CAPITOLO VENTISETTESIMO: RITIRATA.

Con enorme dispiacere, Odino annusò l’aria di Asgard e tra i fumi di guerra e le alte strida capì che molti amici erano scomparsi, travolti dalla marea nera che Ragnarök aveva portato con sé. Heimdall e Tyr, Bragi e Ullr, assieme a molti Einherjar, Jötnar, Valchirie e Divinità minori. Persino il cosmo di Freyr, dopo essersi espanso al massimo, raggiungendo il Padre di Tutti dalle profondità di Niflheimr, forse per porgergli un ultimo saluto e ringraziarlo per la fiducia che gli aveva accordato nel corso dei secoli, era svanito. E il tremolio dell’Albero Cosmico, le cui fronde parevano rinsecchire ogni minuto di più, consumate da un inverno a cui non potevano opporsi, gli faceva temere il peggio. Per sé e per l’intera Ásaheimr.

Balder, Frigg e le altre Asinne erano ancora al sicuro a Fensalir, ma Odino sapeva che non avrebbero potuto resistere in eterno all’attacco su due fronti che ancora proseguiva. Fronti che presto si sarebbero ricongiunti, sulle rive del Thund, perché il tentativo di fermare l’avanzata dei Giganti di Fuoco stava fallendo e già buona parte della città degli Dei era caduta in rovina, divorata dalle fiamme di Muspell.

Trema Yggdrasill
il frassino eretto,
scricchiola l'albero antico
quando si scioglie il gigante.
Tutti temono
sulla strada degli inferi,
che la stirpe di Surtr
li inghiotta.

Cosa incombe sugli Asi? Si chiese Odino, prima che un grido straziante riportasse la sua attenzione sulla scena in corso.

Era in piedi su Sleipnir, in cima al piccolo avallamento che conduceva alla Rocca del Cielo, affiancato dagli ultimi sopravvissuti a quello scontro mortale. Geri e Freki, un po’ bruciacchiati ma ancora vivi, e una trentina tra Ulfhednir, Valchirie e giganti a lui fedeli. Oltre che Mizar e Vidharr.

Odino sospirò, pensando che almeno quel figlio era ancora vivo, e roteò la lancia, piantandola nel terreno e imprimendovi il suo cosmo divino. Il suolo si smosse poco distante, sollevandosi come un’onda e sommergendo di erba e terriccio il Gigante di Fuoco le cui fiamme stavano penetrando alcuni Ulfhednir, liberandoli da tale agonia.

Mizar si avvicinò loro, sfiorandoli con il suo gelido cosmo e aiutandoli a rimettersi in piedi, per ricongiungersi con gli altri.

C’era più ben poco che potessero fare in quel luogo. Bifrost era crollato, Himinbjörg era stata distrutta, i palazzi di Asgard incendiati durante gli scontri scatenatisi tra i combattenti di Odino e i Soldati di Brina. Potevano solo portarsi al di là del Thund e trovare rifugio nelle fortezze di Fensalir e del Valhalla, dove gli stanchi combattenti avrebbero ottenuto momentaneo ristoro.

Vidharr osservò suo padre con sguardo stanco e preoccupato e per quanto certo che avrebbe voluto continuare a lottare era ben consapevole che per il momento ripiegare era la strategia migliore.

"Ma non lasciando ai figli di Muspell campo libero!" –Mormorò, espandendo il proprio cosmo in modo da generare una protezione che, come un velo, ricadde sulla parte interna di Asgard, quella rivolta verso il Valhalla. Un velo che le vampe dei Giganti di Fuoco non avrebbero superato facilmente. –"Non finché sarò in vita, poiché dal mio cosmo questa barriera trae origine, e come tale è inestinguibile!"

"Vidharr, non vorrai morire?!" –Bofonchiò Odino.

"Foss’anche, sarebbe per una buona causa, come sono caduti mio fratello Tyr e i nostri pari!" –Sentenziò il figlio, socchiudendo gli occhi, prima che Odino potesse replicare. –"Porta il nostro popolo in salvo nel Valhalla! Là sarà combattuta la battaglia finale! Là affronterai Loki, unico, tra tutti gli Asi, che può farlo! Io vi darò modo di arrivarvi senza dovervi guardare alle spalle! Nessuna sfera di fuoco vi colpirà finché Vidharr il Silente rimarrà in piedi a protezione di suo Padre e delle sue genti!"

"E io resterò ad aiutarti, prode figlio di Odino!" –Intervenne Mizar. –"Ottima difesa è il tuo velo ma lacunosa nello sprigionare potenza d’attacco! Lacuna che i ghiacci eterni possono invece colmare!"

Odino rimase a fissarli per qualche istante, mentre turbini di fiamme e getti di lava si abbattevano sopra di loro, schiantandosi sulla barriera invisibile e scivolando poi su di essa, verso il basso, come infernali ruscelli. Infine annuì, accennando un sorriso, prima di fare cenno ai suoi di seguirlo.

"Ripieghiamo sul Valhalla!" –Tuonò, scattando avanti, subito seguito dai due lupi e dagli altri. D’improvviso lo invase una fretta insolita, dovuta non soltanto al timore per Vidharr, che metteva in gioco la propria vita per salvare la loro, ma anche per le sorti dell’altro suo figlio rimasto, su cui gravava un’antica maledizione. Sospirando, spronò Sleipnir ad aumentare l’andatura, ritenendo opportuno passare da Fensalir prima di rientrare nella Sala dei Caduti.

***

"Cosa hai in mente di fare, giovane tigre?" –Chiese Vidharr al Cavaliere dalla nera armatura.

"Usare la vostra barriera per trasmettere il mio gelido cosmo e lasciarlo poi esplodere contro i Giganti di Fuoco sotto forma di artigli di ghiaccio!" –Rispose Mizar, sfiorando il leggero, quasi impalpabile, velo di energia che il figlio di Odino aveva eretto sopra metà Asgard. Subito un’aura celeste lo avvolse, scivolando lungo l’ondulata protezione e aumentandone la consistenza.

Proprio in quel momento una torva di Giganti di Fuoco si sollevò di fronte a loro, allungando le braccia di pura fiamma nella loro direzione, venendo però frenati dal velo protettivo.

"Quale miglior banco di prova!" –Esclamò Mizar, liberando il proprio cosmo, che si aprì a ventaglio dalla barriera, ricoprendo i corpi dei figli di Muspell di uno strato di gelo, rinforzato dal cosmo divino di Vidharr.

"Un’ottima intuizione!" –Commentò il taciturno figlio di Odino, accennando un debole sorriso. –"Anche se temo che servirà solo a farci guadagnare tempo!"

Mizar parve comprendere le sue parole e rispose con un altrettanto rattristato sorriso. –"Per cos’altro siamo rimasti indietro, in fondo?!"

Non ebbero modo di aggiungere altro che nuovi Giganti di Fuoco si lanciarono contro il velo protettivo, schiantandosi su di esso e disperdendo i loro stessi corpi in migliaia di vampe e roghi che ne scossero la superficie fino alla sommità, impegnando duramente Vidharr e Mizar, costretti a portare i loro cosmi al culmine.

Fu quando temettero di non essere più in grado di fermare l’avanzata nemica che un nuovo cosmo, gelido come quello della Tigre Nera, si sommò ai loro, rafforzando la barriera e palesandosi sotto forma di unghioni di gelo che trafissero i corpi fiammeggianti dei Giganti di Fuoco.

Prima ancora di voltarsi, Mizar riconobbe il fratello che l’aveva protetto tante volte in passato, la cui armatura sporca e danneggiata la diceva lunga sulle difficoltà che anch’egli doveva aver incontrato.

"Certe cose non cambiano mai, vero Alcor?" –Ironizzò, felice di rivederlo, dopo aver tanto per lui temuto. E fu ancora più felice nel vedere il ragazzo dai lunghi capelli scuri che lo accompagnava, il Cavaliere Divino della costellazione del Drago.

Alcor e Sirio si unirono a Mizar, che subito li introdusse a Vidharr, descrivendo a grandi linee la situazione e quel che era accaduto da quando il fratello era sceso nel Niflheimr a sorvegliarlo.

"Sono stati Huginn e Muginn a portarci fin qua! Dopo aver risalito l’Albero Cosmico e aver raggiunto il Valhalla, non eravamo certi su dove avremmo trovato Odino, nei vari fronti aperti, ma i corvi sono volati in fretta verso Himinbjörg e sulla strada abbiamo incontrato il Dio dai molti epiteti, che ci ha informato che eravate ancora qua!" –Spiegò Alcor. –"Così abbiamo ben pensato di venire a morire insieme a voi!"

"Di nuovo!" –Sorrise Mizar, ricordando l’ultimo scontro combattuto assieme al fratello nel Giardino dell’Amore, sul medio versante dell’Olimpo.

"Attenti!!!" –Gridò Sirio, mentre le fiammeggianti sagome dei Giganti di Fuoco si ergevano di fronte a loro, liberando fiotti di lava contro l’invisibile protezione.

Il Cavaliere del Drago rimase attonito ad osservare con quale concentrazione Vidharr riusciva a mantenere una così vasta e dispendiosa barriera, segno evidente di un esercizio meditativo durato secoli. Ed egli, che dal Maestro dei Cinque Picchi aveva ricevuto insegnamenti al riguardo, era ben consapevole di quanta forza interiore fosse necessaria.

"Non resisterà a lungo! Dobbiamo aiutarlo, cacciare indietro queste creature!" –Tuonò, espandendo il proprio cosmo, subito imitato da Mizar e Alcor.

"Impresa tutt’altro che facile, temo!" –Commentò la Tigre Nera, avvolta in un turbine di freddo cosmo.

Artigli di gelo e dragoni di luce sfrecciarono nel cielo di Asgard, trapassando la barriera dall’interno e schiantandosi sui figli di Muspell. Qualcuno venne parzialmente congelato, qualcun altro si sfaldò, piovendo a terra fiammelle rossastre, ma la maggioranza rimase comunque integra, determinata sui suoi passi.

"Prima troppo ghiaccio, adesso troppo caldo! Vorrei poter riversare su costoro il gelo del Niflheimr!" –Bofonchiò Alcor, il viso imperlato di sudore.

Sirio non rispose, ma annuì mentalmente. In quella situazione parte dei suoi attacchi erano inutili, poiché basati sulla luce, e come tali incapaci di provocare grave danno ai suoi avversari. Persino Excalibur non sarebbe riuscita a spegnere tale eterna fiamma.

"Eppure…" –Si disse il giovane, dimenticando qualcosa.

Fu il grido di Vidharr a rubarlo ai suoi pensieri, costringendolo a spostare lo sguardo sul figlio di Odino, prostrato a terra dalla stanchezza e dall’eccessivo spreco di forze. La barriera si stava ritirando, incapace di continuare a ricoprire l’intera città sacra, e dagli spazi che lasciava aperti già mastodontiche fiamme e spruzzi di lava schizzavano all’interno, in una pioggia senza tregue.

Sirio corse in aiuto dell’Ase Silente, mentre la sua mente, alla vista di quell’apocalittica scena, ricordava un passo dell’Inferno dantesco, che Libra gli aveva letto durante l’addestramento, assieme ad altri testi epici e medievali.

"Sovra tutto ‘l sabbion, d’un cader lento, piovean di foco dilatate falde, come di neve in alpe sanza vento!"

In quel momento la barriera cedette, schiantandosi come vetro in mille frammenti di cosmo che subito svanirono nell’aria torbida, mentre i Giganti di Fuoco, con ritrovata baldanza, si fecero avanti, incendiando tutto quel che trovavano sul loro cammino.

"Maledizione!" –Mormorò Sirio, ponendosi di fronte a Vidharr per proteggerlo e offrendo la schiena alle fiamme di Muspell. –"Aaargh!" –Strinse i denti, mentre una vampa si schiantò sullo schienale e sulle ali della corazza divina.

"Morire arso vivo è quanto di più lontano mi sarei aspettato combattendo per Asgard! In una tormenta di neve sarebbe stata fine più appropriata!" –Tentò di ironizzare Alcor, strappando un debole sorriso al fratello, entrambi con le braccia aperte avanti a sé e il cosmo glaciale che turbinava in ogni direzione.

Ma il calore era insopportabile, persino per un Cavaliere, persino dietro la protezione rappresentata da un’armatura, pur rinata con sangue divino, e ben presto sia Sirio che i due fratelli dovettero ripiegare, arrancando a fatica, con il sudore che imperlava i loro volti e una stanchezza crescente. Con la vista appannata, Mizar non riuscì ad evitare un getto di lava diretto contro di lui da un Gigante di Fuoco, venendo spinto indietro e parzialmente ricoperto. Il grido di terrore che seguì, nel sentire il proprio corpo ardere sotto quel bollente liquido, risvegliò l’ultimo impeto bellico nella Tigre Nera, spingendolo a bruciare il cosmo più di quanto avesse fatto prima, portandolo al parossismo. Come quel giorno sull’Olimpo.

"Come in Grecia così adesso!" –Gli fece eco Alcor, unendo il proprio cosmo a quello di Mizar e tirando un’ultima veloce occhiata a Sirio, quasi a comunicargli, in silenzio, molte cose. Grazie, prima di tutte le altre. Per essere venuto a salvarmi e avermi permesso di essere qua adesso. A combattere con mio fratello.

"A morire con mio fratello!" –Ringhiò la Tigre Bianca, prima di far esplodere il proprio cosmo, assieme a quello di Mizar, liberando un’onda di energia congelante che spazzò via un gruppo di Giganti di Fuoco, paralizzandoli in pose che nessuna fiamma avrebbe sciolto nuovamente. Statue impreviste che andarono in frantumi poco dopo.

I figli di Muspell che si ergevano dietro i loro fratelli distrutti riversarono allora la loro rabbia in vampe rossastre che saturarono l’aria e la terra, abbattendosi sui due Cavalieri di Asgard e dilaniando le loro carni, fin nel profondo.

Sirio, disorientato dal caos in cui era immerso, e con enormi difficoltà visive e respiratorie, fu soltanto in grado di vedere Mizar e Alcor scomparire tra le fiamme, in un rogo che pareva non avere fine. Vidharr, che aveva perso conoscenza, giaceva tra le sue braccia, ed egli ne sentì tutto il peso, mentre pensava ad un modo per sopravvivere a quell’inferno.

Un Gigante di Fuoco diresse un fiotto di fiamme contro il terreno, trapassandolo e incendiando il sottosuolo, fino a farlo ricomparire sotto i piedi di Sirio e Vidharr, scagliandoli verso l’alto in un turbine rossastro. Il ragazzo tirò il figlio di Odino a sé, rannicchiandosi alla meno peggio e preparandosi per l’impatto con il suolo, più duro di quanto si fosse aspettato, a causa delle macchie di ghiaccio create da Mizar e Alcor che ancora resistevano in mezzo a quella pioggia di fuoco.

Sirio sbatté la spalla destra, incrinando il copri spalla, e scivolò di qualche metro, perdendo la presa sul corpo di Vidharr, che ruzzolò poco distante. Sputando sangue, il Cavaliere di Atena si rimise in piedi, mentre un getto di lava si schiantava di fronte a sé, liquefacendo quel che restava dei ghiacci eterni e creando un piccolo stagno.

Fu allora, in quell’acqua melmosa, che Sirio si ricordò della natura del suo potere, qualcosa a cui, troppo preso dagli eventi e dalla guerra in corso, non aveva prestato attenzione.

Sciocco! Si disse, ricordando lo scontro con Ian dello Scudo, Cavaliere Ombra decaduto, al Tempio di Discordia. Anche in quell’occasione ne ero immerso.

Bruciò il proprio cosmo, che risplendette vivido come una smeraldo, prima di entrare in sintonia con l’elemento cui più di ogni altro aveva attinenza, l’elemento su cui esercitava maggior controllo. Per Cristal era il gelo, per Phoenix era il fuoco, per Pegasus era la luce. Per lui era l’acqua.

Un vortice acquatico si schiuse attorno a sé, assumendo la forma di un dragone celestino, che roteò a fauci dischiuse prima di scattare verso il più vicino Gigante di Fuoco e penetrarlo, sciogliendosi al solo contatto e liquefacendo al tempo stesso anche la creatura.

"E uno!" –Si disse Sirio, consapevole comunque delle poche forze rimaste per un’impresa che si presentava titanica. Pretendere di sconfiggere i Giganti di Fuoco con singoli dragoni di energia acquatica è opzione risibile. Rifletté, evitando un getto di lava e bruciando il proprio cosmo. Pur tuttavia…

E si fermò, concentrando i sensi al massimo, mentre il cosmo fluiva attorno a sé, alla ricerca di aiuto. Alla ricerca di una fonte che sopperisse la distanza dalla Cascata del Dragone, distanza puramente fisica, poiché nel cuore ben l’aveva presente.

La raggiunse e ne percepì la forza antica, vivido testimone delle ere del mondo e delle guerre che si erano sostenute. Ancora adesso parte delle sue acque erano infette dalla carcassa dell’abominevole figlio di Loki, e forse quella sarebbe stata l’occasione per purificarle definitivamente.

Dammi la tua forza, possente Thund! Esclamò Sirio, penetrando le acque del fiume con il suo cosmo e facendolo risplendere di un acceso color verde. All’istante le insidiose correnti del corso d’acqua si sollevarono, increspandosi e assumendo la forma di mille dragoni lucenti, di fronte agli occhi esterrefatti di coloro che ancora combattevano lungo le sue rive.

Nelle acque è la forza di Sirio il Dragone! Nelle acque, pregne di storia e saggezza, vicino alle quali sono cresciuto e mi sono allenato, divenendo Cavaliere e uomo! Mormorò il ragazzo, ripensando agli scontri che aveva sostenuto in vicinanza di un corso d’acqua, come quelli con Demetrios, Ian dello Scudo e Cancer. Scontri che lo avevano visto vincitore e che gli avevano insegnato qualcosa. Soprattutto quello con il suo antico compagno d’addestramento. Là, sul fondo della Cascata dei Cinque Picchi, la mia corazza è stata nascosta per secoli, in attesa della mia venuta, irrobustendosi e prendendo forza da ciò che la attorniava! Allo stesso modo ho fatto anch’io, ogni volta in cui ne ho avuto bisogno, trovando la forza in coloro che avevo attorno e in me credevano! Il mio maestro, la mia compagna, i miei amici!

"E ugualmente farò oggi!!! Acque della Cascata dei Cinque Picchi, danzate in nome mio!!!" –Gridò, scatenando la furia del cosmo, mentre sopra di lui saettavano migliaia di dragoni composti di energia acquatica, che nascendo dal Thund compivano un arco sopra la città degli Dei, piombando poi sui Giganti di Fuoco.

Tutti vennero travolti e, per quanto tentassero di dimenarsi, di liberare fiamme e lava, furono spazzati via dalla marea lucente evocata da Sirio, che gli costò uno sforzo immane. Non riuscendo a mantenerla a lungo, alla fine dovette cedere alla stanchezza e crollare sulle ginocchia, mentre gli ultimi dragoni di energia acquatica si schiantavano attorno a lui, perdendo l’impeto vitale che li aveva fatti sorgere.

Con un ultimo barlume di coscienza, prima di crollare disteso al suolo, Sirio osservò Ásaheimr venir avvolta da un’immensa caligine. Né fuoco né fiamme, né draghi né maree più dominarono l’aria. Soltanto una coltre di fumo che non poteva però coprire la distruzione generata, né tamponare l’odore della morte che aleggiava per le strade della città degli Dei. Distruzione e morte che ancora camminavano sulle rovine dei Nove Mondi.

***

Pegasus era ancora debole a causa del veleno del Serpe del Mondo ma né Eir né Frigg riuscirono a farlo desistere dal voler scendere nuovamente sul campo di battaglia. Freya continuava a pregare per suo fratello, il cui cosmo aveva sentito esplodere poco prima, mentre Idunn si era da tempo rinchiusa in una silenziosa preghiera, interrotta da sporadici singhiozzi, dopo aver sentito svanire l’aura cosmica del suo sposo. E le parole di Frigg, che aveva visto la scena nella sua mente, le avevano confermato la morte di Bragi.

Il Primo Cavaliere di Atena ringraziò più volte le Asinne, esprimendo la volontà di combattere anche per ringraziarle dell’ospitalità e delle cure che gli avevano fornito.

"Soprattutto voi voglio ringraziare, Principe Balder!" –Esclamò, volgendo lo sguardo verso il bellissimo ed etereo figlio di Odino, che lo pregò di non badare ai formalismi e di pensare a stare bene.

"So che solo pensare di trattenerti sarebbe una battaglia persa in partenza e lungi da me andare incontro ad una sconfitta proprio con uno dei pochi uomini degni della stima e dell’ammirazione di mio Padre!" –Commentò, indicando con lo sguardo la spada di ghiaccio che Pegasus portava con sé. Balmunk, la lama di Odino.

"È anche per onorare la sua fiducia che devo combattere!"

La conversazione tra i due venne interrotta quando un paio di guardie irruppero nel salone principale di Fensalir, dove le Asinne e Balder erano riuniti, per informare di un incremento degli assalti alla residenza. Il figlio di Odino si scusò con Pegasus, che terminò di indossare la sua Armatura Divina, seguendo Frigg all’esterno.

Nell’ultima ora gli attacchi contro Fensalir erano aumentati, portati essenzialmente da un gruppo di defunti di Hel e di creature mostruose, che Balder dall’alto verone aveva riconosciuto come le Vilgemir.

Dispensatrici di sofferenze atroci, erano l’equivalente infernale delle Valchirie, ma propinavano urina di capra ai defunti, facendo loro rimpiangere l’idromele e la beatitudine del Valhalla. Anch’esse erano state armate contro gli Asi, vomitando il loro putrido cosmo contro le mura di cinta della Sala Paludosa, residenza di Frigg.

Balder le aveva respinte più volte ma a quanto pareva non era riuscito a farle desistere, così scese nuovamente nel giardino di fronte all’ingresso della reggia, dove alcuni Einherjar erano riuniti, con sua madre alle spalle, ed espanse il proprio cosmo, rilasciandolo sotto forma di un’onda di luce che si abbatté sulle mura, trapassandole senza danneggiarle e travolgendo poi tutti coloro che stavano all’esterno.

Placato il suo cosmo, il figlio di Odino sospirò, dispiaciuto ogni volta in cui doveva usare i suoi poteri per fare del male, fosse anche ai sanguinari servitori di Loki. Frigg gli pose una mano su una spalla, sospirando, prima di percepire qualcosa. Un frammento di visione che non riuscì però a comprendere a pieno.

"Che succede, madre?" –Domandò subito Balder, con premura.

"Non riesco a capire… Una sensazione familiare e al tempo stesso inquietante… Che cosa si cela agli occhi di Frigg?!" –Mormorò la donna dai riccioli biondi, prima che la voce di una vedetta distraesse entrambi.

I portoni delle mura difensive si socchiusero leggermente, tanto bastava per far risaltare un’imponente sagoma che entrambi ben conoscevano.

Alto e robusto, con un viso austero e barbuto, lunghi capelli grigi spettinati e un’ampia fronte su cui le rughe avevano scavato i segni del tempo, Odino, il Padre di Tutti, avanzò a passo fiero all’interno della residenza, rivestito dalla sua splendida Veste Divina. Nonostante la rigida postura, sia Balder che Frigg non mancarono di notare che il nume zoppicava leggermente, e che la corazza era in parte macchiata di terra e aloni di fumo, probabili residui della guerra in corso.

"Padre!!!" –Esclamò il Sole di Asgard con un gran sorriso, incamminandosi verso di lui.

"Mi rallegra vederti qua, Balder! Ero andato a Breidablik e con orrore ho visto la tua residenza in fiamme, travolta dalle vampe di guerra portate dai figli di Muspell! Non trovandoti, ho temuto il peggio! Per te, e per me!"

Balder stava quasi per chiedere a Odino perché si fosse recato alla sua residenza, ben sapendo che il figlio si trovava a Fensalir, su suo stesso ordine, quando sentì qualcosa trapassargli una coscia. Un affondo repentino, più rapido del tempo di reazione del Sole di Asgard. Un affondo portato a tradimento, di fronte allo sbigottimento di tutti i presenti.

"Co… cosa?!" –Balbettò il giovane, spostando lo sguardo prima sulla coscia sanguinolenta, ove una lunga lancia grigia svettava come una bandiera di morte, quindi a colui che l’arma brandiva, suo padre, sul cui volto era comparsa un’espressione di soddisfazione estrema. Soddisfazione che accompagnò il ritirarsi di Gungnir e un nuovo affondo nel corpo di Balder, subito seguito da un terzo, nel basso ventre.

"Ma che stai facendo?! Odinooo???!" –Gridò Pegasus, rimasto spiazzato dal rapido susseguirsi dei fatti. E portò il pugno destro avanti d’istinto, liberando una sfera energetica che si schiantò su Gungnir, distruggendola e facendo balzare Odino agilmente indietro. Troppo agilmente, date le sue ferite.

Frigg, rimasta immobile al suo fianco, si accasciò in lacrime, tremando, in preda ad un attacco isterico, e venne presto raggiunta da Eir, Idunn e Freya, che arrivarono correndo dall’interno di Fensalir, avendo percepito lo spegnersi improvviso del Sole di Asgard.

"Che è successo? Che succede?!" –Gridò Freya, incapace di comprendere quell’anomala situazione per cui Odino se ne stesse in piedi, sazio del sangue da lui sparso, ad osservare Balder esanime in una pozza di sangue.

"Lui… Odino… ha infilzato il figlio con la lancia…" –Balbettò Pegasus, prima che la voce della Signora del Cielo richiamasse la sua attenzione e quella delle Asinne.

"Non è Odino! Non può essere lui!" –Mormorò, tra le lacrime scroscianti, mentre Idunn la aiutava a rialzarsi. –"Come ho potuto essere così cieca? Di nuovo! Com’è possibile che non sia riuscita a predire… la morte di mio figlio?!"

"Che cosa?!" –Ringhiò Pegasus, voltandosi di scatto verso l’uomo che si era palesato come il Signore di Asgard e osservando i lineamenti che avevano iniziato a mutare, a farsi più morbidi, rivelando una sagoma ben diversa. Più snella, più ammaliante. Più malvagia.

"Egli di Odino è la nemesi! Il suo nome è Loki, il Tessitore di Inganni!" –Sentenziò Frigg, prima di perdere conoscenza.