CAPITOLO DICIOTTESIMO. LA LUNGA VIA PER LA REGGIA.

Pegasus stava combattendo contro Bronte del Tuono, uno dei tre Ciclopi Celesti, di fronte al Cancello dell’Olimpo, dopo aver permesso a Andromeda, Castalia e Tisifone di superarlo e iniziare a correre lungo il sentiero principale che portava alla Reggia di Zeus. Il combattimento stava andando avanti da quaranta minuti ormai e entrambi i contendenti erano stanchi e feriti. L’Armatura Divina di Pegasus era scheggiata in più punti, così come l’Armatura Celeste del Ciclope, e sangue usciva abbondante dalle loro ferite.

Pegasus era anche preoccupato per i suoi compagni, e soprattutto per Isabel, stritolata dai fulmini nella Torre Bianca dell’Olimpo. Ancora una volta abbiamo il tempo contro! Rifletté, ricordando tutte le precedenti battaglie combattute per salvare la Dea. Al Grande Tempio, ad Asgard, ai templi di Apollo, Discordia e Lucifero, nel Regno Sottomarino, nell’Elisio. E adesso qua, sull’Olimpo, dove mai avremmo pensato di arrivare! Oh Atena, sento il tuo cosmo fremere, lacerato da mille folgori lucenti! Resisti mia Dea, stiamo venendo da te!

Una sfera energetica rubò il ragazzo ai suoi pensieri, costringendolo a concentrarsi sulla battaglia. Bronte non sembrava intenzionato a cedere e, sebbene anch’egli stanco, più di quanto avrebbe creduto, aveva il vantaggio di non aver alcun limite temporale da rispettare. Non è mia la Dea che sta languendo sul tetto dell’Olimpo! Rifletté, con un sorriso beffardo. Una Dea che non sento proprio! Commentò, disprezzando l’irresponsabile carattere di Atena, che aveva osato ribellarsi al Padre per difendere un’umanità che neppure la conosceva.

Bronte non era stato presente al colloquio tra Atena e Zeus, ma Arge e Sterope lo avevano informato appena rientrato sull’Olimpo e, per quanto Flegias avesse ingigantito i fatti, per fomentare gli animi dei Cavalieri Celesti e delle altre Divinità contro Atena, Bronte era perfettamente d’accordo col suo Signore. Punire una Divinità eretica era l’atto migliore, soprattutto in un momento in cui strane voci giravano sull’Olimpo. Era l’atto necessario per restaurare la Divina Volontà del Padre di tutti gli Dei.

"Fulmineee di Pegasus!!!" –Urlò il Cavaliere, scattando avanti.

Centinaia di sfere energetiche partirono dal suo pugno destro, dirette verso Bronte, il quale, muovendosi alla velocità della luce, le evitò con destrezza, prima di contrattaccare con il Vortice impetuoso dei Ciclopi Celesti. Il turbine energetico, per quanto non riuscisse a sollevare Pegasus, per la resistenza del ragazzo, fu abbastanza potente da spingerlo indietro, facendolo barcollare un istante. Bronte approfittò di quel momento, per balzare in alto e lanciargli contro una sfera energetica, così potente da atterrarlo.

Il Ciclope gli fu sopra, scatenando tutta la possanza del Tuono dell’Olimpo, la cui onda d’urto fu talmente grande da spingere Pegasus a terra e poi risollevarlo, prima che un violento calcio di Bronte lo scagliasse lontano, danneggiando ulteriormente la sua Armatura Divina. Pegasus rantolò sul terreno per qualche istante, stordito e piuttosto debole. La sua spavalderia iniziale se ne era andata, riconoscendo che il Ciclope era avversario di gran lunga superiore a quel che aveva immaginato. Superiore a tutti i nemici che aveva affrontato fino a quel momento, Divinità escluse.

Pegasus! Lo chiamò improvvisamente una voce maschile, parlando al suo cosmo. Pegasus, alzati!

Il ragazzo boccheggiò un po’, facendo fatica a riconoscere il cosmo del suo lontano interlocutore. Alzati, Cavaliere di Pegasus! Non hai forse giurato che avresti protetto Atena, sempre e comunque, anche a costo della tua vita? Incalzò la voce dell’uomo. Non ho forse affidato a te, giovane Cavaliere della Speranza, la salvezza della Dea Atena?! Un caldo cosmo, lucente come il sole, invase per un attimo l’intera radura, confortando Pegasus dagli affanni del combattimento e lenendo in parte le sue ferite. Alzati adesso, e sconfiggi l’insidioso nemico che ti si è posto di fronte! Egli è forte e risoluto, indubbiamente, ma quale nemico hai mai incontrato che lo fosse meno? La salvezza di Atena dipende anche da te, come da tutti i tuoi compagni che stanno correndo adesso verso la Reggia di Zeus! Alzati e raggiungili, io ti aiuterò, donandoti le mie ali d’oro!

E improvvisamente Pegasus trovò un’inaspettata forza per rimettersi in piedi, come se un nuovo cosmo fosse confluito nel suo. Poi tutto si oscurò nuovamente, lasciando soltanto il ragazzo e il Ciclope Celeste in piedi uno davanti all’altro. Pegasus sollevò lo sguardo verso la volta stellata e gli parve che la costellazione del Sagittario gli sorridesse da lontano. Micene! Non ti deluderò! Vincerò anche per te, primo tra i Cavalieri! Mormorò, stringendo i pugni e bruciando al massimo il cosmo.

"Ancora non ti arrendi, eh, ragazzino? O sei ardito o sei un folle!" –Commentò Bronte.

"Non finché avrò qualcosa in cui credere, Ciclope Celeste, qualcosa che mi darà la forza per rialzarmi e non far sì che sia vinto!" –Rispose Pegasus, caricando il pugno destro di lucente energia e scattando avanti. –"Fulmine di Pegasus!!!"

Centinaia di sfere lucenti partirono dal suo pugno, dirette contro Bronte, a una velocità elevatissima, che sorprese lo stesso Ciclope Celeste, il quale si scansò più volte per evitarle, ma non poté fare a meno di essere colpito in vari punti. Il Groviglio di Fulmini, la barriera difensiva che aveva ricreato, non aveva funzionato perfettamente. Con un balzo Pegasus fu di fronte a Bronte, con il pugno destro carico di energia cosmica. Lo sollevò di scatto, colpendolo in pieno viso, dal basso verso l’alto, e scagliandolo in aria, ma il Ciclope, seppur ferito, fu svelto ad afferrare il braccio di Pegasus e portarlo con sé, centrandolo con un calcio in pieno petto. Pegasus rotolò sul terreno per parecchi metri, sputando sangue, mentre Bronte ricadde a terra sulle proprie gambe, massaggiandosi il viso dolorante. Con orrore si accorse che l’elmo celeste della sua Armatura era stato distrutto.

"Cos’è? Non ridi più adesso?" –Ironizzò Pegasus, rimettendosi in piedi.

"Taci!" –Lo zittì Bronte, puntando l’indice contro di lui. Dal dito si sprigionarono centinaia di scariche energetiche, guizzanti fulmini che, come serpenti, strisciarono sul terreno fino a raggiungere Pegasus e ad aggrovigliarsi intorno a lui, stringendolo. –"Ti piace? Una variante del Groviglio di Fulmini!" –Ironizzò, dando nuova forza ai suoi fulmini.

Pegasus urlò per il dolore, sentendo le folgori del Ciclope stridere sulla sua Armatura Divina, che si stava schiantando in più punti. Fu quasi tentato di buttarsi a terra, schiacciato da quell’immenso potere, ma si impose di reagire, come fece Micene a suo tempo, quando Capricorn lo massacrò.

"Non sei felice? Morirai come la tua Dea, stritolato dai fulmini dei Ciclopi, gli stessi che donammo al nostro Signore per ricompensarlo di averci liberato!" –Esclamò Bronte, sicuro della vittoria.

"Nooo!!!" –Urlò Pegasus, espandendo al massimo il proprio cosmo. Il grande potere della costellazione di Pegasus esplose poco dopo, rischiarando l’intero spiazzo con la sua luce e obbligando Bronte a tapparsi gli occhi. Le folgori incandescenti parvero quietarsi, spazzate via dall’energia del Cavaliere.

"Incredibile!" –Esclamò Bronte, osservando Pegasus liberarsi dalla stretta morsa dei suoi fulmini e scagliare contro di lui un nuovo attacco.

"Fulmine di Pegasus!!!" –Gridò ancora il ragazzo, lanciando centinaia di pugni lucenti.

Molti di essi raggiunsero il bersaglio, colpendo Bronte in pieno petto o sugli arti, senza che riuscisse ad evitarli. Il Ciclope tentò di rilanciare il Tuono dell’Olimpo, ma Pegasus lo fermò portando le mani avanti e rispendendo il colpo indietro, che travolse Bronte e lo sollevò da terra, spingendolo indietro, mentre Pegasus caricava nuovamente la Cometa Lucente.

Il Ciclope Celeste fu travolto in pieno, trapassato dall’esplosione energetica del cosmo di Pegasus, ricadendo a terra parecchi metri avanti, tra i frammenti della sua Armatura Celeste. Tentò di rialzarsi, sputando sangue, ma fu afferrato da Pegasus dal dietro e lanciato fino a schiantarsi un'altra volta contro il muro di confine, avvolto da un globo di luce che esplose immediatamente.

"No! No!" –Urlò Bronte, in preda al panico, tentando di rimettersi in piedi.

Aveva la corazza distrutta e sangue grondava da tutto il suo corpo, dal suo viso sfregiato e ferito. Barcollò sul terreno per qualche passo, prima di crollare avanti, morto. E vinto. Pegasus ansimò per lo sforzo, cadendo a terra a sua volta, nella fresca notte di primavera.

***

Dopo aver lasciato Pegasus al Cancello dell’Olimpo, Andromeda, Castalia e Tisifone corsero lungo il sentiero principale della montagna, passando in mezzo a un grande bosco, dove alberi maestosi sembravano rendere il giusto onore alla massima Divinità della Terra.

"Che strano!" –Esclamò Andromeda. –"Nonostante sia quasi l’una, l’aria è luminosa come giorno!"

"Il tempo scorre diversamente sull’Olimpo!" –Intervenne Castalia. –"Me lo spiegò Ermes questo pomeriggio… Sull’Olimpo non tramonta mai il sole, mai viene la notte!" –E sollevò lo sguardo, osservando l’aria sopra di loro, ricoperta da un sottile strato di nuvole intrise di luce. Una misteriosa fonte di luminosità che impediva alla notte di scendere sull’Olimpo.

"Conosci la strada?" –Chiese Tisifone.

"Purtroppo no! Ermes ci condusse direttamente nel giardino della Reggia di Zeus, ma temo che sarà lunga e irta di ostacoli!"

I tre Cavalieri erano angosciati, soprattutto Castalia, e dispiaciuti per aver abbandonato Pegasus da solo contro quel colosso, ma erano anche fiduciosi che l’amico sarebbe riuscito a sconfiggerlo, raggiungendoli in un secondo momento.

Improvvisamente, non se ne resero neppure conto, si ritrovarono nella nebbia. In una nebbia strana, umida e piena di voci. Rumori disturbanti stordivano i loro sensi, rendendo difficoltoso procedere nel cammino. Sibili sottili sferzarono l’aria, mentre Andromeda liberò la Catena per proteggerli da un attacco che non tardò ad arrivare. Una fitta pioggia di frecce li investì poco dopo.

"Attenti!" –Urlo Castalia, scattando di lato.

"Catena di Andromeda, disponiti a difesa!" –Esclamò il Cavaliere, mentre l’arma iniziò a roteare vorticosamente attorno a lui per proteggerlo.

Andromeda poté vedere decine e decine di frecce, che rimbalzavano nella sua difesa, ricadere a terra, ai suoi piedi. Frecce di legno, dalla sottile punta di pietra. Un’arma quasi preistorica! Osservò il ragazzo, prima di lanciare la Catena di Offesa avanti.

Tisifone e Castalia intanto stavano cercando di evitare le frecce che provenivano da ogni lato, ma si resero conto che erano veramente tante e loro troppo scoperte. Alcune frecce raggiunsero i corpi delle due Sacerdotesse, infrangendosi fortunatamente sulle loro Armature.

"Artigli del Cobra!!!" –Urlò Tisifone, lanciandosi nella direzione da cui provenivano le frecce.

Castalia fece lo stesso in un’altra direzione, lanciando la Cometa Pungente, che si schiantò contro un albero, facendo cadere alcuni guerrieri armati di archi rustici. Ma non ebbe il tempo di rivolgere loro parola che dovette evitare un nuovo assalto da un altro lato, un’altra fitta pioggia di frecce. I tre Cavalieri, avvolti dalla nebbia, si stavano involontariamente perdendo, separandosi l’uno dall’altro, proprio come i loro avversari avevano comandato.

La Catena di Andromeda sfrecciò tra le nebbie, raggiungendo la cima di un albero e colpendo un paio di guerrieri; si arrotolò al loro corpo, liberando violente scariche energetiche, e li tirò di sotto, portandoli davanti a Andromeda, il quale fu piuttosto sorpreso nel trovarsi di fronte dei soldati del genere. Immaginava che i Cavalieri Celesti fossero tutti come Bronte, o come Phantom, rivestiti da lucenti corazze, invece questi erano mezzi nudi, coperti soltanto di pelli e di corteccia, e avevano il viso dipinto con tinte colorate.

Andromeda continuò a stringere i due guerrieri, chiedendo loro chi fossero, ma questi non erano intenzionati a parlare. Tirarono fuori due piccoli pugnali e si lanciarono avanti, ma furono travolti dalla Catena di Andromeda e passati da parte a parte. Ricaddero a terra morti, e Andromeda non poté fare a meno di sentirsi in colpa, come si sentiva ogni volta che doveva combattere, ogni volta che doveva ferire qualcuno. Gli parve che la pioggia di frecce fosse cessata, e chiamò a gran voce le due Sacerdotesse, ma nessuna di loro rispose. Maledizione! Ci siamo persi! Commentò, e poi, facendosi forza, liberò nuovamente la catena, che saettò nella nebbia, facendo strada al ragazzo.

Dopo qualche minuto poté notare le nebbie diradarsi leggermente e si ritrovò in un’ampia radura, circondata da alberi. Si guardò intorno, cercando di ritrovare il sentiero principale, ma si sentì completamente disorientato.

"Inutile che tu cerchi la strada, Cavaliere di Atena!" –Esclamò una voce, proveniente dalla foresta.

"Tanto è qua che si fermerà la tua corsa!" –Concluse un’altra voce maschile, simile alla precedente.

"Chi siete? Palesatevi!" –Esclamò Andromeda, lanciando la sua catena, che come un fulmine fendette l’aria, dirigendosi verso i due nuovi nemici.

Con un balzo, due Cavalieri Celesti lasciarono l’albero su cui erano saliti per osservare il ragazzo, giungendo nella radura, di fronte a Andromeda. Erano giovani, molto simili tra loro, e indossavano un’identica armatura. Anzi no, non è identica! Osservò Andromeda, guardandoli con attenzione. È simmetrica! Quasi complementare! I due erano alti e ben fatti, con un viso maschile, capelli castani mossi e occhi marroni, ed erano così simili che Andromeda intuì fossero fratelli.

"Benvenuto sull’Olimpo, uomo mortale!" –Esclamò uno dei due. –"Sei stato valente! Pensavamo che sareste morti tutti nella nebbia della Foresta Sacra!"

"I cacciatori di Artemide non fanno mai fuggire nessuno!" –Intervenne l’altro.

"I cacciatori di Artemide?!" –Balbettò Andromeda. E subito si ricordò di Castalia e Tisifone, ancora intrappolate nella nebbia, non avendo un’arma utile, come la catena, per uscirne.

"Non preoccuparti per loro! Vi rivedrete presto nel Paradiso dei Cavalieri!" –Ironizzò uno dei due.

"Ci prenderemo noi, cura di te!" –Esclamò l’altro, mentre entrambi bruciavano il loro cosmo. – "Noi siamo i Dioscuri, i figli di Zeus! Castore è il mio nome, il domatore di Cavalli!"

"Ed io sono Polluce, il pugile! E siamo i tuoi avversari, Cavaliere di Atena! I primi e gli unici Cavalieri Celesti che affronterai su questo sacro colle!"

Nel frattempo, mentre Andromeda cercava la strada per uscire dalla nebbia, Tisifone e Castalia erano impegnate in efferati corpo a corpo con gli strani guerrieri che avevano teso loro un’imboscata nella foresta. Uomini e donne seminudi, ricoperti di corteccia e di pelli, armati solo di pugnali, archi e frecce.

Inizialmente Castalia mostrò un certo remore nel doverli affrontare, ritenendosi superiore, poiché dotata dei poteri del cosmo; ma vista l’efferatezza che questi dimostrarono, non esitando ad aggredirla alle spalle, o ad assalirla in più d’uno, mise da parte i propri scrupoli e bruciò il cosmo.

Una Cometa Pungente travolse una decina di guerrieri dei boschi, mentre Tisifone affondava gli Artigli del Cobra nel collo di altri, facendo sempre attenzione a non essere colpita dalle frecce. Un dardo però ferì Castalia sul collo, in una zona non protetta dalla sua armatura, mentre stava combattendo contro un gruppo di guerrieri. La Sacerdotessa accusò il colpo, barcollando e iniziando ad accasciarsi al suolo, perdendo i sensi.

"Castaliaaa!!!" –Urlò Tisifone, liberandosi dei suoi nemici con un violento Cobra Incantatore.

La scarica energetica del Cavaliere dell’Ofiuco spinse una decina di guerrieri indietro, permettendo alla donna di correre in aiuto dell’amica. Ma un fendente luminoso le sbarrò la strada, tagliando in due il terreno e obbligandola a fermarsi.

"Non curarti di lei! Pensa a me piuttosto, al tuo ultimo avversario!" –Esclamò una voce maschile, mentre una sagoma indistinta prendeva forma nella nebbia.

"Chi sei?" –Urlò Tisifone, lanciando gli Artigli del Cobra. Ma le sue scariche energetiche si persero nella nebbia, troppo imprecise per colpire il suo avversario, che si mostrò poco dopo, presentandosi come Atteone, Cacciatore Celeste di Artemide.

"Atteone?!" –Ripeté Tisifone, osservando il giovane.

Era alto, muscoloso, con folti riccioli mori e barba incolta, ricoperto in parte da un’Armatura Celeste, dal colore che tendeva al verde, e ornata con pelli e frammenti di corteccia, come i guerrieri che aveva affrontato prima. Intorno alla vita, appesa a una cintura di cuoio, portava una lama e una frusta arrotolata, non dissimile da quella che anche Tisifone aveva in dotazione.

"In persona!" –Esclamò, uscendo dalle nebbie, che parevano aprirsi al suo passaggio. –"Figlio di Aristeo e Autonome, fui addestrato all’arte della caccia da Chirone, il centauro immortale, e fui sbranato vivo dai cani di Artemide per aver osato guardarla mentre si bagnava! Ma Zeus, impressionato dalle mie imprese, mi richiamò a nuova vita, e da allora servo Artemide, figlia di Zeus! Tu, donna, sei nel territorio della Dea della Caccia, ma io fermerò qua il tuo cammino!"

"Tsè..." –Lo schernì Tisifone, con spavalderia, bruciando il proprio cosmo. –"Non mi farò certo fermare da un selvaggio!" –E scattò avanti, liberando scintille energetiche dal proprio braccio.

Atteone evitò l’affondo della donna, balzando in alto. Si aggrappò a un ramo, vi volteggiò sopra e ritornò indietro, colpendola in pieno petto, mentre Tisifone si voltava per cercarlo. La spinse indietro fino a farla cadere, poi srotolò la frusta, afferrando la donna per il collo, come un cappio, che strinse sempre più, prima di sbatterla con forza contro un albero.

"Aaargh!!!" –Urlò Tisifone, portandosi le mani al collo, per liberarsi da quel nodo che la stava facendo soffocare. Ma appena afferrò la frusta, una scarica energetica la fece vibrare e urlare di dolore.

"Non sono così primitivo!" –Ironizzò Atteone. Quindi fece un fischio, chiamando a sé un gruppetto dei suoi guerrieri degli alberi. –"Portatela da Artemide!" –Ordinò, indicando il corpo inerme di Castalia. –"Se ne occuperà lei! Uccido questa e vi raggiungo!"

Detto questo i guerrieri degli alberi sollevarono senza molta cura il corpo ferito di Castalia e la portarono via, scomparendo tra le nebbie.

"Cosa le hai fatto? Dove la portano, maledetto?" –Urlò Tisifone, dimenandosi ancora.

"La freccia che ha colpito la Sacerdotessa tua compagna era intrisa di un mortale veleno, come tutte le altre che vi abbiamo diretto contro! Siete state abili, non l’avrei mai creduto! Ma forse è tutto merito delle dorate vestigia che indossi, donna! Ti hanno protetto la pelle, ma la tua amica non è stata altrettanto fortunata!" –Commentò Atteone, liberando una nuova scarica energetica che percorse l’intera frusta, avvolgendo Tisifone e facendola urlare di dolore. –"Muori adesso, invasore dell’Olimpo!"

E la scaraventò contro un albero, facendole sbattere la testa con forza. Tisifone perse l’elmo dorato dell’Armatura del Cancro, vomitando saliva e perdendo sangue dal naso. Afferrò nuovamente la frusta, cercando di sopportare il dolore della scarica energetica, ed espanse il proprio cosmo, potenziato dal caldo potere del Cancro d’oro.

"Sciocca!" –Urlò Atteone, strattonando la frusta.

Ma Tisifone puntò saldamente i piedi al terreno, impedendogli di sballottarla ancora. Concentrò il cosmo sulla mano destra, mentre con la sinistra stringeva la frusta e poi liberò i proprio Artigli del Cobra, trinciando in più punti la sferza di Atteone, svincolandosi così dalla soffocante presa. Poi si lanciò avanti, più a casaccio che realmente convinta di cosa fare, ma il suo attacco fu troppo lento per avere effetto. Atteone lo evitò e la colpì con un violento calcio in pieno petto, che spinse la donna indietro di parecchi metri, fino a farla sbatacchiare contro un albero. Tisifone sputò sangue per un momento, ansimando per lo sforzo, prima di sollevare gli occhi verso il suo avversario. Tremò, chiedendosi cosa ne sarebbe stato di Castalia.

***

Mentre i combattimenti ai piani bassi dell’Olimpo avevano luogo, la Reggia di Zeus era immersa in un sepolcrale silenzio. Il Dio dell’Olimpo si era rifugiato nelle sue stanze, dando ordine di non essere disturbato per alcun motivo, affidando a Flegias, suo Consigliere Privato, la difesa del Sacro Monte. E il figlio di Ares non si era certamente tirato indietro, desiderando ardentemente sgominare i Cavalieri di Atena. Un gruppo di fanatici idealisti che rappresentano soltanto un ostacolo ai miei piani di dominio! Aveva riflettuto, ordinando ai Ciclopi di radunare i Cavalieri Celesti e prepararli per difendere l’Olimpo.

"Dubito che riusciranno ad arrivare fin qua! Ci sono troppi Cavalieri e Divinità sulla loro strada!" – Aveva commentato, con Sterope. –"Ma è un’eventualità che dobbiamo assolutamente impedire, ne va della reputazione del Sommo Zeus!"

Sterope aveva convocato immediatamente i propri Cavalieri Celesti, dando disposizioni a loro e alle altre Divinità presenti, per contrastare l’avanzata dei Cavalieri di Atena. Tutti avevano annuito, anche se molti avrebbero preferito evitare uno scontro con loro; ragazzi che, in passato, avevano combattuto nemici come Lucifero e Ade, con cui lo stesso Zeus aveva avuto occasione di scontrarsi.

"Sia chiaro! Nessun favoritismo!" –Ordinò Flegias. –"Nessun Cavaliere di Atena deve raggiungere la Reggia degli Dei!" –E nel dir questo incontrò lo sguardo preoccupato di Phantom dell’Eridano Celeste, il Luogotenente dell’Olimpo. –"A tal riguardo…" –Aggiunse a bassa voce, rivolgendosi solamente a lui. –"Sono piuttosto dispiaciuto per il fallimento dell’attacco di questo pomeriggio, Cavaliere dell’Eridano! E sono certo che anche il Sommo non avrà piacere nell’apprendere che il Grande Tempio non è stato raso al suolo come aveva ordinato, e che molti Cavalieri Celesti, tra cui una Divinità a lui fedele, sono caduti!"

"Sono mortificato, mio Signore!" –Si scusò il Luogotenente, inginocchiandosi. –"Eravamo convinti di avere facile vittoria, che non vi sarebbe stata resistenza! Ma avevamo sottovalutato i Cavalieri di Atena, cadendo nell’errore di Apollo, Nettuno e Ade prima di noi!"

"Zeus ti ha dato fiducia, Phantom, nominandoti Luogotenente e affidandoti il supremo incarico di sgominare le forze della sua nemica! È un vero peccato che tu l’abbia deluso! Voglio sperare che eventi simili non si ripeteranno!" –Sibilò, allontanandosi.

No! Mormorò Phantom, rialzandosi e indossando nuovamente l’elmo della sua Armatura Celeste. Non si ripeteranno!

In quel mentre un cosmo parlò alla sua mente, costringendolo a voltarsi e a incontrare lo sguardo preoccupato di un vecchio uomo, avvolto da una semplice tunica marrone. Morfeo, il Dio dei Sogni.

Senza dire niente, Morfeo si incamminò lungo i corridoi di marmo, diretto verso le sue stanze, e Phantom lo seguì, immaginando che volesse parlargli. Quando il Luogotenente entrò nella stanza, fu afferrato di scatto e spinto lontano dalla porta, che il Dio richiuse subito alle sue spalle.

"Che succede?" –Domandò agitatamente Phantom. Ma Morfeo gli fece cenno di tacere, con occhi pieni di terrore.

"Senti questi cosmi che si accendono, nobile Eridano?" –Chiese, concentrando i sensi. –"Li conosci?" –Phantom fece altrettanto, riconoscendo il cosmo argenteo di Castalia, e altri sei che aveva già sentito ma non riusciva a focalizzare.

"Ne conosco uno soltanto, mio Signore! Di una Sacerdotessa Guerriero!"

"Perfetto!" –Rispose Morfeo, sussurrando. –"Portala qua! Adesso!"