CAPITOLO TRENTOTTESIMO. RIUNITI.

Mentre Flegias faceva strage di menadi e di satiri, dopo aver sgozzato Dioniso, molti metri più a valle, nella Foresta di Artemide, la Dea della Caccia era a colloquio con uno dei sette Cavalieri di Atena giunti per primi sul Monte Sacro, Tisifone, la Sacerdotessa dell’Ofiuco.

Alcuni cacciatori di Artemide avevano trovato il suo corpo insanguinato, poco distante dal cadavere di Atteone, e l’avevano portata alla Caverna di Artemide, immaginando che la Dea volesse ucciderla con le sue mani, sgozzando la traditrice ed esternando così la sua frustrazione per la perdita dell’altra preda. La Sacerdotessa del Serpentario era molto stanca e debole, ferita al braccio dalla lama avvelenata di Atteone, e piena di graffi sul viso e crepe sulla corazza dorata del Cancro.

La Dea della Caccia sollevò di peso il viso della donna, afferrandola per i capelli, fissandola negli occhi, con sguardo serio e deciso, insultandola per aver invaso l’Olimpo ma complimentandosi per essere riuscita a sconfiggere Atteone, il migliore tra i suoi Cacciatori. Di tutta risposta Tisifone sputò in faccia alla Dea, cercando di liberarsi, graffiandola con i suoi artigli incandescenti, prima che un gruppo di Cacciatori la afferrasse con forza, imprigionandola dentro una rete.

"Come osi, bastarda?" –Tuonò Artemide, liberando il cosmo con il quale schiacciò Tisifone a terra.

E intanto si toccò il viso, per pulirsi dallo sputo di Tisifone, ancora incredula che una donna avesse potuto tanto. Un Cacciatore puntò una freccia contro il viso della Sacerdotessa, tendendolo l’arco, pronto per ucciderla. Ma stranamente Artemide lo bloccò, provando per la donna un sentimento diverso da quello che aveva provato per Castalia, il cui conformismo l’aveva disturbata parecchio.

"Tu non sei una donna!" –Commentò la Dea, avvicinandosi alla gabbia, mentre Tisifone si dimenava come una fiera all’interno. –"Sei un uomo!"

"Io sono un Cavaliere!" –Esclamò Tisifone, fissando la Dea negli occhi. –"E combatto per Atena!"

E nel dir questo fece esplodere il suo cosmo, distruggendo la rete in cui era prigioniera e lanciandosi contro i Cacciatori di Artemide, affondando i propri Artigli nel loro petto. Prima di riuscire a colpire l’ultimo guerriero, Tisifone fu violentemente spinta contro un albero, da un dardo incandescente che la raggiungeva in pieno petto, sfondando il pettorale dell’Armatura del Cancro e obbligandola a stringere i denti per il dolore.

"Ammiro il tuo coraggio, donna!" –Affermò Artemide, continuando a tendere l’Arco della Caccia, Divina Arma della sua Veste. –"Lotti come un uomo, non ti arrendi come un uomo, e soffri in silenzio, senza lamentarti!"

Tisifone non rispose, limitandosi a strappare il dardo dal suo petto, mentre il sangue usciva copioso dalla ferita, e a prepararsi a combattere nuovamente, per quanto le sue forze fossero minime.

"Vorrei che i miei Cacciatori fossero come te!" –Commentò la Dea, incoccando una nuova freccia.

Improvvisamente due vibrazioni nello spaziotempo la fecero voltare, giusto in tempo per trovarsi di fronte due sconosciuti guerrieri dalle vestigia scarlatte, armati di spade infuocate. Senza proferire parola, questi si avventarono su Artemide, nel tentativo di ucciderla, mentre un gruppo di Cacciatori si parava a sua difesa. Artemide, stordita dalla repentinità dell’attacco, e non comprendendo cosa stesse accadendo, vide cadere tutti i suoi Cacciatori, sgozzati come pecore, con incredibile ferocia, la stessa che lei aveva insegnato loro ad usare con gli invasori dell’Olimpo.

Ma questi non sono Cavalieri di Atena! Le loro vestigia scarlatte sono dissimili da quelle dei difensori Ateniesi! E non sono neppure Guerrieri del Nord! Chi sono allora? Si chiese Artemide, sollevando l’Arco per colpirli. Ma venne battuta sul tempo da uno dei guerrieri, che con un colpo secco di spada le tolse l’arco dalle mani, ferendo le sue dita, mentre l’altro balzava su di lei, pronto per affondare la spada nel cuore della donna. Ma non ci riuscì, venendo improvvisamente afferrato da liane e piante rampicanti che spuntarono dal terreno, immobilizzandolo.

"Che diavolo succede?" –Tuonò il guerriero dalle vestigia scarlatte.

Artemide approfittò di quel momento di distrazione per liberarsi dell’altro, spingendolo indietro, proprio mentre un Cavaliere dalla scintillante Armatura Celeste balzava di fronte ai due invasori.

"Gorgo dell’Eridano!" –Urlò il nuovo arrivato, chiudendo le braccia a sé e poi aprendole di scatto.

Un gigantesco mulinello energetico travolse i due guerrieri, scaraventandoli indietro di qualche metro, mentre Artemide riconosceva il Cavaliere che era giunto in suo aiuto, lo stesso che poche ore prima le aveva soffiato la preda: il Luogotenente dell’Olimpo, Phantom dell’Eridano Celeste.

I due guerrieri si rimisero subito in piedi, avventandosi su Artemide e Phantom, scagliando rabbiosi fendenti incandescenti contro di loro, che furono travolti dalla violenza dell’assalto e spinti contro gli alberi. Un colpo secco della spada infuocata di uno dei due sconosciuti si piantò nella corteccia di un pino, incendiandolo all’istante, mentre Phantom rotolava sul terreno, evitando l’affondo.

Artemide fu ferita a un braccio dalla lama infuocata dell’altro guerriero, e salvata inaspettatamente da Tisifone, la quale srotolò la propria frusta, afferrando il polso del guerriero prima che la sua spada calasse sulla Dea. Infuriato, l’uomo strattonò la frusta, tirando Tisifone a sé, e ferendola con un taglio secco all’addome, prima di gettarla con un calcio contro la Dea.

"Andiamocene! L’effetto sorpresa è svanito!" –Commentò uno dei due. E l’altro dovette dargli ragione, riconoscendo che c’erano altre due Divinità da uccidere assolutamente.

Quando i due scomparvero, un’espressione di sollievo comparve sul volto della Dea della Caccia, la quale, ansimante per la fatica e la paura, si era appoggiata a un albero, prima di correre ad aiutare i due Cavalieri, Tisifone e Phantom, che l’avevano spontaneamente soccorsa.

"Perché l’hai fatto?" –Chiese la Dea a Tisifone, sdraiata a terra sanguinante, piena di ferite gravi.

"Solidarietà femminile!" –Ironizzò la donna, stringendo i denti per il dolore lancinante che la stava facendo impazzire.

Artemide corse nella Caverna, recuperando in fretta delle erbe particolari che strusciò sulle ferite della Sacerdotessa, lenendo con esse il suo dolore. Quindi si rivolse a Phantom, domandandogli cosa lo aveva spinto a tornare nella Foresta, consapevole del fatto che avrebbe potuto essere ucciso.

"Non dai guerrieri sconosciuti, ma da me!" –Esclamò Artemide, sollevando di peso il giovane e sbattendolo contro un albero.

"Ero venuto per parlare con te, Dea della Caccia!" –Rispose Phantom, fissandola con i suoi occhi verdi. –"Sono un Cavaliere Celeste, e in me alberga il sacro senso dell’onore Olimpico, che mi permette, di fronte ad ogni situazione, di discernere tra il bene e il male, e di agire relativamente!"

"Fai attenzione!" –Gli disse Artemide, lasciandolo andare. –"Il tuo relativismo potrebbe portarti alla morte, un giorno o l’altro!"

Phantom si lasciò cadere a terra, debole e ansante, prima di domandare alla Dea della Caccia per quale motivo i figli di Ares avessero deciso di attaccarla. Ella rimase per un momento ammutolita, confessando di non sapere chi fossero i due sconosciuti Guerrieri, prima di ordinare ai due Cavalieri di alzarsi e seguirla alla Reggia di Zeus.

"Ci sono troppe cose che non vanno in questa guerra! Troppi elementi che mi convincono di essere vittima di un inganno!" –Commentò Artemide, incitando Tisifone e Phantom a seguirla.

Dopo aver travolto i Cavalieri Celesti al Cancello del Fulmine, ultimi difensori dell’Olimpica Reggia, Andromeda, Mur, Scorpio e Virgo erano corsi all’interno del giardino, giungendo rapidi al Tempio di Zeus. Un’enorme costruzione in stile greco, che ai Cavalieri richiamò la Tredicesima Casa del Grande Tempio, ma con un’estensione maggiore, almeno cinque volte tanto. Completamente circondato da un vasto giardino recintato, il Tempio di Zeus sorgeva proprio sulla cima dell’Olimpo, da dove si diceva che Zeus tenesse il mondo sotto controllo, ma le nuvole al momento presenti fecero dubitare i Cavalieri che il Dio dell’Olimpo fosse ancora capace di tanto.

Senza esitare, i quattro Cavalieri di Atena entrarono nel Tempio, infilando nel corridoio principale, guardandosi intorno per prudenza. Ma non trovarono niente, nessuna guardia preposta alla difesa, nessun guardiano nascosto, solamente sale vuote che si susseguivano ai lati del corridoio di marmo.

"Guardate!" –Esclamò infine Scorpio, indicando una sala sulla destra.

Andromeda e gli altri lo affiancarono immediatamente per osservare la macabra scena. Una decina di fanciulle giaceva a terra o tirate su tavoli di marmo, sgozzate e massacrate senza pietà. Una era persino stata decapitata, tanta era la violenza impressa al colpo che l’aveva uccisa.

"Che significa?" –Chiese Andromeda, nauseato dall’odore di sangue che invadeva l’intera stanza.

"Non ne ho idea!" –Commentò Scorpio, avvicinandosi ad alcune ragazze seminude, per osservarne i resti. –"Ma la strage si è compiuta di recente, massimo da trenta minuti!" –Esclamò, prima di ritornare con i compagni nel corridoio principale.

Un boato riscosse i quattro amici, mettendoli nuovamente in guardia, ma Virgo riconobbe il cosmo appena esploso, spiegando agli altri di non preoccuparsi. Corsero dietro al biondo Cavaliere della Vergine fino a giungere in un grande atrio, alla destra della quale si apriva un vasto giardino, mentre davanti a loro tre Cavalieri che ben conoscevano stavano per entrare in una vasta stanza.

"Fratellooo!!!" –Urlò Andromeda, riconoscendo Phoenix e correndo ad abbracciarlo.

Un altro pugno secco di Ioria del Leone fece crollare il grande portone che conduceva alla Sala del Trono, aprendo la via ai Cavalieri, finalmente ritrovatisi.

"Felice di rivedervi sani e salvi!" –Commentò Mur, sorridendo a Ioria, Castalia e a Phoenix.

"Sono felice anch’io di sapervi qua, Grande Mur!" –Esclamò Castalia, mentre le voci incalzanti di Scorpio e Ioria spingevano ad entrare nella Sala del Trono.

La grande stanza si presentò completamente vuota, come il resto della Reggia di Zeus, un immenso salone dalle ampie finestre, ornata da statue e affreschi, al termine della quale, in cima ad una scalinata di marmo chiaro, sorgeva il Trono di Zeus, con il simbolo del Fulmine. Castalia inorridì per un momento nel ricordare la violenza che aveva subito proprio in quella stanza da Zeus e da Flegias; il muro sulla parte sinistra era ancora distrutto, dopo che il suo corpo l’aveva sfondato.

"Non capisco… Dov’è Zeus?" –Domandò Scorpio, guardandosi intorno.

"C’è qualcosa di molto strano in tutto questo!" –Commentò Ioria, con i sensi tesi, per percepire la minima vibrazione.

Improvvisamente un vasto e fiammeggiante cosmo fece la sua comparsa all’interno della Sala del Trono, mentre una figura ricoperta da un’armatura scarlatta appariva in cima alla scalinata, proprio accanto al vuoto trono di Zeus. Castalia tremò riconoscendo il maligno volto del figlio di Ares torreggiare su di loro.

"Flegias!" –Esclamò, mentre gli altri sei Cavalieri si mettevano in posizione difensiva, uno al fianco dell’altro.

"Ih ih ih!" –Sibilò Flegias, accarezzando la spada infuocata che penzolava affissa alla sua cintura.

"Ecco il responsabile di questa guerra!" –Lo accusò la Sacerdotessa dell’Aquila, ritrovando un po’ della sua sicurezza. –"Morfeo aveva ragione a dubitare di te! Hai ucciso Ganimede, e hai mandato i Cavalieri Celesti a morire in una folle battaglia! Zeus ti ucciderà quando saprà la ferità!"

"Non credo proprio che qualcuno di voi vivrà abbastanza per poterglielo raccontare!" –Affermò sarcastico il figlio di Ares, bruciando il proprio cosmo scarlatto.

"Sarò io ad informare il Sommo!" –Tuonò una voce decisa, proveniente dall’ingresso della Sala del Trono.

I sette Cavalieri di Atena si voltarono, trovandosi di fronte un uomo dalla celeste Armatura Divina, con due grandi ali fissate alla sua schiena, ed uno sguardo fiero e maestoso. Ermes, il Messaggero degli Dei. Al suo fianco Dohko della Libra, con Sirio e Cristal.

"Ermesss!" –Strinse i denti Flegias.

"Sirio! Cristal!" –Esclamarono Andromeda e Phoenix, felici di ricongiungersi ai propri compagni.

"Ci siamo ritrovati, infine!" –Sorrise Cristal, correndo assieme a Sirio dagli amici da cui erano stati separati per lunghi mesi.

"Adesso manca solo Pegasus!" –Commentò Sirio, chiedendosi dove fosse il suo più caro amico.

Improvvisamente un fascio energetico sferzò l’aria della Sala del Trono, colpendo in pieno il Messaggero degli Dei e scaraventandolo contro la parete retrostante, che crollò subito su di lui.

"Bastardo!" –Urlò Cristal, volgendo i pugni contro Flegias, che aveva ferito Ermes. –"Polvere di Diamanti!" –Tuonò, lanciando contro di lui il proprio attacco glaciante, subito affiancato da Sirio, con il suo Colpo Segreto del Drago Nascente.

"Ah ah ah"! –Flegias scoppiò in una grassa risata, lasciando che i colpi dei due Cavalieri si infrangessero contro una barriera cosmica di fronte a lui, scura, dai mortali riflessi scarlatti. –"Lo Scudo di Ares mi protegge!" –E rimandò indietro i due attacchi, travolgendo i Cavalieri di Bronzo.

"Adesso para questo!" –Urlò Ioria, caricando il pugno destro di energia, subito imitato da Scorpio.

"Fermatevi, Cavalieri d’Oro!" –Li bloccò inaspettatamente Virgo. –"Quest’uomo deve dirci ancora molte cose! Darci molte spiegazioni!"

"E ce le darà adesso!" –Affermò Mur, con voce risoluta.

Improvvisamente Flegias si sentì come bloccato, incapace di muovere un solo dito, mentre un’invisibile forza lo schiacciò a terra poco dopo.

"Maledetti!" –Ringhiò, mentre Ioria e Scorpio correvano sulla scalinata di marmo per raggiungerlo.

Ma i poteri congiunti di Virgo e Mur non furono sufficienti per trattenere la furia del demoniaco figlio di Ares, che fece esplodere il proprio cosmo fiammeggiante, scaraventando a terra Ioria e Scorpio e obbligando gli altri a difendersi per non essere travolti. Un attimo dopo Flegias era di nuovo in piedi, troneggiante dall’alto della scalinata semidistrutta. Un raggio energetico però lo sorprese, spingendolo indietro, fino a farlo schiantare contro il muro retrostante.

"Ermesss!" –Ringhiò Flegias, osservando il Messaggero degli Dei puntare il Caduceo contro di lui.

"Uccidilo Ermes! Uccidilo adesso!" –Tuonò improvvisamente una voce di donna, entrando nella Sala del Trono.

Tutti i presenti si voltarono per ammirare lo splendore della Dea della Caccia, ricoperta dalla sua Veste Divina. Al suo fianco Tisifone, ricoperta dalla danneggiata Armatura del Cancro, e Phantom dell’Eridano Celeste, che si sorreggevano a vicenda, entrambi deboli e feriti.

"Artemide…" –Esclamò Ermes, con sorpresa.

"Messaggero degli Dei! Mai avrei creduto di dover permettere a degli uomini mortali, Cavalieri di colei che ha ucciso il mio adorato fratello, di giungere fin qua, alla Reggia di Zeus! E mai avrei potuto sopportare un tradimento!" –Aggiunse, tirando un’occhiata allusiva al Luogotenente dell’Olimpo. –"Ma è grazie a loro se sono qua per parlartene A loro che hanno combattuto per me, nonostante fossero feriti, e mi hanno protetta dai figli di Ares!"

"I figli di Ares?!" –Chiese Ermes interessato, abbassando il Caduceo e liberando Flegias dalla morsa.

"Hanno sterminato i miei Cacciatori e hanno tentato di uccidere anche me, sgozzandomi come un agnello sacrificale, e ci sarebbero riusciti se non fosse per il valore dimostrato dal Luogotenente dell’Olimpo e dalla Sacerdotessa di Atena!" –Chiarì Artemide, prima di volgere lo sguardo carico di disprezzo verso Flegias. –"Avete distrutto l’Olimpo, maledetti, e adesso sono qua per prendere la tua testa, Flagello di Dei! Per vendicare le Divinità cadute a causa tua e dei tuoi fratelli!"

"Quanti altri?" – Domandò Ermes, con un filo di voce.

"Dioniso sgozzato... e tutte le menadi e i satiri massacrati, affogati nel lago che si è tinto adesso di sangue." –Ermes chinò il capo, socchiudendo gli occhi alla notizia di quel massacro. –"Anche Pan, Estia e Demetra sono caduti… ed Ebe con loro! Ho trovato il suo corpo mutilato in una sala qua dietro!" –Disse Artemide, prima di tendere l’arco. –"È ora che qualcuno paghi per tutto questo, per aver distrutto millenni di storia e leggenda solo per assecondare i propri folli progetti di dominio!"

"Phobos e Deimos hanno commesso un grave errore a lasciarti in vita, Dea delle pecore!" –La schernì Flegias, brandendo l’infuocata spada. –"Io ti avrei sgozzato con un colpo solo, come ho fatto con la giovane Ebe!" –E nel dir questo balzò in aria, mentre il suo oscuro cosmo ardeva intorno a lui.

Artemide liberò la freccia incandescente ma essa, con somma sorpresa della Dea e degli altri Cavalieri presenti, fu deviata da Flegias con un colpo secco di spada; quindi il Flagello degli Uomini, e di Dei, atterrò proprio di fronte a lei, superando i Cavalieri d’Oro e di Bronzo. Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix si avventarono subito su di lui, ma egli se ne liberò scaraventandoli via, travolti da una violenta tempesta energetica, la cui forza stupì gli stessi Ermes e Artemide, percependo in lui una potenza quasi divina.

"Muori, qua, adesso!!!" –Urlò Flegias, scagliando la spada infuocata contro Artemide, la quale, stupefatta e incredula, quasi non riuscì a muoversi.

Una barriera dorata si interpose tra la lama e la Dea, salvandola da una probabile morte, mentre la spada infuocata ricadeva rumorosamente a terra. Flegias si voltò di scatto verso sinistra, fulminando Virgo con il suo sguardo infuocato e scaraventandolo indietro, soltanto fissandolo.

"Per il Sacro Leo!!!" –Tuonò Ioria, avventandosi su di lui.

"Antares!!!" –Urlò Scorpio, lanciando la sua cometa infuocata.

"Apocalisse Divina!!!" –Rispose Flegias, liberando l’immenso potenziale della sua violenta tempesta energetica.

Il contraccolpo spinse i Cavalieri d’Oro indietro, facendo crollare buona parte del soffitto della Sala del Trono, e obbligando gli altri a coprirsi per non essere feriti. Quando riuscirono a riaprire gli occhi, liberandosi dai detriti e dalla polvere, notarono che Flegias era nuovamente in cima alla scalinata, accanto al trono, stringendo la Spada infuocata nelle sue salde mani, con un ghigno sul viso che non faceva presagire niente di buono.

"È questione di poco, ormai!" –Commentò infine il figlio di Ares. –"Pochi attimi ancora e la vittoria del mio Signore sarà completa!"

"Di cosa stai parlando?" –Incalzò Ermes, chiedendo dove fosse Zeus. –"E Era?" –E in quel momento si udì un fischio tremendo, che costrinse i Cavalieri a coprirsi gli orecchi, tanto pungente e fastidioso era tale suono.

"Cosa diavolo succede?!" –Domandò Cristal.

"Provate ad arrivare adesso dalla vostra Dea!" –Commentò sarcastico Flegias, scagliando la spada infuocata contro la parete laterale alla sua sinistra.

L’enorme muro crollò poco dopo, rivelando ai Cavalieri una strana visione. Là, dove avrebbe dovuto sorgere il grande giardino di Zeus, dove iniziava il lungo campo che conduceva alla Bianca Torre dell’Olimpo, c’era invece una strana nebbia, una cortina azzurrognola che impediva ai Cavalieri di vedere al di là di essa. Avvicinandosi, i Cavalieri videro che non era nebbia, ma una vera e propria barriera, un’immensa cupola che li separava da ciò che c’era all’interno.

"Cosa diavolo è questa barriera?" – Domandò Scorpio, accostandosi ad essa.

"È una cupola di energia!" –Commentò Virgo. –"Che ci impedisce di proseguire!"

"Ma Atena è al di là di essa! Dobbiamo superarla!" –Tuonò Ioria, scagliando il suo colpo sacro contro la barriera, ma venendo subito respinto.

"Ah ah ah!" –La malvagia risata di Flegias risuonò nell’aere, e tutti poterono vedere il volto del demoniaco figlio di Ares accendersi di un macabro sorriso di vittoria. –"Troppo tardi! Nessuno di voi potrà arrivare alla Torre Bianca, e il mio Signore prenderà la vita di Atena, come ha preso quella degli altri Dei corrotti!"

"Sei un maledetto bastardo!" –Esclamò Ioria, concentrando il cosmo sul pugno e facendo per avventarsi contro di lui. Ma Phoenix lo fermò, spiegando che si sarebbero occupati loro di Flegias.

"Tu aiuta Virgo e Mur a capire come superare quella barriera! Dobbiamo raggiungere Atena quanto prima!" –Esclamò, prima di unirsi a Andromeda, Cristal e Sirio e bruciare i loro cosmi.

"Poveri sciocchi!" –Li derise Flegias, espandendo il proprio cosmo malvagio. –"Avreste fatto bene a lasciarvi uccidere dai Ciclopi Celesti, così la vostra morte sarebbe stata meno violenta! Ah ah ah!"

I Cavalieri di Bronzo non risposero, combinando i loro cosmi in un unico grande attacco.

"Colpo Segreto del Drago Nascente!!!" –Esclamò Sirio.

"Aurora del Nord! Colpisci!" –Urlò Cristal.

"Ali della Fenice!!!" –Tuonò Phoenix.

"Onde del Tuono, via!" –Concluse Andromeda, liberando la propria saettante catena.

I quattro colpi uniti insieme viaggiarono alla velocità della luce contro Flegias, ma non lo raggiunsero, schiantandosi contro la solida barriera che lo proteggeva.

"Lo Scudo di Ares!" –Commentò soddisfatto Flegias, osservando l’energia del colpo congiunto dei quattro amici venir assorbita dal mistico scudo ed essere prontamente espulsa con fragore, travolgendo i Cavalieri di Bronzo.

"Incredibile!" –Disse Sirio, rialzandosi. –"Ha respinto il nostro attacco, aumentandone la potenza!"

"Ah ah ah!" –Rise ancora Flegias, osservando i quattro Cavalieri di Bronzo rialzarsi. Ma il figlio di Ares dovette muovere la spada infuocata con rapidità, per evitare di essere colpito da un incandescente dardo diretto verso il suo collo.

"Non lascerò ai Cavalieri di Atena il piacere di tagliarti la testa, piccolo demonio!" –Esclamò Artemide, brandendo il suo arco scintillante. –"I miei Cacciatori gridano vendetta!"

"E pure i Cavalieri Celesti e le Divinità cadute a causa tua, Flegias!" –La affiancò Ermes, puntando il Caduceo. Anche Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix fiancheggiarono gli Dei, con il cosmo ardente.

"Attaccatemi tutti insieme, allora!" –Esclamò Flegias, urlando come un pazzo. –"Coraggio, venite avanti! Vi spazzerò via tutti quanti, relitti di un tempo passato che sprofonderò io stesso nel baratro della dimenticanza!" –E nel dir questo espanse al massimo il proprio cosmo rosso fuoco.

I quattro amici, insieme ad Ermes e ad Artemide, scagliarono il loro attacco congiunto, al quale Flegias rispose scatenando l’immensa furia devastante dell’Apocalisse Divina. L’energia prodotta da quello scontro fu immensa, ed esplose come una bomba di luce, distruggendo l’intera Reggia di Zeus, travolgendo persino i Cavalieri d’Oro, che erano usciti per studiare la barriera energetica, contro la quale furono sbattuti con forza, insieme ai malridotti Castalia, Phantom e Tisifone.

Quando la tempesta si placò, i cinque Cavalieri dorati si rimisero in piedi, cercando tra le macerie della Reggia i corpi dei quattro Cavalieri di Bronzo, aiutati anche dalle Sacerdotesse. Li trovarono poco dopo, fortunatamente ancora vivi, per quanto deboli e pieni di graffi e ferite. Anche Ermes e Artemide spuntarono tra i detriti del Tempio, liberando le loro scintillanti Armature Divine dalla polvere di tristezza che si era accumulata su di esse. Con malinconia, Ermes si guardò intorno, alla ricerca del dorato bagliore dell’Olimpo, quello di cui era sempre stato magnificamente innamorato. Ma non trovò niente, soltanto un ammasso di macerie, proprio come lui si sentiva in quel momento.

"Dov’è quel dannato?" –Domandò Phoenix, cercando tracce di Flegias. Ma non le trovò, e credette, come gli altri, che fosse stato spazzato via dall’esplosione. Ma in fondo al cuore non ne fu troppo convinto neppure lui.

Pegasus nel frattempo aveva finalmente trovato la segreta via che dalle viscere della montagna conduceva alla sommità del Monte Sacro, traforando all’interno centinaia di metri di roccia pura, permettendogli di arrivare sulla cima dell’Olimpo senza dover affrontare i Cavalieri Celesti posti di guardia ad esso. Elena e Deucalione, i due pastori che lo avevano salvato, genitori del Luogotenente dell’Olimpo, Phantom dell’Eridano Celeste, lo avevano messo al corrente di quell’altra via, nonostante neppure loro conoscessero come arrivarci, sapendo solamente della sua esistenza.

Con fatica, e usando soltanto il proprio corpo, Pegasus percorse l’intero sentiero nascosto, senza fare uso dei suoi poteri, in quel frangente completamente inutili, in quanto la via si presentava come uno stretto corridoio scavato nella roccia, fatto di spunzoni rocciosi e ripiani scavati nella montagna, la cui ampiezza non superava il metro nei rari punti in cui lo spazio si faceva abbondante. Gli ci vollero un paio d’ore per scalare la montagna, ritrovandosi infine, stanco e ansimante, all’interno di una grotta. Finalmente libero di muoversi, Pegasus si buttò a terra per qualche minuto, assaporando fino in fondo la ritrovata aria fresca e la luce che tanto gli erano mancate nello stretto tunnel.

Non ne dubito che solamente in pochi ne siano a conoscenza! Commentò, rimettendosi in piedi. Chi mai potrebbe passarci attraverso?! Persino io, per quanto agile arrampicatore, con queste ingombranti ali ho avuto notevoli problemi di coordinamento! Per fortuna che sono riuscito a piegarle, in modo che mi dessero meno fastidio possibile! Quindi si incamminò fuori dalla caverna, ritrovandosi ai margini inferiori di un vasto campo, circondato da alberi da frutto, mentre un frizzante vento soffiava sul suo viso, facendolo sentire nuovamente vivo. Pegasus si guardò intorno, e dovette ammettere di trovarsi realmente sulla cima dell’Olimpo, nonostante i punti di riferimento fossero pochi e vaghi, a causa della grigiastra coltre di nuvole in cui la sommità era immersa.

Il ragazzo afferrò una mela da un albero e se la mangiò, incamminandosi lungo il pendio, facendo attenzione a non essere scoperto. Ma gli sembrò che quel luogo fosse disabitato. D’un tratto un suono rimbalzò nelle sue orecchie, anzi nel suo cuore, essendo un richiamo inviato tramite il cosmo.

Atena! Mormorò, gettando via i resti della mela e iniziando a correre avanti, seguendo la debolissima scia del cosmo della sua Dea. Dopo pochi passi si fermò, osservando l’alta costruzione che si ergeva alla fine del campo, proprio al confine estremo dell’Olimpo: la Bianca Torre del Fulmine, sulla cui sommità scintille celesti sferzavano l’aria, dilaniando il corpo inerme della giovane duchessa di Thule.

"Milady..." –Commentò Pegasus, mentre il cuore gli batteva all’impazzata, per aver ritrovato la tanto amata Dea.

Corse fino ai piedi della Torre Bianca, un unico blocco quadrangolare che si alzava da terra per una trentina di metri scarsi, completamente avvolto da un potente cosmo di natura Divina. Pegasus rifletté sul da farsi, e non trovò niente di meglio che spalancare le grandi ali della sua scintillante Armatura e librarsi in aria, fino a giungere alla sommità della Torre.

"Isabel.…" –Esclamò, con gli occhi gonfi di lacrime. –"Sono qua!" –Ma la Dea non rispose, troppo debole persino per parlare. Erano ventiquattro ore che il suo corpo era stritolato dalle folgori di Zeus e, per quanto fosse una Divinità, le sue capacità di sopportazione erano giunte al limite.

Senza esitare Pegasus espanse il proprio cosmo, scagliando numerosi pugni lucenti contro i fulmini che la imprigionavano, sperando di dissiparli e liberare la sua amata, ma ebbe una brutta sorpresa. Non soltanto le folgori non furono spazzate via, ma esse attaccarono Pegasus, percependo la minaccia da lui rappresentata e avvinghiandosi al corpo del Cavaliere di Atena, stritolandolo con forza. Il ragazzo, preso alla sprovvista, precipitò a terra, tentando di liberarsi dalla morsa dei fulmini Olimpici che facevano vibrare la sua corazza.

Deciso a non arrendersi, giunto a quel punto, Pegasus bruciò ancora il cosmo, spazzando via le folgori incandescenti, prima di voltarsi verso la Torre Bianca e balzare in alto; ma non riuscì a raggiungere Atena che fu colpito in pieno da una violenta scarica energetica, che lo fece precipitare a terra. Quando si rialzò, dolorante, osservò la maestosa sagoma che gli si parava di fronte.

In piedi, sulla cima del leggero pendio, un uomo lo osservava, ricoperto da scintillanti Vesti Divine, le più belle che mai avesse visto. Sull’elmo, dal quale spuntavano i suoi mossi capelli lucenti, era inciso il simbolo del Fulmine, lo stesso che era impresso sul pettorale della corazza. E Pegasus capì che l’immenso cosmo che gli si parava davanti poteva appartenere soltanto al Dio dell’Olimpo, il Sommo Zeus in persona.