CAPITOLO TRENTESIMO. L’ULTIMA FATICA.

Grazie all’aiuto di Egle, Ninfa del Tramonto, Pegasus, Andromeda e Phoenix riuscirono ad uscire dal Giardino delle Esperidi, ma la ragazza non li accompagnò oltre, sentendosi in debito con il Cavaliere del Cigno, e ritornando da lui, lasciando i tre Cavalieri, da soli, a percorrere l’ultimo tratto di strada. Dopo pochi passi infatti gli alberi iniziarono a scomparire, lasciando il posto nuovamente alle pietre e alla parete rocciosa sul lato destro e all’antica scalinata di marmo che conduceva alla Dodicesima Casa, quella dei Pesci. Quando vi arrivarono, Pegasus, Andromeda e Phoenix furono quasi stupiti di trovarla ancora lì, perfettamente identica all’ultima volta in cui l’avevano veduta, senza alcuna apparente modifica esteriore. Dopo le stalle di Augia, la palude di Stinfalo, il Bosco d’Oro, quasi dubitavano che esistesse ancora una casa integra. Ma così fu, almeno all’apparenza.

"Strano!" –Mormorò Andromeda, osservando la atena penzolare tranquillamente dal suo braccio. –"La catena non segnala la presenza di alcun nemico al suo interno!"

"Non per dubitare delle sue doti, ma ho seri dubbi che funzioni correttamente!" –Ironizzò Phoenix.

"Se non ricordo male l’ultima fatica di Eracle fu la discesa agli Inferi e lo scontro con Cerbero, cane guardiano!" –Mormorò Andromeda, non prestando troppa attenzione alle battute del fratello.

"Cerbero!" –Ripeté Pegasus, incamminandosi all’interno dell’Ultimo Tempio dello Zodiaco. –"Nemico che abbiamo già affrontato e abbattuto, alla Seconda Prigione di Ade! Che Ares abbia riportato in vita anche quel cagnaccio?!"

Andromeda e Phoenix non risposero, seguendo l’amico, a passo lento, dentro la Dodicesima Casa. I tre Cavalieri camminarono prudentemente all’interno del corridoio principale, con i sensi tesi, pronti a percepire la seppur minima vibrazione intorno a loro. Ma nessuno si palesò loro, e convennero infine che l’ultima casa fosse realmente disabitata.

"Forse Ares non riteneva possibile che arrivassimo fin qua?!" –Azzardò l’ipotesi Andromeda, fermandosi con gli amici al centro del tempio.

"In ogni caso dobbiamo fare attenzione!" –Mormorò Phoenix, continuando a guardarsi intorno con aria sospetta. Ma non udirono niente, né percepirono presenza alcuna dentro quelle quattro mura, convincendosi sempre di più che non vi fosse nessuno.

"Sarò tranquillo solo quando usciremo di qua!" –Esclamò Pegasus, incitando gli amici a proseguire. Andromeda e Phoenix gli andarono dietro, infilando nel corridoio che avrebbe dovuto condurre all’uscita, mentre le luci si facevano sempre più fioche, fin quasi a scomparire, lasciandoli al buio.

"Ehi, che succede?" –Disse Pegasus, mentre l’oscurità si faceva sempre più pressante intorno a loro.

"Un corridoio scuro…" –Mormorò Phoenix.

"Là in fondo… guardate…" –Esclamò Andromeda, che non riusciva più a vedere i suoi compagni, indicando avanti a sé. –"C’è una luce! È l’uscita!" –I tre amici, ognuno per conto suo, si diressero verso la luce alla fine del tunnel, credendo davvero che si trattasse dell’uscita, ma quando varcarono la soglia di quella porta si ritrovarono da soli nel cuore dell’Inferno.

"Eh?!" –Domandò Pegasus, osservando il panorama avanti a sé.

Si trovava in un ampio stanzone, scarsamente illuminato, al termine del quale una lunga scalinata conduceva in cima ad un palco, dove vi era un trono, nascosto da macabre tende. Pegasus non ebbe dubbi al riguardo: era la Giudecca, l’ultima zona dell’Inferno. Solo allora si accorse di avere indosso la sua vecchia armatura, quella forgiata da Shin con il sangue di Atena, e che anche Andromeda, apparso improvvisamente accanto a lui, indossava la sua corazza di bronzo.

"Andromeda!!!" –Esclamò Pegasus, correndo verso l’amico. Ma un’improvvisa scarica di energia lo colpì in pieno, facendolo stramazzare al suolo, agonizzante. Quando si rialzò vide una donna, con lunghi capelli corvini, puntare un tridente verso di lui.

"Pa... Pandora…"

"Non rivolgerti in questo modo al Signore degli Inferi!" –Esclamò la donna, continuando a puntare il suo tridente verso Pegasus.

"Il Signore…" –Rifletté Pegasus, prima di voltarsi verso l’amico. –"No!!! Andromeda!!!" –Gridò Pegasus, sollevandosi di scatto. Ma Pandora lo colpì di nuovo, facendolo crollare al suolo, inerme, prima che robuste braccia lo afferrassero e lo portassero via, mentre gli occhi scuri del ragazzo piangevano lacrime amare, invocando il nome dell’amico, posseduto da Ade.

Quando rinvenne, Pegasus si ritrovò in un luogo ai confini della realtà, murato vivo nel ghiaccio, con solo la testa al di fuori, mentre raffiche di gelido vento sferzavano la superficie di quell’immensa distesa, da cui spuntavano altre teste. Altri visi noti a Pegasus.

"Ioria!!!" –Gridò il ragazzo. –"Mur!!! Scorpio!!!" –Ma i Cavalieri d’Oro, ghiacciati anch’essi vivi nelle tristi lande del Cocito, non risposero, aumentando l’angoscia nel suo cuore. D’un tratto un’immagine iniziò ad apparire di fronte a lui. Un’immagine sfuocata, a cui solo il cuore diede nitidezza: il candido volto della sua amata Isabel.

"Atenaaa!!!" –Urlò Pegasus. Ma la Dea non lo udì, continuando a camminare, nella visione che Pegasus aveva davanti agli occhi, nella sala della Giudecca, fino a portarsi di fronte ad Ade. –"Cosa fa?! Attentaaa!!!" –Gridò Pegasus, ma la sua voce si perse nella bufera di ghiaccio.

Rassegnato, tornò a guardare, anche se quelle immagini gli facevano dolere il cuore. Ascoltò le parole di Atena, che offriva ad Ade la sua stessa vita, purché fermasse l’Eterna Eclissi e lasciasse il sole agli uomini liberi. Infine, vide Ade puntare il tridente contro di lei, che lo fermò con le sue mani, mentre sangue usciva copioso dalle sue vene.

"Isabel… Isabeeeel!!!" –Gridò Pegasus, angosciato, tormentato dal non poter far niente per aiutare la dea che amava. E forse, la donna che amava.

Ade rapì Isabel, portandola al di là del Muro del Pianto, facendo sfocare nuovamente l’immagine. Quando Pegasus riuscì a vedere meglio, notò soltanto la nera spada di Ade che veniva verso di lui. Enorme, immensa, sfondò il ghiaccio del Cocito, trasformando la visione in realtà, e perforando la corazza di Pegasus, proprio all’altezza del cuore.

"Noo… basta!!!" –Urlò Pegasus, che mai si era liberato del fantasma della Spada Nera di Ade. Ma una nuova immagine comparve di fronte ai suoi occhi: una visione di morte, in cui Isabel, scalza e con le vesti lacere, correva in mezzo ad oscure fiamme, venendo presto risucchiata in un vortice di fuoco. Sopra tutto torreggiava la maligna risata di Ares. E Pegasus, prostrato, non poteva far niente per salvarla. Solo guardare. E soffrire.

"Talvolta il cuore mostra ciò che i nostri occhi non possono, o non vogliono, vedere!" –Sibilò Ares prima di scomparire, lasciando Pegasus sconvolto in lacrime.

***

Anche Andromeda si ritrovò alla Giudecca, da solo e completamente nudo, ferito da qualche taglio sul corpo. Una donna si avvicinò, porgendogli dei vestiti che giudicò più adatti per la sua persona.

"Grazie!" –Mormorò Andromeda, senza capire bene cosa stesse accadendo.

La donna si presentò come Pandora e lo guidò in cima alla scalinata, facendolo sedere sul trono, sul suo trono, lo scranno di Ade, Signore degli Inferi.

"E mio amatissimo fratello minore!" –Affermò la donna, inginocchiandosi ai suoi piedi.

Andromeda non riusciva a capire. Era davvero Ade? Com’era possibile ciò? Lui che era sempre stato un Cavaliere di Atena, lui che aveva sempre posto la pace e la tolleranza come supremi valori della vita, da trasmettere agli altri, adesso sedeva sul trono della più oscura Divinità, che tormentava i dannati anche dopo la morte e che voleva ridurre la Terra ad un’immensa distesa di ghiaccio, privandola della calda luce del sole.

"Un secondo Inferno!" –Commentò una voce, apparendo ai piedi della scalinata. Tre uomini alti e robusti, ricoperti da oscure vestigia, simboleggianti mitologiche creature: Eaco, Minosse e Radamante, i tre Giudici Infernali, comandanti dell’esercito di Spectre.

"Sire Ade…" –Mormorò uno di costoro. –"Siamo pronti a portare la distruzione sulla Terra in nome suo, guidando i centocinque spectre alla conquista del pianeta!"

La distruzione?! Posso davvero volere questo?! Posso davvero chiedere che uomini uccidano altri uomini per soddisfare le mie ambizioni di dominio?! Io che sono stato relegato nelle viscere del mondo, mentre i miei fratelli ottennero i mari e il cielo, posso finalmente aspirare ad uscire allo scoperto, occupando quel posto al sole che da troppo tempo mi è stato negato? Andromeda non aveva dubbi. La sua mente non gli apparteneva più. Adesso era diventato veramente Ade.

"Proseguite!" –Fu lui a pronunciare tali parole, ma fu il Dio dell’Oltretomba a meditarle. Ma il Dio è in me! Vive in me! Il Dio sono io?! Ammise infine, disperandosi, gemendo, tentando di urlare, tentando di uscire da quella prigione in cui era costretto ad assistere ad eventi di cui lui stesso era responsabile senza poter intervenire, senza poter far niente per cambiare le cose, intrappolato come Gemini e Ilda erano stati prima di lui. Pianse a lungo, ma nessuno lenì i suoi affanni, nessuno consolò il suo animo. Soltanto Pandora si prese cura di lui, ma ella serviva Ade, il Dio di cui era il ricettacolo, non curandosi dell’interiorità, dei sentimenti del vero Andromeda.

"Mio amato fratello…" –Mormorò la donna, sedendo ai piedi di Ade e carezzandogli le braccia.

No! Smettila! Urlava Andromeda, ma le sue grida si perdevano nel limbo in cui era confinato, obbligato spettatore di un’esistenza su cui non aveva potere. Non poteva fermare i Giudici Infernali, non poteva rallentare l’Eterna Eclissi. Né salvare suo fratello dalla furia del Dio dell’Oltretomba.

"Phoenix!!!" –Mormorò, osservando suo fratello in piedi davanti a lui, intento a combattere contro il suo corpo, cercando di cacciare Ade e restituirlo all’anima di Andromeda, che sapeva essere ancora viva. Che sentiva essere ancora viva. Ma alla fine cadde, vinto, pieno di ferite, sanguinante e debole, e le sue carni furono gettate al vento. E Andromeda rimase solo, ad urlare, sotto un cielo oscuro e senza fine.

***

Quanto dolore provò Phoenix quel giorno, quando giunto nell’Inferno, per aiutare Kanon contro i tre Generali dell’Aldilà, apprese che suo fratello era diventato il Signore dell’Oltretomba, che Ade si era reincarnato in lui. E quante lacrime versò quando lo vide lassù, in cima a quello scuro trono, con un volto che non era il suo. Un volto innaturale, senza tempo, senza il profondo sguardo pieno di amore che solo gli occhi di suo fratello sapevano produrre.

"Andromeda!!!" –Balbettò Phoenix, ma l’uomo che aveva di fronte non parve neppure riconoscerlo.

"Egli non è più Andromeda! Adesso è Ade, Sire dell’Oltretomba!" –Parlò una voce di donna, la sorella di Ade, Lady Pandora. Ma Phoenix non si arrese, testardo come sempre, e diede l’anima, bruciando al massimo il proprio cosmo, per salvare suo fratello e liberarlo dal demonio.

Quanto dolore albergava in lui quando dovette schiaffeggiare Andromeda, quando dovette colpirlo con il pugno, sfondare il suo petto, per cacciare l’anima di Ade dal suo corpo. Neppure gli Dei tutti potrebbe raccontare quanto atroce fu per lui, che non amava nessun altro al mondo, che non aveva nessun altro al mondo, a parte i suoi tre amici e suo fratello, lo stesso che Ade voleva portargli via.

"Colpiscimi fratello! Colpiscimi!" –La voce di Andromeda rimbombava nella mente di Phoenix, che non capiva più dove fosse.

Un attimo si trovava alla Giudecca, impegnato a schiaffeggiare il corpo di Andromeda, un attimo dopo giaceva nelle lande desolate del Cocito, abbandonato a se stesso, prima che un’impetuosa tempesta lo travolgesse trascinandolo a casa, sull’Isola della Regina Nera, in mezzo al lago di lava dove ardevano miserabondi i corpi dei suoi vecchi nemici: Jango, i Cavalieri Neri, Gemini, Kanon. C’erano tutti, e presto ci sarebbe stato anche lui.

"Ecco l’inferno adatto a te! La collera!" –Esclamò una voce, mentre Phoenix sentì scomparire il terreno sotto i suoi piedi, percependo un immenso senso di vuoto. Un tuffo soltanto e si trovò nel lago di sangue. Rovente, bollente, mentre i dannati cercavano di affogarlo e ridurlo come loro, per quanto Phoenix si dimenasse. Torreggiante su di lui, la figura di Shaka di Virgo sogghignava felice, sentendosi superiore, dominante, come durante lo scontro alla Sesta Casa.

"Colpiscimi fratello! Colpiscimi!" –Gridò ancora Andromeda, e Phoenix non poteva fare a meno di ubbidire, sperando, con quei suoi gesti, di liberare il fratello dalla prigionia di Ade.

E Pegasus, sepolto nel ghiaccio, continuava a rivedere quelle immagini, non sapendo come fermarle. Non sapendo come fermare il pugno di Phoenix prima che sfondasse il cuore di Andromeda, non sapendo come urlargli di fermare quel gioco al massacro.

Improvvisamente un piccolo punto luminoso comparve di fronte a loro, e ognuno dei tre amici lo vide crescere, aumentare, diventare una vera e propria luce, eterea, celeste, primordiale, al punto da sovrastare ogni altra immagine, ogni altra visione, inglobandole in sé.

"Segui il tuo cuore, Cavaliere! E trova la tua strada!" –Mormorò una voce, soave e indistinta, che inizialmente non riconobbero.

"Aa... Atena!!!" –Urlò infine Pegasus. E le sue urla echeggiarono nel vuoto, distruggendo ogni visione, spazzando via ogni inganno. Riaprì gli occhi improvvisamente, ritrovandosi sdraiato in terra, su un pavimento di marmo, con ancora indosso la sua Armatura Divina. Accanto a lui c’erano Andromeda e Phoenix, e Pegasus convenne che fossero ancora alla Dodicesima Casa.

"Cos’è stato?! Una visione?! Un inganno?!" –Scosse la testa, ma ricordava soltanto confusi pensieri, immagini di morte e sangue ed una tremenda angoscia che si era impadronita di lui. Cercò di non pensarci e allungò una mano, fino a sfiorare i corpi di Phoenix e Andromeda, risvegliando anche loro, un po’ frastornati e insicuri.

"Phoenix!!!" –Esclamò Andromeda, tremendamente felice di vedere suo fratello, come se fossero anni che non si incontravano. La stessa reazione, seppure più controllata, la ebbe Phoenix, che non nascose un singhiozzo nel vedere che il fratello non era posseduto da Ade.

"Pegasus… Cos’è accaduto?!"

"Non so dirvelo, amici! So soltanto che vedevo le vostre gesta, ma non riuscivo ad arrivare a voi, a comunicare con voi!"

"La stessa cosa è accaduta a me!" –Rispose Phoenix, rialzandosi.

"Se non fosse stato per quella luce alla fine…" –Mormorò Andromeda. –"Sarei rimasto prigioniero di quella visione per l’eternità!" –I tre amici concordarono di essere stati vittima di un’illusione, di una potente manipolazione della loro mente, che soltanto un Dio poteva condurre.

"E soltanto un Dio poteva giungere in nostro aiuto!" –Esclamò Pegasus, prima che un sorriso di speranza gli aprisse il cuore. –"Isabel!!!"

"Atena è intervenuta per salvarci!" –Affermò Andromeda. E anche Phoenix gli dette ragione, prima di spronare gli amici a lasciare la Dodicesima Casa e a correre ad affrontare Ares. Ma non appena si voltarono, per incamminarsi verso l’uscita, notarono un uomo, ricoperto da un’inquietante armatura, appoggiato comodamente ad una colonna, che li stava osservando, forse già da qualche minuto.

"Eh?!" –Esclamarono i tre amici, quasi spaventati. –"E tu chi sei?" –Domandò Pegasus. –"Non ho sentito il tuo cosmo arrivare!"

"È naturale!" –Esclamò questi, staccandosi dalla colonna e portandosi al centro del salone. –"Posso arrivare non visto, se lo desidero, e scomparire a mio piacimento!"

"Un vero mago dell’inganno…" –Commentò Pegasus, sollevando le difese.

Quel tipo non gli piaceva per niente. Per quanto avesse un viso semplice, molto maschile, quel ghigno malizioso lo faceva stare in guardia. Era alto e ben fatto, con mossi capelli neri e occhi di color grigio scuro, ricoperto da un’armatura scarlatta dalle sfumature biancastre, ingannevolmente eteree, diabolicamente mortali. I bordi della sua Veste Divina erano simili ad artigli pronti a ghermire e alla cintura pendeva una spada infuocata.

"Mio Padre è stato troppo buono con voi, luridi Cavalieri di Atena! E per colpa dell’interferenza di Atena quest’ultima fatica si è rivelata un piacevole viaggio nei ricordi, anziché una terrorizzante angoscia perpetua!" –Sogghignò l’uomo, la cui voce era maschile e profonda.

"Tuo Padre?!" –Ripeté Andromeda. –"Dunque tu sei…"

"Deimos è il mio nome celeste, ma tra gli uomini mortali sono noto come Spavento, Divinizzazione del Terrore, di Ares figlio e, come lui, portatore di guerra!"

"Deimos!!!" –Mormorò Pegasus, cui soltanto il nome faceva venire i brividi.

"Sei tra coloro che hanno fatto strage di Divinità sull’Olimpo!" –Esclamò Andromeda, ricordando il triste volto di Efesto dopo la morte di Afrodite. –"Insieme ai tuoi fratelli!"

Deimos non rispose, limitandosi a sogghignare, per quanto l’espressione utilizzata da Andromeda non lo convincesse più di quel tanto. Per lui infatti esisteva un solo fratello, il suo gemello Phobos, Signore della Paura. Flegias era soltanto un bastardo, uno dei tanti figli di Ares, anche se, a detta di molti, si stava rivelando il più abile e vincente.

"Allora…" –Sogghignò Deimos, ostentando apertamente il proprio cosmo, dalle sfumature biancastre. –"Chi vuole essere il primo a morire?!" –I Cavalieri di Atena si misero sulla difensiva, sollevando le braccia e bruciando il loro cosmo, e Andromeda srotolò addirittura la catena, disponendola ad anelli concentrici intorno a loro.

"Poco importa…" –Commentò il Dio. –"Tanto morirete tutti comunque!" –E senz’altro aggiungere sfrecciò avanti, guizzante come un bianco fulmine, scivolando sulla Catena di Andromeda, più veloce dei movimenti della stessa.

Colpì Andromeda con un calcio in pieno addome, scagliandolo contro Pegasus, prima di voltarsi verso Phoenix e sferrargli un pugno sul mento che lo spinse di lato, facendolo barcollare, mentre Deimos balzava indietro, portandosi alle spalle di Pegasus, che intanto si era divincolato. Afferrò la spada che portava con sé e la piantò nella schiena del Cavaliere di Atena, senza riuscire ad andare troppo a fondo, a causa della resistenza del mithril, ma fu abbastanza per far urlare Pegasus e farlo accasciare al suolo, mentre sangue colava abbondantemente sulla sua corazza.

"Maledetta canaglia!" –Gridò Phoenix, scattando avanti, con il pugno carico di energia infuocata. Ma Deimos si limitò a spostare il capo verso destra, evitando l’affondo di Phoenix, e fermando poi il suo braccio con la mano sinistra. Con un’abile mossa rovesciò il Cavaliere facendolo sbattere contro il muro alle sue spalle, prima di brandire la sua Spada Infuocata per infilzare anche lui. Ma Andromeda non glielo permise, liberando la sua catena, che saettò verso il polso destro di Deimos, arrotolandosi intorno ad esso e frenando i suoi movimenti.

"Fermati!" –Esclamò il Cavaliere, tirando con forza.

"Hai così fretta di morire, ragazzino?!" –Lo schernì Deimos, che riusciva a resistere alla stretta della Catena di Andromeda continuando a tenere Phoenix bloccato, a testa in giù, contro il muro.

"Lascia stare mio fratello"! –Gridò Andromeda, liberando anche l’altra catena.

Con una mossa astuta e infingarda, Deimos afferrò il corpo di Phoenix, buttandolo davanti a sé, come scudo su cui si infranse l’appuntito triangolo della Catena di Andromeda, mentre il fratello urlava disperato e colpevole. Non contento, passò il braccio fermato dalla catena intorno al collo di Phoenix, usando la stessa arma per strozzarlo, mentre violente scariche energetiche percorrevano l’intera superficie della catena.

"Ah ah ah!" –Gridò Deimos, osservando il volto di Phoenix farsi sempre più rosso, impossibilitato a respirare al meglio.

"Fulmine di Pegasus!!!" –Esclamò una voce improvvisamente, mentre migliaia di pugni lucenti si abbattevano su Deimos, scaraventandolo contro la parete laterale, e liberando finalmente Phoenix. –"Stai bene, amico?" –Domandò Pegasus, che si era rialzato a fatica.

"Non... preoccuparti per me!" –Tentennò Phoenix, respirando affannosamente.

"Dov’è andato?!" –Si chiese Pegasus, cercando Deimos con lo sguardo. Ai piedi della parete non c’era nessuno, e neppure tra le colonne intorno a loro, ma i Cavalieri sentivano ancora la sua presenza, ostile e bellicosa, tra le mura della Dodicesima Casa. –"Dove sei?" –Urlò Pegasus, guardandosi intorno. –"Mostrati! E combatti da Cavaliere!"

"Vai, Catena di Andromeda! E trova il nemico!" –Esclamò Andromeda, liberando l’arma, che saettò nell’aria per qualche metro, prima di fermarsi, priva di vita, e cadere a terra, incapace di portare a compimento la missione. –"Uh?! Che significa?" –Si chiese, cercando di scuotere l’arma. Ma in quel momento, pur senza confessarlo agli amici, iniziò a provare un senso di inquietudine, un’angoscia montante, che stava divenendo vero terrore. Un sentimento simile albergava anche negli animi di Pegasus e, in misura minore, di Phoenix, disturbati da quel tuffo nell’ignoto, da quel non sapere, non vedere, che aveva caratterizzato gli eventi dell’Ultima Casa dello Zodiaco.

"Eh eh eh…" –La voce di Deimos risuonò nelle orecchie di ognuno di loro, provenendo da un indefinito luogo intorno a loro.

"O forse è in nessun luogo?!" –Mormorò Pegasus tra sé. –"Forse è dentro di me?!" –Si disse Andromeda. –"Come Ade era in me?! Come io ero Ade?!" –Non sapeva più cosa credere, non sapeva più cosa pensare.

"Eh eh eh!" –Sibilò ancora la maligna voce di Deimos, risuonando nell’animo dei Cavalieri.

"Mo... mostrati!!!" –Esclamò Pegasus, ma le parole gli sembrarono morire in bocca, tanta era la paura che stava provando. Che mi succede?! Mormorò tra sé. Non è da me essere così terrorizzato! Eppure... non posso fare a meno di… tremare... come un coniglio in gabbia! Come un passero di fronte ad un’aquila! Rifletté confusamente il ragazzo, che poteva sentire persino le sue gambe sussultare, mentre brividi di freddo correvano lungo la sua schiena dolorante.

"Onde di Terrore!" –Sibilò una figura indistinta, apparendo di fronte a loro.

Bianche onde di cosmo scivolarono nell’aria, lentamente, senza incontrare resistenza alcuna, come una scure che cade pian piano sulla testa del condannato, che non può far altro che osservarla scendere, finché non raggiunsero i corpi paralizzati dal terrore dei Cavalieri di Atena, stridendo sulle loro Armature Divine, scheggiandole in parte, e scaraventandoli indietro.

"Eh eh…" –Commentò Deimos soddisfatto, riacquistando le sue solite fattezze.

Per quanto il suo aspetto in realtà non fosse mai mutato, il figlio di Ares, grazie ai poteri che gli erano propri, aveva instillato nei tre giovani un forte senso di terrore, di spavento, come il nome che gli uomini gli avevano dato. Un terrore psicologico che aveva vinto le loro già provate difese, rendendoli deboli e vulnerabili. Senz’altro aggiungere, impugnò la Spada Infuocata, dirigendosi verso i corpi dei Cavalieri di Atena, per affondarla nel loro cranio. Solo quando fu di fronte a loro si accorse, con sincero stupore, che i corpi sdraiati in terra erano soltanto due.

"Pugno Infuocatoooo!!!" –Esclamò improvvisamente una voce, sbucando da dietro una colonna. Il turbine di fuoco travolse Deimos in pieno, per quanto avesse tentato di difendersi incrociando le braccia avanti a sé, e lo scaraventò lontano, sfondando una colonna del Dodicesimo Tempio e ricadendo a terra, perdendo la presa della sua spada.

"Cosa?!" –Esclamò furibondo Deimos, rialzandosi di scatto.

Ikki di Phoenix era in piedi al centro del salone, pronto per combattere con lui, dopo essersi velocemente sincerato della salute dei due amici, che esteriormente non sembravano feriti.

"Come hai potuto resistere al mio assalto mentale?! Centinaia di uomini ho piegato, fin dagli albori del Mondo Antico, instillando in loro il terrore allo stato puro!"

"Figlio di Ares…" –Mormorò Phoenix. –"Grandi sono i tuoi poteri, e indiscussa la tua abilità, ma essi non hanno effetto sul Cavaliere della Fenice, che di niente, neppure della morte, ha paura!"

"Impossibile!!!" –Tuonò Deimos, imbestialito. –"Non esiste uomo che non abbia paure! E, su tutte, la morte, la fine di ogni certezza, è il massimo terrore che possa provare!"

"Non per me, l’uccello immortale, capace di risorgere dalle proprie ceneri!"

"Non gloriarti di un mito che non ti appartiene, Cavaliere di Phoenix! Tu non sei l’uccello infuocato, sei soltanto un uomo che veste la corazza della Fenice! Non la fenice stessa! E, come tale, resti pur sempre un mortale!"

"La Fenice vive in me, Deimos, ed essa è capace di riportarmi a nuova vita, non soltanto quando il mio corpo è rotto, ma anche quando è la mia anima, il mio spirito, ad essere spezzato!" –Esclamò Phoenix, fiero della sua armatura, e della costellazione che lo guidava.

"Spezzare lo spirito… eh?!" –Mormorò tra sé Deimos, i cui occhi si illuminarono improvvisamente di una terrificante malizia. –"Sarà ciò che farò con te, Ikki di Phoenix! Ucciderò la fenice che in te, impedendole di risorgere, facendole conoscere per la prima volta il terrore... allo stato puro!"

Quell’ultima frase fece raggelare il sangue a Phoenix, per quanto il Cavaliere non lo diede a vedere, proprio mentre Deimos scattava avanti, brandendo l’infuocata spada che suo Padre gli aveva donato. Rapidi fendenti, che portavano seco vampe di fuoco, percorsero l’aria, satura di tensione, mentre Phoenix cercava di evitarli, lanciandosi in terra e rotolando sul pavimento, scagliando decine di Piume Infuocate contro Deimos, che non ebbe problema alcuno a colpirle con la propria lama, prima di piantarla in terra, e lasciar partire un violento piano energetico, che travolse Phoenix, spingendolo contro un muro. Immediatamente Deimos scagliò con forza la Spada Infuocata contro di lui, che si piantò nel braccio sinistro del Cavaliere, trapassando la divina protezione.

"Aargh!!!" –Gridò Phoenix, mentre l’incandescente lama dilaniava le sue carni.

"Muori!!!" –Esclamò Deimos, lanciandosi contro di lui, prima che una voce lo fermasse.

"Aspetta!" –Affermò una donna, comparendo sull’ingresso della Dodicesima Casa. –"Lascia a me l’onore di uccidere quest’uomo!"