CAPITOLO QUINDICESIMO. GRADITI RITORNI.

Il Grande Tempio di Atene era stato in gran parte spazzato via dai vortici creati da Eos e dai suoi quattro figli, Borea, Austro, Zefiro e Euro, i quattro venti. Niente più esisteva delle robuste mura perimetrali, un tempo percorse da arcieri e Cavalieri di guardia all’ingresso, solamente disordinati mucchi di detriti. L’unica parte rimasta intatta era quella più a ridosso della montagna, dove si concentrava il grosso delle abitazioni, la scuola delle Sacerdotesse, l’infermeria e, soprattutto, le Dodici Case dello Zodiaco, lungo un fianco della Collina della Divinità. Centinaia di soldati semplici erano caduti, per difendere il Tempio della Dea Guerriera, in sanguinosi corpo a corpo contro i Cavalieri Celesti. Quelli che restavano giacevano ammassati nella polvere e nel sangue, troppo deboli anche solo per volgere lo sguardo verso il firmamento.

Kiki dell’Appendix aveva radunato numerosi feriti nell’infermeria, con l’aiuto di alcune giovani sacerdotesse, sperando di riuscire a medicarli in tempo, ma l’elevato afflusso di persone bisognose di cure aveva congestionato la struttura, impotente comunque di fronte a attacchi esterni. Birnam della Bussola era caduto per difendere le popolazioni di Atene e i loro feriti, impedendo a Zefiro e Austro di radere al suolo le costruzioni abitate. Ma Kiki adesso era inerme di fronte al pericolo e sapeva anche di non poter contare sull’aiuto degli altri Cavalieri, impegnati in massacranti combattimenti, a dir poco letali. Black, Ban, Aspides e Geki erano stati atterrati da Euro, lo sfuggente figlio dell’Aurora, mentre Asher e Tisifone, che avevano dato il meglio di loro stessi in quel glorioso giorno, erano esausti, accasciati al suolo e incapaci di muovere un solo braccio.

I loro avversari erano ancora vivi: il focoso Borea, Dio del Vento del Nord, anche se ferito dagli attacchi di Tisifone, e lo schivo Euro, Dio del Vento dell’Est. Per non parlare poi di Eos, la Divinità dell’Aurora, che aveva guidato l’attacco. Ad essi si aggiungeva il Luogotenente dell’Olimpo, Phantom dell’Eridano Celeste, impegnato alla Prima Casa contro Castalia, Mizar e Alcor.

L’assalto era iniziato già da parecchie ore quando Pegasus e Andromeda arrivarono al Grande Tempio. Sconvolti per aver trovato le mura distrutte, sentirono cosmi ardenti scintillare lungo la via per le Dodici Case. Pegasus tremò nel riconoscere, debolissimi, quelli di Tisifone, Asher, Castalia e degli altri Cavalieri di Bronzo. Gli altri non riusciva a distinguerli, ma realizzò appartenessero a qualche sicario inviato da Zeus, come Bronte del Tuono. Senza esitare, i due amici raggiunsero il piazzale centrale del Grande Tempio, diventato ormai un enorme cimitero in cu mucchi di cadaveri giacevano abbandonati e pochi difensori opponevano l’ultima resistenza.

Pegasus vide un Cavaliere sconosciuto, ricoperto da una luminosa corazza Celeste, forgiata probabilmente dalla stessa mano divina che creò quella dei Ciclopi, caricare una sfera e prepararsi per lanciarla contro Tisifone, rivestita dall’Armatura del Cancro, e contro Asher, praticamente nudo, accasciati davanti a lui. Non vide altro, ma fu abbastanza per farlo reagire.

"Fulmineee di Pegasus!!!" –Urlò, scagliando contro lo sconosciuto Cavaliere il proprio attacco lucente, mentre Andromeda lo teneva immobilizzato con le sue catene.

Il giovane fu colpito in pieno, preso di sorpresa e già indebolito dai colpi ricevuti da Tisifone, e fu sbalzato indietro di parecchi metri. Solo allora Pegasus notò che ce n’era un altro, con un’armatura non dissimile da quella del compagno, che era balzato sopra le rocce per evitare di essere colpito.

"Chi siete, invasori?" –Domandò infine, mentre Borea si rialzava spuntando sangue.

"Siamo coloro che faranno strage dei Cavalieri della Dea traditrice! Borea è il mio nome, Vento del Nord! Ed egli è Euro, Vento dell’Est! Figli di Eos, Dea dell’Aurora!"

"La Dea dell’Aurora?!" –Mormorò Andromeda.

"In persona!" –Esclamò una voce di donna, sopra di loro.

Pegasus e Andromeda alzarono lo sguardo e videro una figura femminile, ricoperta da scintillante vestigia divine, fluttuare a mezz’aria e discendere su di loro. Non ebbero il tempo di dire altro che dovettero fronteggiare l’attacco della donna, che lanciò contro di loro un’enorme sfera incandescente. Andromeda roteò le proprie catene, per proteggere se stesso e l’amico, ma l’impatto fu comunque rovinoso, scagliando entrambi indietro di parecchi metri. Borea si lanciò subito avanti, determinato a neutralizzare i nuovi nemici prima che avessero la possibilità di reagire, ma Pegasus e Andromeda, rotolando sul terreno distrutto, evitarono gli affondi del Dio del Vento del Nord.

"Onde del Tuono, sfrecciate!!!" –Esclamò Andromeda, lanciando la Catena di Offesa.

Questa subito si srotolò in decine di catene diverse, che puntarono su Borea, che tentò di schivarle, saltando indietro, ma fu afferrato comunque per una gamba e, con uno strattone deciso, tirato avanti. Pegasus lo afferrò in volo, scaraventandolo a terra, con forza tale da creare una rozza sagoma nel terreno, e poi si lanciò su di lui con il Fulmine di Pegasus. Borea fu colpito in pieno, incapace di muoversi, stritolato dalla Catena di Andromeda che si andava avvoltolando alla sua gamba, liberando scintille energetiche, e ferito dai pugni lucenti del ragazzo.

"Smettila!!!" –Urlò Eos, intervenendo per difendere il figlio. E scagliò una nuova immensa sfera energetica sui due Cavalieri di Atena.

Andromeda tentò inutilmente di ricreare la Difesa Circolare con la catena, ma anche quella volta fu inutile e i due furono travolti dall’esplosione della sfera e scaraventati indietro. Eos fu subito su di loro, piombando dall’alto come una cometa luminosa, ma Andromeda, ancora sdraiato a terra, lanciò la catena per afferrarla. L’attacco non ebbe successo, in quanto la Dea, spostandosi a una velocità superiore, non ebbe problemi ad evitare l’arma e a giungere sopra di lui, scagliandogli contro una sfera incandescente. Andromeda fu colpito in pieno, e dall’esplosione fu letteralmente scagliato in alto, mentre le sue vestigia bronzee si distruggevano in più punti. La donna non riuscì però a finirlo che dovette fronteggiare l’assalto di Pegasus.

"Fulmine di Pegasus!!!" –Gridò, scattando avanti per salvare l’amico.

Ma Eos evitò tutti gli attacchi del ragazzo, afferrandolo per un braccio quando questi gli giunse davanti e scaraventandolo indietro. Pegasus però fu abile a ricadere compostamente a terra e a scagliare una nuova raffica di colpi luminosi, che costrinse la Dea ad aprire le braccia, creando una barriera su cui si infranse l’attacco. È una Divinità potente! Rifletté Pegasus, osservando Eos contrastare il suo attacco senza il minimo sforzo. Come Apollo, Nettuno e Ade! E noi siamo solo in due stavolta! In quel momento avrebbe voluto essere insieme ai suoi compagni, a Sirio, Cristal e Phoenix, di cui non era ancora riuscito a percepire i cosmi.

Fin da quando avevano lasciato il Giappone, Pegasus e Andromeda avevano cercato di comunicare con i loro amici usando il cosmo, ma inutilmente. Essi risultavano introvabili. E questo li aveva fatto preoccupare non poco. Anche se era possibile che i tre fossero ancora sotto l’effetto del Talismano della Dimenticanza e che quindi i loro cosmi risultassero ancora celati. Sirio! Cristal! Phoenix! Vorrei essere con voi! Vorrei che fossimo insieme! A combattere un nemico comune, unendo i nostri cosmi e i nostri destini come tante volte abbiamo fatto! Rifletté Pegasus, scagliando un nuovo attacco contro la Dea dell’Aurora. Ma anche quello non raggiunse il bersaglio.

"È tempo di mettere la parola fine sul triste libro di questo tempio!" –Esclamò Eos, bruciando il cosmo.

Pegasus e Andromeda approntarono le loro difese, spaventati dallo strapotere della Divinità che, di fronte a loro, stava creando un’immensa sfera energetica tra le mani. In un attimo la sfera saettò verso i due amici, che non riuscirono ad evitarla, venendo travolti e scaraventati lontano, mentre le corazze bronzee che avevano indosso si schiantavano, lasciandoli a terra nudi e sanguinanti. Eos si pulì le mani, soddisfatta del proprio lavoro, e diede le spalle ai due corpi feriti, in tempo per osservare Tisifone rialzarsi e continuare lo scontro con Borea. Sorrise maliziosamente, sicura della vittoria del figlio. La cosa che la turbava maggiormente però, oltre alla perdita di Zefiro e Austro, era l’atteggiamento irriverente dell’altro suo figlio, Euro. Solitario e malinconico, il Vento dell’Est osservava la scena in disparte, e Eos si chiese cosa stesse ragionando da parecchi minuti.

Nel frattempo, mentre Birnam, Tisifone e Asher affrontavano i figli di Eos, Castalia stava continuando il suo combattimento contro Phantom dell’Eridano Celeste, davanti alla Prima Casa dell’Ariete. Il Luogotenente dell’Olimpo, dopo aver tentato di immobilizzare la donna, insieme ai due Cavalieri di Asgard che combattevano al suo fianco, Mizar e Alcor, con le Liane dell’Eridano, aveva deciso di scagliare il suo colpo più potente: un gigantesco gorgo di acqua e energia cosmica, che aveva travolto i tre Cavalieri e l’intero piazzale, ponendo una seria ipoteca sull’andamento della battaglia. Phantom si avvicinò infine a Castalia, che giaceva a terra, ferita e debole, mentre la sua armatura si era frantumata in più punti.

Devo rialzarmi! Si impose la Sacerdotessa dell’Aquila. Devo difendere il Grande Tempio e Atena! E i miei compagni che stanno morendo più in basso! Aggiunse, sentendo i cosmi di Birnam, Asher e Tisifone esplodere decine di metri più a valle.

Phantom dell’Eridano Celeste la osservava in silenzio, e i suoi occhi verdi sembravano esprimere una sconfinata malinconia, un dispiacere nel dover affrontare proprio lei, una donna per la quale sentiva qualcosa, un sentimento di unione che sembrava trascendere il tempo, e provenire dal Mondo Antico. Ma gli ordini del Sommo Zeus devono essere eseguiti! Sospirò infine, sollevando il braccio e concentrando una sfera di energia cosmica sulla mano, per scagliarla contro la donna. Ma nel momento stesso in cui abbassava la mano, per calare come un boia su di lei, fu investito in pieno da un raggio di luce e spinto indietro, immobilizzato, completamente incapace di muoversi.

"Che succede?" –Mormorò, osservando il suo corpo avvolto da una specie di globo energetico.

"Non muoverti, Cavaliere di Zeus, e avrai salva la vita!" –Esclamò una voce di donna, uscendo dalla Prima Casa d’Ariete.

"Chi sei?" –Domandò, osservando la giovane che si avvicinava.

"Sono Ilda di Polaris, Celebrante di Odino a Midgard, e cara amica della Dea Atena!"

"La Celebrante di Odino?!" –Ripeté Phantom, e in quel momento si accorse che Mizar e Alcor si erano rialzati, ed erano subito corsi davanti alla loro signora, per proteggerla.

Anche Castalia si rialzò in quel momento, debole e stordita, ma determinata a continuare la lotta.

"Leggo nel tuo cuore il dubbio, Cavaliere Celeste! E lo capisco!" –Esclamò Ilda, e la sua voce si fece più distesa. –"Perché sai di combattere per una causa ingiusta! Anzi, per nessuna causa che rientra tra i tuoi ideali!"

"I tuoi poteri sono grandi, Celebrante di Odino, se riesci a penetrare l’animo di un Cavaliere Celeste!" –Commentò Phantom, riuscendo finalmente ad abbassare il braccio destro.

"Non ho bisogno di saper leggere nell’animo, nobile Eridano! A volte basta semplicemente osservare i comportamenti umani per comprendere molte più cose di quanto si creda!"

Phantom sorrise per la genuina freschezza di quelle parole. Parole che, lo sapeva, erano vere.

"Phantom!" –Intervenne per la prima volta Castalia. –"Sull’Olimpo mi dicesti che speravi di evitare una guerra con Atene, adesso hai la possibilità di mettere in pratica ciò che avevi affermato!"

"No, Castalia! Io non ho quella possibilità! Questa guerra è assurda, me ne rendo ben conto, e credo sia voluta più dalle ambizioni imperiali di Flegias che non realmente dal mio Signore! Ma dal momento che egli mi ha affidato questo incarico, come suo Luogotenente, ho il dovere morale di portarlo fino in fondo ed eseguirlo! La fedeltà a Zeus viene prima di qualsiasi altro sentimento!"

"Concordo con le tue parole!" –Intervenne Mizar. –"Ma non sai quanto facciano male, Cavaliere dell’Eridano! Non sai quanto faccia male obbedire agli ordini della Divinità in cui creiamo quando non condividiamo i suoi propositi! Non sai quanto faccia male osservare impotenti i compagni che combattono per una causa ingiusta, per una causa diversa da ciò che ci è stato fatto credere!"

E Mizar lo sapeva bene, come Ilda dietro di lui, cosa volesse dire combattere per una causa sbagliata. I suoi compagni erano morti lo scorso anno, durante la Guerra dell’Anello, uccisi dai Cavalieri di Bronzo, per sbarrare loro la strada per il Palazzo di Ilda. Erano caduti tutti, il possente Thor, il cinico Luxor, l’innamorato Artax, l’impaurito Mime, il malvagio Megrez e il valente Orion. Ed erano rimasti solo loro due, Mizar e il fratello Alcor, a difendere la fortezza di Midgard. E per tutti quei mesi non era passato giorno in cui non avessero sentito Ilda piangere, e disperarsi per essere stata troppo debole da lasciarsi possedere dal Dio del Mari, per aver lasciato che i propri valorosi guerrieri cadessero in battaglie cruente che mai avrebbero dovuto essere combattute.

"Queste sono le cause ingiuste, Cavaliere Celeste!" –Continuò Mizar, con gli occhi lucidi, mentre Ilda lo avvicinava prendendolo per mano. Come fece con Alcor. –"E se anche tu, nobile Eridano, credi nel rispetto della vita e in tutti quegli ideali che le sono propri, allora cessiamo di combattere!"

"Cavalieri del Nord, conoscevo la nobiltà d’animo e di sentimento dei Cavalieri di Atena, avendo seguito con ammirazione le loro imprese recenti, ma non sapevo che anche nella fredda Asgard, o Midgard come da voi chiamata, esistessero calde emozioni e ideali così trascinanti come quelli di cui ti sei fatto interprete!" –Esclamò Phantom. –"Pur tuttavia non posso venir meno agli ordini che ho ricevuto, per fedeltà al Sommo Zeus, per ripagarlo della generosità che ha sempre mostrato nei miei confronti! E anche se non comprendo pienamente questo eccesso di rabbia nei confronti di Atena, è mio dovere eseguire ciò che mi è stato comandato! Sappiate però che è per me un onore combattere contro uomini valorosi come voi, uomini che lottano per una fede, per qualcosa in cui credono, per qualcosa per cui sarebbero disposti a morire, pur di non rinunciarvi!"

"Ma..." – Mizar fece per dire qualcosa, ma Castalia gli afferrò il braccio, pregandolo di rimanere in silenzio.

Phantom espanse il suo cosmo al massimo, liberandosi dalla gabbia in cui Ilda credeva di averlo immobilizzato, e si preparò per saltare avanti, concentrando una sfera energetica sulla mano destra. Mizar e Alcor però furono più rapidi, scattando verso di lui, sfoderando i Bianchi Artigli della Tigre. Phantom vide quei luminosi fasci energetici dirigersi verso di lui, ma riuscì ad evitarli tutti, muovendosi ad una velocità superiore. Li schivò, giungendo davanti ai due guerrieri di Odino, scagliando contro di loro una sfera energetica che li spinse indietro, davanti agli occhi preoccupati di Ilda. Ma Phantom non ebbe il tempo per riprendere fiato che già dovette affrontare Castalia, in picchiata su di lei con il Volo dell’Aquila reale.

Il Luogotenente dell’Olimpo evitò anche quel colpo, spostandosi di lato, e si preparò a colpirla, come aveva fatto all’inizio del combattimento, ma la Sacerdotessa, che aveva imparato la lezione, fu svelta a saltare nuovamente in alto, lasciando che la sfera di Phantom si infrangesse sul selciato sotto di lei, e atterrare alle sue spalle, afferrandolo da sotto le braccia e portandolo in alto.

"Che fai Castalia?" –Domandò Phantom, stupito.

"Ti mostrerò come vola un’aquila!" –Mormorò Castalia, avvolgendo entrambi con il suo cosmo.

La cometa da lei creata saettò sulle Dodici Case dello Zodiaco, mentre il cosmo dell’Aquila strideva al contatto con l’Armatura Celeste dell’Eridano. Stufo di quella scomoda posizione, Phantom espanse il suo cosmo improvvisamente, allargando le braccia e liberandosi dalla presa della ragazza, mentre erano ancora in aria. Castalia, indebolita, ricadde a terra pochi istanti dopo, rovinando sulla scalinata di marmo, mentre Phantom tentò di ricadere a terra compostamente, ma mise male un piede, distorcendosi una caviglia e zoppicando.

Quando Castalia riaprì gli occhi, stordita e sanguinante, si rese conto di non essere più alla Prima Casa d’Ariete, ma sulla bianca scalinata di marmo che Pegasus e compagni avevano percorso l’anno prima per raggiungere le stanze di Arles. Ironia della sorte, la casa che sorgeva in cima a quella parte di scalinata era la Quinta, quella del Leone.

"Credo che abbiamo giocato abbastanza!" –Esclamò Phantom, bruciando il cosmo. –"Perdonami Castalia, ma non c’è altra soluzione!"

"Abbiamo sempre una seconda scelta, Phantom! Siamo uomini, non divinità, e il nostro destino non è scritto da nessuna parte!" –Lo rimproverò Castalia. –"È questo il maggior dono che gli Dei hanno potuto farci! Non l’immortalità o la giovinezza eterna, ma la possibilità di restare liberi e decidere autonomamente il proprio destino! La possibilità di scegliere, questa è la caratteristica fondamentale della razza umana!" –E nel dir questo la Sacerdotessa dell’Aquila si lanciò avanti, scagliando una potente Cometa Pungente contro il suo avversario che, impressionato dall’impeto e dalla velocità del colpo, dovette portare entrambe le mani avanti per contenerne l’impatto.

Cresce il cosmo in lei! È determinata a non arrendersi! Rifletté Phantom. Preferirebbe morire qua, piuttosto che dichiararsi vinta al potere dell’Olimpo! Piuttosto che rinunciare ai propri ideali! Aaah Zeus, ti prendi gioco di me! Sono proprio queste le doti che ho sempre ammirato nei Cavalieri di Atena, e adesso proprio io dovrei prendere la vita di uno di loro, per cui provo stima e ammirazione. E forse qualcosa di più!

"Cometa Pungente!" – Ripeté l’attacco Castalia, balzando avanti.

Ma quella volta Phantom non si fece prendere alla sprovvista, aprendo improvvisamente le braccia e creando il temibile Gorgo dell’Eridano, che travolse Castalia, scagliandola in alto, mentre fulmini celesti laceravano le sue vesti e facevano a pezzi la sua armatura. Si schiantò molti metri più su, a un passo dall’entrata della Quinta Casa di Leo. La sua maschera andò in frantumi, rivelando il delicato viso che mai uomo alcuno aveva visto finora. A parte suo fratello. Rantolò sul marmo per qualche secondo, cercando di focalizzare qualcosa, ma l’unica cosa che riuscì a vedere furono i due leoni di pietra, posti all’entrata del Quinto Tempio.

Per un istante Phantom provò il terribile desiderio di voltare le spalle alla Casa del Leone e correre giù, tornare sul campo di battaglia dove sentiva infiammarsi i cosmi dei figli di Eos, e chiuderla lì. Senza appurarsi delle condizioni di Castalia, senza sapere se fosse ancora viva o morta. Ma poi cambiò idea, incamminandosi senza troppa fretta lungo la scalinata di marmo, fino al piazzale antistante alla Quinta Casa. Non sapeva se a guidarlo fosse stato il suo senso di responsabilità e fedeltà verso Zeus, che lo imponeva di verificare se l’avversario fosse stato ucciso, o se fosse un capriccio interiore, che si ostinava a non voler lasciare Castalia, legato a lei da un vincolo antico quanto il mondo. Per un momento Phantom si chiese se lui e la Sacerdotessa dell’Aquila non fossero stati amanti in qualche epoca passata, se non fossero reincarnazioni di qualche Divinità primordiale che aveva forgiato il mondo, rimanendo uniti per l’eternità.

Quando arrivò al piazzale di fronte al Quinto Tempio, Phantom trovò Castalia in piedi, ferita e sanguinante, con le vesti lacere, e gran parte della sua corazza distrutta. I capelli rossicci erano spettinati, e in parte le coprivano il volto, volto che era adesso scoperto. La maschera argentata si era frantumata, liberando il viso da quella strana prigionia. Senza esitazione Castalia si lanciò contro di lui, usando soltanto il proprio corpo come arma. Pugni, uno dietro l’altro, e calci veloci, senza colpi segreti. Phantom evitò tutti i diretti, muovendosi più velocemente di lei, quindi la colpì allo stomaco con il pugno destro, facendole sputare sangue, facendola accasciare sul suo braccio pochi istanti dopo.

"Lasciami!" –Mormorò Castalia, con un filo di voce.

"Non posso…" –Esclamò Phantom, stringendola a sé.

La ragazza tentò per un momento di liberarsi, ma poi si accorse di essere troppo debole per poterlo fare, troppo indolente per volerlo fare. Sentì le robuste mani del giovane correre sulla sua schiena, sfiorarla delicatamente facendole provare brividi che mai aveva provato prima. Lentamente Castalia sollevò lo sguardo, incontrando gli occhi del giovane, che adesso poteva finalmente ammirare il suo candido viso, la sua delicata bellezza. Con un gesto delicato Phantom le spostò i capelli dal viso, perdendosi negli occhi verde mare della ragazza.

Durò un attimo, prima che le loro labbra si incontrassero. E così, sul piazzale di fronte alla Quinta Casa di Leo, alla Casa dell’uomo che Castalia aveva sempre amato, senza trovare la forza per dichiararsi, la Sacerdotessa dell’Aquila si abbandonò tra le braccia dello sconosciuto amante, un giovane che le aveva eccitato l’animo fin da quando l’aveva incontrato sull’Olimpo. Quasi trasportata da una musica silenziosa, la donna si fece distendere sul pavimento, accogliendo con calore il corpo dell’uomo sopra di lei. Dentro di lei. Pochi minuti dopo esplose il cosmo di Pegasus nel piazzale del Grande Tempio.