CAPITOLO VENTICINQUESIMO: CATENE E LEGAMI.

L’orrore che provò nel vedere il corpo maciullato di Bragi paralizzò per qualche secondo il Cavaliere di Andromeda. Fu Mime a impedire a Fenrir di staccargli la testa con una zampata, gettandosi sul ragazzo e spingendolo a terra, mentre Folken, con ardore e coraggio, si lanciava sul figlio di Loki, affrontandolo a spada tesa.

"Patetico!" –Si limitò a commentare il gigantesco lupo, spostando la zampa indietro e artigliando al petto il guerriero di Asgard.

"Padre!!!" –Gridò Mime, rimettendosi in piedi, subito seguito da Andromeda, che liberò la catena, scatenandola contro l’arto malefico di Fenrir.

"Mi fa il solletico quel braccialettino!" –Commentò la bestia feroce, balzando di lato in lato ed evitando gli strali lucenti, respingendo quelli che giungevano a toccarlo. –"La catena non è arma adatta per affrontare Fenrir Hróðvitnir, il Lupo di Fama!"

"Credi?! Altre creature tue pari ha saputo tenere a bada!" –Rispose fiero Andromeda, ripresosi dal momentaneo torpore. E con la mente ripensò alle sei bestie di Scilla, a Cerbero, all’Idra di Lerna, agli uccelli di Stinfalo, al gigantesco Ladone e infine a Biliku, creature mostruose che aveva affrontato in passato.

"Non ne dubito, Cavaliere! Ma contro di me farà la fine di Loedhingr e Dromi!" –Sghignazzò il figlio di Loki, prima di balzare avanti con un agile salto, obbligando Andromeda e l’indebolito Mime a rotolare di lato per non essere travolti dalla sua furia, che invece non risparmiò molti Einherjar e Soldati di Brina a loro attorno, che vennero abbattuti indistintamente.

Andromeda scatenò di nuovo le proprie catene, dirigendole verso il sanguinario lupo, mentre si stava voltando, ma questi seppe schivarle e deviarne altre con violente zampate. Non s’avvide però Fenrir di una catena che il Cavaliere di Atena aveva diretto verso raso terra, dandole una particolare conformazione, a tagliola da caccia, e facendola chiudere proprio sulle sue zampe.

"Uh?!" –Ringhiò Fenrir, sinceramente stupefatto da quella tecnica, non immaginando che l’arma del suo avversario fosse così versatile.

"E questo è solo l’inizio delle sorprese!" –Esclamò Andromeda con baldanza, mentre sollevava il braccio destro, per scatenare la furia delle Onde del Tuono.

Fu allora che Fenrir lo fissò, con i suoi penetranti e malvagi occhi grigi, spezzando il suo impeto a metà. D’istinto, il Cavaliere fu costretto a portarsi le mani alla testa, scossa da un brivido, da una tensione che ultimamente aveva avvertito spesso.

"Basta uno sguardo per prostrarti, Cavaliere?! Ti credevo di indole più resistente, invece mi hai deluso! Sei debole e impaurito come gli Asi che, per timor di me, mi incatenarono!" –Mormorò Fenrir, osservando il ragazzo dai capelli verdi accasciarsi non troppo distante. Ma anziché agitarsi e strappar via le catene che gli bloccavano le zampe, rimase a fissarlo, rispondendo placido alle sue domande.

"Quali Asi?! E cosa sono Loedhingr e Dromi?!"

"Davvero non conosci la mia storia, seguace di Atena? Dovrei sentirmi offeso! Vanifichi l’appellativo che mi diedero! Argh, argh! A quale fama imperitura posso essere destinato se neppure dei ragazzini che pretendono di assurgere al mondo degli eroi conoscono le mie imprese?!" –Ridacchiò, sputando bava dall’enorme bocca. Quindi, vedendo che Andromeda non accennava a rimettersi in piedi, ancora chino a terra con le mani alla testa dolorante, riprese a narrare, mentre Folken, poco distante, aiutava Mime a rialzarsi. –"Devi sapere che molto tempo addietro, quando il mio pelo era ancora lucente e giovane, gli Asi vennero a sapere che quel brav’uomo di mio padre aveva avuto tre figli da una gigantessa! Non erano certo i primi esemplari della sua progenie ma, a differenza di altri, gli Asi li trovarono più brutti! Dei portatori del male, per dirla con i loro termini! Umpf! Così li divisero, isolando Hel negli Inferi e Jormungandr nelle profondità oceaniche! Del terzo, che ero io, non seppero cosa fare, così decisero di tenerlo presso la loro corte, sperando di ammansirlo!" –Fece una pausa, mentre Andromeda a fatica si rialzava, sollevando lo sguardo verso di lui, preso da una selvaggia sghignazzata. –"Argh argh, ammansirlo! Ci crederesti mai?! Fenrir un docile cagnolino da corte?! Devono essere stati stupidi solo a pensare di poterlo fare?!"

"Non hai reso la loro vita facile, vero?!"

"Ho solo fatto ciò per cui fui messo al mondo!" –E nel dir questo sollevò fiero il capo, mantenendo i suoi occhi argentei su Andromeda. –"Cacciare e uccidere! Questo è ciò che fanno i lupi, soprattutto io che su tutti sono il Lupo Sovrano! Ma, agli Asi questo non piacque, così tentarono di incatenarmi! Non l’avessero mai fatto!!! Tyr potrebbe testimoniarlo se fosse qui ma a quanto pare ha scelto di andare a morire contro mio padre! Dovrò andare a recuperarne i resti allora! La sua mano in fondo era assai gustosa!"

"Quale mano?! Di cosa stai parlando Fenrir?!"

"Della mano che azzannò sull’Isola Lyngi!" –Intervenne allora Mime, affiancando Andromeda con Folken. –"Non è così, Fenrir, che la ottenesti? Imbrogliando! Com’è nello stile tuo e della tua stirpe!"

"Menzogna!!!" –Ringhiò il lupo, digrignando i denti e permettendo ad Andromeda di vedere per la prima volta quanto fossero grandi e affilati. Almeno un metro di lama biancastra che migliaia di vite aveva falciato nella sua lunga esistenza. –"Gli Asi mi irretirono, convincendomi a farmi legare da una catena allo scopo di dimostrare la mia forza! Credevano, così facendo, di liberarsi di me! Poveri idioti! Ricordo ancora lo stupore dipinto sui loro volti, misto all’odore della paura, quando mi liberai di Loedhingr con un unico strattone! Uguale fine fece Dromi, la seconda catena con cui cercarono di imprigionarmi, che distrussi addirittura in frammenti! E stesso destino avrebbe dovuto incontrare Gleipnir, il laccio mortale che infine mi irretì!"

"Forgiato dai nani nelle profondità di Svartálfaheimr, Gleipnir era intriso di sortilegi!" –Continuò Mime, con un certo orgoglio. –"Gli antichi scaldi raccontavano che fosse fatto di sei cose: il passo felpato di un gatto, i peli della barba di una donna, le radici di una montagna, i tendini di un orso, il respiro di un pesce e lo sputo di un uccello! Ingredienti carichi di una potenza magica in grado di stregare chiunque, persino l’essere più forte del mondo. Persino Fenrir!"

"Sospettai subito un tranello, non appena mi mostrarono quel laccio all’apparenza così debole, ben diverso dalle solide catene che mi avevano proposto in precedenza! Pur tuttavia accettai anche quella sfida, per non essere tacciato di codardia e perché credevo davvero che nessuna catena avrebbe potuto vincolarmi! Ma posi una condizione: uno degli Asi avrebbe dovuto mettere una mano nella mia bocca, a garanzia della loro buona fede! Terrorizzati, si guardarono in silenzio, finché l’impavido Tyr non si fece avanti, offrendo la sua mano. Ecco come la perse e come io persi la mia libertà!" –Ringhiò Fenrir. –"Incatenato su Lyngi, con l’estremità della catena fissata sotto due massi, Gjoll e Pviti, mi infilarono persino una spada in gola, la cui elsa premeva sulla mascella e la cui punta sul palato, tramutandola in un morso eterno. Tormenti e dolore, ecco cosa ho avuto per migliaia di anni! Ma oggi, come mio padre, avrò la mia vendetta, ricordando agli Asi che il boia torna sempre a casa e che non tutte le creature sono destinate a vedere il nuovo mondo che nascerà dalle ceneri di Ragnarök! Aargh aargh aargh!!!"

"Non se noi ti abbattiamo prima!" –Esclamò Folken, lanciandosi avanti, con la spada in pugno, sperando di approfittare della momentanea prigionia del lupo.

Quel che l’antico guerriero di Asgard non aveva compreso era l’astuzia di Fenrir, la stessa che aveva vinto sugli Asi in passato.

Dimenandosi di scatto, si liberò della catena di Andromeda, che il ragazzo fu costretto a richiamare a sé prima che la furia di Fenrir la distruggesse, poi si avventò su Folken, squarciandogli il petto con una zampata e sbattendolo a terra. Mime fece per intervenire, ma Andromeda lo spinse indietro, scattando contro il Lupo di Fama avvolto nel suo cosmo rosato.

"Onde del Tuono!!!" –Gridò, mentre scariche energetiche avvolgevano l’arma che saettava verso Fenrir, il quale, per nulla turbato, si limitò a balzare di lato in lato, respingendo a zampate gli strali luminosi. Con un balzo fu poi su Mime, affondando nel suo petto gli artigli che avevano ucciso il Cavaliere che gli aveva fatto da padre.

Morti nello stesso modo, per mano dello stesso carnefice.

"Mimeee!!!" –Urlò Andromeda, mentre Fenrir risollevava l’enorme zampa, la cui lunga pianta grondava ancora sangue.

"Troppo tardi, damerino!" –Commentò la creatura, fissandolo e prostrandolo di nuovo a terra, mani alla testa, travolto da fitte inspiegabili. –"Credevi che non avessi alcun potere? Che fossi una selvaggi fiera dei boschi al pari di Skoll e Hati? Orbene ti sbagliavi! Il timore che suscitavo persino negli Asi la dice lunga su quanto mortale sia un incontro ravvicinato con me! E tu, che già accusi dolore cerebrale, non sei difficile da prostrare ulteriormente!"

"È… è così che fai?! Con lo sguardo, non è vero?" –Rantolò Andromeda, cercando di rialzarsi, per quanto l’emicrania non gli desse pace. –"Con lo sguardo provochi dolore!"

"Esattamente! È il dolore di millenni di grida nella mia cattività nel Niflhemir! È il dolore della spada che mi piantarono in gola e che mio padre ha rimosso questa mattina! Come io l’ho provato a lungo, anche tu, e tutti i bastardi infami che tenteranno di darmi la caccia, lo proverai! Ma sarà più breve, per quanto non meno intenso!" –Nel dir questo si lanciò avanti, avventandosi a fauci aperte su Andromeda, chiedendosi come sarebbe stato assaporare un uomo di stirpe diversa, ricoperto da un’armatura differente dalle rozze corazze nordiche cui era abituato.

Rimase male, troppo male, quando vide il Cavaliere rotolare di lato ed evitare, quasi inconsciamente, l’assalto.

Anche Andromeda non realizzò a pieno quel che era accaduto. Capì soltanto di aver agito prima ancora di pensare, qualcosa che raramente aveva fatto in passato.

Non ebbe modo di porsi altre domande che già Fenrir caricava nella sua direzione.

"Frena la tua corsa, Lupo del Popolo!" –Esclamò, scatenando una tempesta di catene luminose contro di lui e obbligandolo a deviare di lato, senza raggiungerlo.

Fu in quel momento, mentre il cosmo di Atena, che pregava per lui dai giardini dell’Olimpo, lo raggiungeva, che Andromeda comprese quel che era accaduto, ricordandosi delle parole di Mime e di quelle di Arvedui.

"Precognizione!"

D’un tratto il dono di Biliku gli sembrò chiaro.

Aveva fatto ricorso al suo sesto senso, anticipando l’assalto di Fenrir prima ancora che razionalmente avesse potuto capire dove il lupo stesse mirando.

"L’hanno definita in molti modi! Preveggenza, prescienza, preconoscenza! Ma rimane la facoltà di avere conoscenza del futuro!" –Gli aveva spiegato il Principe degli Elfi. –"Anche se fosse soltanto per pochi secondi, quei pochi secondi che vedrai prima degli altri potrebbero esserti fatali! Affina il tuo sesto senso e sarai in grado di controllare le visioni che caotiche adesso ti appaiono!"

"Un’ottima mossa! Ma sarai in grado di ripeterti?!" –Ringhiò Fenrir, strappandolo ai suoi pensieri e spiccando di nuovo un balzo verso di lui.

"Tenterò!" –Rispose Andromeda, concentrando il cosmo sul palmo della mano destra e scatenando scariche di energia contro il Lupo di Fama. –"Onda energetica!!!"

Fenrir guaì, raggiunto dalle folgori rosate, sebbene la sua leggendaria agilità, nient’affatto inutile vanteria bensì realtà, gli permise di limitare i danni a qualche ciuffo di pelo bruciato. Senza per questo ridurre la sua furia, né la sua fame.

"Tentare a volte non basta! I frammenti di Loedhingr e Dromi e la mano di Tyr ne sono valida testimonianza!" –Sibilò astutamente il possente lupo, penetrando il ragazzo con il suo acuto sguardo.

"Se non riuscirò, proverò di nuovo! Come ho sempre fatto!" –Esclamò Andromeda, cercando di resistere, mettendo tutto se stesso nelle gambe, per stare in piedi, e nella mente, per contrastare quell’infusione di dolore che gli occhi malvagi di Fenrir volevano generare in lui.

Non sapeva, il figlio di Loki, quel che si stesse agitando nell’animo del Cavaliere ma il suo aspetto grazioso e il suo malessere ricorrente lo spinsero a credere che fosse più vulnerabile di altri guerrieri. Più suscettibile alla sua sinistra persuasione.

"Se non riuscirai, avrai perso! Nessuno ha una seconda possibilità con Fenrir Hróðvitnir!" –E si lanciò nuovamente avanti, le zanne digrignate, gli artigli pronti a sventrare il gracile corpo di Andromeda, che evitò l’assalto per un frammento di secondo, scivolando a destra, prima di liberare l’impetuosa pioggia di catene.

Il gigantesco lupo fu costretto a ripiegare, ma Andromeda notò subito che rimase a una distanza inferiore rispetto a prima, convinto forse di poter aver ragione della sua fastidiosa preda. Cercò di concentrarsi, ignorando le fitte alla testa che lo martellavano senza sosta.

Erano iniziate settimane addietro, dopo che Biliku lo aveva infettato nella caverna delle Andamane, e proseguite, sia pur rade e poco intense, fino a quella mattina, quando, prima di atterrare ad Atene, era stato investito da un dolore acuto che lo aveva svegliato di colpo. Ma quando aveva aperto gli occhi non si era ritrovato all’interno dell’aereo con Pegasus e Lady Isabel, bensì in una valle d’ombra, dove nessun sole pareva splendere. Fluttuanti spiriti, simili a vampe di fuoco fatuo, stavano baluginando nell’aere, turbinando attorno al suo corpo. Fissandoli, ad Andromeda era parso di conoscerli, seppure non ricordasse dove e quando li avesse incontrati, e gli era sembrato che lo chiamassero per nome.

Non aveva visto altro che il tocco della mano di Pegasus sulla sua spalla lo aveva risvegliato del tutto.

Se quel che Arvedui aveva detto era vero, allora aveva assistito ad un frammento di futuro. Ma di cosa si trattasse non era ancora riuscito a capirlo, né aveva avuto tempo per pensarvi, catapultato nuovamente in una guerra. In quello che era il suo passato, il suo presente e, temeva, il suo futuro.

"A chi pensi, ragazzino?!" –La voce schernente di Fenrir lo raggiunse mezzo secondo prima che il suo artiglio si schiantasse sul suo fianco destro, scaraventandolo faccia a terra, perdendo persino l’elmo a diadema. Rialzandosi, si tastò il lato indolenzito, percependo i solchi che gli unghioni del lupo avevano scavato nella corazza divina. Se non l’avesse avuta, sarebbe morto. Come Mime e Folken.

Pensare all’antico avversario, e alla sua storia, lo fece reagire, spingendolo a voltarsi, avvampando nel suo cosmo, proprio mentre Fenrir caricava nuovamente, balzando su di lui a denti digrignati.

"Come ti ho detto prima…" –Mormorò il Cavaliere, scattando di lato ad una velocità maggiore. –"Tenterò finché in me ci sarà un alito di vita! Tenterò, perché è questo che fanno i Cavalieri di Atena! I Cavalieri della Speranza! È per questo che esistiamo!" –Così facendo liberò la Catena di Andromeda, che si dispose a tagliola sotto alla bestia, bloccandone i movimenti e strappandole un ruggito. Di dolore e di rabbia. –"Non dai nani è stata forgiata quest’arma, ma dalle avventure che ho vissuto nel corso della vita e che mi hanno visto crescere! E la mia catena è cresciuta con me! In essa risiede il sangue dei Cavalieri d’Oro, l’Ichor di Atena, la maestria del Fabbro dell’Olimpo e un frammento di mithril! Assaporane la potenza, Grande Lupo! Assaporane la sua vera essenza!!! Melodia scintillante di Andromeda!!!" –Gridò, scatenando la catena d’attacco, che si moltiplicò in infinite copie, assumendo tutte le conformazioni possibili per fermare e ferire il possente lupo, mentre sopra tutto risuonava una lenta melodia.

Una melodia nata dal tintinnare degli anelli che componevano la fitta maglia che andò a ricoprire Fenrir, intrisa della passione di tutti coloro che Andromeda aveva incontrato, e che a causa della guerra aveva dovuto combattere. Fish, Orfeo della Lira Cantore, Mime, Mizar, Sirya dal dolce flauto, Faraone di Sfinge, Pan e Dioniso. Una rapsodia di sofferenze personali, sfide e ricordi.

"Aaargh!!!" –Ringhiò Fenrir, dimenandosi all’interno di quel groviglio di strali che parevano provenire da ogni direzione. Con le zampe bloccate dalla tagliola e dalle spire che le avevano avvolte, con le fauci rinchiuse in una rozza museruola e il corpo preda di punture continue, il suo animo esplose furibondo. –"Il Lupo di Fama non sarà vinto da nessun uomo!!!" –E si agitò così rabbiosamente che riuscì a liberare una zampa dal turbinare delle armi. Una sola, ma che gli permise di strappar via le altre catene prima di darsi la spinta e lanciarsi su Andromeda.

Incredulo, il Cavaliere di Atena fu comunque lesto a muoversi all’indietro, venendo raggiunto però dalla massa informe di catene da lui generata e spinto a terra, sommerso dalle stesse.

Non aveva visto Fenrir liberarsi, né lo aveva visto scagliarsi su di lui. Arvedui aveva ragione, doveva fare ancora molta pratica per familiarizzare con il proprio sesto senso, tramutandolo in uno strumento di vittoria e non in una penalizzazione.

Era qualcosa che in passato non aveva fatto, limitandosi, al pari dei suoi compagni, a bruciare il cosmo al massimo, a portarlo al parossismo, raggiungendo ogni volta vette sempre maggiori. In questo modo avevano acquisito il settimo senso, riuscendo poi a padroneggiarlo in maniera ottimale ad Asgard e nel Regno Sottomarino e a superarlo, raggiungendo l’ottavo senso e scendendo vivi in Ade. Ma l’intuizione, seppur potente, non l’avevano affinata. Non al punto da usarla per percepire un frammento di futuro, come Biliku, e anche Frigg, erano in grado di fare.

Per liberarsi, iniziò a ritirare le catene, facendole scorrere attorno al corpo del lupo, su cui apparivano adesso evidenti i segni e le ferite che gli avevano causato. Il folto manto era infatti chiazzato di macchie scarlatte e ciuffi di pelo svolazzavano nell’aria, satura dell’odore del sangue di Fenrir. E proprio il lupo si rialzò per primo, stirandosi gli arti strattonati e poggiando poi lo sguardo sul suo rivale, disteso a terra sotto di sé. Sogghignando, lo fermò con una zampa, schiacciandolo sotto il suo peso e allungando gli artigli fino a piantarli nelle clavicole del ragazzo, strappandogli un grido di dolore.

"È l’ora del pasto!" –Sputacchiò Fenrir, calandosi su Andromeda, quasi convinto che si fosse rassegnato.

Così non accadde e il Cavaliere di Atena, che aveva atteso che il volto del lupo fosse a pochi metri da lui, lo colpì in mezzo agli occhi con una violenta scarica di energia, che rischiarò per un momento l’intera piana di Vígridhr tanto era luminosa. Fenrir guaì, accecato e ferito, inarcando la schiena all’indietro e permettendo ad Andromeda di sgusciare via da sotto la sua zampa e scatenare la devastante furia delle sue catene.

"Risuona, ultima melodia di Andromeda!!!" –Gridò, investendo Fenrir con migliaia e migliaia di strali luminosi che ne squartarono il manto, non più limitandosi a ferirlo superficialmente o a strappargli un ciuffo di pelo, ma lo penetrarono, affondando nell’antica ed enorme carne.

"Basss… tardo!!!" –Ringhiò il grande lupo, dimenandosi e investendo tutti coloro che si trovavano nel suo raggio d’azione. Con lo sguardo, cercò tracce di Loki, ma si accorse che il Dio se ne era andato, lasciando dietro di sé una scia di cadaveri. Hnoss, Heimdall e Tyr. Dall’alto in cui il suo muso si trovava, Fenrir poteva riconoscerne le fattezze, lacerate dalle folgori del padre, ma ancora degne di essere da lui azzannate.

Sì, avrebbe terminato il pasto iniziato anni addietro.

"Graurrr!!!" –Avvampò, cercando di liberarsi da quel groviglio scintillante che si stava sempre più chiudendo su di lui. E sapeva che per farlo doveva spezzare il legame esistente tra Andromeda e la sua catena. Spezzare la sua mente.

Così lo fissò, con lo sguardo più intenso e malefico che potesse rivolgergli, carico di tutto il rancore accumulato in secoli di solitaria attesa, lunga tanto quella del padre. E lo vide vacillare, muovendo la mano destra per portarsela alla testa, il volto contratto in una smorfia di dolore a cui non sapeva opporsi, perché veniva da dentro di sé.

Fenrir sogghignò, cercando di ignorare le ferite aperte sul suo corpo, gli squarci sul ventre e sul manto, le frecce che qualche Einherjar aveva iniziato a tirargli contro. Che facessero pure! Non appena Andromeda fosse morto, crollato in ginocchio ai suoi piedi per il peso eccessivo della sua testa, avrebbe ucciso tutti loro, sbranandoli con le sue fauci.

"Devo… devo resistere!" –Mormorò il Cavaliere di Atena, sforzandosi di rimanere in piedi, nonostante le fitte violente, nonostante sentisse il cranio sul punto di scoppiare. –"Devo…" –E piegò un ginocchio, nell’atto di accasciarsi. Ma si sforzò di non farlo, di non cadere, di non abbandonarsi al dolore, continuando a far scorrere le sue catene, senza interrompere l’attacco, senza piegarsi alla persuasione diabolica del nemico.

"Andromeda!" –Lo chiamò una voce, bloccando la sua caduta a terra e dando nuova forza alle sue gambe, quanto bastò per permettere loro di stendersi nuovamente e riportarlo in posizione eretta.

"Fratello…" –Mormorò il ragazzo, avendo riconosciuto la voce di Phoenix, che parlava direttamente al suo cosmo.

"Sono con te!" –Continuò il Cavaliere della Fenice. –"Presto ci rivedremo! Nell’attesa le mie ali ti sosterranno! Le ali dell’uccello immortale!" –Non aggiunse altro e svanì, anch’egli impegnato in un duro scontro, ma quel breve contatto permise ad Andromeda di espandere al massimo il suo cosmo, tinto adesso di sfumature rosse.

Alle sue spalle apparvero centinaia di stelle, unite a ricreare la figura della principessa di Etiopia, figlia di Cefeo e Cassiopea, che aveva ispirato il mito della sua costellazione. Ma le stelle si espansero anche lateralmente, aggiungendo un paio di vermiglie ali alla donna, rappresentata in procinto di spiccare un balzo.

"Un salto verso l’infinito, sostenuto dalle ali di mio fratello!!!"

Fenrir rabbrividì, mentre la furia delle catene aumentava d’intensità, penetrandolo e troncandogli le ossa interne. Tentò di distruggerle a zampate, ma i suoi artigli vennero spezzati, obbligandolo a riconoscere che quell’arma era superiore persino a Gleipnir. Quale ironia, si disse, incontrare la fine per mezzo di una catena, quel che per millenni mi ha legato all’ombra di questo mondo!

Crollò a terra, l’enorme carcassa del figlio di Loki, schiantandosi tra spruzzi di sangue e terriccio, di fronte agli occhi stupefatti e raggianti degli Einherjar e a quelli inorriditi e preoccupati dei Soldati di Brina e dei morti di Hel.

Anche Andromeda crollò dopo poco, stanco per la battaglia sostenuta. Gli cedettero le ginocchia e si schiantò a pochi passi dai cadaveri di Mime e Folken, poggiando una mano per non cadere, intingendola nel sangue oscuro di Fenrir. Risollevandola, e osservandola, il ragazzo lasciò la mente turbinare ancora, vittima di una nuova visione. Fino a quel momento inedita.

"Un oceano di fiamme e nulla più!" –Mormorò, prima di svenire. –"Questo è ciò che ci aspetta!"

***

La residenza estiva della famiglia Kevines sorgeva all’estremità sud-occidentale del Portogallo, proprio a picco sul mare. Dal Cabo de São Vicente sia Julian che i suoi antenati avevano potuto contemplare l’oceano estendersi sconfinato di fronte a loro e le onde infrangersi maestose ai piedi delle falesie. Si raccontava, nelle cronache della famiglia, che Bianca Maria Kevines avesse ammirato proprio da quell’altura le tre caravelle di Cristoforo Colombo dirigersi in mare aperto, assieme al marito che si era unito alla grande impresa.

In quel momento, sulla terrazza panoramica rivolta sull’Atlantico, Julian conversava amabilmente con i suoi eleganti interlocutori, ospiti imprevisti che si era trovato di fronte neppure un’ora prima, quando era uscito in giardino per recarsi alle stalle. Da quando Sirya, il suo musicista, era misteriosamente scomparso, il giovane erede della dinastia Kevines amava trascorrere il tempo libero cavalcando e aveva persino acquistato due magnifici cavalli spagnoli, Esteban e Valinor. Ma quella mattina aveva potuto soltanto dare loro il buongiorno che era dovuto rientrare nell’antica magione per accogliere due giovani di bell’aspetto, due giovani che, da quel che aveva potuto capire, lo conoscevano bene. Per quanto egli, invece, non li conoscesse affatto.

Il primo, quello che parlava più spesso, sostenendo con tono fermo la conversazione e le sue idee, era un ragazzo sui trent’anni, con un fisico scolpito, evidente nonostante la giacca e la camicia, e un volto piacente dai tratti ruvidi, con corti capelli scuri, occhi neri e un leggero filo di barba. Parlava inglese, con accento marcatamente britannico, seppure non così puro.

"Nessuno conosce i mari come la dinastia Kevines! Per questo siamo qua, Signor Julian! Per ottenere il meglio che la tecnologia può offrire alle nostre ricerche!"

Il secondo ospite, dal viso più giovane e sbarbato, era più magro, ma ugualmente ben fatto, con capelli castani lunghi fino all’orecchio. Sembrava a disagio in quell’elegante completo di John Richmond e si limitava ad annuire alle parole del più preparato compagno.

"Le vostre richieste sono interessanti, Signor…" –Mormorò Julian infine, sforzandosi di ricordare il nome del suo interlocutore.

"Wthyr!" –Rispose prontamente l’altro. –"Wthyr Bendragon! Della Bendragon Public Limited Company!"

"Oltre che interessanti, deve avere amici abbastanza in alto per scoprire dove trascorro le vacanze, Signor Wthyr! Non tutti certamente sanno che nel mese di settembre abbandono la residenza di famiglia sul Mare Egeo e mi spingo oltre le Colonne d’Ercole!" –Commentò l’uomo dai capelli blu, rivolto più a se stesso che non a Wthyr Bendragon. Quindi si alzò, fece qualche passo fino al limitare della terrazza, appoggiandosi alla ringhiera di marmo bianco, prima di riprendere a parlare. –"Vi concederò quel che volete! Anche alla Kevines Corporation potrebbero interessare i risultati delle vostre scoperte!"

"Ero sicuro che avremmo trovato un accordo!" –Sorrise soddisfatto l’altro, alzandosi a sua volta e avvicinandosi al miliardario. Tirò un’occhiata all’immensa distesa azzurra che riempiva l’orizzonte, in qualunque direzione posasse lo sguardo, e sbatté le palpebre sorpreso quando credette di aver visto una sirena balzare fuori dall’acqua e poi rituffarvisi.