CAPITOLO VENTITREESIMO. IL PUGILE E IL DOMATORE.

A Nuova Luxor era una nuvolosa mattinata di maggio, dove il sole faceva capolino tra i cumuli sparsi di nubi. All’Ospedale della Grande Fondazione Thule i dottori erano impegnati a prendersi cura di due pazienti molto particolari: Patricia, la sorella di Pegasus, e Nemes, Cavaliere di Bronzo del Camaleonte, compagna di addestramento di Andromeda. Dopo la battaglia del giorno prima, contro Bronte del Tuono, Pegasus e Andromeda avevano portato velocemente Patricia e Nemes all’ospedale, affinché potessero ricevere cure immediate.

La sorella di Pegasus versava in condizioni critiche, avendo perso molto sangue a causa delle numerose ferite riportate, e il suo corpo era pieno di tagli dentro i quali si erano infilati frammenti di vetro, talvolta anche molto piccoli, che impegnarono i dottori con molta attenzione. Nemes aveva un paio di costole rotte, dovute alla botta che aveva ricevuto combattendo, e altre ferite sparse sul corpo, ma, essendo un Cavaliere, aveva un fisico più predisposto alla guarigione.

Quella mattina la Sacerdotessa ricevette una gradita visita, quella di Shadir, Lear e Benam, i tre ragazzini noti come Cavalieri d’Acciaio. Informati da Asher il giorno prima, Shadir e gli altri si erano subito recati a far visita a Nemes, con la quale, per tutti i mesi precedenti, avevano mantenuto un buon rapporto di amicizia, dopo averla incontrata per la prima volta a Villa Thule l’anno precedente, in occasione della partenza di Pegasus e amici per il Grande Tempio. Atena si era rivolta a loro, e alla Sacerdotessa del Camaleonte, dopo la Guerra Sacra, perché tutelassero da lontano Pegasus e Andromeda, portando aiuto in caso di bisogno.

"Come stai, oggi, Nemes?" –Domandò Shadir.

"Molto meglio, grazie!" –Accennò un sorriso Nemes, bloccata nel letto.

"Patricia è ancora in sala operatoria.. le stanno asportando gli ultimi vetri rimasti…" –Commentò Lear. –"Ma se l’è cavata anche lei!"

"Certo!" –Intervenne Benam. –"È la sorella di Pegasus! È resistente quanto lui!"

Nemes e gli altri accennarono un sorriso, non troppo convinto, essendo tutti preoccupati, non soltanto per Patricia, ma anche per Pegasus e gli altri Cavalieri, e per Atena stessa. Avevano ricevuto un messaggio dal Grande Tempio, neanche un’ora prima, in cui Asher spiegava in breve tutto quello che era accaduto in quel tremendo pomeriggio. E si erano preoccupati non poco, sentendosi, come in tutte le altre precedenti occasioni, inutili.

"Sei in pena per i Cavalieri?" –Domandò Shadir, osservando l’espressione angosciata dipinta sul volto di Nemes, dopo averle raccontato tutto.

"Come potrei non esserlo?" –Singhiozzò lei. –"Atena e i Cavalieri soli sull’Olimpo, contro Zeus e tutte le maggiori Divinità?! È un massacro!"

"Sì… È un massacro! E non possiamo fare niente per portare loro aiuto!"

"Già... una cosa è affrontare un Cavaliere d’Argento, un’altra è combattere contro un Cavaliere Olimpico!" –Commentò Lear. –"Saremmo uccisi solo con uno sguardo!"

"Possiamo solo rimanere qua... e pregare…"

"Non crucciatevi, Cavalieri di Acciaio! Avete avuto modo di dimostrare la vostra fedeltà, e sono sicura che le vostre preghiere porteranno conforto nel cuore di Atena!" –Sorrise Nemes.

Quindi si lasciò cadere sui cuscini, socchiudendo gli occhi e chiedendosi cosa stesse facendo Andromeda in quel momento. Chiedendosi come stesse, e maledicendo ancora una volta la sua debolezza, per non essere in grado di appoggiare il ragazzo in battaglia, e per non essere in grado di reprimere le lacrime ogni volta che lo sapeva impegnato in una missione suicida. Una missione che, pensò, prima di addormentarsi, è determinante per la salvezza della Terra e delle libere genti che vi dimorano! Sorrise, affidando al ragazzo quel che rimaneva del suo limpido cosmo.

Andromeda si trovava in quel momento in un’ampia radura, ai margini settentrionali della foresta di Artemide, quasi a metà strada, in linea d’aria, tra il Bianco Cancello e il Cancello del Fulmine, che delimitava il giardino del Tempio di Zeus, sulla sommità del Sacro Monte. Aiutato dalla sua prodigiosa catena, era riuscito a fuggire dalle nebbie ingannatrici della foresta, smarrendo però Castalia e Tisifone al suo interno, e ritrovandosi in un ampio spiazzo circondato dagli alberi, a fronteggiare due Cavalieri Celesti: i Dioscuri, Castore e Polluce.

I due ragazzi erano molto simili tra loro e le Armature Celesti che indossavano erano speculari. Dall’acceso colore celeste, con raggianti sfumature bianche, le armature dei Dioscuri coprivano buona parte del corpo dei due Cavalieri, lasciando scoperte solamente poche zone, lungo le braccia e nella parte superiore delle gambe. I due erano alti e ben fatti, con un viso maschile, mossi capelli castani e occhi marroni, ma Polluce, parve ad Andromeda, aveva un fisico più robusto, più adatto al suo ruolo di pugile.

"Sei pronto a morire, invasore dell’Olimpo?" –Domandò Polluce, facendo un passo avanti, mentre il suo cosmo iniziava a scintillare intorno a sé.

"Non vorrei combattervi, Cavalieri Celesti, ma se queste sono le vostre intenzioni…"

"Oh oh, non dirci che hai paura!" –Ironizzò Polluce, concentrando il cosmo sul proprio pugno. –"Pugno di Zeus!" – Tuonò il ragazzo, portando avanti il braccio destro.

Andromeda non fece neppure in tempo a sollevare le catene per difendersi che fu colpito in pieno dal colpo energetico di Polluce, che si presentava come un enorme pugno scintillante. Il Cavaliere fu sbattuto contro un albero, abbattendolo, tanta era la violenza impressa a quel colpo. Polluce sorrise beffardo, incamminandosi verso Andromeda, con il pugno ancora carico di energia cosmica.

"Beh, sembra che la lotta si concluderà presto!" –Ironizzò, mentre Andromeda si rimetteva in piedi.

"Aspetta a cantare vittoria, Cavaliere Celeste! Devo ancora mostrarti il potere della mia arma! Vai, Catena di Andromeda!" –Esclamò il ragazzo, lanciando la Catena di Offesa avanti, che subito si divise in decine di catene scintillanti, dirette tutte verso il Dioscuro. Ma non riuscirono a colpirlo. Polluce infatti colpì tutte le catene che puntavano su di lui con i suoi pugni, a una velocità impressionante. Come scariche elettriche le catene drizzavano su di lui, ma venivano sempre respinte, sia che cercassero di raggiungerlo da destra, che da sinistra, sia dall’alto che dal basso.

Incredibile! La velocità e la potenza di Polluce sono sconcertanti! Mormorò Andromeda, prima di ritirare la Catena di offesa. Mai nessuno aveva respinto in questo modo la Catena di Andromeda!

"Se adesso ti sei reso conto dell’inevitabile conclusione di questo scontro, accetta la sconfitta e muori in pace, invasore dell’Olimpo! Pugno di Zeus!"

Ma quella volta Andromeda fu svelto a sollevare la Catena di Difesa, che iniziò vorticosamente a roteare intorno a lui, parando il colpo di Polluce. La pressione che il ragazzo esercitava con i pugni però era così grande da spingere comunque Andromeda indietro, facendolo barcollare. Polluce non si arrese, balzando davanti alla difesa di Andromeda e iniziando a prendere letteralmente a pugni la catena, sperando di sfondare la barriera del Cavaliere di Atena.

"Non essere sciocco! Non crederai di riuscirci!" –Esclamò Andromeda, osservando il ragazzo continuare a tirare pugni energetici contro la catena roteante.

Nonostante questa reggesse bene l’impatto, Andromeda dovette ammettere che l’impeto di quei pugni, e la loro velocità e precisione, era tale da impegnarlo con tutte le sue forze e la sua capacità di concentrazione. Deciso a smuovere la situazione, Andromeda fece scivolare la Catena di Offesa fuori dal cerchio difensivo, ordinando un attacco immediato. Ma Polluce non si fece cogliere di sorpresa, balzando velocemente indietro e atterrando su un tronco d’albero mozzato poco distante.

"Onde del Tuono, sfrecciate nel vento!" –Urlò Andromeda, scatenando le catene in un deciso attacco. Ma prima che raggiungessero il ragazzo, persero improvvisamente vitalità, ammosciandosi al suolo, come addormentate. –"Ma... che succede?" –Si chiese Andromeda, scuotendo la propria catena.

"Castore, non immischiarti! Eliminerò da solo questo moccioso!" –Urlò Polluce, adirato col fratello.

"Come preferisci, Polluce! Volevo semplicemente darti una mano per accelerare i tempi!" –Rispose Castore. –"Altri tre cosmi hanno varcato il Bianco Cancello e credo ci sia bisogno di noi altrove!"

"Puoi andare, se preferisci! Ma non intrometterti nel mio combattimento!"

"Come credi…" –Si limitò a dire Castore, allontanandosi.

Improvvisamente le catene ripresero a guizzare, ritrovando la loro vitalità. Andromeda ne fu contento, ma al tempo stesso si chiese, preoccupato, in che modo Castore avesse fermato il loro movimento. Le grida di Polluce lo rubarono ai suoi pensieri, riportandolo nel mezzo alla battaglia.

"Allora, Cavaliere, abbandonerai la lotta o vuoi continuare a soffrire?"

"Domanda retorica la tua, figlio di Zeus"! –Ironizzò Andromeda. –"Preferirei evitare di lottare con voi, ma se questo è l’unico modo per proseguire, l’unica via per raggiungere Atena e liberarla, in tal caso non mi tirerò indietro! La posta in gioco è troppo alta per lasciarsi abbattere dai sentimenti!"

"Una tale determinazione ti fa onore, Andromeda!" –Commentò Polluce, prima di bruciare il proprio cosmo. –"Ma in battaglia non basta essere decisi per vincere, bisogna essere anche forti!"

Detto questo scagliò un potentissimo Pugno di Zeus contro il ragazzo, che velocemente roteò la catena, creando la Difesa Circolare che lo protesse, nonostante l’impeto del colpo fosse tale da spingerlo indietro. Polluce attaccò ancora, balzando in alto e scagliando un nuovo fragoroso pugno contro il Cavaliere di Atena, ma commise un errore che gli fu fatale. Istintivamente la catena saettò in aria, diretta verso di lui, moltiplicandosi in decine di copie che si abbatterono disastrosamente sulla corazza di Polluce, scheggiandola in più punti.

Polluce fu travolto e spinto indietro, ricadendo malamente al suolo, mentre Castore, che si era appoggiato a un albero ad osservare il combattimento, si fece avanti preoccupato, chiamando il fratello a gran voce.

"Sto bene... sto bene!" –Esclamò Polluce, rialzandosi e sputando sangue. –"Ti ho detto di non immischiarti, Castore! So cavarmela da solo!"

Il fratello non disse niente, limitandosi ad osservare la scena con occhi sornioni, pronto ad intervenire in suo soccorso, in caso di bisogno.

"Hai fatto un errore fatale, Cavaliere Celeste!" –Esclamò Andromeda. –"Attaccare dall’alto è pura follia, essendo la testa la parte meglio difesa dalla mia Catena!"

"Beh, se la testa è la meglio difesa..." –Commentò Polluce, concentrando il cosmo nel pugno destro. –"Che mi dici delle gambe?!"

E tirò un violento pugno nel terreno davanti a lui, la cui violenza fu tale da far tremare l’intera radura. Un istante dopo, un impetuoso getto di energia travolse Andromeda, sgorgando proprio dalla terra sotto i suoi piedi, spingendolo in alto ed esponendolo al nuovo attacco di Polluce. Il figlio di Zeus balzò in alto, caricando entrambi i pugni, e si lanciò su Andromeda, iniziando a colpirlo ovunque con diretti rapidi e precisi, soprattutto sul viso, e quando questi ricadde a terra si sentì tutto il corpo pesto, e le guance gonfie e doloranti. I suoi pugni sono micidiali! Muove le braccia ad una velocità elevatissima, riuscendo a sferrare colpi precisi e puntuali! Sa dove colpire, e quando! Ragionò Andromeda, cercando un modo per impedirgli di offendere ancora. A fatica si rimise in piedi, stupendo persino Polluce che immaginava ne avesse prese abbastanza.

"Non ti arrendi, eh? Sei un tipo tosto!" –Ironizzò Polluce, bruciando ancora il cosmo. "Degno avversario di un pugile come me!"

E nel dir questo balzò avanti, pronto per scagliare nuovi pugni energetici contro Andromeda, ma si ritrovò letteralmente bloccato in aria. Con un’abile mossa infatti il Cavaliere aveva lanciato la sua catena che aveva assunto una particolare disposizione, a lancio della rete, come quando aveva intrappolato l’aquila possente nello scontro con Kira di Scilla, alla Colonna del Pacifico del Sud.

"Ma… che diavolo è?" –Domandò Polluce, trovandosi catturato in quella trappola.

"Ora!" –Gridò Andromeda, lanciando la Catena di Offesa, che come un fulmine colpì in pieno il braccio destro di Polluce, distruggendo la sua corazza divina e scaraventandolo indietro.

"Aargh!!!" –Urlò Polluce, toccandosi il braccio destro sanguinante. Ma non ebbe il tempo di riflettere che dovette fronteggiare un nuovo assalto della Catena di Andromeda, che strisciò intorno a lui, afferrandolo e stringendolo in una resistente presa.

"Great Capture!" –Esclamò Andromeda, soddisfatto, osservando il volto sorpreso del suo nemico. – "Mai sottovalutare l’avversario!"

"Maledetto!!!" –Urlò Polluce, espandendo il cosmo e tentando di liberarsi dalla morsa della Catena. Ma Andromeda strinse la presa, liberando scariche energetiche che percorsero la catena, stridendo sul corpo di Polluce e frantumando ulteriormente la sua corazza.

"Qui tutto finisce!" –Commentò Andromeda, scagliando le Onde del Tuono.

La Catena d’Offesa saettò nell’aria, ma prima che la punta del triangolo si conficcasse nel petto di Polluce, si fermò, perdendo nuovamente vitalità. Un secondo dopo tutte le Catene di Andromeda caddero a terra, liberando Polluce che, esausto e dolorante, si accasciò al suolo, grondando sangue.

"Ancora?!" –Esclamò Andromeda, cercando di dare nuovo impeto alle catene.

"Non sprecare il tuo tempo, Andromeda! La tua catena è inutilizzabile ormai!" –Esclamò Castore, facendosi avanti. –"Niente può la tua arma contro i miei poteri!"

"I tuoi poteri?!"

"Non ricordi le parole che ti ho rivolto, quando ci siamo presentati? Castore son io, il guerriero domatore di cavalli!" –Sorrise, iniziando a bruciare il cosmo. –"Le mie capacità, affinate per anni, mi permettono di esercitare il controllo diretto su tutti gli esseri inanimati, e sugli animali! Come domavo cavalli nel mito, adesso domo le tue catene, rendendole inservibili!"

"Castore..." –Sussurrò Andromeda, con preoccupazione. –"Il domatore…" –E gli saltò alla mente un interessante parallelismo con il Cavaliere d’Oro dei Gemelli, anch’egli, come i Dioscuri, domatore, di menti, ed esperto combattente.

"Addio Andromeda!" –Esclamò Castore, portando avanti il braccio destro. –"Carica dei Mille Cavalli!"

Andromeda fu letteralmente travolto dall’attacco di Castore, incapace di difendersi, privo ormai della sua catena che pareva non rispondere più ai comandi mentali del suo padrone. Fu spinto indietro e ricadde al suolo, provando la dolorosa sensazione di essere stato schiacciato da un’imbizzarrita mandria di cavalli.

"I cavalli che domavo nel Mondo Antico mi hanno trasmesso la loro forza! In queste possenti braccia c’è tutta la potenza degli stalloni attici! Sarà un onore, per te, cadere per mano mia!" –Esclamò Castore, con fierezza.

"Non... non posso cedere..." –Affermò Andromeda, rialzandosi.

"Sciocco! Un alito di forza ti resta, e niente più!" –Tuonò Castore, scagliando una seconda Carica dei Mille Cavalli contro il ragazzo, che fu ancora una volta travolto e spinto lontano.

Andromeda rovinò al suolo, scavando il terreno già sconquassato, e perdendo addirittura il diadema dell’Armatura. Si sentiva le ossa in fiamme, per aver subito i pugni di Polluce e essere stato travolto dalle divine mandrie di Castore. Per un attimo provò la sensazione di lasciarsi andare, ma poi strinse i denti, muovendo un braccio per rialzarsi. Ancora una volta Phoenix era venuto in suo soccorso.

Ma stavolta non fisicamente! Commentò, cercando di rimettersi in piedi. Moralmente! Aggiunse, ricordando le parole di Phantom e di Castalia. Mio fratello è qua, sull’Olimpo! Non sento il suo cosmo, ma so che è qua! E probabilmente ha bisogno di me! Non posso lasciarmi abbattere così, non posso! Lo devo a lui, che troppe volte mi ha salvato, che troppe volte si è messo in gioco per aiutare me! Questa volta voglio essere io a salvare lui! E nel dir questo espanse il proprio cosmo, di accesi colori rosati, invadendo l’intera radura.

"Uh?! Che diavolo vuoi fare in quelle condizioni?" –Chiese Castore, osservando il ragazzo rialzarsi.

"Combattere! E vincervi! Per correre da Atena e da mio fratello!" –Esclamò Andromeda deciso.

"Non dire sciocchezze, non reggerai un altro attacco! Carica dei Mille Cavalli!" –Tuonò Castore, sollevando nuovamente il braccio destro.

Ma Andromeda, per niente intimorito, spinse avanti entrambe le braccia, contenendo, seppur a fatica, la devastante carica della mandria divina. In quella liberò tutta la potenza del suo cosmo, in una vorticosa corrente energetica che travolse Castore, spingendolo via.

"Nebulosa di Andromedaaaa! Via!!!" –Urlò, liberando il suo nascosto potenziale.

Castore fu investito in pieno e trascinato via, sopraffatto dalla tempesta luminosa creata da Andromeda. Ricadde al suolo sbattendo la testa, con l’armatura danneggiata in molti punti e sangue che colava dalle sue ferite.

Quale potenza! Commentò il Domatore di Cavalli, riconoscendo di aver fatto lo stesso errore del fratello: aver voluto giocare al gatto con il topo, quando invece, insieme, avrebbero potuto mangiarselo subito, senza rischiare di perdere una partita. Boccheggiando, Castore si rimise in piedi, aiutando il fratello poi a fare altrettanto. L’aria era ancora percorsa dalla corrente della Nebulosa di Andromeda, seppur in forma attenuata, e il Cavaliere di Atena ansimava al centro della radura, di fronte ai Dioscuri, finalmente decisi ad affrontarlo congiuntamente.

"Fermatevi vi prego!" –Esclamò Andromeda, non per codardia ma per sincero rispetto verso la vita. –"Non sono qua per battermi con voi, ma per salvare la mia Dea!"

"E noi siamo qua per difendere il Regno di nostro Padre da voi invasori, Cavaliere di Atena! Lui ci ha creato, lui ci ha dato l’immortalità!" –Commentò Castore. –"E noi lo ricompenseremo con la notizia della tua caduta!" –Concluse Polluce, espandendo il proprio cosmo.

Castore fece altrettanto, prima di allungare il braccio destro verso di lui. Polluce fece la stessa cosa col sinistro, afferrando la mano del fratello e stabilendo un contatto energetico. Le figure dei due fratelli lampeggiarono per un momento, prima di moltiplicarsi all’infinito, davanti agli attoniti occhi di Andromeda.

"Per te, Andromeda, il nostro colpo congiunto! Illusione dei Dioscuri!" –Esclamarono insieme, circondando in fretta il Cavaliere di Andromeda con migliaia di loro copie.

Maledizione! Imprecò il ragazzo, guardandosi intorno, per capire quale fosse la coppia reale. Ma non trovò niente che potesse aiutarlo. Lanciò qualche accenno di Nebulosa in varie direzioni, ma tutti i suoi colpi finirono nel vuoto, trapassando le incorporee figure verso cui si dirigevano.

"Ah ah ah!" –Risero insieme i due fratelli, e a Andromeda parve che l’intera radura si burlasse di lui. Poi i Dioscuri bruciarono il loro cosmo, circondando il corpo dell’impaurito Andromeda, pronti per scagliare i loro colpi segreti. –"Pugno di Zeus!" –Urlò Polluce, usando il braccio sinistro. –"Carica dei Mille Cavalli!" –Gridò Castore.

E Andromeda fu colpito da tutte le direzioni, non riuscendo a comprendere da dove provenissero i colpi. La sua Armatura fu scheggiata in più punti, nonostante il ragazzo cercasse di difendersi con il cosmo. Ma è difficile difendersi se non sai da dove provengono i colpi! Aaah... maledizione.. avessi la mia catena... la mia catena… Commentò, espandendo al massimo il proprio cosmo. L’intera radura fu nuovamente invasa dalla tempesta energetica della Nebulosa di Andromeda, che stavolta non era diretta verso i Dioscuri, bensì tesa a risvegliare la proteiforme arma. Catena di Andromeda, svegliati! E torna a combattere con me! Per Atena! E per la giustizia! Urlò Andromeda, bruciando al massimo il proprio cosmo. Incredibilmente le Catene di Andromeda si risollevarono dal torpore in cui il potere mentale di Castore le aveva confinate, riprendendo a danzare nel vortice energetico, sotto il controllo del suo padrone e compagno.

"Che cosa? Non può essere!" –Esclamò Castore, cercando di recuperare il controllo dell’arma.

"Stavolta sono i tuoi poteri ad essere inutili!" –Commentò soddisfatto Andromeda. –"La mia catena ed io siamo una cosa sola! Essa non è soltanto un’arma, è parte di me e io di lei! Insieme abbiamo affrontato mille battaglie, mille avversari, e abbiamo sempre trovato la forza di sconfiggerli, lottando fino in fondo, credendo in noi stessi e in ciò che siamo! Vai, adesso, Catena di Andromeda, trova i nemici!" –E nel dir questo Andromeda lanciò l’arma nell’ampio spazio, osservandola mentre raggiungeva i Dioscuri, posizionati di lato rispetto a lui. Castore e Polluce non poterono far niente per arrestare la devastante furia della Catena di Andromeda, e ne furono travolti, penetrati dal freddo metallo e scagliati lontano. Si schiantarono a terra molti metri addietro, ai margini della foresta di Artemide, proprio dove avevano sorpreso Andromeda un’ora prima.

"Incredibile! Siamo... stati battuti…" –Balbettò Castore, tentando di rialzarsi. Ma non ci riuscì e ricadde al suolo in una pozza di sangue, accanto all’amato fratello, vinto anch’egli da Andromeda.

Il Cavaliere di Atena si fermò un attimo ad osservarli, con un’infinita malinconia nel cuore, la stessa che provava ogni volta in cui doveva combattere, ogni volta in cui doveva ferire un nemico, che non riusciva a convincere a rinunciare alla lotta. Praticamente sempre. Scacciò via quei pensieri, voltandosi in fretta e iniziando a correre lungo il pendio per raggiungere la Reggia di Zeus. Dopo neanche trecento metri, Andromeda si fermò, percependo uno strano suono nell’aria. Una musica.

Ricordando i precedenti, con Orfeo, Mime e Syria, il Cavaliere tentò di allontanarsi dal luogo in cui la musica proveniva, ma si accorse con orrore che non riusciva a sfuggirne. In qualunque direzione si dirigesse la musica lo seguiva, facendosi sempre più insistente. Ma era una melodia diversa da quelle che lo avevano ammaliato in precedenza, questa era molto più leggera, più naturale.

Un fruscio alla sua destra lo fece voltare, in modo da scorgere la fonte di tale musica. Sdraiato su un tronco abbattuto, un essere dall’aspetto grottesco suonava uno strumento simile a un flauto, ma composto da varie sezioni. Lo strano personaggio era molto piccolo, con piedi caprini, un nudo corpo villoso, barba, naso camuso e due corna che spuntavano dal cranio. Andromeda sgranò gli occhi sorpreso, quasi inorridito, mentre il misterioso musico continuava a suonare, disinteressato a lui. Il Cavaliere fece per allontanarsi, ma in quella il musico smise di suonare, balzò in piedi e lo chiamò.

"Fermati, Cavaliere di Andromeda!"

"Conosci il mio nome?" –Domandò il ragazzo, mentre il musico si incamminava verso di lui.

"Naturalmente!" –Commentò questi, prima di accostare il suo strumento alle labbra. Allora, in quel momento, osservando lo strumento del musico, Andromeda lo riconobbe. Quella era la siringa, il flauto di canne, ed egli doveva essere il suo creatore: Pan, il Dio delle Greggi e delle Selve.