva ottenuto l’aiuto di Magni nascondendogli qualcosa: ma cosa? Hyoga non riusciva ad immaginare il nesso logico che univa la sua incarcerazione con l’assemblea che si sarebbe svolta quel giorno ma sapeva che, in qualche modo, i due eventi erano indissolubilmente collegati.

‹‹Avevi bisogno della sua sete di vendetta per la morte del padre per essere sicuro di non fallire nella mia cattura, non è vero? Avevi sperato nella mia partenza subito dopo il Consiglio, questo lo so per certo, ma Hilda mi ha chiesto di trattenermi ancora per qualche giorno, proprio per assistere al Þing. Hilda mi ha nominato Landvarnarmaðr d’Ásgarðr, non posso assolutamente mancare! Cosa diranno quando non mi troveranno?››.

Leif rise. ‹‹Ci sarà un gran trambusto di sopra, tra un po’. Tu sei partito in gran fretta stanotte, non è rimasto niente di tuo. Il tuo bagaglio è sparito, tu sei sparito!››.

‹‹Cosa dici? Hilda mi verrà a cercare!››.

‹‹No, no›› disse Leif scuotendo la testa. ‹‹Ho lasciato qualche traccia in giro, giusto per confondere un po’ la pista. Hilda non crederà che sei partito senza salutarla, ma deve assistere al Þing, e avrà poco tempo per pensare a te. Poi, quando troveranno la ragazza morta… chissà se Hilda, col suo famoso acume, noterà i due bicchieri che ho lasciato per lei sul tavolo?››.

‹‹Ragazza… morta?››.

‹‹Tia naturalmente, la tua serva preferita››. Leif rise, Hyoga strinse gli occhi per non piangere. ‹‹Ho dovuto farlo, sapeva troppe cose… È stata brava a recitare la parte di Freija ieri sera, vero? Avessi visto la tua faccia!››.

‹‹Era lei…››.

‹‹Hai creduto davvero che fosse Freija?›› esclamò Leif incredulo. ‹‹Che ingenuo sei! Freija dormiva come un sasso, non s’è nemmeno accorta di quando le ho tolto il vestito››. Leif rise compiaciuto. ‹‹Fare indossare a Tia il vestito di Freija è stato un vero colpo di genio, non trovi?››.

‹‹Sei un vigliacco! Maledetto!››.

Leif fece un cenno a Guga che si sistemò dietro a Hyoga, brandendo la sua mazza. Colpì con tutta la sua forza quando lo jarl mosse la testa per la seconda volta.

‹‹Non ti agitare, cristiano!›› disse Leif con disprezzo strappandogli la croce del nord. Guardò il crocefisso e sputò per terra. ‹‹Prega pure, ma il tuo dio non ti salverà da questa situazione››.

‹‹Non stai facendo tutto questo per semplice gelosia, Leif! Io non devo partecipare al Þing oggi, giusto? Perché non devo esserci?››. Hyoga continuava a martellare di domande Leif, che si stava agitando, e notò che i due uomini che lo avevano accompagnato parlottavano concitatamente tra loro. Era sulla strada giusta e dunque continuò. ‹‹Dimmi cosa stai tramando! Perché non dove essere presente? Cosa deve succedere?››.

Leif fu come risvegliato dalle grida di Hyoga e diventò livido di rabbia. Strinse forte un pugno e colpì con tutta la sua forza. Hyoga aspettò il colpo a muso duro e continuò a fissare Leif nonostante il dolore alla mandibola.

‹‹Tu non sei nessuno!›› urlò Leif mentre le vene del collo gli si gonfiavano e palpitavano per la pressione del sangue. ‹‹Non hai alcun diritto di partecipare al Þing ma l’ho io! Il titolo che ti è stato assegnato non varrà niente quando governerò, perché io sarò tutto!›› disse battendosi una mano sul petto. Improvvisamente ricominciò a parlare con calma. ‹‹Oggi io conquisterò il potere assoluto col consenso dell’assemblea! Sarà Freija che me lo consegnerà, come mia consorte, e tutti gli uomini che ho riunito dalla mia parte!››.

Hyoga batté gli occhi, incapace di credere a quelle parole.

‹‹Sei folle! Potrai incantare Freija illudendola con le tue false promesse d’amore ma non potrai nulla contro Hilda. Lei non te lo permetterà mai!››.

‹‹La Grande Sacerdotessa ha i minuti contati›› mormorò con cattiveria, mostrando tutto l’odio che provava per Hilda in uno sguardo indemoniato.

‹‹Tu… Che tu sia stramaledetto! Tu vuoi ucciderla?!››.

‹‹Bravo, cristiano!››. Leif scoppiò a ridere.

Hyoga cominciò a dimenarsi strattonando la corda che lo teneva appeso e ferendosi i polsi che cominciarono a sanguinare. Sbraitava e gridava in una lingua che Leif e i suoi compari non potevano capire. Lo jarl indietreggiò per evitare le gambe di Hyoga che scalciava come un cavallo imbizzarrito.

‹‹Adesso basta›› disse dopo un po’ Leif. ‹‹Sono stufo di te e delle tue incomprensibili minacce. Non ti temo, utlänning, è giusto che tu lo sappia, ora che stai per morire!››. Sputò per terra e rise. ‹‹I miei due compagni, qui, resteranno a farti compagnia per un po’ di tempo e immagino che vi divertirete››. S’inchinò a Hyoga e, prima di uscire, sussurrò qualche parola all’orecchio di uno dei due uomini. ‹‹Non uccidetelo, mi serve vivo! È il premio che ho promesso a Magni! Fatelo riaddormentare ma non vi dilungate e, soprattutto, siate puntuali!››.

Le speranze di salvezza di Hyoga precipitarono quando restò solo con i due uomini. Guga e Agni lo squadrarono soddisfatti, accarezzando le loro armi.

‹‹Schifosi traditori!›› inveì Hyoga.

Guga avanzò sorridendo. ‹‹Hai paura, utlänning?››.

‹‹Slegami, e ti dimostro come combatte un vero uomo!››.

‹‹Non meriti quest’onore!›› grugnì Guga.

‹‹Non siamo qui per fare conversazione!›› sbottò Agni avvicinandosi e spostando di lato il compagno. Passò davanti agli occhi di Hyoga la sua mazza ferrata, e la fece roteare nel palmo della mano. ‹‹Te la ricordi? L’hai assaggiata stanotte, ma un ripasso non ti farà male!››.

Agni impugnò la mazza a due mani e colpì con forza, allo stomaco, due, tre volte. Hyoga gridò e ringraziò quella droga sconosciuta che l’aveva lasciato ancora intorpidito.

‹‹Abbi almeno il buon gusto di non urlare!›› gli sussurrò all’orecchio Guga. ‹‹Siamo a conoscenza delle tue grandi imprese e confidiamo, per il nostro divertimento, nella tua resistenza. Quindi resisti a denti stretti, perché siamo solo all’inizio››.

Agni ricominciò a colpire, ritmicamente e con rabbia. Hyoga subiva, gemendo e dondolando avanti e indietro ad ogni colpo. Si sentiva il fuoco dentro, nello stomaco, nell’addome e nel torace, ma ben presto il dolore vecchio lenì quello nuovo e si abituò alla spiacevole sensazione di bruciore. Sul suo viso comparve una smorfia, un sorriso accennato e la vista gli si appannò.

‹‹Trattieniti, Agni!›› sbottò impaziente Guga. ‹‹Leif ha detto che non deve morire, ancora!››.

Il soldato si voltò di scatto verso il compagno. ‹‹Non è da Leif che riceviamo ordini! Bylistr ci ha comandato diversamente, se ben ricordi!››.

‹‹Abbassa la voce, sbruffone, perché non m’intimorisci!››.

I due uomini cominciarono a discutere tra loro e Hyoga, vedendoli litigare e strattonarsi, sperò che scoppiasse una rissa. La fortuna non gli sorrise nemmeno in quel caso perché Guga, ad un certo punto, alzò le mani e si calmò.

‹‹Ora basta discutere! Non abbiamo tempo per decidere adesso perché si sta facendo tardi e non voglio incorrere nell’ira di Bylistr! Auguriamo la buona notte al nostro ospite!››.

L’inverno stava allungando la sua fredda mano sulla terra e, dopo la copiosa nevicata della notte, la mattina si presentò agli occhi di Freija triste e gelida. Le campagne e i monti che circondavano la cittadella, mascherati da uno spesso strato di neve, erano illuminati da un sole grigio seminascosto da diffuse nuvole che macchiavano di nero un cielo scolorito.

Quando si presentò nella sala per la colazione, non si sentiva ancora sveglia. Aveva dormito profondamente quella notte, un lungo sonno fino a quando Fulla e Hlin l’avevano svegliata bussando alla sua porta. Se non fosse stato per loro, forse sarebbe restata ancora a dormire.

Freija vide sua sorella, seduta sola e pensosa. Si sistemò al suo posto, cercando di riprendersi dal torpore che non la voleva abbandonare.

Quel sonnifero è stato davvero efficace!

Hilda, con la testa abbandonata di lato sorretta dal braccio, sembrava, in quella cupa mattina autunnale, invecchiata e stanca, oppressa da spossanti preoccupazioni.

Comportarsi con naturalezza era la soluzione migliore cui Freija aveva pensato. Non aveva avuto molto tempo a disposizione d’altronde, dopo l’incontro con Leif e la notte di sonno profondo, ma vedendo sua sorella cercò di accantonare l’imbarazzo della sera prima.

Hilda era strana, assente, e Freija sperò che anche Hyoga, quando fosse arrivato, evitasse di mostrarsi troppo impacciato in sua presenza. Avrebbe rovinato tutto. Hilda continuava a fissare il vuoto, con le sopracciglia corrugate, e le labbra tirate.

‹‹Non ti senti bene, Hilda?››.

‹‹Ho dormito male stanotte›› mentì la sacerdotessa.

Freija le sorrise e afferrò pane e burro, cominciando a spalmare la fetta che si era tagliata.

‹‹Siamo arrivate prima di tutti›› esclamò gioviale. ‹‹D’altronde, in un giornata cupa come questa, chi mai vorrebbe alzarsi?››. Freija cominciò a spiluccare, mangiando a bocconi piccoli la grossa fetta di pane. ‹‹Freyr è tornato?›› chiese tra un boccone e l’altro. ‹‹Mi dispiace che ieri sera non abbiate cenato con noi››.

‹‹Devo dirti una cosa››. Hilda parlava a voce bassa e strascicava le parole, come se fosse per lei uno sforzo immane far uscire la voce.

Freija si scosse di colpo e le cadde di mano la fetta di pane che si appiccicò alla tovaglia dal lato imburrato. Con calma la raccolse, e cominciò a pulire la tela unta.

‹‹Se è per ieri sera, Hilda, ti prego di rimandare a dopo. Leif sta per scendere…››.

La sacerdotessa guardò sorpresa sua sorella che adesso beveva latte e mostrò un sorriso tirato che rivelò una grande malinconia.

‹‹Sei adulta, Freija, e dunque in grado di decidere da sola››.

Freija alzò i suoi grandi occhi verdi dalla tazza e li fissò in quelli cerulei di Hilda. La sacerdotessa alzò le spalle con noncuranza.

‹‹Non ho niente da dire, riguardo ciò che ho visto. Sei adulta…›› ribadì Hilda schiarendosi la gola, scacciando dalla mente le terribili parole di Leif.

‹‹Sono un po’ sorpresa›› cominciò a dire. ‹‹Mi aspettavo almeno un commento pungente, di quelli tuoi soliti. Come devo interpretare questa tua neutralità?››.

Hilda fece una smorfia, come se stesse per cominciare a piangere, poi si riprese, ma la sua tensione si rifletteva nelle contrazioni dei muscoli del collo.

‹‹Hilda?›› s’allarmò Freija. ‹‹Cosa mi devi dire?››.

‹‹Hyoga è sparito…››.

Freija smise di respirare e sgranò gli occhi.

‹‹Che sciocchezza…›› le sfuggì.

‹‹Temo abbia lasciato Ásgarðr›› spiegò Hilda stropicciandosi la fronte con le mani. ‹‹Ank è andato a chiamarlo stamattina, ma ha trovato la porta aperta e la stanza vuota››.

‹‹Non essere sciocca, Hilda›› rise istericamente Freija. ‹‹Sarà uscito a passeggiare! Dovresti sapere che è mattiniero››.

‹‹Ho visto la stanza… manca anche il suo bagaglio››. Hilda strinse le labbra, vedendo l’espressione incredula sul volto di Freija. ‹‹Non è rimasto niente di suo…››.

‹‹Se è uno scherzo, lo trovo davvero di cattivo gusto!›› s’irritò Freija.

‹‹Pareva strano anche a me, ma mi sono informata. Helgi dice d’aver visto un uomo lasciare la cinta interna, poco dopo la mezzanotte, ma non garantisce sull’identità, perché l’ha visto da lontano ed era tutto imbacuccato. Le guardie non l’hanno visto in faccia ma Thorgall l’ha riconosciuto e l’ha fatto passare››.

‹‹E Heimdallr? Lui conosce Hyoga››.

‹‹A quell’ora c’era Magni alla cinta muraria esterna, perché ieri sera, alla Casa della Guardia, Heimdallr s’è sentito male e non poteva stare in piedi per i dolori allo stomaco››. Hilda sospirò. ‹‹Magni ha riconosciuto Hyoga e, a quanto pare, si sono parlati››.

‹‹E Hyoga cos’ha detto?››.

Hilda alzò le spalle. ‹‹Magni ha detto che l’ha semplicemente salutato, pareva che andasse di fretta››.

‹‹Perché… è andato via?››.

Hilda vide Freija farsi piccola, e abbracciarsi il petto come se si volesse proteggere, con gli occhi lucidi ridotti a due fessure.

‹‹Freija, no! Non ora…››. Hilda indicò la porta mentre Leif entrava in sala, con passo deciso e sicuro, abbigliato elegantemente e con un bel sorriso.

‹‹Buongiorno, belle signore!›› esclamò vicino a Freija. ‹‹Che vi succede? Entrambe avete una brutta cera. Freija, non hai dormito bene?››.

‹‹Ho dormito benissimo, grazie›› rispose lei con gentilezza estrema. Poi la sua espressione mutò. ‹‹Cos’hai fatto al viso?››.

Leif sgranò gli occhi, preso alla sprovvista, poi ricordò la colluttazione. Si portò una mano alla guancia, e la guardò da sotto le sopracciglia inarcate.

‹‹Un piccolo incidente, ieri sera… niente di grave››.

‹‹Niente di grave?›› esclamò lei. ‹‹Hai un sopracciglio tagliato, e un livido vicino all’occhio… Com’è successo? E quando, poi?››.

Un regalo del tuo maledetto amico!

Leif sorrise. ‹‹Mi vergognò un po’, a dirlo ma… alla Casa della Guardia, alcuni soldati hanno fanno dei commenti pesanti… su di te… sul tuo corpo…››.

Perfetto, e meraviglioso e tutto per me!

‹‹Che genere di commenti?›› chiese Hilda gelida come il vento che soffiava contro le finestre.

‹‹Parole che non ripeterei alla presenza di due signore…››.

‹‹E questi segni?›› chiese ancora Freija.

‹‹Ho soltanto fatto in modo che ti portassero il dovuto rispetto. Tutto qui››.

Freija arrossì, di gioia, Hilda chiuse gli occhi e strinse forte i denti. Avrebbe voluto chiamare le guardie e farlo giustiziare all’istante. Si sarebbe divertita a vedere il corpo di Leif inginocchiato ai suoi piedi senza testa. Sì, avrebbe brandito la spada di Helgi e gliel’avrebbe tagliata lei! Freija gli parlava con tranquillità, come se quello che sedeva al suo fianco fosse un altro uomo, e non quello che l’aveva violentata e picchiata.

‹‹È bello che tu mi difenda, ma non era necessario che venissi alle mani… Sai che non giustifico la violenza››. Leif la fissò intensamente. A parte tutto, era davvero pentito per ciò che le aveva fatto.

‹‹Lo so, e non succederà più, hai la mia parola››.

‹‹Non dovresti frequentare la Casa della Guardia, Leif›› intervenne Hilda. ‹‹I soldati passano gli inverni all’insegna di passatempi violenti e pericolosi. Stavolta ne sei uscito un po’ ammaccato, poteva andarti peggio››.

‹‹Lo rammenterò, Hilda›› ringraziò. ‹‹A proposito, dove sono Freyr e il Landvarnarmaðr?›› chiese. Addentò una focaccia, aspettando una risposta.

‹‹Non saprei›› rispose in tono asciutto Hilda. ‹‹Stamattina è la mattina dei misteri!››.

‹‹Hilda, non essere scortese›› disse Freija.

‹‹Mi dispiace d’averti seccato con la mia domanda›› si scusò Leif.

Era diverso, si disse Hilda sezionandolo col suo sguardo di ghiaccio e analizzando le sfumature nella sua voce. Sembrava davvero interessato a sapere dove fossero Freyr e Hyoga, e sinceramente dispiaciuto per averla innervosita, ma Hilda non gli credette, pur sforzandosi di moderare il suo umore.

‹‹Dopo l’improvvisa partenza di Hyoga, vengo a sapere che nemmeno Freyr è a palazzo! È sparito ieri pomeriggio, e non è ancora tornato!››.

Leif smise di mangiare e la guardò stupito.

‹‹Davvero?››. Cercò d’immaginare in che guaio poteva essersi cacciato il principe e si trovò a sperare che avesse incontrato Ragnarr ad Asabigð.

Se l’ha incontrato davvero, spero che Ragnarr l’abbia infilzato come merita!

‹‹Che significa partenza, poi?›› chiese ancora. ‹‹Oggi c’è il Þing, il Landvarnarmaðr non può mancare››.

‹‹Eppure Hyoga è andato via, stanotte, senza avvertire nessuno, cosa che trovò decisamente strana!››. Si premette i pollici sulle tempie, poi si alzò da tavola. ‹‹Continuate senza di me, vi prego, vado a prendere qualcosa che mi plachi il mal di testa!››.

‹‹Hilda! Hilda! Una sciagura!››.

Gna entrò trafelata nella sala, quasi senza fiato, tremante e con l’orrore negli occhi.

‹‹Cosa succede?›› esclamò Freija colta alla sprovvista.

‹‹Corri, Hilda! È successa una cosa terribile!››.

‹‹Gna, calmati! E spiegati meglio!››.

La thír trasse dei respiri profondi per calmarsi, Hilda l’aiutava a stare in piedi. Lei e Freija erano però spiritate, rese inquiete dalle enigmatiche parole.

‹‹Tia, signora… è morta!››.

‹‹Tia… morta?!›› ripeté Freija scioccata. Leif era serio, con uno sguardo imperturbabile.

‹‹Com’è successo?›› s’informò alzandosi.

Nella camera della serva non era stato toccato niente, anzi nessuno era entrato, a parte Thora che si era preoccupata per l’assenza di Tia nelle cucine quella mattina.

Hilda arrivò di corsa, Freija non era voluta salire a vedere e Leif era rimasto con lei. Nella stanza c’era già Eir, che osservava con estrema tristezza il corpo scomposto della ragazza, mezza nuda e attorcigliata nelle coperte.

‹‹Che Odino ci protegga!››.

‹‹Immagino che sia stato il cuore›› disse la guaritrice quando vide Hilda. ‹‹Era giovane, ma non è stata uccisa, credo. Nessun segno di colpi e ferite››.

Hilda osservò anche lei Tia, pallidissima, con gli occhi sbarrati e la bocca aperta. Doveva aver urlato, ma non l’aveva sentita nessuno.

Tia… eri tu che mi chiedevi aiuto?

‹‹Era così giovane›› disse Thora piangendo. ‹‹Com’è potuto succedere…?››.

Era così giovane…

‹‹Hilda, va tutto bene?›› le chiese Eir, vedendola pallida.

La sacerdotessa annuì, con un debole sorriso.

‹‹Ubbi›› chiamò Hilda. Entrò un uomo di mezz’età, uno dei thraells più anziani di palazzo. Ubbi si occupava dei lavori pesanti, e nelle sue mansioni rientravano anche quelli più ingrati, come quello. ‹‹Vai a chiamare qualcuno, Magni, Hermóðr, chiunque sia, che mandino qualche uomo ad aiutarti a portarla via››. Ubbi obbedì all’istante. ‹‹Eir, falla sistemare da qualche parte, la seppelliremo poi›› disse Hilda avvicinandosi al medico. ‹‹E mentre siamo al Þing, controlla che non sia stata avvelenata››. Hilda le parlò all’orecchio e Eir, perplessa, rispose con la stessa riservatezza.

‹‹Che significa, Hilda?››.

‹‹Vorrei sapere se è davvero morta per cause naturali››.

Eir si mosse per coprire il volto di Tia con la coperta, intanto gettò un’occhiata furtiva nel corridoio. Erano tutti andati via, vedere un morto non era una novità per nessuno, anche se si trattava di una ragazzina che tutti conoscevano, e c’era molto lavoro da sbrigare. Per i thraells, la vita scorreva in maniera diversa, tutta spesa per il lavoro, e acquistava anche un significato diverso. Non minore, semplicemente diverso. A Tia era scoppiato il cuore, dissero, così aveva detto il medico, e la loro vita riprese.

‹‹Gna, vai a mangiare qualcosa›› suggerì Eir gentilmente.

Gna era rimasta sola sulla soglia e guardava il corpo esanime nascosto dalle coperte, era molto affezionata a Tia. Annuì e corse via anche lei.

‹‹Temi che sia stata uccisa?›› chiese Eir avvicinandosi ancora al letto.

‹‹Vorrei solo che tu controllassi per me›› disse Hilda.

Eir annuì. ‹‹Certo, lo farò. Ma immagino che ci sia qualcosa che t’induce a una simile richiesta, o sbaglio?››.

‹‹Ci sono due corni, là sopra›› spiegò indicando il tavolo. ‹‹Non era sola, qualcuno è stato con lei…››.

‹‹Ottima osservazione›› si complimentò Eir andando a controllare di persona. ‹‹Sono stati usati tutti e due… Se davvero qualcuno l’ha uccisa è stato distratto››.

Restarono un momento in silenzio, Eir a guardarsi attorno in cerca di qualche indizio, Hilda a guardare la sagoma sotto le coperte.

‹‹Hyoga è andato via, stanotte››. Non poteva nascondere quella notizia che l’aveva sconvolta.

‹‹Sì, l’ho saputo, ne parlano tutti. Mi pare una cosa tanto strana…››.

‹‹Anche a me, eppure è così. Non ha lasciato niente, la sua stanza è vuota, come se non ci fosse mai stato››. La voce di Hilda calò fino a ridursi ad un mormorio.

Un pensiero attraversò la mente di Eir, ma il medico rifletté a lungo prima di parlare.

‹‹Helgi ha detto d’aver visto qualcuno andarsene di fretta, Thorgall poi gli ha detto che era Hyoga. Alle porte d’Ásgarðr ha salutato Magni, molto sbrigativamente››. Fece una pausa. ‹‹Forse scappava…››.

‹‹Se hai anche solo immaginato che sia stato Hyoga, sei fuori strada!››. Hilda si voltò a fissare Eir dritto negli occhi.

‹‹Non volevo accusarlo… Ma forse altri lo penseranno…››.

‹‹Forse è quello che vogliono farci credere›› avanzò Hilda alterata. ‹‹Troppi misteri, in questa giornata, c’è qualcosa che mi sfugge. Non riesco a capire!››. Camminò su e giù per la stanza, nervosamente.

‹‹Hyoga è sparito, e Tia è morta ormai. Arrovellarsi il cervello non servirà!›› sentenziò Eir.

‹‹Dimentichi che so come rintracciarlo!›› le ricordò Hilda, agitando l’indice. ‹‹Quando sarà finito il Þing, anche la sua sparizione troverà una spiegazione. Ma ora si è fatto tardi, devo scappare. Ma tu fai questo per me!›› ripeté Hilda. ‹‹Accertati sulle cause della morte di Tia, prendi anche i due corni se ti possono essere d’aiuto. Poi passa a dare un’occhiata a Heimdallr, per vedere come sta. Non ti pare strano che si sia sentito male proprio stanotte?››.

Eir rifletté per un momento, poi annuì con convinzione.

‹‹Sì, è strano soprattutto perché l’ha sostituito Magni››.

‹‹Troppe coincidenze…››.

Nella società vichinga, la legge era associata al Þing, era una prerogativa di tutti i liberi e la sua applicazione era pubblica. Ogni bondi partecipava al tribunale locale, perché i liberi proprietari erano sensibili a qualsiasi minaccia alla loro indipendenza, e più che mai, al loro diritto di esprimere le proprie opinioni nell’assemblea. Erano, infatti, il grido e il cozzare delle armi sullo scudo dei partecipanti che conferivano validità alle decisioni del Þing.

I rami della legge erano molteplici. C’erano regole per aprire, svolgere e chiudere l’assemblea e per eseguire i compiti nel debito ordine e con le necessarie garanzie. Segni di confine, diritti di caccia, abbattimenti di alberi e raccolta di legna, pascolo abusivo e furto di pecore erano le cagioni più frequenti di causa. Ma si prendevano provvedimenti anche contro satire e calunnie, componimenti di canzoni d’amore, contro il fare irrancidire il burro del vicino e attirarne le api.

Le offese contro la persona erano punite con un’infinita gradazione di penalità che andavano dal taglio di un dito a quello della testa. Altre leggi ancora contemplavano le offese alla morale pubblica e i danni alla comunità; altre trattavano delle ammende, della morte e del banditismo; c’erano leggi sugli stranieri, sulle nazioni estere e sul commercio. Di grande importanza erano anche le osservanze religiose, il rispetto per i luoghi sacri e le proprietà delle donne maritate.

L’assemblea stabiliva le tasse, si assicurava che ogni uomo fosse fornito delle armi appropriate e investigava sui delitti. L’individuo aveva infatti un suo valore, e questo valore poteva essere determinato. Complicate indennità da pagare in caso di delitto, valutate in argento, in lana o in vacche, erano la garanzia del fatto che un uomo non poteva essere offeso impunemente nella persona, nella famiglia negli averi o nell’onore. Immane era la sfera, oggetto di infinite dispute, riguardante gli omicidi, la legittima difesa e il combattimento leale, l’uccisione mediante incendio di edificio o quella in seguito a provocazione; l’uccisione di notte, in presenza del re o in luogo sacro; l’uccisione non confessata o con infamia, e l’assassinio per futili motivi.

La risoluzione di un caso era dunque difficile perché la procedura legale era ben lontana dalla perfezione e parlava, sotto tutte le voci succitate, a favore della dignità dell’uomo libero.

E si può ben dire parlava perché l’intero corpo della legge era tramandato a memoria, in quanto l’impiego della scrittura con le rune si adattava male alla stesura del codice o alla cronaca. Non c’era in questo alcun mistero, perché l’assemblea era un’istituzione bene organizzata e funzionale, che si reggeva sulle spalle di singoli individui, più o meno esperti di legge.

Una certa infarinatura di legge faceva parte dell’istruzione di un capo e contribuiva alla sua influenza e al mantenimento del suo potere. Mantenere una parte dei propri beni immobili per impieghi di carattere religioso, sia pure occasionale, e provvedere buoi e cavalli per i sacrifici era un privilegio e un’incombenza per gli uomini facoltosi e autorevoli. La posizione di tali uomini all’interno del distretto risultava rafforzata in questo modo ed entro breve tempo uomini del genere, e i loro congiunti, acquisivano il prestigioso titolo, importato dall’Islanda, di goði , (2) sacerdote secolare. La carica di goði non coincideva con un fondo o possedimento: essa poteva essere acquisita, condivisa, ceduta o abbandonata e rimaneva, comunque, appannaggio dei ricchi e dei potenti.

Il Þing era amministrato da un numero variabile di goðar, che dipendeva soprattutto dall’importanza e dall’estensione del distretto servito dall’assemblea. Il regno d’Ásgarðr era allora diviso in quattro contee, denominate fylkir, ognuna delle quali indiceva una sua assemblea. La Contea del Nord, Nörrfylkir, la più vasta e importante, che comprendeva anche la cittadella d’Ásgarðr, contava cinque goðar; quattro ce n’erano nella Söderfilkyr, mentre le Contee dell’Est e dell’Ovest avevano tre goðar ognuna.

Ognuna di queste contee indiceva proprie assemblee, due volte l’anno, in primavera e in autunno, con l’obbligo però di inviare uno dei sacerdoti secolari all’assemblea primaverile d’Ásgarðr. Infatti, il Þing autunnale aveva molta importanza per le cause minori, mentre l’assemblea primaverile, detta anche Lögrétta o correttrice della legge, era essenzialmente un’assemblea legislativa. Soltanto il Lögrétta d’Ásgarðr, altrimenti detto Asahöstþing, poteva fare nuove leggi, interpretare o emendare quelle vecchie; poteva elargire perdoni, concedeva permessi e aveva un modesto parere discrezionale nei confronti di diverse punizioni.

I goðar eleggevano poi un proclamatore della legge, detto lögsögumaðr, per un periodo rinnovabile di tre anni, il cui compito consisteva nell’esporre, in ciascun anno, una terza parte della legge all’assemblea riunita. Il proclamatore della legge era il depositario della legge ma non aveva alcuna funzione di governo sul paese né sui tribunali locali, anche se aveva una certa influenza.

Il proclamatore era il codice parlante, colui che durante l’assemblea esponeva la legge così com’era. Dunque, come l’uomo libero, il bondi, dipendeva dalla legge per rendere sicura e più facile la propria vita, così la legge dipendeva, per essere operante dalla buona volontà e dalla partecipazione del bondi.

Tuttavia, anche se questa era un’associazione felice e reciprocamente vantaggiosa, l’esecuzione di una sentenza era difficile e, di tanto in tanto impossibile, poiché si dava eccessiva importanza alle parti in causa e troppe cose dipendevano dalla loro iniziativa privata, dalla loro energia e dall’appoggio di cui potevano disporre.

Se un adulto era accusato di un crimine da dieci persone, allora doveva presentarsi, uomo o donna, davanti al tribunale, e aveva la possibilità di provare la propria innocenza, chiamando dodici testimoni o sottoponendosi ad un’ordalia. Era questa una prova, spesso cruenta, che rappresentava il responso divino sull’innocenza o colpevolezza dell’individuo: l’uomo poteva camminare su sassi roventi e la donna poteva raccogliere pietre da una caldaia di acqua bollente. Il tribunale decideva se l’accusato era colpevole o innocente ma non aveva alcun potere di far rispettare le decisioni prese. Ciascun bondi presente all’assemblea poteva manifestare assenso con il vápnatak, che consisteva nel battere le armi fra loro o sullo scudo, oppure poteva rifiutare la sentenza.

In linea di massima, poiché non erano in uso le prigioni, i colpevoli dovevano pagare una multa, più le spese del medico se c’era stato un ferimento. La multa per un omicidio era detta valore della vita, wergild, e si doveva pagare alla famiglia dell’ucciso. Gli autori di piccoli furti erano tosati e incatramati ed erano costretti a passare tra due file di gente che gettava sassi. Per i delitti più gravi, quelli commessi ad esempio durante una tregua, il colpevole era dichiarato fuorilegge e, uomo o donna che fosse, perdeva ogni protezione legale e poteva essere ucciso da chiunque.

Ogni adulto giudicato era vincolato dal proprio senso del dovere verso la comunità ma se non si riteneva soddisfatto o credeva che le forme legali non fossero adeguate nelle questioni inerenti al suo onore, poteva appellarsi alla spada. I duelli rappresentavano un’insolita forma di processo per ordalia e costituivano un altro modo per risolvere le liti. Famoso era l’hólmganga, duello dalle regole rigide che veniva combattuto su un telo di tre metri per lato. Alla fine della contesa, doveva pagare, in argento, colui che era stato maggiormente ferito. Se uno dei due litiganti moriva, allora tutte le sue ricchezze andavano all’avversario.

Gli uomini erano, ad ogni modo, rispettosi della legge, anche se litigiosi. Si avvalevano dei benefici della legge in rapporto alla loro persona e agli averi e vedevano la legge come un fattore di stabilità nei rapporti, dal re al capo locale, fino al bondi o al thraell.

Il Þing autunnale d’Ásgarðr si svolgeva, come ogni anno, la terza domenica del mese d’ottobre. Era un’assemblea molto importante, alla quale partecipavano sempre molti jarls e bóndis, tutti abitanti all’interno dei confini della Nörrfylkir.

Era stabilito che chi non poteva essere presente all’assemblea doveva inviare un suo rappresentante o pagare una piccola indennità. Le vedove e gli uomini che lavoravano soli potevano restare a casa, a meno che il Þing non fosse stato convocato per un assassinio o dal re.

La regina Skaði aveva fatto costruire, ad Asabigð, un grande edificio appositamente perché vi si potessero svolgere le assemblee, lungo almeno sessanta piedi e largo la metà, che poteva contenere un gran numero di persone in piedi, oltre ai posti che erano, di diritto, assegnati ai Signori d’Ásgarðr, al proclamatore, ai goðar e ai loro consiglieri.

Su una pedana di legno rialzata di mezzo metro rispetto al suolo, c’erano tre grandi seggi, riservati ai signori d’Ásgarðr. Davanti alla pedana, c’era il seggio del proclamatore e ai suoi lati, sistemati a formare un ampio semicerchio aperto verso l’enorme sala, i posti dei goðar. I consiglieri dei goðar, ogni goðar ne aveva uno, restavano in piedi, dietro la sedia del goðar, e non avevano diritto di voto.

Compresa tra quella che si sarebbe potuta definire la giuria, da una parte, e i bóndis dall’altra, recintato da radi paletti conficcati nel terreno, c’era un piccolo spazio destinato alle persone che erano in causa, come accusatori o accusati.

Quando ebbero governato le bestie e concluso i primi lavori nelle loro fattorie, passata dagmàl, uomini e donne cominciarono lentamente a sciamare verso il tribunale, dove si radunò in breve tempo una gran moltitudine di gente.

I signori d’Ásgarðr partirono per Asabigð con una scorta fornita. Leif cavalcava al fianco di Freija, coperta di uno sfavillante mantello rosso con colletto di pelliccia. Davanti a loro c’era Hilda, in testa al gruppo fiancheggiato dai soldati di Hermóðr. Dietro allo jarl e alla principessa c’era Magni, e in fondo alla fila venti dei suoi soldati, tra cui Guga e Agni che chiudevano il corteo.

Freyr non s’era visto, e di lui non si avevano ancora notizie. Freija era preoccupatissima e anche Leif cominciava ad agitarsi per l’ingiustificata assenza del principe, temendo che fosse in qualche modo collegata al loro piano.

No, è impossibile! Non abbiamo trascurato niente… sarà ubriaco, e con qualche donna o magari qualcuno l’ha trovato nel letto di sua moglie e gli ha tagliato la gola! Sarebbe una coincidenza fortuita!

‹‹Comincio a preoccuparmi per lui. È in gamba, ma dove può essere?›› aveva detto Leif rivolto ad Hadingus e agli altri capitani.

‹‹Non ne abbiamo davvero idea›› aveva risposto Helgi. ‹‹Quello che si sa è che si è allontanato ieri pomeriggio, e che non e più tornato. Doveva andare da Miskor l’Ölsmiðr per comprare skapkers di birra per i soldati. Abbiamo cercato in tutta la cittadella, stamattina, fin dalle prime luci dell’alba, ma di lui nessuna traccia››.

‹‹Freyr non si sarebbe allontanato per tanto tempo senza avvertire›› intervenne Hilda. ‹‹Mandate qualcuno ad Asabigð, cercate anche là. E se avete qualche notizia, venite a riferirla, sapete dove trovarci›.

‹‹Non temere, signora›› la rincuorò Hermóðr. ‹‹Skirnir era con lui, e due teste sono meglio di una››.

Il drappello aveva lasciato la cittadella, e arrivò all’edificio dell’assemblea quando erano arrivati quasi tutti.

C’erano i cinque goðar, già seduti sui loro scranni, con i loro consiglieri, e una grande folla s’era stipata nel grande ambiente. Ogni bondi presente era armato di scudo, col quale avrebbe manifestato la sua approvazione o il suo disappunto, ma tutte le spade erano state saldamente legate ai foderi.

I soldati di Magni entrarono per prima e fecero spazio perché Hilda e Freija potessero raggiungere la pedana e sedersi sui loro troni. Anche Leif montò sul palco, ma ebbe il buon senso di restare in piedi, vicino alla principessa e non fiatò per tutta la durata del Þing, cosa della quale Hilda si stupì molto. Da ultimo entrò il proclamatore, in carica già da due anni, Forseti, e quando si fu seduto al suo posto, cominciò l’assemblea.

Anche quella mattina, come tutte le mattine, Heimdallr se ne stava immobile, con le braccia incrociate sul petto a scrutare l’orizzonte conosciuto. I dolori lancinanti che l’avevano tormentato per l’intera notte sparivno lentamente grazie alle medicine di Eir. Heimdallr voltava le spalle all’imponente catena montuosa, protezione naturale della cittadella, sicuro dell’impenetrabilità delle aspre rocce. Gli unici valichi delle montagne erano cinque miglia circa a nord della cittadella, e molte decine di miglia a sud. Volgeva lo sguardo a nord, nella direzione delle colline intorno ad Asabigð. Perquisiva il margine del bosco che bordava l’ampia Iðavöllr, seguiva, finché la vista glielo consentiva, la Norðvegr che si perdeva serpeggiando verso sud tra boschi, colline e montagne.

I signori d’Ásgarðr avevano lasciato la cittadella col folto gruppo della scorta da più d’una ora quando l’attenzione di Heimdallr fu catturata da due figure che galoppavano veloci nella direzione della fortezza. Erano apparsi improvvisamente, da sud, e sbucando dal bosco che costeggiava la Norðvegr, cosa che insospettì il Custode. Cominciarono la traversata della pianura Iðavöllr senza esitazione, velocissimi.

‹‹Ci sono due cavalieri, Gullintanni›› disse Brinir appoggiandosi pigramente al parapetto.

‹‹Sei ancora troppo giovane per poterti permettere di chiamarmi così›› brontolò il Custode da sotto i baffi. ‹‹Lì ho visti da un pezzo››.

‹‹A quella velocità saranno qui molto presto›› disse ancora Brinir.

‹‹Fa silenzio ragazzo›› lo interruppe Heimdallr. ‹‹So anche questo!››.

Una strana sensazione di disagio lo colse mentre fissava le due figure lanciate al galoppo, fino a quando, seppure a grande distanza, riconobbe senza possibilità di errore il mantello rosso indossato dal principe e quello scuro e stinto del suo servitore, Skirnir, e poi vide distintamente i volti dei due uomini.

Sfruttando l’esperienza accumulata nel corso degli anni passati a combattere e comandare, richiamò l’attenzione dei soldati perché fossero pronti ad accogliere Freyr e a soddisfare le sue richieste. Quella corsa sfrenata doveva essere motivata da una grande apprensione.

‹‹Sta arrivando Freyr, e pare che abbia i lupi alle calcagna tanto corre!›› urlò dall’alto della torre di guardia.

‹‹È naturale, ›› azzardò a dire Henger appoggiandosi alla sua lancia. ‹‹Sta tardando al Þing! Hilda sarà furiosa per questo motivo!››. Alcuni uomini risero, Heimdallr li rimproverò con uno sguardo severo ma innocuo.

‹‹È probabile certo›› disse lisciandosi la barba per nascondere un sorriso. Era una spiegazione plausibile ma non sufficiente a dileguare i suoi dubbi.

Quando si sporse dal parapetto per guardare meglio, Freyr era all’imboccatura del ponte e già si sbracciava e gridava. Seguito da Skirnir, e senza rallentare, Freyr entrò nella cittadella spronando furiosamente il suo cavallo.

‹‹Suona il corno! Dà l’allarme Heimdallr!›› continuò a ripetere anche dopo aver passato le porte della cittadella. ‹‹Suona il corno una volta!››.

La giornata era fredda e Hadingus se ne stava seduto davanti al focolare, alla Casa della Guardia, con i piedi quasi nel fuoco, masticando pigramente un pezzo di pesce affumicato. Sonnecchiava quasi quando saltò su di colpo e s’infilò gli stivali precipitandosi fuori dell’edificio come una saetta.

L’eco del corno di Heimdallr risuonò nella grande pianura, una sola volta, e riempì l’aria. Seguì immediatamente il tonfo sordo delle porte che venivano sbarrate e le grida concitate dei soldati che s’affrettavano da ogni angolo della cittadella a raggiungere il piazzale antistante la Casa della Guardia. Gli unici che restarono al loro posto furono gli uomini sulle mura, che osservarono con apprensione il loro capitano Heimdallr che correva al raduno, veloce nonostante l’età.

Quando arrivò alla Casa della Guardia dovette farsi strada tra la marea di uomini frementi di ricevere ordini dai loro capitani o dal principe. Tutti gli occhi erano puntati su di lui, ansiosi di chiarimenti, mentre camminò verso Hadingus, in piedi davanti alle porte della Casa della Guardia.

‹‹Perché hai suonato, Heimdallr?›› chiese immediatamente Hadingus.

Da tempo immemorabile, fin da quando la cittadella era la dimora degli dèi, il suono del corno del Custode avvisava gli abitanti della cittadella e delle terre vicine che s’avvicinava un grande pericolo. Al tempo degli dèi, il corno suonava spesso per avvisare gli Asi dell’arrivo dei giganti loro acerrimi nemici. Eppure, negli ultimi tempi, mai nessuna minaccia era stata tale da richiedere l’uso di tale strumento di cattive nuove.

‹‹Dov’è Freyr?›› chiese Heimdallr senza rispondere.

‹‹Dillo tu a noi!›› rispose Hadingus. ‹‹Alcuni uomini dicono d’averlo visto passare mentre correvano qui, ma nessuno sa dove sia! Perché hai suonato?›› chiese ancora Hadingus.

‹‹Ásgarðr non è sotto assedio!›› disse un soldato dalla barba e capelli scarmigliati.

‹‹Il corno ha suonato una volta sola›› gridò Sklar, uno degli uomini di fiducia di Helgi. ‹‹Esiste un pericolo che non è assedio!››.

‹‹Ma l’esercito deve prepararsi a combattere!›› inveì Vendere sgranando gli occhi spiritati. Lì vicino, Rendall, anche lui degli uomini di Hadingus, parlò concitatamente.

‹‹Dobbiamo combattere contro gli spettri?›› gridò alzando le braccia. ‹‹Perché nessuno viene a spiegare perché il corno ha suonato?››.

‹‹Qualcuno cerchi Freyr e lo conduca qui!›› disse Hadingus. ‹‹Aðal, va tu!›› ordinò ad uno dei suoi uomini che corse via spingendo per uscire dalla folla serrata intorno a Hadingus ed Heimdallr.

Freyr galoppò verso le scuderie così veloce che i soldati che correvano alla Casa della Guardia lo videro di sfuggita e alcuni credettero d’aver sognato. Quando intravide Helgi che s’affrettava anche lui, scese dal cavallo con un balzo felino senza aspettare d’essere completamente fermo. Helgi sentì il trambusto, vide Freyr e corse subito da lui.

‹‹Skirnir, va alla Casa della Guardia!›› ordinò. ‹‹Hadingus vorrà spiegazioni, e come lui tutti gli altri. Dì loro quello che abbiamo visto e che sappiamo! Assicura che li raggiungerò presto per organizzare l’esercito, ma avverti che per allora devono essere tutti armati e pronti a partire!››.

‹‹Freyr, ci attaccano?!›› s’informò Helgi.

‹‹Non ancora, Helgi, ma lo faranno presto!›› rispose il principe. ‹‹Andiamo, seguimi!››.

Freyr corse verso il palazzo, gridando di lasciarlo passare, spintonando chiunque gli si parasse davanti, con Helgi che lo seguiva disorientato.

‹‹Chi osa muoverci guerra?›› chiedeva Helgi.

‹‹Largo, fatemi passare!›› ruggiva Freyr senza badare chi si trovasse di fronte. ‹‹Serpenti!›› rispose. ‹‹Uomini spietati che bramano il nostro potere e la nostra ricchezza, e che avevano mandato tra noi spie che carpivano ogni nostro segreto!››.

‹‹Chi mai?››.

‹‹Leif, il primo della lunga lista di traditori!›› gridò Freyr accelerando ancora il passo nei corridoi. ‹‹Ma tanti assaggeranno la mia collera quando saremo pronti a combattere!››.

‹‹Dove corri, allora?›› cercò di fermarlo Helgi. ‹‹Organizziamo la difesa, prepariamo l’esercito e armiamoci anche noi!››.

‹‹Un esercito sta marciando ora contro Ásgarðr!›› rivelò Freyr. ‹‹Dobbiamo fermarli prima che ci colgano impreparati e ci prendano d’assedio! Ma liberiamo Hyoga prima!››.

L’effetto della droga era passato del tutto, ma la testa gli girava ancora, stavolta per le botte. Faticava a distinguere suoni e luci. D’altronde, nel buio della cella, senza la torcia che i suoi carcerieri si erano portati via, l’unica luce restava la quella che filtrava dalla fessura sotto la porta. E non sarebbe stato possibile udire alcun suono, anche sforzandosi, perché le segrete erano scavate nella roccia sotto il palazzo, un lungo labirinto sotterraneo. In quelle lunghe ore trascorse ad aspettare, aveva avuto l’impressione che l’avessero confinato nella cella più profonda e lontana dalla luce del giorno, l’ultima fra le ultime nel cuore della terra.

Guga e Agni si erano davvero presi cura di lui. Le loro lingue taglienti e le loro mazzate avevano fiaccato anche l’ultima sua scintilla di ribellione lasciandolo distrutto. Quando se n’erano andati, aveva potuto trarre un doloroso sospiro di sollievo. Poi, era seguita immediatamente la terribile sensazione di non avere un corpo, anestetizzato com’era dal dolore. Pensò alla morte. Sarebbe stato bello morire senza dover soffrire ulteriormente.

Invece con lentezza, aveva ricominciato a sentire arti, mani, piedi, testa, e ognuna di queste parti aveva voluto inviare al cervello una molteplice quantità di sensazioni che si traducevano in un malessere generale quasi insopportabile.

L’ultimo sforzo fu quello che compì per liberarsi. Aveva cominciato ad ondeggiare, avanti e indietro, fin quando aveva potuto sollevare le gambe per cercare di avvinghiarsi alla corda che lo sollevava da terra, appeso fortuitamente ad un gancio. C’era riuscito al secondo tentativo. Tenendosi con le ginocchia e i piedi alla catena sulla sua testa, aveva potuto sganciare la corda. Era piombato giù come un sacco, senza nemmeno provare ad attutire la caduta, ed era rimasto accasciato sulla pietra fredda del pavimento che gli dava almeno un po’ di conforto.

Il tempo sembrava non passare, né avvertiva alcun miglioramento nelle sue condizioni. Era riuscito a strisciare fino al muro, e adesso giaceva seduto, appoggiato al muro. Aveva voluto liberarsi non per fuggire, ma perché il braccio, quello sinistro, gli doleva tanto che sembrava volersi staccare zavorrato dal peso del corpo. Nel buio non lo poteva vedere, ma non poteva muoverlo liberamente senza lacrimare per il dolore, e lo teneva miseramente appoggiato sul fianco.

Non riuscirò a scappare…torneranno a prendermi prima che abbia trovato la forza di alzarmi in piedi…morirò qui… Speriamo che sia il più presto possibile…

La posizione seduta gli consentì di riposare. Cominciò a pensare, o forse a sognare.

Hilda sarebbe morta, uccisa all’assemblea. Nessuno avrebbe potuto salvarla, perché nessuno sapeva del piano a parte gli assassini e lui.

Freija sarebbe stata costretta a vivere con Leif e lo jarl avrebbe continuato a insudiciare il candore di lei con le sue sporche mani. Adulatore, traditore e assassino. A piede libero e con il potere nelle sue sudicie mani. Leif era davvero l’uomo che più aveva odiato al mondo, e il solo pensiero che la donna dei suoi sogni, la sua amata, sarebbe stata a fianco di quell’uomo gli faceva ribollire il sangue. Pensò a Freija, e cominciò a piangere, lacrime silenziose senza singhiozzi.

Versare tutte le lacrime del mondo per loro non mi aiuterà a salvarle…

Chissà poi, cos’avrebbero pensato di lui, catturato come uno sciocco, eliminato senza difficoltà perché si era già arreso alla morte. Saori e Shun e i suoi fratelli, cosa avrebbero pensato di lui?

Ho già dimostrato il mio valore, credo d’averlo fatto…

Cominciò a pensare alla Villa, alle persone care che vi abitavano, nella speranza che non sarebbero mai venute a cercarlo. Per allora, Ásgarðr avrebbe già mutato aspetto, trasformato in un luogo irriconoscibile, un covo di perfidia e malvagità dove una volta abitava la saggezza e la giustizia.

Freyr si avventò sulla porta delle segrete come un rapace sulla preda, strattonando la maniglia con impazienza.

‹‹Stai delirando, Freyr!›› disse Helgi. ‹‹Le segrete sono chiuse da anni!››.

‹‹Lo so bene!›› inveì Freyr. ‹‹L’ultimo a starci sono stato io!››.

‹‹Dunque, perché ti ostini?››.

‹‹È qua sotto ti dico!›› gridò Freyr furente. ‹‹Maledizione, è chiusa a chiave!›› urlò battendo i pugni sul legno della porta.

‹‹Hyoga ha lasciato la cittadella. Per ovvi motivi!››.

‹‹Non mi seccare con la storia che non poteva stare qui perché mia sorella ha un altro!››. Freyr cominciò a calciare la porta e a tirare nella maniglia. ‹‹Quando l’avrò incontrato e ucciso, avremo risolto il problema di Leif!››.

‹‹Ma Hyoga è fuggito!››

‹‹È qua sotto, ti dico! Aiutami!››.

Helgi trasse un respiro. ‹‹Se n’è andato perché ha ucciso Tia!›› disse tutto d’un fiato.

Freyr, sudato e ansante, si rizzò e fissò gli occhi in quelli di Helgi.

‹‹Tia è morta?!››.

‹‹L’hanno trovata stamattina, nella sua camera›› spiegò Helgi. ‹‹Eir dice che è stata avvelenata››.

Freyr tirò su col naso, poi si accanì di nuovo contro la maniglia.

‹‹Non è stato Hyoga, lo sai anche tu›› disse semplicemente. ‹‹Sospettiamo piuttosto di Leif! Aiutami!››.

‹‹È chiusa a chiave›› sbottò Helgi, stanco di vedere Freyr tirare la maniglia e prendere a spallate la porta.

‹‹Chi ha le chiavi?››.

‹‹Non so…Hadingus, o Magni forse›› blaterò Helgi. ‹‹Non abbiamo tempo per cercarle se dobbiamo prepararci a combattere››.

‹‹Ben detto!›› esclamò Freyr. ‹‹Buttiamola giù!››.

‹‹È una perdita di tempo›› provò a dire il capitano.

Freyr però era stanco di sentire lamentele e dopo la fatiche del giorno prima e della notte, dopo la lunga cavalcata, desiderava essere obbedito senza discussioni. Afferrò la spada di Helgi, la sua era persa, la sfoderò e la brandì minacciosamente.

‹‹Ti ho detto di buttare giù questa porta! Obbedisci!››.

Il prode Helgi esitò trafitto dallo sguardo furente del principe, incalzato dalla lama della sua Rovinascudi puntata dritta al petto.

Alla fine si avvicinò alla porta, la esaminò passando le mani sulle assi di legno, poi sui cardini arrugginiti dal tempo. Fece un passo indietro, un respiro profondo, e si lanciò contro la porta con tutta la sua forza. Alla terza poderosa spallata la porta cominciò a scricchiolare, al quinto colpo i cardini cedettero alla forza del capitano. Alla sesta spallata, con un frastuono pauroso e una pioggia di schegge, Helgi sfondò la porta delle segrete e atterrò lungo disteso nel lungo corridoio che conduceva alle segrete.

‹‹Va tutto bene?›› s’informò Freyr oltrepassandolo.

‹‹Te lo saprò dire dopo che avremo verificato se ne è valso la pena!›› si lamentò Helgi tastandosi la spalla ammaccata.

Il capitano si mise in ginocchio, Freyr s’affrettava a procurarsi una torcia. Tornò in un lampo con la torcia e mentre si alzava, Helgi notò un agghiacciante particolare. Nelle segrete, umide e senza un filo di polvere, il pavimento era chiazzato di macchie di sangue.

‹‹C’è del sangue per terra…Qui e…laggiù!›› esclamò stupito.

‹‹Fammi vedere››. Freyr s’inginocchiò e fece luce. ‹‹Rappreso da poco. Come ti dicevo, qualcuno è stato qui di recente››.

‹‹Che Þòrr mi fulmini! Speriamo non sia tardi!›› si preoccupò Helgi.

‹‹Lo scopriremo presto!››.

S’inoltrarono nelle segrete, seguendo la lugubre traccia. Freyr camminava avanti, con passo spedito, tenendo alta la torcia per illuminare i tetri corridoi. Nella destra stringeva forte la Rovinascudi, e lo scalpiccio dei piedi sulla pietra era l’unico rumore udibile assieme al frusciare della fiamma.

‹‹Sembra che la traccia finisca là›› mormorò Helgi trattenendo Freyr per la spalla.

Il principe sporse avanti la torcia facendo luce sulla porta della cella.

‹‹Hyoga dev’essere lì dentro!›› bisbigliò. ‹‹Ma sarà solo?››.

‹‹Sei armato, ›› gli ricordò Helgi sfregandosi le mani. Avrebbe voluto brandire lui la sua amata spada ma la cedeva volentieri a Freyr in quella situazione di emergenza. ‹‹Entriamo, e verifichiamo››.

Freyr annuì. Si avvicinarono alla cella in silenzio. Freyr passò la torcia a Helgi, appoggiato al muro, e si sistemò proprio davanti alla porta, afferrando la spada a due mani.

‹‹Sei pronto?›› chiese il capitano. Freyr tese le orecchie, non udì alcun movimento al di là della porta, annuì con decisione. Helgi abbassò la maniglia, la porta non era chiusa a chiave. ‹‹È aperta…››.

‹‹Meglio…›› sussurrò Freyr.

Non appena Helgi spostò la mano, Freyr sferrò un calcio che spalancò la porta della cella. Il principe irruppe piantando i piedi pronto a difendersi, Helgi lo seguì facendo luce. La cella sembrava vuota ma qualcosa si mosse alla loro destra.

‹‹Colpisci Freyr!›› urlò Helgi immediatamente.

Freyr alzò la spada. ‹‹No, è Hyoga!›› esclamò fissando allibito il fagotto accasciato vicino al muro.

Era passato molto tempo da quando era rimasto solo, e da seduto, Hyoga era riuscito ad addormentarsi. L’irruzione inaspettata dei due uomini l’aveva svegliato di soprassalto ed era scivolato lungo il muro.

‹‹Odino ci protegga!›› proruppe Helgi avvicinandosi. Osservò Hyoga con occhi misericordiosi, e trattenne il respiro. ‹‹È vivo?››.

‹‹Sta tenendo il fiato coi denti, almeno sembra››. Freyr inginocchiato vicino all’amico per prima cosa lo liberò dalle corde. ‹‹Queste corde gli stavano segando i polsi!››. Hyoga era abbandonato, non collaborò, ma Freyr mosse con delicatezza. ‹‹Mi senti, Hyoga? Puoi rispondere?››.

‹‹Apre gli occhi…›› esultò Helgi appendendo la torcia. ‹‹Mettiamolo seduto››.

‹‹Hyoga, mi senti?›› ripeté Freyr fissandolo dritto negli occhi socchiusi.

Dobbiamo andare all’assemblea…

‹‹Muove le labbra›› notò Helgi.

‹‹Sì, sta cercando di parlare!›› indovinò Freyr.

Dobbiamo andare all’assemblea….Hilda è in pericolo…

Helgi e Freyr aspettarono che parlasse ma le labbra di Hyoga si muovevano senza che uscisse alcun suono. Solo dei sospiri strozzati.

‹‹È ridotto male, Freyr! Dev’essere curato, subito››.

‹‹Portiamolo da Eir›› disse il principe passando una mano sulla testa di Hyoga per togliergli dalla faccia le ciocche di capelli incrostati di sangue. ‹‹Lei lo guarirà!››.

‹‹Lo porterò io›› suggerì Helgi togliendosi il mantello e stendendolo per terra. ‹‹Devi correre ad organizzare la difesa, dimentichi?››. Freyr sgranò gli occhi. ‹‹Il tempo ci è nemico, Freyr, devi affrettarti››.

‹‹È necessario che ti aiuti›› interloquì il principe. ‹‹Come farai a trasportarlo da solo?››.

‹‹Aiutami ad avvolgerlo nel mantello›› disse indicandolo. ‹‹Me lo caricherò sulle spalla come si fa con i sacchi. Non temere, sono forte a sufficienza per trasportarlo per il breve tragitto››.

‹‹Stai tranquillo, amico mio›› disse Freyr a Hyoga mentre con delicatezza lo posavano sul mantello. ‹‹Helgi ti porterà da Eir. Ti rimetterai in salute molto presto!››.

Freyr…dobbiamo salvare Freija…e Hilda…Perché non mi sentite…?

‹‹Continua a sibilare, chissà cosa vorrà dire›› mormorò Helgi issandosi il corpo di Hyoga su una spalla.

‹‹Forse vuole dirci che è stato Leif a ridurlo così, ma questo lo sappiamo già, Hyoga! Avrà quello che si merita, non temere!››. Freyr raccolse la Rovinascudi e la ripose nel fodero alla cintura di Helgi mentre uscivano nel corridoio. ‹‹Questa ti servirà, Helgi! Portalo da Eir e poi raggiungici subito alla Casa della Guardia. Partiremo appena arriverai!››.

Hadingus ed Heimdallr non avevano perso tempo. Non era passata mezz’ora dall’arrivo del principe che avevano già radunato e preparato più di trecento soldati, pronti a partire.

‹‹Quanti sono i nostri nemici?››.

Skirnir era solo un servo ma aveva combattuto più volte a fianco del suo padrone, e parlò dimostrando una grande esperienza. Era un uomo saggio.

‹‹L’esercito che marcia contro Ásgarðr è vario, Hadingus. Ci sono una cinquantina di possenti mercenari provenienti dallo Jötunheimr. Li vedemmo sbarcare a Timrå, ma allora non potevamo sapere dove fossero diretti né con quali intenzioni. Ci sono ancora cavalieri, due o tre dozzine, montano cavalli veloci, e ancora soldati, in numero molto elevato››.

‹‹Cento, cinquecento, mille? Di quante unità ci superano?›› s’informò Heimdallr.

‹‹Questo non saprei dirlo con esattezza. A colpo d’occhio, saranno stati cinquecento o qualcosa di più››.

‹‹Pensavano di occupare Ásgarðr con un numero così esiguo di uomini?›› rise Hadingus. Molti dei suoi uomini fischiarono e sputarono per terra.

‹‹Li spazzeremo via come fossero canne!›› ululò Rendall.

‹‹Morte ai profanatori del suolo sacro!››.

‹‹Odino guiderà le nostre mani contro i suoi nemici!››.

I soldati urlarono e cominciarono a sguainare le spade e a batterle sugli scudi, deliranti e ansiosi di scendere in campo per dimostrare il loro valore.

‹‹Forse sono solo briganti raggranellati un po’ in tutta Miðgarðr, ma sono armati fino ai denti, questo è certo!›› disse Skirnir per freddare il loro entusiasmo. ‹‹Hanno scudi di buona fattura e spade e lance! Non sono un branco di predoni! Io e Freyr vedemmo i loro comandanti, uomini che sanno comandare un esercito e fare la guerra!››.

‹‹Chi sono questi comandanti, se sai i loro nomi?››.

‹‹Non li conosco, e nemmeno Freyr. Ma per certo, così ha detto il principe, uno era Hrafna-Ragnarr, l’uomo che gli lasciò la cicatrice sul petto!››.

‹‹Uomini spietati, e senza onore!›› inveì Heimdallr. ‹‹Ragnarr, si dice, fu colui che uccise Eric il Vile! Saranno con lui anche gli altri suoi compari!››.

‹‹Altri, infatti, erano con lui, e gridavano ordini›› continuò Skirnir. ‹‹Due uomini somiglianti come gocce d’acqua, un uomo senza un occhio, alto e poderoso, un ragazzo dalla pelle abbronzata e dai capelli come il fuoco, quello che vedemmo accogliere i mercenari a Timrå, e…››.

Skirnir esitò.

‹‹Va avanti, thraell. Ti sei ingoiato la lingua?›› sbottò Hadingus.

‹‹Un Oscuro!›› disse Skirnir tutto d’un fiato.

‹‹Assurdo! Impossibile!››. Voci allarmate e incredule si levarono da tutte la parti. Gli uomini cominciarono a discutere sull’evento eccezionale perché dappertutto si narrava che gli Oscuri fossero estinti da tempo.

‹‹Sei certo di quello che dici?›› chiese Heimdallr. ‹‹Era buio quando vedesti quell’uomo? Forse ti sei sbagliato››.

‹‹Anche Freyr lo confermerà!››.

‹‹Sono gli assassini in fuga dal Danmörk!›› gridò improvvisamente Herald, figlio di Healfdene l’Alto, re del Danmörk. ‹‹Sono gli uomini che hanno assassinato mio fratello e i miei compagni!››.

‹‹Questa storia ha dell’incredibile!›› vociò Sklar. ‹‹Cosa spinge questi uomini a muoverci guerra?››. Si grattò il mento, poi fissò Skirnir e incrociò le braccia sul petto. ‹‹Dici che Freyr ci raggiungerà presto, e che con lui arriverà Helgi. Ora noi tutti siamo pronti a combattere. In attesa del loro arrivo, raccontaci come avete saputo queste notizie››.

‹‹Andammo ad Asabigð ieri pomeriggio, per comprare birra dall’Ölsmiðr›› cominciò a dire Skirnir. Fu subito interrotto.

‹‹Non siete mai andati da Miskor!›› gridò un soldato alzando la mano e indicando il compagno lì vicino. ‹‹Io e Tomi vi abbiamo cercato là stamattina, ma quando gliel’abbiamo chiesto, Miskor ci ha detto di non avervi visto!››.

‹‹Non arrivammo mai da Miskor, perché vedemmo qualcosa d’interessante che attirò la nostra attenzione›› continuò Skirnir.

Sul tavolo del laboratorio giaceva esanime il corpo di Tia, pallido, una triste compagnia per Eir la guaritrice che stava sistemando i suoi attrezzi con metodica calma. Non era stato possibile effettuare accertamenti accurati sulle cause della morte, ma Eir aveva osservato accuratamente i due corni vuoti. In molti erano venuti a vedere Tia, a informarsi sulla sua morte, a tutti Eir aveva risposta che era morta perché le aveva ceduto il cuore. Hilda aveva avanzato l’ipotesi che fosse stata avvelenata, e ora sembrava anche al medico che fosse la spiegazione più probabile a quella morte improvvisa. In fondo, si disse mentre si fermava nuovamente ad osservare il volto della ragazza, se si fosse sentita qualche malessere me ne avrebbe parlato. Alla sua età, certi attacchi così improvvisi e mortali sono davvero rari.

Aveva mentito anche a Freija, temeva che la principessa si potesse impressionare alla notizia di un assassinio. A Helgi e naturalmente ad Hermóðr aveva detto la verità su quello che pensava.

‹‹È terribile, chi vorrebbe vedere morta una ragazza così dolce?›› aveva detto Hermóðr. Per tutto il tempo che erano stati nel laboratorio, seppure il cadavere fosse coperto per intero, il capitano aveva evitato di alzare gli occhi sul corpo. Helgi invece aveva voluto vedere il viso di Tia, e l’aveva fissato a lungo, come se avesse cercato di cogliere in quei bei lineamenti delle informazioni sull’assassino.

‹‹Non voglio credere che Hyoga sia coinvolto in tutto questo, ma vorrei tanto sapere perché ha lasciato Ásgarðr con tanta fretta…››.

Quanti misteri, oggi. E chissà cosa ci aspetta al ritorno di Hilda…

‹‹Eir, Eir!››.

Al sentirsi chiamare dalla voce possente di Helgi Eir si scosse. Helgi la chiamò ancora, allarmato, poi spalancò la porta del laboratorio senza bussare.

‹‹Helgi! Esci immediatamente!›› intimò il medico parandosi davanti al tavolo dove giaceva Tia per nascondere il corpo nudo. ‹‹Esci ti dico!››.

‹‹Porto un ferito grave!››

‹‹Chi è?›› s’informò Eir avvicinandosi senza più badare alle nudità del cadavere.

‹‹È Hyoga, in fin di vita!›› disse Helgi.

‹‹Mettilo qui!›› ordinò preoccupata lanciandosi sul tavolo di Hilda e gettando in terra tutto quello che c’era sopra per fare spazio. ‹‹Piano, Helgi, piano! Mettilo giù!››.

Hyoga si lamentò quando Helgi lo posò sul tavolo, aveva battuto il braccio che gli era scivolato di lato. Eir aprì il mantello e gridò per lo stupore.

‹‹Chi lo ha ridotto così? Dove lo avete trovato?››.

‹‹Nelle segrete. Non sappiamo chi sia stato, ma sospettiamo fortemente››.

‹‹L’hanno picchiato fin quasi a ucciderlo… e questo braccio››. Con delicatezza sfiorò il braccio di Hyoga poi provo a tastarlo e Hyoga emise un grido strozzato. ‹‹Va tutto bene, Hyoga, non ti preoccupare››. Eir corse nel corridoio e diede la voce. Dalle cucine, non lontane, uscì una thraell alla quale chiese di portarle immediatamente acqua fresca e acqua bollente.

‹‹Devi avvertire Hilda, Helgi›› disse prendendo in disparte il capitano. ‹‹C’è un solo uomo che può aver architettato tutto questo. È giusto che finalmente la nostra sacerdotessa faccia giustizia!››.

‹‹In molti vorrebbero un pretesto per vendicarsi sullo jarl, se è di lui che parli. Ma servono prove per incriminare un uomo!››.

‹‹La gelosia non ti basta?!›› sibilò Eir.

‹‹Non è sufficiente stavolta!›› obiettò Helgi. ‹‹Ma un esercito marcia verso Ásgarðr proprio in questo momento, mentre alcuni dei nostri capitani e soldati migliori sono all’assemblea, ignari del pericolo. Devo andare a combattere, Eir, penseremo dopo al traditore. Freyr sa come smascherarlo!››.

Helgi… All’assemblea troverai Leif e le prove…Helgi…

‹‹…He…gi…››.

Eir si voltò di scatto. Hyoga stava balbettando qualcosa d’incomprensibile, qualcosa che le riuscì familiare. ‹‹Helgi, ti sta chiamando››.

‹‹Come?››.

‹‹…Hel…gi...››.

‹‹Cosa devi dirmi Hyoga?›› chiese Helgi. ‹‹Stiamo andando a vincere una battaglia, amico mio, combatterò anche in nome tuo››.

‹‹…net…all’asse…blea….Freija…Hilda…››.

‹‹Non ti sforzare Hyoga. Ascolterò io quello che devi dire. Parlerai con Helgi più tardi››.

‹‹…net…››.

Più si sforzava di parlare più gli riusciva facile articolare le parole. Riusciva a prendere fiato, anche se soffriva dolori lancinanti alle costole, ai reni e al braccio, la sensazione di malessere era di molto diminuita. L’adrenalina, la paura di non riuscire a farsi capire adesso che era libero di intervenire per salvare Hilda, e la voglia di rivalsa sul traditore funzionavano come il migliore degli analgesici.

‹‹No…all’assem…blea…››.

‹‹Non ti capisco, Hyoga…sei troppo debole›› si scusò Helgi. ‹‹Riposa››.

Colto da un’ondata di energia, Hyoga afferrò Helgi per la casacca e lo attirò vicino.

‹‹Hilda è…in pericolo…di vita!›› disse con rabbia digrignando i denti. ‹‹Dobbiamo andare al Þing…Capisci…. adesso?!››.

Al Þing le discussioni dei casi procedevano velocemente e senza intoppi. Leif ascoltava senza interesse le cause che venivano presentate. Un contadino aveva tagliato della legna in un appezzamento appartenente ad un suo vicino. C’era stata una lite accesa, erano volate un paio di coltellate. Un uomo, cencioso e sozzo, aveva ammazzato un paio di gallina per sfamarsi. Uno jarl aveva pestato a sangue un suo servo e l’aveva ammazzato. Tutte quelle parole non avevano significato, ora che pensava solo al momento in cui avrebbe visto cadere Hilda, il momento in cui avrebbe avuto per sé tutto il potere.

Non appena gli uomini di Bylistr avranno scoccato quelle frecce, li farò catturare e giustiziare come cani. Sistemerò gli altri più tardi.

Si voltò verso Freija, seduta compostamente lì vicino, con le gambe accavallate e sul viso un’espressione un po’ assente.

‹‹Va tutto bene, Freija?›› le chiese. ‹‹Ti annoi forse?››.

Lei si scosse. ‹‹Ho assistito ad assemblee più interessanti, ma tra poco sarà tutto finito. Mancano ancora pochi casi da discutere››.

Tra poco sarà tutto finito.

Alzò gli, guardò attentamente il fondo del salone. Non vide Bylistr, né i suoi compari. Non erano ancora arrivati.

‹‹Eccoti, finalmente!›› esultò Hadingus. ‹‹Siamo già pronti a partire!››.

‹‹Sono tutti qui i nostri uomini?›› s’informò Freyr.

‹‹Non c’è stato tempo per reclutarne altri›› borbottò Heimdallr. ‹‹Hermóðr e Magni sono al Þing, e quaranta guardie con loro››.

‹‹Sapete già cosa vi aspetta, avete avuto anche tempo per prepararvi››. Freyr si guardò intorno soddisfatto.

‹‹Dov’è il Prode? I suoi uomini l’aspettano›› disse Sklar notando l’assenza di Helgi.

‹‹Ci raggiungerà presto. Stasera, quando ci sederemo dopo aver vinto questa battaglia, non mancheranno le storie da raccontare!›› rispose Freyr. ‹‹Skirnir, va a recuperarmi una spada, uno scudo e una cotta. Voglio una lancia e un cavallo veloce!››.

‹‹Hrìmfaxi è il più veloce di tutti›› suggerì Vido. Lo stalliere era anche lui armato, indossava una giubba di cuoio spesso scudo e portava un’ascia, come tutti gli altri uomini delle scuderie vicino a lui.

‹‹No›› si rifiutò Freyr. ‹‹Quello stallone è del Landvarnarmaðr, nessuno lo cavalcherà fuorché lui!››.

‹‹Non eri qui, stamattina, quando abbiamo scoperto che il nostro Landvarnarmaðr era scomparso››. Hadingus sputò per terra. ‹‹Anche noi abbiamo delle storie da raccontare!››.

‹‹Non è scomparso›› obiettò Freyr sfidando l’arroganza di Hadingus. ‹‹Era sotto il nostro naso, nelle segrete, imprigionato come un comune carcerato ma senza avere colpe da scontare!››. Hadingus e tutti gli uomini sgranarono gli occhi. ‹‹Hrìmfaxi è del Landvarnarmaðr, nessuno lo cavalcherà fuorché lui›› ripeté a voce alta perché sentissero tutti.

‹‹Allora ordina che venga fatto sellare, c’è bisogno della sua velocità e della sua forza!››.

La voce di Helgi scosse la folla che si aprì, lasciando che Hadingus ed Heimdallr, e Freyr assieme a loro, potessero vedere il Prode che giungeva aiutando Hyoga a sorreggersi.

‹‹Il Landvarnarmaðr?!››.

‹‹Guardate com’è ridotto!››.

‹‹Non si regge in piedi!››.

Hyoga non cercò nemmeno di reggere gli sguardi curiosi che lo fissavano come fosse uno spirito uscito da un tumulo. I soldati che più diffidavano di lui avevano accettato la notizia della sua partenza senza dare troppa importanza all’evento. "C’era da aspettarselo", avevano detto in molti. Ma gli uomini di Helgi e di Hermóðr, nonché i fedelissimi di Freyr, esultarono nel vederlo, malconcio ma in piedi, perché ancora una volta i loro capitani avevano dimostrato di saper dare fiducia agli uomini giusti.

‹‹Perché non è da Eir?›› ruggì Freyr.

‹‹Non può seguirci in battaglia così malconcio, sarebbe un peso!›› sbottò Hadingus.

‹‹Infatti, noi non verremo!›› rispose Helgi suscitando esclamazioni di stupore tra i suoi soldati. ‹‹Lo jarl Leif è responsabile d’aver fatto questo al Landvarnarmaðr!›› spiegò Helgi. ‹‹Ma sta tramando cose peggiori! Al Þing, Hilda rischia la vita!››.

‹‹Cosa dici?›› urlò Hadingus.

‹‹Leif con certi suoi compari…e alcuni soldati della guardia…cercheranno di ucciderla…È il potere che vogliono…il trono d’Ásgarðr!›› si sforzò di dire Hyoga.

‹‹Allora andremo al Þing per salvarla›› decise Freyr senza esitare. ‹‹Hadingus, e Heimdallr, a voi è affidato il nostro esercito. Intercetterete il nemico aspettandolo due miglia a sud, lungo la Norðvegr. Il bosco s’infittisce in quella zona e le colline sono rocciose e offrono molti ripari. Avete molti arcieri, sfruttate le buona posizione e la loro ottima mira per un agguato. Gli uomini appiedati e i cavalieri aspetteranno nascosti il meglio possibile all’interno del bosco. L’esercito che affronterete è fiducioso nelle sue possibilità, ma non sottovalutatelo. Io e Skirnir abbiamo avuto la sfortuna di essere scoperti mentre spiavamo il loro nascondiglio e ascoltavamo i loro progetti. Siamo riusciti a fuggire, ma è possibile che ora siano più accorti. State attenti che non ci siano vedette, o esploratori che battano il terreno››.

‹‹Tu cosa farai?›› gli chiese Heimdallr. ‹‹Andrai solo al Þing?››.

‹‹No. Hyoga e Helgi verranno con me›› disse Freyr. ‹‹La ci sono Hermóðr e…››.

‹‹Non possiamo fidarci totalmente di Magni!›› esclamò Helgi anticipando Hyoga. Avrebbe potuto rivelare apertamente che anche il Rosso aveva partecipato all’aggressione, ma molti dei soldati presenti erano suoi simpatizzanti, e non era conveniente creare dissidi tra le file di un esercito che avrebbe dovuto dimostrarsi compatto. Tutti sapevano del legame tra Magni e Leif, ma non era necessario insinuare il dubbio che Magni appoggiasse il progetto dell’assassinio della sacerdotessa. Hyoga, parlando con Helgi, non aveva potuto confermarlo ed Helgi non volle azzardare una tale ipotesi. ‹‹Ma sono sicuro che al momento opportuno, riconoscerà la meschinità di Leif!››.

‹‹Siamo tutti pronti allora. Combattiamo con onore, e che Odino ci protegga tutti!››.

I due soldati all’ingresso del grande baer dove si svolgeva il Þing fecero entrare i tre uomini mascherati senza nemmeno perquisirli. Bylistr, Ragnarr e Skœrir entrarono nel lungo edificio con un cenno di saluto, le due guardie agli ordini di Magni ricambiarono con un sorriso.

Leif cominciava a preoccuparsi del ritardo. Freija, ignorando le occhiate di Hilda, gli aveva detto di sedersi al posto di Freyr. Allargò le labbra in un sorriso selvaggio quando vide entrare le tre figure con mantello scuro e cappuccio calato sugli occhi che si sistemarono sul fondo, dietro a tutta la folla. Si sistemò comodamente sullo scranno, appoggiò i gomiti ai braccioli e incrociò le mani davanti al viso per nascondere la sua felicità.

Intanto Freyr cavalcava Hrìmfaxi, spronandolo per affrettare il galoppo, e Hyoga seduto dietro si teneva saldamente afferrato col braccio sano per non cadere. Eir gli aveva fatto ingurgitare un intruglio amaro che lo aveva corroborato, anche se non aveva potuto curare tutti i suoi mali né occuparsi del braccio rotto.

Helgi li seguiva spronando il suo cavallo fino allo sfinimento per mantenere la possente andatura del magnifico stallone.

Mentre attraversavano velocemente la pianura Iðavöllr nella direzione di Asabigð, Hadingus e Heimdallr guidarono l’esercito di Ásgarðr nella direzione opposta, marciando compatti e a ritmo serrato, lasciando un numero esiguo di guardie sulle mura e alle porte della cittadella.

‹‹Leif!››.

Lo jarl rimase paralizzato nel sentirsi chiamare e sgranò gli occhi in un’espressione di puro stupore.

La voce di Hyoga rimbombò come un tuono nella sala ed ebbe lo stesso effetto su tutti i presenti che si voltarono indietro per vedere chi avesse urlato. Il Landvarnarmaðr era fermo qualche passo oltre la soglia, e dietro di lui si fecero vedere Freyr e Helgi.

Un brusio di disapprovazione salì alto tra la folla che non aveva gradito l’imprevista interruzione del Þing, ma quando Hyoga si mosse davanti a lui la massa di uomini si aprì e si liberò un ampio corridoio che dall’ingresso conduceva dritto al piccolo palco sul fondo del salone.

‹‹Hyoga?! E Freyr!". Hilda rimase seduta sul suo scranno, osservando alternativamente i tre uomini che le venivano incontro e Leif, con la faccia lucida e madida di sudore. "Cosa sta succedendo?›› domandò ad alta voce per farsi udire da tutti.

Leif sentì fissi su di lui gli occhi della sacerdotessa ma la sua attenzione era tutta per Hyoga. Non avrebbe spaventato nessuno quell’uomo che camminava con passo malfermo ma lo jarl sudava ed era palesemente spaventato. Freija impallidì di colpo e si premette una mano sul petto, sentendosi mancare.

‹‹Cosa significato tutto questo?›› esclamò con un filo di voce.

Hyoga doveva aver lasciato Ásgarðr. Invece era lì, davanti a loro. Si avvicinava strascicando i passi ma a testa alta, sfidando Leif con occhi di ghiaccio, livido di rabbia. Sembrava che camminare gli costasse fatica, e teneva un braccio piegato sull’addome. Quando si avvicinò, seguito da Helgi e Freyr come due ombre, anche loro con espressioni agguerrite e rabbiose, le due sorelle poterono guardarlo meglio, e lo videro sporco e malconcio, segnato nel corpo e nel viso dalle percosse, con un brutto taglio incrostato di sangue su un sopracciglio. Il braccio sinistro era gonfio, forse rotto.

‹‹Esigo una spiegazione!›› ordinò Hilda, furiosa come mai.

Nel salone scese un silenzio innaturale che aumentò l’ira della sacerdotessa, e l’unico che si mosse fu Magni, che camminò per qualche passo nel corridoio ancora sgombro, e piantò i piedi per terra e le mani sui fianchi. Dietro di lui, davanti alla pedana di legno, si schierarono tutti i suoi soldati.

Hyoga fu costretto a fermarsi davanti al capitano che digrignava i denti, passando una mano sul manico del suo martello.

‹‹Non hai potuto aspettare che tornassi da te per finirti?›› disse a voce bassa Magni.

Hyoga non batté ciglio. ‹‹Se volevi ammazzarmi avresti dovuto farlo prima, adesso ho altro cui pensare!››.

‹‹Hai un conto aperto con me! Voglio vendetta!››.

‹‹Non adesso, devi metterti in fila Magni!››. Poi Hyoga alzò la voce perché sentissero tutti. ‹‹Prima devo fare i conti con lo jarl traditore!›› gridò puntando l’indice verso la pedana.

La folla esclamò ma Hilda non si scompose.

‹‹Non puoi accusare un uomo se non hai delle prove! Voglio i testimoni!›› sentenziò.

‹‹Io testimonio! E Helgi il Prode con me!›› rispose Freyr alzando un pugno.

‹‹Due non bastano!›› dovette dire Hilda a malincuore.

‹‹Lo abbiamo salvato dalle segrete dove lo jarl traditore l’aveva rinchiuso!›› ululò Helgi alzando le braccia.

‹‹Leif, ›› chiamò Freija sporgendosi dallo scranno, ‹‹è vero quello che dicono?››.

‹‹Sono menzogne!›› rispose Leif sforzandosi di mantenere la calma. ‹‹Hilda ha tradito, non io!›› urlò all’improvviso Leif. ‹‹Ha consegnato il potere nelle mani di un servo del Dio bianco!››.

‹‹Non ascoltatelo!›› inveì Freyr. ‹‹Sta cercando di gettare fango sulle nostre parole per salvarsi!››.

‹‹Leif non mente!›› disse Magni. ‹‹L’uomo che Hilda ha nominato Landvarnarmaðr, Protettore dei territori d’Ásgarðr non rispetta il volere del Padre di Tutti, il grande dio monocolo! L’utlänning adora il Dio Bianco, l’acerrimo rivale del possente Þòrr! Leif ha le prove!››.

Leif tirò fuori dal borsello la croce del nord di Hyoga e la sventolò sulla testa perché la potessero vedere tutti nel salone. ‹‹L’utlänning è venuto per plagiare Hilda, e ci è riuscito!›› disse. ‹‹Lei gli ha consegnato l’anello del Landvarnarmaðr e tutta Ásgarðr! Odino stesso l’avrà rinchiuso nelle segrete perché marcisse divorato dalle sue menzogne!››. Lanciò la croce sul pavimento davanti a Hyoga e sputò sulla pedana in segno di disprezzo. ‹‹Prendete il cristiano prima che cerchi d’incantarci tutti!››.

La reazione alle sue parole fu un’esplosione di rabbia che coinvolse tutti i presenti. Le file che arginavano il corridoio si spaccarono e gli uomini invasero ogni spazio chiudendosi attorno a Hyoga e ai tre capitani.

‹‹No, Leif! No!››.

Le grida disperate di Freija furono sommerse dal chiasso delle grida furiose nel salone, e persino i possenti ordini di Hilda si perdevano senza esito nel tumulto.

I soldati di Magni, con Guga e Agni in prima fila, si serravano intorno al palco, richiamati dalle frenetiche esortazioni di Leif puntando in avanti le loro alabarde e pronti ad agire. Gli altri soldati, quelli di Hermóðr, anche loro presenti, ubbidirono al loro capitano, assolutamente spiazzato dal fuori programma, e si affrettarono a proteggere Hyoga spingendo indietro la folla impazzita.

Il Landvarnarmaðr era rimasto chiuso in un piccolissimo spazio, con Helgi e Freyr che spingevano forte e colpivano chiunque muovesse un passo di più verso loro. Magni, approfittando della confusione, si scagliò contro di lui stringendogli le mani alla gola. Hyoga, con un braccio rotto, cercò di liberarsi dalla morsa di Magni, che lo stava strozzando, colpendolo a pugno chiuso in faccia.

‹‹Hermóðr, corri!›› chiamò Helgi. ‹‹Corri!››. E mentre il Placido si faceva strada tra la folla per raggiungerli, Helgi si buttò su Magni, liberando Hyoga dalla stretta mortale dei guanti di ferro del fulvo capitano.

‹‹Hai preso un abbaglio, Magni!›› gridava cercando di trattenerlo. ‹‹Non peggiorare la situazione o sarai accusato anche tu di tradimento!››.

Hermóðr, a suon di pugni e calci, guadagnò la piazzola che i suoi soldati e Freyr difendevano dagli assalti degli uomini inferociti. La loro fortuna fu che nessuno osò sfoderare le armi dal fodero perché Hilda aveva proibito di usarle durante l’assemblea. Gli uomini di Magni erano armati, ma schierati a difesa del palco e lontani dalla ressa. Gli uomini di Hermóðr, invece, con le loro spade ben legate alle cinture, si difesero a mani nude per non infrangere le regole del Þing.

‹‹Tirati, su! Forza!›› incitò Hermóðr aiutando Hyoga ad alzarsi da terra. ‹‹Sul palco! Vai sul palco›› suggerì indicando la pedana ad un passo da loro.

Sulla pedana di legno, Hilda stava discutendo furiosamente con Leif, ma era impossibile distinguere le loro parole. Ciò che Hyoga vide fu Freija, raggomitolata sul suo scranno, pallida e con occhi grandi di paura.

‹‹Aiutami, Hermóðr!›› disse all’improvviso. ‹‹Quando sono lassù, nessuno deve salire…non ce la posso fare contro troppi uomini! Con questo braccio sarà già difficile affrontare Leif solo!››.

Provò a muovere il braccio sinistro che rimase dolorosamente penzolante. Focalizzò l’attenzione sulla pedana davanti a sé, deciso a passare nel punto in cui vedeva solo due soldati, fianco a fianco, Guga con una mazza e Agni con una lunga lancia che brandiva a due mani. Nella frazione di secondo che impiegò a decidere in quale direzione dirigersi, Hermóðr aveva già organizzato un piano e comandava ordini per metterlo in atto.

I soldati di Hermóðr, con anche Freyr, diedero una forte spinta alla folla, poi indietreggiarono, muovendosi velocemente verso la pedana, mentre Freyr gridava come un forsennato perché i soldati di Magni abbassassero immediatamente le armi. Le sue imprecazioni crearono lo scompiglio tra gli uomini dell’hirð, che avevano obbedito a Magni e a Leif, che intanto continuava ad incitarli perché restassero al loro posto. Dall’altra parte però, sentivano la voce di Hilda che apostrofava Leif, e furono sopraffatti dalla rabbia di Freyr che li raggiunse di slancio e colpì alcuni uomini disarmandoli. Quell’attimo di confusione, fu provvidenziale per Hyoga.

‹‹Ora!›› gridò Hermóðr. ‹‹Vai, Hyoga, adesso!››.

Il Landvarnarmaðr, con le spalle protette dai guerrieri di Hermóðr, si precipitò verso la pedana nel punto in cui si trovavano Guga e Agni che gli si buttarono addosso appena lo videro.

Agni fece un passo cercando d’infilzarlo con la punta della lancia, ma era troppo lento per sorprenderlo. Hyoga afferrò l’asta saldamente con la destra e poggiandosela sul fianco, come perno, la spinse di lato con tutta la sua forza. Agni, nel contrasto, perse la presa e l’asta, ora guidata da Hyoga, lo colpì all’addome con forza, scaraventandolo a terra.

Intanto Guga brandì alta la mazza, tentando di colpire Hyoga alla testa, e anche lui fu poco fortunato. Hyoga dovette parare il colpo col braccio sinistro, nel quale sentì un violento ciocco al contatto col ferro, poi indirizzò un calcio alle coste dell’uomo. Guga d’istinto aprì la mani e lasciò cadere la mazza, ma fu troppo tardi quando si accorse che Agni, battuto, aveva perso la sua arma. Il Landvarnarmaðr fece roteare l’asta girando la punta verso l’avversario e piantò la lancia nella coscia di Guga, trapassandola da parte a parte. Agni gli si buttò addosso ma Hyoga, più veloce, aveva già recuperato la mazza e con quella lo colpì in faccia, atterrandolo definitivamente.

Hilda e Freija, assieme allo sciagurato Leif erano rimasti bloccati sul palco mentre, sotto di loro, i soldati, seguendo stavolta le direttive di Freyr e dei capitani, cercavano di trattenere la massa di gente che si era lanciata in una violenta caccia all’uomo.

La sacerdotessa, inferocita per le accuse ingiuste di Leif che avevano infangato pubblicamente il suo onore, sentì crescere la rabbia nell’assistere al tragico dilagare della follia tra i partecipanti dell’assemblea. Chiamò a voce alta e sfidò Leif guardandolo con occhi di brace.

‹‹Magni! Helgi! Arrestate quest’infame prima che lo uccida con le mie mani!›› gridò arrossandosi in volto e puntando il dito contro Leif.

‹‹Magni non ti ubbidirà!›› rise selvaggiamente Leif. ‹‹E guarda Helgi, guardalo! Non riuscirà a convincere Magni a cambiare idea, perché il figlio del possente Thor obbedisce a me adesso! Helgi morirà, come gli altri tuoi capitani e l’utlänning!››.

Poco lontano da loro, in mezzo agli uomini che ondeggiavano a destra e sinistra impegnati in una furiosa lotta senza senso contro i soldati dell’hirð, si potevano riconoscere i due corpulenti capitani, Helgi e Magni, aggrovigliati e furibondi.

‹‹Sapevo che tramavi qualcosa, l’ho sempre saputo! Tutto questo è opera tua?››. Hilda gridava e Leif in risposta rideva.

‹‹Se fosse? Il tuo amante cristiano avrà quello che si merita, e anche tu!››.

‹‹Arrenditi ai miei uomini prima che ti catturino, o ti farò trucidare senza pietà!››.

‹‹Non mi minacciare, non è più nei tuoi poteri!››.

‹‹Come osi, maledetto?››. Hilda avvampò di rabbia e si mosse verso di lui.

Leif sciolse i lacci ed estrasse la spada dal fodero, facendola saltare nella mano, beffardo.

‹‹Avanti, Hilda! Fammi vedere di cosa sei capace senza l’appoggio della tua hirð!››.

‹‹Leif, metti via quell’arma! Sei impazzito?››.

‹‹Sta zitta tu, puttana!››gridò all’indirizzo di Freija.

‹‹Leif!››.

Lo jarl si scosse quando sentì la voce di Hyoga vicinissima e lo vide che saliva a fatica sulla pedana, proprio dietro di lui che per un solo secondo, nel gridare contro Freija, aveva voltato le spalle al salone. Lo jarl allargò le narici e spalancò gli occhi, incapace di credere a ciò che vedeva.

‹‹Come hai fatto ad arrivare fin qui?!››.

Freija s’alzò di scatto dallo scranno per correre da Hyoga ma Leif la trattenne per un braccio e la scaraventò a terra violentemente.

‹‹Sta ferma lì!›› la minacciò puntandole contro la spada.

‹‹Toccala un’altra volta e te ne pentirai!›› tuonò Hyoga alzandosi in piedi a fatica, aiutato da Hilda che continuava a chiamare perché qualcuno corresse ad aiutarli.

‹‹Urla pure, strega!›› rise crudelmente Leif. ‹‹Non ti avvicinare!›› ordinò a Hyoga sollevando Freija da terra e premendole la lama della spada alla gola. ‹‹Non ti temo, cristiano bastardo!››.

‹‹Affrontami e lasciala libera allora!››.

Hyoga si mosse istintivamente verso Freija, ma Leif esercitò una maggiore pressione e la principessa urlò, mentre le lacrime scendevano copiose a bagnarle le guance e le labbra si deformarono in una smorfia di terrore e dolore quando una goccia di sangue le colò lungo collo dal piccolo taglio sulla pelle.

‹‹Non un passo di più, o l’ammazzo!›› sbraitò Leif sgranando gli occhi.

‹‹Per l’amor di Dio, no!›› s’agitò Hyoga vedendola ferita. ‹‹Lasciala libera, è me che vuoi!›› disse premendosi una mano sul petto. ‹‹Lasciala, ti prego, non le fare del male! Non ha già sofferto abbastanza?››.

‹‹Leif, ragiona…non commettere questo delitto assurdo…›› aggiunse Hilda che sarebbe stata persino disposta a scendere a compromessi col traditore a patto che liberasse sua sorella.

‹‹Zitti, maledetti!›› rispose lo jarl con la faccia livida e le vene del collo gonfie. ‹‹Se muore, sarà solo colpa vostra!››.

‹‹Sei pazzo…›› mormorò Hyoga fissandolo dritto negli occhi. Se avesse preso tempo, forse avrebbe trovato un modo per risolvere la situazione senza che nessuno di loro si facesse male.

‹‹No, sono sanissimo!››. Strinse più forte le braccia intorno a Freija, e la lama scintillò crudelmente. ‹‹Se tu fossi rimasto nelle segrete, avresti avuto una morte veloce. Invece adesso a causa della tua testardaggine dovranno soffrire anche altri! E tu, ›› disse rivolto a Hilda con uno sguardo compassionevole, ‹‹anche tu saresti morta senza accorgertene!››. Hilda sbiancò e fece un passo indietro intimorita. ‹‹Cosa c’è, strega? Hai paura? E fai bene!›› gridò Leif, strattonando Freija che piangeva. ‹‹Morirete entrambi, tu, strega, e il tuo amante!›› ripeté Leif esaltato. ‹‹L’unica che vivrà sarà Freija, e sarà la mia sposa e la mia regina!››. Inaspettatamente, indietreggiando di un passo, si volse a guardare il fondo della sala come se stesse cercando qualcuno. Poi gridò con tutto il fiato che poté trovare. ‹‹Cosa aspettate? Uccideteli!››.

All’ingresso di Hyoga, Freyr e Helgi, Bylistr sollevò appena il cappuccio e trovò la forza di sorridere nonostante la rabbia indicibile. Assistette con i suoi compagni allo spettacolo di follia che invase il baer sperando che la folla aizzata da Leif e Magni linciasse il cristiano.

Non fu per niente soddisfatto di quello che vide e si mosse di conseguenza. Da sotto il cappuccio che gli copriva per metà il volto, fiammeggiarono i suoi occhi spalancati in un’espressione d’incredulità e disprezzo.

‹‹Siamo stati incauti›› sibilò Ragnarr. ‹‹Avremmo dovuto prevedere che il principe bastardo avrebbe interferito con i nostri piani!››.

‹‹Eirik ci ha mentito!›› grugnì Bylistr. ‹‹Aveva assicurato d’averlo ucciso!››.

‹‹Eirik è già morto!›› rise Skœrir. ‹‹Era un uomo inutile e lagnoso, e la sua descrizione della morte del principe non mi aveva convinto. Gli ho tagliato la gola io stesso!››. Rise ancora.

‹‹Quello che più ci deve preoccupare è l’utlänning›› si preoccupò Ragnarr. Leif avrebbe dovuto ucciderlo, invece si è solo divertito a farlo pestare! Eppure l’avevamo avvertito che non doveva sottovalutare la sua forza!››.

‹‹Leif figlio di Eric il Vile ha commesso troppi errori…e ha parlato troppo dei nostri piani!›› sentenziò Bylistr.

Aveva avuto un pessimo presentimento, quando aveva visto arrivare l’utlänning che credeva già morto, e aveva dubitato che Leif sarebbe stato in grado di gestire la situazione. I suoi sospetti si erano rivelati esatti ma, se anche si fosse trovato in difficoltà, Leif non avrebbe mai dovuto malmenare Freija davanti ai suoi occhi.

Ragnarr ringhiò facendo stridere i denti. ‹‹Figlio di cane! Quel maledetto ci farà scoprire tutti di questo passo!››.

‹‹Preparatevi a colpire!››. Bylistr tentò di mantenere la calma, nonostante il sangue gli bollisse nelle vene.

Ragnarr e Skœrir estrassero di sotto i loro mantelli due piccole balestre e cominciarono a caricarle.

‹‹Il veleno per Hilda, è poco e prezioso! All’utlänning penseremo dopo!›› precisò Bylistr, digrignando i denti. ‹‹Potrebbe ancora uccidere Leif, anche se è ridotto male››.

‹‹L’avevo detto che lo jarl era un poco di buono›› sentenziò Ragnarr, sputando per terra. ‹‹E mi dispiace ammettere che la seiðkona Gullveig aveva ragione››.

‹‹Avrà quello che si merita, una volta che avremo finito con la strega›› aggiunse Skœrir mentre accarezzava con un ghigno soddisfatto la micidiale arma.

‹‹Anche la morte sarà un prezzo troppo basso per aver fatto fallire il nostro piano e per aver osato toccare Freija!››. Bylistr guardò un’ultima volta verso il palco e arricciò le labbra in una smorfia crudele. ‹‹Adesso!››.

Hyoga si girò meccanicamente, ma non riuscì a seguire lo sguardo di Leif, distratto dall’ondeggiante massa umana che si muoveva come le foglie al vento sotto i suoi occhi.

Hilda, impietrita, si portò le mani al volto cercando disperatamente d’individuare qualcosa o qualcuno che potesse rappresentare un pericolo per loro, invano. Hyoga invece notò subito il luccichio del metallo delle balestre puntate nella loro direzione. Vide con la coda dell’occhio la sacerdotessa ferma in mezzo al palco, qualche passo lontana da lui, e una morsa di terrore gli strinse lo stomaco.

Le punte delle frecce luccicarono e in una frazione di secondo, con un grido d’allarme, si buttò di lato parandosi davanti a Hilda e gettandola a terra. Gli parve di udire il caratteristico sibilo delle frecce, prima di cadere al suolo con un tonfo.

Ciò che accadde dopo, si svolse in tempo breve e furono avvenimenti confusi.

Hilda, nella caduta, aveva battuto la testa sulla pedana di legno ma non sembrava ferita, aveva solo un graffio alla tempia. Hyoga aveva battuto di nuovo il braccio, ormai insensibile anche al dolore, penzolante dal gomito. Si sollevò appena per mettere in allarme i capitani.

‹‹Freyr, Hermóðr! Lanciano frecce dal fondo della sala! Vogliono colpire Hilda!››.

Un istante prima che fossero scoccate le frecce avvelenate, nella colluttazione violenta, Helgi aveva strappato il ciondolo dal collo di Magni, che si era ripreso all’istante.

‹‹Helgi?! Che succede?›› esclamò stralunato.

‹‹Cosa ti è successo?›› farfugliò Helgi col ciondolo ancora stretto in mano.

Allora, udirono il grido agghiacciante di Freija, e si voltarono verso il palco, in tempo per assistere alla rocambolesca caduta di Hyoga. Lo videro rotolare per terra con Hilda.

Helgi chiamò Hilda con un grido disperato e scattò verso la pedata, gettando a terra Magni, piombato in uno stato confusionale e incapace di reagire.

‹‹Freyr! Hermóðr!›› continuò a gridare Helgi in preda all’ansia. Fu Freyr che gli rispose.

‹‹In fondo alla sala, Helgi!›› sentì urlare dal principe che si dibatteva come un ossesso per liberarsi della folla di uomini intorno a lui. ‹‹Hanno balestre, Helgi! Hilda sul palco è un bersaglio facile!››.

‹‹Friðbönd, friðbönd!›› gridò d’improvviso Hermóðr puntando l’indice verso la pedana di legno. ‹‹Leif ha spezzato i legacci di pace!››.

Grida di disprezzo e stupore si levarono dalla folla di uomini accalcati, che smisero per un momento di combattere, rendendo più facile il compito di Freyr ed Helgi che cercavano di raggiungere il fondo del salone e d’indirizzare là i loro soldati.

Hyoga avrebbe voluto alzarsi in piedi ma aveva una sensazione di dolore generalizzata con fitte lancinanti, e si sorprese di non riuscire ad individuare da quale punto del suo corpo provenissero. Era stato colpito. L’asta di una freccia era penetrata in profondità nella spalla sinistra, l’altro dardo l’aveva fortunatamente sfiorato all’altezza del fianco destro. Tentò di alzarsi ma gli mancavano le forze e i suoi movimenti erano rallentati.

‹‹Maledetto bastardo! Vuoi fare l’eroe!››.

Hyoga provò ad inginocchiarsi, ma dovette sedersi per mantenere l’equilibrio, poi si appoggiò su un fianco perché gli girava la testa. Cercò di focalizzare l’attenzione su Leif, che camminava verso di lui.

‹‹Cosa credi?›› disse lo jarl, spingendo via Freija che cadde contro il suo scranno. ‹‹Hai solo ritardato il momento della sua fine!››. Girò abilmente la spada sul palmo della mano con un ghigno vittorioso. ‹‹Vorrà dire che mi occuperò prima di te!››.

Bylistr osservava la scena dal fondo, mentre Skœrir e Ragnarr lo incitavano.

‹‹Maledizione!›› gridò Skœrir. ‹‹È riuscito a salvarla!››.

‹‹Almeno lui morirà!›› sentenziò Bylistr. ‹‹Magra consolazione però! Non sono soddisfatto! Ricaricate le balestre!›› ordinò sempre con gli occhi fissi sulla pedana.

‹‹Andiamo, Bylistr! Helblindi avrebbe dovuto essere già arrivato! Andiamocene, o i saldati ci saranno addosso in un momento!›› suggerì Ragnarr.

Bylistr non si muoveva e osservava con occhi di fiamme lo jarl Leif che sovrastava l’utlänning ormai sfinito.

‹‹Non ancora›› disse prendendo la balestra dalle mani di Skœrir. ‹‹Prima il gran finale!››.

Sulla pedana, Leif ormai fuori controllo brandiva alta sulla testa la sua spada.

‹‹Userò il tuo cranio come scodella, utlänning, per bere il tuo sangue!››.

La sua spada sibilò fendendo l’aria davanti a lui, seguendo veloce la traiettoria verso il collo di Hyoga, accasciato a terra. Fu l’urlo disperato di Freija che lo salvò. Leif si sentì gelare il sangue, spaventato da quell’acuto grido di terrore, e per un attimo rallentò la corsa della spada. Hyoga ebbe il tempo di rotolare di qualche passo, la distanza sufficiente ad evitare il primo fendente violento sferrato da Leif.

Leif lanciò un’occhiata furente a Freija, poi si concentrò di nuovo su Hyoga. ‹‹Non puoi strisciare via in eterno come un verme! Stavolta non ti salverà nessuno!››. Lo jarl estrasse la spada che si era piantata nel legno della pedana e la sollevò di nuovo alta. ‹‹Hai paura di morire, utlänning? All’inferno potrai dire che hai perso la testa per la donna sbagliata!››.

Hyoga, al limite delle forze, quasi vinto dal veleno delle frecce, osservò Leif pronto a colpire. Chiuse gli occhi e il suo ultimo pensiero fu una preghiera per sé, per Freija, per tutte le persone a lui care.

L’urlo di Freija riecheggiò per la seconda volta, e stavolta sovrastò i rumori del tumulto che si stava calmando nella sala. Poi si accasciò a terra, svenuta, pallida come il corpo di Leif che stava dissanguando velocemente.

Dal fondo della sala erano state scoccate, con fatale precisione, altre due frecce, che avevano raggiunto Leif al cuore e alla gola, identiche a quelle che avrebbero dovuto uccidere la sacerdotessa. Hilda aveva ripreso conoscenza appena in tempo per assistere alla morte del traditore.

Hyoga non riusciva a tenersi sollevato da terra, la testa era pesante e il corpo intorpidito. Con uno sforzo riaprì gli occhi, e l’ultima cosa che vide fu il sangue di Leif che sgorgava copioso dalla giugulare, allargandosi a macchia d’olio sulla pedana.

Poi le immagini divennero sfocate, irriconoscibili, i suoni gli giunsero ovattati ma lui non poteva sapere che ormai era già tutto finito. Chiamò Freija, appena un mormorio, poi sentì qualcuno che lo stringeva forte e chiamava aiuto. Non riconobbe la voce disperata di Hilda che lo abbracciava, ma si sentì volare, quando lo sollevarono per portarlo via. L’ultima sensazione cosciente.

Note

1) Thor era uno dei Guerrieri Divini che combatté e morì nella Guerra dell’Anello. Quando Hyoga fu imprigionato nelle segrete, Hilda incaricò Thor di torturarlo a morte, ma Freija riuscì ad intervenire prima che il guerriero del Martello potesse eseguire gli ordini della sacerdotessa.

2) Goði: ‹‹divino››.