CAPITOLO DICIANNOVESIMO: IL CAVALIERE DELLE STELLE.

Micene aveva perso tutti. E di questo era terribilmente affranto e preoccupato. Aveva ricevuto l’ordine di guidare i Cavalieri di Athena in Egitto direttamente dal Grande Sacerdote, lo stesso uomo che lo aveva scelto come suo successore, avendo fiducia in lui e nelle sue capacità.

"Micene del Sagittario!" –Gli aveva detto il Sacerdote. –"Tu che hai sempre dimostrato saggezza e lealtà nei confronti della Dea, prenderai il mio posto come Grande Sacerdote di Grecia! Il tuo coraggio e la tua abnegazione alla causa saranno sentimenti capaci di attirarti il consenso di tutti i Cavalieri del Grande Tempio, che in te vedranno, come già vedono tutt’oggi, un eroe, un esempio da imitare!"

Bell’esempio che sono stato! Mormorò Micene, colpevolizzandosi. Incapace di mantenere unito uno sparuto gruppo di sei Cavalieri! Incapace di oppormi ad una tempesta di sabbia, elaborando insieme agli altri una strategia comune! Ho fallito! Si disse, accasciandosi su una duna sabbiosa sotto il caldo sole d’Egitto, e iniziando a battere i pugni a terra. Ho fallito, Dea Athena! Chiedo perdono! A te e al Grande Sacerdote, le cui speranze ho disilluso! Non merito di succedergli sul trono di Grecia! Non merito di diventare il nuovo Oracolo, io che non sono stato in grado di condurre avanti il gruppo che mi è stato affidato! Non merito niente!

"Ti arrendi già?" –Lo richiamò una voce, stupendo il Cavaliere del Sagittario. –"Non è da te, Micene!"

Il ragazzo si voltò verso la propria destra e trovò il volto sorridente di Galan fissarlo con sincera preoccupazione, ma anche con una punta di rimprovero per la facile arrendevolezza in cui il senso di colpa lo aveva fatto precipitare.

"Non è da te, Micene, arrendersi alla prima difficoltà!" –Sorrise Galan. –"Hai già dimenticato gli insegnamenti del nostro maestro? Sono passati sei anni, non una vita intera!"

Micene lasciò vagare la mente indietro, ricordando il duro addestramento a cui era stato sottoposto dal suo Maestro. Ore e ore di continui sforzi fisici alternati a lezioni di storia, anatomia, lingue e a profonde meditazioni, capaci di stimolare il vero io pulsante dentro ognuno di noi.

"Non voglio che tu diventi un Cavaliere tutto muscoli ma privo di fede e di cervello, Micene!" –Amava ripetere il suo Maestro.

E Micene annuiva con il capo, arruffandosi i vispi capelli castani ogni volta in cui perdeva la concentrazione. Amava addestrarsi per diventare Cavaliere, e servire la giustizia, come suo padre aveva servito Athena prima di lui. Ma detestava, come tutti i ragazzi, le lezioni e le ore di meditazione, preferendo correre tra le aspri vallate del retroterra ateniese, spaccare la roccia a mani nude ed eseguire perfettamente gli esercizi fisici a cui il Maestro lo sottoponeva. Meditare lo faceva sbadigliare, e spesso addormentare, ritenendola un’attività superflua.

"Non fermerò un nemico con una preghiera!" –Brontolò un giorno Micene.

"No, ma lo fermerai con il tuo cosmo!" –Replicò il Maestro.

E nel dir questo sollevò il braccio destro, aprendo il palmo della mano verso il ragazzo. Fu un attimo, ma Micene si ritrovò a gambe all’aria, sbattuto contro la parete rocciosa retrostante, incastrato nella roccia sagomata dal suo corpo a causa dello schianto.

"Dimmi… adesso…" –Ironizzò il Maestro. –"Sono bastati i tuoi muscoli per fermare il mio attacco?"

Micene si rialzò dolorante, tastandosi la schiena indolenzita. Doveva avere un paio di vertebre rotte. E il suo senso di sicurezza lo aveva abbandonato, schiantandosi con fragore contro la roccia della realtà.

"Ma voi avete più esperienza di me! Io non ho ancora il vostro potere, Maestro!"

"E non lo avrai se non ti applichi coscienziosamente, Micene!" –Sorrise il Maestro. –"La forza, l’energia sfolgorante del Cosmo, che è la base del potere di un Cavaliere non si ottiene soltanto con l’esperienza! Quella serve per affinare le nostre tecniche, per imparare dai nostri errori, per scoprire nuovi insegnamenti! Ma il cuore della nostra energia risiede dentro di noi! Dentro di te!"

"Dentro di me?!" –Domandò Micene, con occhi sgranati.

"Precisamente! Se non saprai guardare dentro di te, indeciso sul tuo futuro e titubante sulle tue capacità, non svilupperai mai il Cosmo sopito che ti porti dentro! Ma se invece capirai cosa vuoi da te stesso, cosa c’è nel tuo futuro, negli ideali per cui vuoi combattere, allora saprai trovare la forza per lottare ed impegnarti per essi! Poco importa quanto sarà difficile, poco importa se sarai da solo a lottare per tutto quello che ritieni sacro! Ciò che importa è la dedizione che mostrerai, la capacità di rialzarti ogni volta in cui inciamperai per strada!" –Gli spiegò il Maestro, e quelle parole risuonavano ancora nella mente di Micene.

"Ciò che rende gli uomini grandi, e unici, è la loro capacità di sopportare la vita, pur crudele e violenta che sia! Essa tenterà di abbatterti, di stingerti tra le sue fauci pericolose, ma tu dovrai opporti ad essa, ai pericoli e alle sfide che ti troverai di fronte, sollevandoti sempre e comunque, impavido eroe con lo sguardo proiettato verso il futuro! Ma solo se saprai stringere i denti e guardare dentro di te, resistendo alle intemperie del mondo, allora riuscirai ad andare avanti!" –Concluse il Maestro. –"Ricordalo Micene! La vita ci deluderà continuamente, ma i veri uomini sapranno resistere alle difficoltà e si rialzeranno ogni volta più determinati prima, diretti verso la loro meta finale!"

Micene si rialzò, mostrando al sole i luminosi riflessi della sua Armatura dorata, e tirò uno sguardo avanti a sé, in quell’immensa distesa di sabbia, ancora percorsa da un vento energetico. Per un momento gli sembrò di vedere un occhio fissarlo da lontano, un occhio in cima ad una Piramide Nera.

Ringraziò Galan, venuto in suo soccorso. Come sempre nei momenti di difficoltà! E ringraziò il Maestro, chiedendosi come stesse. Erano anni che non lo vedeva, rintanato nei suoi studi nella sua isola felice. Non sapeva come si chiamasse, avendolo sempre chiamato semplicemente il Maestro, e non conosceva neppure la sua reale età, ma ipotizzava avesse sui venticinque anni. In quel momento, sotto il caldo sole dell’Africa, ciò per un momento gli apparve inusuale. Ma per tutti gli anni dell’addestramento, e quelli successivi in cui si erano rivisti, Micene non si era mai chiesto niente di più, né aveva osato chiedergli niente di più. Perché, e di questo il Cavaliere di Sagitter, era cosciente, il suo Maestro lo intimoriva ancora. Con il suo sguardo enigmatico ma profondamente indagatore, con il suo viso maschile ma al tempo stesso etereo, con il suo fascino misterioso di uomo senza età, colui che aveva addestrato il ragazzo destinato a divenire il più valente Cavaliere di Athena era un’icona ancora da svelare. Un arcano che il tempo non aveva sfiorato.

Ricordare il suo Maestro, la sua determinazione e il tentativo di trasmetterla a lui, lo fece sentire subito molto meglio. Micene strinse i pugni, ricordandosi la sua missione. Ancora non del tutto fallita. Non permetterò che essa fallisca! Troverò i miei compagni e sveleremo l’enigma di questa terra sabbiosa! Si disse, accendendo i dorati bagliori del suo cosmo e lanciandosi avanti.

Volò sulla distesa sabbiosa per parecchi chilometri, sollevando immense distese di rena al suo passaggio, continuando a pensare a suo fratello, Ioria, il cui cosmo sentiva impegnato in combattimento, più a ovest di dove si trovava lui. Ripensò a Galan, alle ore trascorse insieme ad allenarsi, e al suo fallimento finale: Galan non era riuscito a risvegliare il cosmo dentro di sé. Ma egli ce l’aveva fatta, e aveva ottenuto l’Armatura del Sagittario, e adesso doveva dimostrare di essere degno e combattere anche per lui.

Un raggio energetico spezzò l’aria, schiantandosi a lato del Cavaliere del Sagittario ed interrompendo la sua corsa. Pochi istanti dopo decine e decine di Guerrieri del Sole Nero, dalle vesti verdi e dorate, identiche a quelle dei soldati che avevano attaccato il Grande Tempio, apparvero tra le dune, brandendo le loro Spade del Sole. Micene li squadrò e ne contò ventiquattro a colpo d’occhio, percependo il loro cosmo oscuro. Debole rispetto al proprio, neanche alla pari di un Cavaliere d’Argento. Ma non era quello che lo preoccupava, bensì le armi che brandivano, che già aveva visto all’opera ad Atene. Armi capaci di creare potenti raggi calorifici di altissime temperature, deleterie per il corpo umano.

Ma io possiedo la Dorata corazza del Sagittario, ed essa mi proteggerà! Rifletté Micene, lanciandosi nella mischia, senza far attendere troppo i propri avventori, che sembravano non avere la benché minima intenzione di dialogare. Solo di ucciderlo.

Rapidi raggi di energia infuocata si abbatterono sul Cavaliere d’Oro, il quale dovette muoversi continuamente per evitarli. Zigzagò tra i Guerrieri egiziani, colpendoli con fasci di luce e con pugni e calci, aiutandosi con le ali della sua Armatura, che gli permettevano di compiere acrobazie aeree ed evitare di essere colpito.

Dopo che ne ebbe sgominati una dozzina, i rimanenti si unirono tra di loro, concentrando i raggi di energia in un unico assalto. Ma Micene fu più rapido di loro, schivando l’ardente massa cosmica e caricando il pugno destro del suo attacco fulminante, lo stesso che aveva insegnato a Ioria, e che il Cavaliere del Leone aveva recepito, a modo suo.

"Per il Sacro Sagitter!" –Gridò Micene, portando il pugno destro avanti.

Violenti fasci di luce, simili a piccole comete, sferzarono l’aria, dirigendosi verso i Guerrieri del Sole Nero, lacerando le vesti egiziane e abbattendoli uno ad uno. Ne rimasero soltanto due e si lanciarono contro di lui, ma egli seppe evitarli entrambi, balzando in alto ed afferrando le loro teste, facendole sbattere insieme e ricadere al suolo svenuti.

Micene tirò un sospiro di sollievo, guardandosi attorno, nella sabbiosa piana colma di cadaveri, prima che nuovi schiamazzi lo distraessero. Dalla sabbia attorno a sé stavano sorgendo decine e decine di Guerrieri del Sole Nero, forse anche centinaia, e tutti avanzavano minacciosamente verso di lui.

"Non può essere!" –Mormorò Micene, sgranando gli occhi incredulo. Concentrò il proprio cosmo sul pugno destro e scattò nuovamente avanti, sferzando l’aria con le sue comete di incandescente energia.

Dieci guerrieri caddero a terra uccisi, ma altri ne seguirono, scavalcando senza compassione alcuna i cadaveri arsi dei loro compagni. Alcuni si lanciarono avanti, brandendo le Spade del Sole, mentre altri rimasero indietro, puntando le armi avanti e scagliando violenti raggi di energia ustionante contro il Cavaliere d’Oro, il quale, per quanto veloce ed abile fosse, fu sopraffatto dalla elevata superiorità numerica e raggiunto da qualche raggio energetico.

"Maledizione!" –Brontolò Micene, venendo colpito ad un fianco da un fascio di energia prodotta dalle Spade del Sole. Tastò la propria corazza e la trovò calda, molto calda, ma fortunatamente l’invalicabile protezione offerta dell’Armatura d’Oro non era stata superata.

Sono troppi per essere affrontati apertamente! Realizzò Micene, continuando ad evitare gli assalti dei Guerrieri. Devo colpirli con il mio attacco personale! Ed espanse il suo cosmo dorato fino a creare centinaia di dardi luminosi che fluttuavano attorno a lui.

"Infinity Break!" –Gridò, scagliando le frecce d’oro verso i Guerrieri del Sole Nero e trafiggendoli inesorabilmente.

"Non indietreggiate!" –Urlavano i Guerrieri, continuando ad avanzare, incuranti delle frecce di luce che li trapassavano.

Alcuni caddero al suolo con un colpo solo, altri tentarono di proseguire comunque, ma il loro corpo traforato grondava sangue oscuro ed impedì loro di fare più di cinque passi, facendoli crollare esanimi. Un gruppetto di Guerrieri del Sole Nero si riunì, concentrando le forze delle loro Spade del Sole e scagliando un violento assalto energetico che spazzò via le frecce dorate dell’Infinity Break, lasciando nuovamente Micene di fronte ai suoi nemici, poco più che una ventina.

Mentre Micene stava per lanciarsi all’assalto, per anticipare i Guerrieri sul tempo, un fischio echeggiò nell’aria. Un suono che sorprese persino le armate egizie, che iniziarono a guardarsi intorno spaesate. In un attimo la metà esterna di loro fu trinciata in due da un violento raggio di energia cosmica, provocando scompiglio negli altri Guerrieri, che presero a disperdersi nelle dune attorno, sorpresi e terrorizzati da un tale violento e repentino attacco che non si aspettavano.

"Chi altri?" –Domandarono alcuni Guerrieri. .

"Onuris ci aveva avvertito che soltanto sei Cavalieri di Athena erano giunti in Egitto! E dovrebbero essere impegnati in battaglia dagli altri Guerrieri del Sole Nero!" –Brontolò un altro, prima di voltarsi verso il centro dello spiazzo, a pochi metri da Micene, dove una giovane figura, ricoperta da un’aura lucente, apparve poco dopo.

Era un ragazzo, di tredici anni, non di più, magro e di media altezza, con spettinati capelli biondi, chiari come il sole. Aveva un viso sorridente e paffuto, con lievi lentiggini sotto gli occhi, marroni come due nocciole. Indossava un’Armatura brillante, di un materiale apparentemente sconosciuto, una probabile lega, pensarono Micene e i Guerrieri del Sole Nero, tra oro e argento, che copriva buona parte del suo corpo. La forma dell’Armatura era aerodinamica e sembrava non rappresentare alcuna creatura leggendaria o mitologica. In mano stringeva un lungo bastone dorato, in cima al quale una gemma luminosa permetteva di identificarlo come uno scettro.

"Ma… è un bambino!!!" –Gridò un soldato egizio.

"E non avrà neanche quindici anni!" –Gli fece eco un altro. –"Deve essere uno dei nuovi Cavalieri d’Oro giunto a portare aiuto ai suoi compagni!"

"Giunto alla fine della sua breve prima battaglia! Uah ah ah!" –Sghignazzarono gli altri, avventandosi sul ragazzo da ogni lato, circondandolo, senza dargli neppure il tempo di parlare.

Micene fece per muoversi, preoccupato per il misterioso Cavaliere appena apparso, ma questi gli strizzò un occhio sorridendo, intimandogli di non preoccuparsi. Con un movimento brusco e deciso sbatté lo Scettro dorato contro alcuni Guerrieri, scagliandoli lontano, quindi roteò su se stesso per fronteggiarne altri, trapassandoli con il proprio Scettro, mentre dalla cima dell’arma sgorgavano lucenti raggi di energia cosmica, potenti e veloci come le frecce dorate del Sagittario.

"Dietro di te!" –Gli urlò Micene, balzando avanti e caricando il pugno destro del suo potere. In un attimo spazzò via tre Guerrieri che puntavano alle spalle del ragazzo.

"Scettro d’Oro!" –Esclamò il giovane dai capelli biondo cenere, sollevando in alto il brillante scettro. –"Illumina la via!" –Ed un’immensa esplosione di luce abbagliò i presenti, anticipando l’arrivo di un’onda di energia cosmica che spazzò via tutti i Guerrieri egizi, disintegrando le loro vesti e i loro corpi, lasciando soltanto carcasse sbriciolate mescolate alla sabbia.

"Incredibile!" –Mormorò Micene. –"Per un momento ho creduto che sarei stato spazzato via!"

"Non dovevi preoccuparti!" –Gli sorrise il ragazzo. –"Lo Scettro d’Oro non ti avrebbe mai ferito senza il consenso del suo Portatore!"

"Lo Scettro d’Oro?!" –Rifletté Micene, prima di chiedere al ragazzo chi fosse.

"Sono Jonathan di Dinasty, Cavaliere delle Stelle, e custodisco lo Scettro d’Oro, Sacro Talismano del Mondo Antico!" –Si presentò il ragazzo, circondato da un’aura di splendida lucentezza.

"Il talismano.. ma certo!" –Esclamò Micene. –"Il mio Maestro me ne parlò anni addietro! I Talismani del Mondo Antico! Armi in grado di produrre una devastante energia cosmica, ottenuta dalle forze naturali primordiali della creazione, quali la luce, il sole, il vento!"

"Vorrei rimanere a fare conversazione con te, Micene di Sagitter, ma non ho tempo! Né tu lo hai da dedicare a me!" –Esclamò il ragazzo, con voce sinceramente preoccupata.

"Come conosci il mio nome?" –Domandò Micene.

"Non sono certamente qua per caso!" –Precisò questi. –"Ma sono stato inviato da qualcuno che ha bisogno del tuo aiuto!"

"Del mio aiuto?!" –Balbettò Micene, straniato.

"Questa guerra è sbagliata, Micene! È tutto sbagliato!" –Esclamò Jonathan, iniziando a raccontare a Micene di Seth e della Piramide Nera. –"Voi state facendo il suo gioco! Vi ha attirato in Egitto per sconfiggervi e per lasciare il Grande Tempio di Athena sguarnito! Una potente guarnigione di Guerrieri del Sole Nero sta già combattendo ad Atene, per occupare il Tempio della Dea Guerriera!"

"Ma è terribile!" –Esclamò il ragazzo. –"Il Sacerdote avrà bisogno di aiuto!"

"E tu glielo darai! Ma non ritornando al Grande Tempio! Altre imprese ti attendono, qua in Egitto!" –Lo frenò Jonathan, prima di riprendere il racconto. –"Seth ha approfittato dell’assenza di Amon Ra, il Dio supremo del Sole, per instaurare la propria dittatura! Ma se Ra fosse svegliato, dal sonno in cui si è rifugiato anni prima, egli potrebbe aiutarci ed affrontare Seth, e liberare la Terra dall’ombra nascente!"

"E cosa dovrei fare, io?" –Domandò Micene.

"Andare a Karnak, superare il Viale delle Sfingi, e risvegliare Ra!" –Spiegò Jonathan. –"Sei l’unico che può farlo, Cavaliere di Sagitter! L’unico con un cuore abbastanza ardente e puro da poter sconfiggere l’ombra che è calata su Karnak e riportare l’antico tempio alla luce del sole!"

"Io.. non lo so… non so se sono in grado… non capisco cosa devo fare…" –Balbettò Micene, ancora più confuso. –"È tutto così incerto! Tutto così vacuo! Devo crederti? Non so neppure chi sei! Chi ti ha mandato da me?"

"Se non vuoi credere alle mie parole, credi almeno in questo!" –Esclamò Jonathan, mostrando un anello che portava al dito.

Era un semplice anello dorato, su cui erano impresse antichi caratteri grafici in una lingua vagamente simile al celtico. Al centro, una runa rappresentante una A.

"Il simbolo del Maestro!" –Esclamò Micene, sgranando gli occhi, affascinato, incredulo e spaventato al tempo stesso.

"Non c’è più tempo per esitare, Micene! Seguimi, ti condurrò a Karnak e ti sosterrò in battaglia, fin quando mi sarà concesso, ma all’interno potrai entrare soltanto tu!" –Detto questo Jonathan iniziò a correre nel deserto sabbioso, puntando verso sud-est, scivolando sul terreno quasi fosse più leggero dell’aria. –"Merito delle nostre corazze! Resistenti e leggere al tempo stesso!" –Spiegò a Micene, che correva al suo fianco.

In un lampo raggiunsero il Viale delle Sfingi, l’accesso al Tempio di Karnak. Era un lungo viale fiancheggiato da sfingi criocefale, al termine del quale si ergeva l’alto portale di ventiquattro metri fatto erigere da Ramses II. Dietro di esso si estendeva il grande complesso templare di Karnak, sulla riva orientale del Nilo, poco distante da Luxor. Nella lingua egizia era noto come ipet resyt, o "harem meridionale", ed era la residenza del Dio del Sole Amon Ra, e degli Dei che avevano accettato di andarsene dal mondo quando egli vi si era rinchiuso dentro: Osiride, la sua sposa Iside, il figlio Horus ed altre Divinità minori.

Tutto intorno al complesso un alto muro perimetrale, assolutamente invalicabile, prima di tutto per la protezione fisica di tantissimi Guerrieri di Ra, le cui uniformi erano identiche a quelle dei Guerrieri del Sole Nero, dai colori verdi e dorate, ma si differenziavano per la presenza dell’Occhio, simbolo di Ra, sul copricapo, che ne faceva la guardia scelta a difesa del Tempio più spiritualmente potente di tutto l’Egitto. In secondo luogo per la resistenza di campi di energia difensivi, come quelli che difendevano il Grande Tempio di Athena, sorretti dalla Divina Volontà di Amon Ra, atti a proteggere il complesso templare e a nascondere ciò che avveniva al suo interno.

Nei sotterranei del Tempio di Karnak, Anhar, il Consigliere di Ra, aveva fatto rinchiudere Febo, accusandolo, davanti a Iside e agli alti officiali del Tempio di aver tentato di opporsi alla Divina Volontà di Amon, violando il Sacro Santuario e le leggi emanate dallo stesso Dio, di cui Anhar era la Bocca. Febo, ferito e indebolito dall’assalto energetico ricevuto da Anhar, era stato incatenato nei sotterranei di Karnak, fermando le sue braccia e le sue gambe con incandescenti catene formate da fulmini energetici, che stridevano con vigore sul suo corpo sfregiato, facendolo agonizzare continuamente.

Il ragazzo era come in trance, sconvolto per il rapido succedersi degli eventi e fortemente addolorato per non essere riuscito a raggiungere il Padre, oltre che per le ferite ricevute. Si lasciò andare, in balia di quel doloroso tormento, che metteva a dura prova la sua resistenza fisica, mentre la sua mente volava indietro, sulla scia di quelle aspre parole che Anhar gli aveva rivolto contro. Parole dure, che lo avevano fatto soffrire, più del colpo ricevuto. Parole che, in fondo al cuore, temeva fossero veritiere.

"Tu non sei la sua famiglia, figlio bastardo, ma l’illegittimo sbaglio di un adolescente attratto dal prosperoso seno di una sgualdrina di Delfi!" – Gli aveva detto Anhar, tagliente.

Era davvero così? Non poté che chiedersi il ragazzo, ansimando a fatica, intrappolato in quella prigione energetica, che stava logorando il suo cosmo. Aveva sempre saputo di non essere figlio perfetto degli Dei d’Egitto, ma l’ibrido prodotto dell’unione di due popoli che non si erano mai amati. Due popoli che non si erano mai compresi.

Secoli addietro, quando Ra ancora vagava nel mondo degli uomini, non essendo da essi ancora deluso, il Dio dell’Egitto raggiunse Delfi, la tranquilla località sul Monte Parnaso scelta da Zeus come "centro del mondo". Lì il Dio greco Apollo, Signore della Musica e delle Arti, delle Muse e del Sole, aveva fatto costruire un Santuario in suo onore, la divinità maggiore della città, a cui una moltitudine di credenti si recava continuamente in visita. Ra, spinto dalla curiosità di vedere chi fosse costui che si fregiava di tale titolo, di Signore del Sole, che egli riteneva appartenesse soltanto a lui, l’unico Creatore, si mescolò alla folla di adoratori, vestendosi come un pellegrino, di stracci e abiti logori. E fu impressionato nel vedere la ricchezza e la quantità di doni che gli abitanti di Delfi offrivano al Dio, per richiedere la sua protezione, il suo sostegno, la sua forza luminosa che potesse coprire la loro città, e le loro stesse vite, del calore del sole.

Una donna in particolare lo colpì, per le sue vesti di seta lucente, di uno sgargiante color porpora, con delicate rifiniture d’oro. Hannah, la Sacerdotessa del Culto di Apollo, incaricata di coordinare i doni e le offerte per il Dio e le richieste degli abitanti di rivolgersi ad Egli, per ottenerne protezione e benevolenza. Fedelissima di Apollo e devota al culto del Sole, Hannah aveva dedicato tutta la sua vita a questo, senza perdersi in altri affari, sentimentali o lavorativi. Febo Apollo era l’unico grande amore della sua vita. Questo finché non incontrò Amon Ra.

Bastò uno sguardo, ad entrambi, per accendere il desiderio dentro di loro. Una carezza sul volto di lei, e quel muro difensivo che Hannah aveva creato negli anni, quella maschera che le aveva permesso di cacciare le vanità della vita, l’attrazione verso gli uomini in primis, per dedicarsi solo al suo Dio, era caduta. Si amarono quella notte, sotto il cielo stellato di Delfi, e Hannah affidò la sua vita al Sole. In quel momento, distesa sul marmo del Tempio Sacro, mentre il Dio del Sole entrava dentro di lei, ella non sapeva più chi fosse, né a quale Dio fosse devota. Ad Apollo o a Ra. Ma non è importante, si disse, ricordando antichi insegnamenti, poiché tutti gli Dei sono un unico Dio, ed ella era devota soltanto ad uno: il Sole.

Dall’unione di Ra con questa donna mortale nacque un figlio, che Hannah chiamò Febo, in onore al Dio a cui aveva dedicato tutta la sua vita fino ad allora. Ma Apollo, irato per il tradimento della sua Celebrante, la colpì con la sua maledizione, facendola morire per il parto, e lasciando Febo da solo, a scontare ingiustamente le colpe della sua tragica discendenza. Iside, sposa di Osiride, il Dio egizio degli Inferi, pregò il marito di intercedere con il Sommo Ra, e di rimandare la discesa del piccolo, che colpe non aveva, all’Oltretomba. Ed Amon acconsentì, ospitando Febo nel suo Tempio di Karnak, lasciando che fosse Iside ad allattarlo e a prendersi cura di lui, proprio come una madre. Proprio come, Ra ne era certo, Hannah avrebbe fatto.

La presenza di Febo a Karnak fu da molti mal vista, considerandolo con disprezzo un sottoprodotto della bastarda cultura greca, che tanto male aveva causato all’Egitto. Ma Iside, e Ra in misura maggiore, chetarono le maligne voci, chiedendo che Febo fosse giudicato per il suo operato, per il suo ruolo nel mondo, non per la sua provenienza, ai cui occhi non appariva affatto ingiusta. Semplicemente diversa.

Abbiamo passato secoli ad odiarci, a guardarci con sospetto, a non comprenderci! Si era detto il Sommo Ra, osservando le lontane coste di Grecia dal suo Tempio di Karnak, poco prima di rinchiudervisi per l’eternità. Forse abbiamo sbagliato tutto? Aah, la vita, quale rimpianto! E nient’altro aggiunse, scomparendo all’interno del suo Santuario privato, affidando Febo alle cure di Iside e pregando entrambi di non uscire mai dall’isolamento che aveva loro imposto. Un isolamento, lo motivò così, resosi necessario dalla desolazione e dalle guerre che affliggono il presente.

"Non voglio vederti morire in guerra o per una qualche malattia che non riuscirò a curare!" –Aveva detto l’ultima volta a Febo, prima di baciarlo in fronte e rinchiudersi tra le quattro mura del suo Santuario.

Ma adesso, dopo così tanto tempo, Febo, imprigionato nelle segrete del complesso templare, lontano da quel Padre che sembrava non aver mai conosciuto, iniziò a dubitare di tutto quell’amore, di tutto quell’affetto, che gli pareva soltanto uno sbiadito ricordo perso nel tempo. In quello stesso tempo da cui erano usciti, rimanendo giovani ed immortali per sempre.

Quel tempo… è finito! Strinse i denti Febo, iniziando a bruciare il suo cosmo, scintillante come il sole. Devo… devo vivere dentro il tempo, o Karnak scomparirà! Ma le dilanianti folgori infuocate lo teneva stretto, avvincendosi ai suoi arti sempre di più, facendolo urlare dal dolore, mentre il fuoco oscuro penetrava dentro di sé. In un attimo l’immagine di sua madre gli apparve davanti agli occhi, di quella donna disposta a tutto, anche a subire la collera di un Dio, pur di non rinunciare all’amore di un uomo, e a quello di un figlio.

"Madreeee!!!" –Gridò, espandendo il proprio cosmo, iniziando a sovrastare le folgori demoniache che lo imprigionavano. La bomba di luce esplose in tutto il suo fragore, facendo crollare mura e parte delle segrete e liberando finalmente Febo. Quando emerse dalle macerie, tossiva e ansimava a fatica, ma cercò di rimettersi in piedi. Tese i sensi improvvisamente e gli parve di sentire qualcuno che lo stava osservando.