CAPITOLO DICIASSETTESIMO. LE PALUDI DI STINFALO.

Cristal il Cigno era arrivato ad Atene proprio mentre i suoi compagni correvano verso la Casa del Leone, impiegando quasi un’ora per raggiungere il Quinto Tempio, venendo fermato per ben due volte da scarse pattuglie di berseker con il compito di controllare i dintorni e i piani bassi della Collina della Divinità. Berseker che Cristal non ebbe problema alcuno nell’affrontare e nel vincere, incapaci come erano di resistere al freddo gelo della Siberia.

Era arrivato alla Casa di Leo giusto in tempo per salvare Sirio dalla furia demoniaca di cavalle imbizzarrite, e di condurlo, sorreggendolo, fino alla Sesta Casa. Nel tragitto, il Cavaliere del Drago aveva raccontato brevemente gli ultimi eventi all’amico, dalla sua partenza fino alla nuova corsa per le Dodici Case del Grande Tempio, adesso occupato da Ares e dai suoi berseker.

"Quel maledetto!" –Aveva stretto i pugni Cristal, senza riuscire a trattenere le lacrime quando Sirio gli aveva confessato la morte di Geki e degli altri Per quanto non avessero legato profondamente, restavano comunque amici di infanzia, combattenti, come lui, per Atena e per la giustizia.

Cristal, a sua volta, aveva narrato all’amico la breve ma intensa battaglia sostenuta in Siberia, contro Enio, Dea furiosa della Distruzione, e questo aveva fatto preoccupare Sirio non poco.

"Se Ares ha inviato una truppa di berseker in Siberia per rapire Jacov, è possibile che abbia fatto altrettanto con Fiore di Luna e Patricia!" –Aveva commentato Sirio, camminando a fianco dell’amico sulla scalinata di marmo.

"Temo di sì…" –Aveva mormorato Cristal, dispiaciuto. Avrebbe voluto aggiungere qualche parola di conforto, accennando al misterioso, ma provvidenziale, aiuto che aveva ricevuto in Siberia, ma l’esplosione improvvisa dei cosmi di Pegasus, Andromeda e Phoenix li aveva fatti sobbalzare entrambi, spingendoli ad accelerare il passo.

Sirio aveva stretto i denti ed era corso dietro a Cristal, per quanto si sentisse ancora molto debole, e i due erano arrivati in tempo per neutralizzare il fangoso potere del Custode del Sesto Tempio: Augia, lo Splendente. Cristal si era offerto per combattere contro di lui, permettendo a Pegasus e agli altri di proseguire.

Augia, che all’apparenza sembrava un ragazzino di dodici anni, lentigginoso e poco attraente, aveva giocato subito la sua carta migliore, quella dell’infida sorpresa, facendo precipitare il Cavaliere del Cigno in una faglia nel terreno, in tunnel sotterranei completamente pieni di fango e di letame.

"Che orrore!" –Commentò Cristal, cercando di liberarsi dalla melma che limitava i suoi movimenti. Bruciò il cosmo, congelando la putrida massa intorno a lui, e distruggendola di colpo, sforzandosi di capire dove fosse finito e come uscire da quella scomoda situazione.

Si trovava in una caverna sotterranea, che a Cristal sembrò un immenso stanzone maleodorante e privo di luci. Sentì scrosciare della fanghiglia, e questo gli permise di capire che dovevano esserci delle aperture, delle fenditure da cui il fango colava all’interno di quella vasta fogna sotterranea. Cercò di muoversi nell’oscurità, ma ad ogni passo gli crollavano addosso pezzi di roccia, mescolati a grumi di letame e di melma, mentre il terreno in cui le sue gambe erano immerse fino alle cosce gli rendeva difficile camminare.

Improvvisamente un’onda di fango lo travolse, trascinandolo via, in un mulinello di letame che avrebbe voluto sopprimerlo. Ma Augia non aveva fatto i conti con la determinazione dei Cavalieri di Atena, che permise a Cristal di reagire, soprattutto dopo aver sentito i cosmi di Pegasus e degli altri amici in pericolo. Espanse il cosmo, mentre cristalli di ghiaccio si formavano ovunque, riempiendo l’orrida caverna e fermando i movimenti del fango e del letame.

"Aaahhh!!!" –Mormorò, socchiudendo gli occhi.

Il freddo cosmo del Cigno invase l’intera caverna, congelando tutto ciò che incontrò sulla sua strada, mentre Cristal scagliò due violenti pugni verso l’alto. Una fitta rete di gelo cadde in quegli oscuri abissi, mondandoli dal fetido letame che Augia vi aveva riversato.

Seguendo il cosmo degli amici, Cristal balzò di roccia in roccia, fino a raggiungere il punto più alto della caverna; concentrò il cosmo sulle mani, prima di scagliare un violento pugno verso l’alto, spaccando il terreno sopra di lui e aprendo una fenditura dalla quale iniziò a colare una gran quantità di fanghiglia. Lasciò che ne cadessero decine di litri, senza sporcarlo, riparato com’era da una cupola di cristalli di ghiaccio, e poi si librò in aria, uscendo fuori e ritrovandosi nel piazzale retrostante la Sesta Casa, nuovamente di fronte al suo nemico.

"Polvere di Diamanti!" –Esclamò, liberando il freddo gelo della Siberia.

Augia, che aveva tentato di immobilizzare Pegasus e gli altri, era in piedi su una mozzata colonna di marmo e, per difendersi dall’assalto di Cristal, creò una barriera di fango dalla forma sferica all’interno della quale credette di essere al sicuro. Ma si sbagliò.

Il freddo gelo della Siberia ghiacciò gli atomi che componevano il fango, facendo esplodere la sfera difensiva e scaraventando Augia a terra, facendolo sbattere sulle rocce, non distante da Cristal.

Il Cavaliere del Cigno lanciò un’occhiata verso monte, e percepì i cosmi di Pegasus e degli altri muoversi velocemente, diretti verso la Settima Casa. Sorrise, confidando di ritrovarli presto.

"Non impiegherò molto tempo con una feccia come te!" –Esclamò, incamminandosi verso Augia, che si rimise prontamente in piedi, toccandosi il naso sanguinante.

"Questo è da vedersi! Bomba di fango!" –Urlò Augia, concentrando una sfera di energia mista a melma e letame nel pugno destro e scagliandola velocemente contro Cristal, il quale neanche si mosse, lasciando che si infrangesse su un’invisibile barriera posta a sua difesa. Un muro impenetrabile per il berseker, formato da sottilissimi, ma resistentissimi, anelli di ghiaccio.

"Maledetto!" –Ringhiò Augia, scagliando nuove bombe di fango e energia contro Cristal. Ma nessuna di esse riuscì a distruggere la barriera di ghiaccio, facendo infuriare Augia a dismisura. Preso dall’ira, il berseker non si accorse del gelido cosmo di Cristal, che scivolò sul terreno, congelandolo interamente, fino a giungere alle gambe del guerriero e iniziare a ricoprirle, con uno strato di ghiaccio che da sottile si fece sempre più consistente, al punto da bloccare i movimenti di Augia al terreno.

"Uh?!" –Esclamò il figlio di Elios, accorgendosi di non riuscire più a muoversi.

"Irato e disattento!" –Commentò Cristal, con un sorriso di vittoria sul viso. –"Preso dalla foga hai abbassato le tue difese, guerriero di Ares, permettendomi di immobilizzarti! Adesso incontrerai la morte!" –Aggiunse, espandendo ancora il suo candido cosmo.

"La morte?! Sciocchezze!" –Mormorò il berseker, tastandosi il naso. –"Non crederai che basti un po’ di ghiaccio per fermare me, Augia, lo Splendente?!"

Cristal non diede peso alle parole del guerriero di Ares, muovendo le braccia velocemente, per preparare il suo attacco glaciale, ma quando fu sul punto di scagliare la Polvere di Diamanti si fermò di colpo, stupito che Augia fosse riuscito a liberarsi. Il cosmo del berseker esplose improvvisamente, rivelando un’ampiezza e una potenza che Cristal fino a quel momento non aveva percepito, poiché lo stesso figlio di Elios non l’aveva rivelata.

"Ruota solare!" –Esclamò Augia, saltando in aria e iniziando a roteare su se stesso, fino ad assumere una tozza forma sferica, in continua rotazione. In un secondo, vampe incandescenti di energia circondarono il suo corpo, creando una potente cometa umana che sfrecciò a gran velocità verso Cristal, rimasto sorpreso, quasi stupefatto.

Il Cavaliere del Cigno venne travolto dalla meteora vivente e scaraventato indietro, mentre fiammate di viva energia percorrevano la sua corazza divina, stridendo fortemente su di essa.

"Sorpreso, eh?!" –Esclamò Augia, atterrando sul terreno poco distante. –"Credevi che i miei poteri si limitassero alle mie fangose stalle? Beh, sbagliavi, Cavaliere del Cigno! Hai di fronte il figlio di un Dio, non un uomo qualunque! Elios era mio padre, figlio del Titano Iperione, e Dio del Sole!"

"E... Elios?!" –Mormorò Cristal, rialzandosi a fatica. Gli doleva il corpo in vari punti, per essere stato travolto da quell’incandescente meteora umana, che, soprattutto, l’aveva preso alla sprovvista.

"In persona, colui che nel mito trainava il carro del sole! Da lui ho ricevuto questo potere, e l’epiteto che mi caratterizza, lo Splendente, in quanto in me risiede la divina energia del sole!"

"Vedremo se basterà la tua divina discendenza per assicurarti la vittoria! Eh eh…" –Ridacchiò Cristal, colpendo Augia nell’orgoglio.

"Come ti permetti?!" –Tuonò il figlio di Elios, saltando nuovamente su se stesso, rannicchiandosi a forma di sfera. –"Ruota Solare!"

"Aurora del Nord!" –Esclamò Cristal improvvisamente, sollevando le braccia unite sopra la testa, e poi abbassandole di colpo.

La scintillante energia fredda del cigno si schiantò contro l’incandescente meteora umana rappresentata da Augia, ma, per quanto inizialmente sembrò fermare la sua avanzata, non bastò per contenerla. E Cristal venne nuovamente travolto, finendo nuovamente a terra.

"Ah ah! Impavido sbruffone! Hai voluto sfidare la potenza del figlio del Sole, ed ecco come ti sei ritrovato! Con la testa nel fango!" –Esclamò Augia, avvicinandosi al corpo inerme di Cristal.

Con rabbia e disprezzo, sollevò la gamba destra, sbattendo il tallone contro la testa di Cristal, spingendo il suo cranio nel terreno fangoso, più e più volte, ridendo come un pazzo, tronfio del suo successo. Ma, prima di colpirlo per l’ultima volta, Augia realizzò di non riuscire più a muovere la gamba, come bloccata a mezz’aria da fili invisibili.

"Ma… che succede?! Cosa blocca la mia gamba?!" –Gridò, spaventato e sorpreso.

Cristal rantolò sul terreno, riuscendo a fatica a rimettersi in piedi. Aveva il volto stanco e solcato da rivoli di sangue e ansimava, ma era soddisfatto del proprio lavoro, impegnativo ma fruttuoso.

"Ghiaccio?!" –Urlò Augia, osservando la propria gamba venire ricoperta da un consistente strato di gelo. –"Com’è possibile?!" –Ed espanse il proprio cosmo, caricandolo dell’infuocata energia del sole. Ma Cristal lo anticipò, evocando le immense distese di ghiaccio della Siberia, e concentrando il cosmo, che scaricò sotto forma di un’impetuosa tempesta di gelo.

"Vortice… Fulminante dell’Aurora!" –Gridò, sbattendo con forza i pugni avanti a sé.

Augia, riuscito a sciogliere il ghiaccio sulla gamba, tentò di ricreare la meteora umana, con la quale sperava di travolgere il Cavaliere del Cigno, ma non appena si lanciò in aria comprese che non ce l’avrebbe fatta. I suoi muscoli erano intorpiditi, le sue articolazioni cigolavano sinistramente, incapaci di muoversi con duttilità.

"Mi sento... paralizzato…" –Mormorò, mentre l’impetuosa tempesta di gelo siberiano lo travolgeva.

"È naturale! Credevi di aver evitato i miei assalti, credevi che il gelo fosse scivolato via, sulla tua infuocata corazza, ma ti sbagliavi guerriero di Ares! Mille volte ti ho colpito, ma non te ne sei reso conto! Hai approfittato del potere di tuo Padre, cercando di emulare un Dio! Ma resti pur sempre un uomo, mortale come me!" –Esclamò Cristal, la cui fredda energia aveva ormai invaso l’intero spiazzo. –"Che nella prossima vita tu sappia essere umile!" –Mormorò, chiudendo gli occhi, mentre il Vortice scintillante dell’Aurora spazzava via Augia, incapace ormai di qualsiasi movimento.

Per un momento il cielo sopra la Sesta Casa si caricò di striature iridescenti, simili a quelle dell’aurora boreale, mentre bianchi cigni volavano lontano. Poi tutto ritornò grigio e cupo, carico del malvagio cosmo di Ares. Augia si schiantò contro una parete rocciosa, ricoperto di gelo, e il suo corpo esplose poco dopo, mentre Cristal cadeva in ginocchio, ansimando per la fatica sostenuta. In quel momento sentì esplodere il cosmo di Andromeda, alla Settima Casa dello Zodiaco.

Pegasus, Andromeda e Phoenix, con Sirio sulle spalle di Pegasus, si erano incamminati lungo la strada, un tempo lastricata, che conduceva dalla Sesta alla Settima Casa, ma parve evidente a tutti e tre, dopo una decina di metri, che il paesaggio non sarebbe cambiato. L’antica scalinata era divenuta un enorme acquitrino terrazzato, dove rivoli di lurida melma colavano dall’alto, lungo fossette scavate nella roccia, fino ad ammassarsi nel piazzale retrostante la Sesta Casa, o scivolare ancora più a valle. La foschia onnipresente rendeva quell’ambiente ancora più lugubre e malinconico.

"Usciremo mai da questa palude infernale?!" –Brontolò Pegasus, muovendosi a fatica.

"È incredibile!" –Commentò Andromeda, puntando lo sguardo avanti a sé.

Per un momento credette di non trovarsi più al Grande Tempio ma in un’immensa palude di una terra lontana, dove l’uomo non era mai giunto. Versi striduli di animali lo rubarono ai suoi pensieri, obbligandolo a concentrarsi sul cammino. Usando la sua catena, Andromeda guidava gli amici lungo i sentieri migliori, evitando le zone troppo melmose e i pantani meno sicuri, e Phoenix e Pegasus lo seguivano, facendo molta attenzione. Soprattutto Phoenix era preoccupato, temendo qualche imboscata da parte dei berseker.

"Non ci lasceranno arrivare fino in cima!" –Rifletté il Cavaliere della Fenice. –"Ne sono sicuro! Ci aspetta qualche trappola mortale!"

Versi sempre più aspri richiamarono la loro attenzione, costringendoli a volgere lo sguardo verso il cielo, dove in quella tetra foschia riuscirono a scorgere sagome oscure fluttuare sopra di loro. Sagome di grandi uccelli che schiamazzavano senza risparmiarsi.

"Che Ares abbia già preparato i suoi avvoltoi per mangiare le nostre carni?!" –Commentò stizzosamente Pegasus, continuando ad avanzare nel pantano.

"Non credo siano avvoltoi!" –Rifletté Andromeda. –"Ma la nostra prossima fatica!"

"Uh?!" –Balbettò Pegasus.

"Come settima fatica Eracle fu costretto a liberare la regione intorno al lago Stinfalo da uccelli voraci e chiassosi, che devastavano i campi, tormentando i poveri abitanti! Quando si alzavano in volo divoravano uomini e animali e lasciavano cadere le loro piume di bronzo e i loro escrementi che distruggevano e bruciavano le messi. Giunto alla palude, circondata da fitte selve, Eracle si accorse che non poteva cacciare gli uccelli con le frecce, perché erano troppi.  Inoltre la palude non era né abbastanza bassa perché un uomo vi si potesse addentrare a piedi, né abbastanza profonda per permettere l'uso di una barca! Fu Atena ad aiutare l’eroe, donandogli nacchere di bronzo, che Eracle suonò dalla cima del monte Cileno, spaventando gli uccelli, che, disturbati da quel suono sconosciuto, fuggirono in ogni direzione, anche scontrandosi tra di loro!" –Spiegò Andromeda.

"Che siano dunque loro? Gli uccelli di Stinfalo?!" –Si chiese Pegasus, mentre uno stormo di uccelli si era buttato in picchiata, puntando proprio sui quattro Cavalieri.

Non erano aquile, ma avevano sembianze rapaci, dalle piume marroni e il becco e gli artigli affilati, e ardenti occhi rossastri. Gemevano, gracchiavano, in un coro dissonante di versi striduli, quasi minacciosi, che disturbarono l’udito dei Cavalieri, risvegliando bruscamente anche Sirio.

"Attenti!" –Esclamò Andromeda, osservando lo stormo planare su di loro, con aria sinistra.

Immediatamente un nugolo di piume marroni si abbatté sui Cavalieri di Atena, piume che, come Andromeda aveva affermato precedentemente, erano di bronzo e molto affilate e taglienti.

"Catena di Andromeda!" –Esclamò il Cavaliere, liberando la propria arma, che scintillò nella tetra foschia, sovrastando i visi attoniti degli amici, e disponendosi circolarmente intorno a loro, fermando le affilate piume e rimandandole indietro.

"Uccelli eh?!" –Mormorò Phoenix, caricando il pugno destro di ardente energia. –"Fuggiranno, di fronte al più maestoso di tutti gli uccelli! La fenice infuocata!!!" –Gridò, balzando in alto e liberando il fiammeggiante uccello.

La fenice incandescente illuminò l’acquitrino, travolgendo un gruppetto di creature alate, e spaventando gli altri, che si dispersero guaendo e gracchiando. I Cavalieri non fecero in tempo a gioire che subito Andromeda li richiamò, osservando gli uccelli di Stinfalo riunirsi tra di loro e gettarsi nuovamente in picchiata, con maggiore decisione e impeto.

"Scansatevi!" –Urlò Andromeda, intimando gli amici di raggiungere la parete rocciosa ed appiattirvisi contro, mentre lui entrò nel pantano, mettendosi bene in vista, per gli uccelli.

"Attento, Andromeda!" –Esclamò Phoenix, con preoccupazione.

Lo stormo gracchiante di carogne volanti raggiunse Andromeda e gli altri Cavalieri, scaricando su di loro una violenta e fittissima pioggia di piume di bronzo, affilate come lame. Pegasus e Phoenix scagliarono pugni di energia verso l’alto, colpendone parecchie, ma non tutte, mentre Andromeda liberò la sua scintillante arma, la quale assunse la migliore conformazione difensiva, quella del Lancio della Rete, già usata per fermare l’Aquila Possente di Kira, uno sette Generali di Nettuno.

Gli uccelli dalle ali di bronzo furono bloccati dalla rete di Andromeda, che imprigionò i loro artigli, impedendo loro di riprendere il volo, e prima che riuscissero a liberare una nuova raffica di piume taglienti, Andromeda lanciò avanti la catena di offesa.

"Onde del Tuono, via!!!" –Urlò, mentre la punta affilata della sua catena sfrecciava nell’aria, moltiplicandosi a dismisura e colpendo in pieno le bestie intrappolate. La maggioranza degli uccelli fu ferita e stordita, precipitando nel fango poco dopo, da cui non riuscirono ad emergere, e questo li fece impazzire, mentre i rimanenti volarono via, tra i guaiti striduli dei loro compagni.

"Andiamocene da qui!" –Esclamò Andromeda, con preoccupazione. –"Torneranno quanto prima!" Pegasus e Phoenix annuirono istantaneamente, incamminandosi verso monte, seguiti da Sirio, aiutato dagli amici, e da Andromeda stesso.

Camminarono per un’altra trentina di metri, tra i lontani stridii degli uccelli, quando giunsero di fronte a quella che un tempo era stata la Settima Casa, residenza del più anziano e prestigioso Cavaliere d’Oro: Dohko della Libra. L’antica costruzione era immersa in una conca d’acqua putrida e stagnante, simile ad una palude, che colava verso il basso, alimentando i canali e le fenditure che conducevano melma alla Sesta Casa, in un unico grande sistema di scolo. Sovrastata da piante rampicanti, cresciute disordinatamente intorno ad essa, arrotolatesi confusamente alle colonne di marmo, la Settima Casa sembrava quasi spenta in quello spettrale paesaggio.

Grida improvvise risvegliarono i quattro amici, obbligandoli a volgere lo sguardo verso l’alto. Stormi di uccelli dalle ali di bronzo piombarono su di loro da ogni direzione, guaendo furiosamente e lasciando cadere una fitta pioggia di piume acuminate. Alcuni si buttarono anche in picchiata, tentando di affondare i loro artigli affilati nelle carni dei giovani Cavalieri.

"Maledizione! Ma quanti sono?!" –Brontolò Pegasus, concentrando l’energia del cosmo sul pugno destro e lanciando il Fulmine di Pegasus, presto seguito dal Pugno Infuocato di Phoenix. Ma per quanto i loro colpi fossero potenti, non risultavano risolutivi contro i dissonanti uccelli di Stinfalo, che ne erano essenzialmente disorientati, ma non spaventati.

Fu Andromeda a prendere nuovamente in mano la situazione, liberando la catena e ricreando il Lancio della Rete, potenziandolo con la versione Boomerang, che gli permise di colpire molti rapaci ancora in volo.

Improvvisamente un grido più stridulo degli altri echeggiò nell’aria, obbligando i Cavalieri a tapparsi le orecchie, tanto era penetrante e frastornante. Approfittando della distrazione dei quattro, un immenso uccello piombò su Andromeda, affondando i propri artigli affilati sul coprispalla sinistro della sua corazza, graffiandolo in più punti e riuscendo perfino a penetrarlo, raggiungendo la giovane carne al di sotto.

Quando Andromeda si riprese dallo stordimento, si accorse con orrore che l’uccello che lo stava ferendo alla spalla sinistra era in realtà un uomo, vestito come i rapaci che volteggiavano sopra di loro, ed aveva un ghigno di sfida sul volto. Con destrezza Andromeda svincolò la catena, che afferrò un artiglio, cioè una gamba dell’uomo, tirandolo indietro e liberando la spalla del ragazzo, mentre l’uomo volteggiava via con le proprie immense ali, strattonando la catena e riprendendo quota, presto seguito e protetto dalle altre rapaci creature.

"Ih ih ih. Benvenuti nella Palude di Stinfalo... ih ih... Cavalieri…" –Esclamò l’uomo, con voce stridula e acuta. – "Possa essere per voi la fine del viaggio!"

"Ma senti quel gallinaccio…" –Brontolò Pegasus, deciso a dargli battaglia. Ma Andromeda lo fermò, con un tono di voce decisa e sicura.

"No! Passate oltre! Affronterò io costui!" –Esclamò, incitando gli amici ad andarsene. –"Sono il più indicato per respingere gli assalti degli uccelli di Stinfalo!"

"Vuoi nuovamente combattere?!" –Domandò Pegasus, e poi, visto che Phoenix sembrava disinteressato alla cosa, si rivolse a lui con preoccupazione. –"E tu, non dici niente a tuo fratello?!"

"Non credo che abbia bisogno dei miei consigli!" –Sorrise Phoenix, iniziando ad incamminarsi nell’acquitrino. –"Ultimamente se la cava piuttosto bene anche da solo!"

"Andromeda, ascoltami, non voglio che tu rischi la vita inutilmente... se vuoi lenire qualche vecchio senso di colpa, non è proprio il caso…" –Esclamò Pegasus.

"Ehi, Pegasus! Non preoccuparti! Non ho intenzione di fare come la lepre, e gettarmi nel fuoco per sfamare il vecchio viandante! –Sorrise Andromeda, lusingato che l’amico si preoccupasse per lui. –"I tempi delle indecisioni e della mia riluttanza a combattere sono terminati! Amaramente terminati! Da quando i nemici che ci siamo trovati ad affrontare hanno palesemente dichiarato di voler distruggere tutto ciò in cui credo: l’amore, la giustizia, la libertà! Contro uomini simili, pari in tutto e per tutto a delle bestie, non posso avere dubbi! No… Non ho alcun dubbio sul mio scopo finale!"

Prima che Pegasus potesse aggiungere altro, l’uomo mascherato da uccello diede l’ordine all’intero stormo di attaccare. Rapidi come fulmini, gli uccelli della palude piombarono sui quattro amici, scagliando nugoli di piume appuntite, mentre grida spaventevoli laceravano l’aria.

"Attenti!" –Gridò Andromeda, srotolando nuovamente la propria catena. –"Lancio della Rete!" –E l’arma si dispose in modo da catturare un buon numero di rapaci. –"Boomerang!" –Gridò ancora, mentre gli amici si lanciavano in una folle corsa nella palude oscura, cercando di raggiungere l’ingresso della Settima Casa.

Numerosi rapaci caddero nella melma, abbattuti dall’impetuoso e rapido guizzare della Catena di Andromeda, che non esitava un momento, sicura sul proprio obiettivo.

"Ih ih... Affonderò i miei artigli nel tuo cuore!" –Sibilò l’uomo vestito da uccello, piombando in picchiata su Andromeda, il quale fu svelto a ricreare la sua difesa.

Ma l’uomo, avendola vista altre volte, vi passò all’interno, evitando la stringente trappola e portandosi a ridosso del ragazzo. Con violenza strinse i suoi affilati artigli intorno al collo di Andromeda, piantandoli nel collare protettivo della sua armatura, mentre con le braccia afferrava due stiletti nascosti tra le piume della sua veste, chinandosi per piantarli nel cranio del ragazzo.

La Catena di Andromeda, per quanto impegnata a difendersi dagli assalti dei rapaci di Stinfalo, saettò immediatamente nell’aria, avvertendo il pericolo in cui si trovava il proprio padrone, afferrando in tempo entrambe le braccia del guerriero, prima che gli stiletti raggiungessero il cranio di Andromeda. Con un grande sforzo, il guerriero di Ares riuscì a resistere alla doppia violenza, quella delle catene alle proprie braccia, e quella delle braccia di Andromeda alle proprie gambe artigliate, che cercava di liberarsi per non soffocare. Acrobaticamente, l’uomo si lasciò cadere all’indietro, portandosi con il viso tra le gambe del Cavaliere di Andromeda e piantando nel suo ginocchio destro un acuminato stiletto. Non ebbe il tempo di piantare anche il secondo perché fu afferrato bruscamente dalle catene e lanciato via, liberando così anche Andromeda dalla stretta morsa dei suoi artigli.

Il Cavaliere si accasciò a terra, urlando e gemendo di dolore, prima di togliersi l’affilato pugnale che lo aveva ferito ad un ginocchio. Un fiotto di sangue uscì fuori improvvisamente, sporcando la candida Armatura Divina che indossava, e per un momento gli parve quasi di svenire.

Il guerriero si lanciò avanti in quell’istante, brandendo l’affilato stiletto, ma fu fermato dalle guizzanti Catene di Andromeda, le quali, quant’anche il loro padrone si stesse accasciando a terra in una pozza di sangue, si disposero intorno a lui per difenderlo, scivolando sul terreno come guizzanti serpenti. Vedendo il berseker dimenarsi come un pazzo, stretto nella morsa delle sue catene, e sentendo che il proprio potere, e il proprio controllo su di esse, stava crollando per la debolezza, Andromeda bruciò il suo cosmo rosato, concentrandolo sul palmo destro.

"Onda Energetica!" –Gridò, liberando guizzanti fulmini di energia, che centrarono in pieno il guerriero di Ares, scaraventandolo indietro, fino a farlo schiantare nelle torbide acque della palude.

Andromeda si lasciò cadere nella melma, ritrovandosi con la faccia nel fetido pantano, mentre il dolore al collo, alla spalla e soprattutto al ginocchio aumentò a dismisura. Sentì che Pegasus, Sirio e suo fratello avevano lasciato il Settimo Tempio, e di questo fu felice, anche se proprio quello lo spinse per un momento a lasciarsi andare, ad abbandonarsi alla morte, consapevole che non avrebbe dovuto combattere per difendere nessuno.

No! Si disse, reagendo e cercando di rimettersi in piedi. Ho promesso a Pegasus, e a mio fratello che ha avuto fiducia in me, che non avrei gettato via la mia vita! E non ho intenzione di farlo, non adesso, che ci stiamo avvicinando ad Ares! Non adesso, che il mondo necessita di giovani che combattano per rendere luce al sole! Non adesso, che ho l’opportunità di avere la famiglia che non ho mai avuto!

Con forte determinazione, e stringendo i denti per il dolore, Andromeda si rimise in piedi, barcollando nel fetido pantano. Il guerriero di Ares, custode della Palude di Stinfalo, lo stava aspettando, librato in aria sopra di lui, circondato da un raccapricciante stormo di uccelli infernali, rapaci affamati della sua giovane carne.