CAPITOLO TRENTANOVESIMO: SCELTE.

"Come vedi ho mantenuto la promessa, Regina di Midgard! Tua sorella sta bene!" –Ironizzò Loki. –"Mal che vada prenderà un raffreddore!"

"Ne sono lieta, la mia prima impressione su di te non è cambiata dunque! Alzati adesso e aiutami a sconfiggere Surtr Glötoðr!" –Esclamò fiera Ilda, rivestita dall’armatura della Valchiria. –"Insieme possiamo farcela!"

"Umpf, ora inizi a pretendere troppo, come tutte le donne!" –Sbuffò il Nume, toccandosi la ferita aperta sul fianco, che gli bruciava come non mai, ricordandogli ustioni diverse ma ugualmente dolorose provate in passato. –"Sapete che vi dico, siete una bella compagnia, guarda là, un esercito siete! Ve la caverete anche senza di me, che, a ben pensarci, non ho motivi per farmi arrostire dal Distruttore!"

"E invece uno ce l’hai! Avere la tua vendetta!" –Lo fermò Ilda, alzando la voce. –"Se te ne vai adesso, con la rabbia nel cuore, non cambierà niente, sarai ancora la vittima, il martoriato padre di famiglia che ha visto morire i figli e la sua sposa e non è stato in grado di tributare loro i giusti onori! Ma se combatti, se ci aiuti a spegnere la fiamma di Surtr, non sarai vissuto invano, tutti questi secoli trascorsi nell’ombra a tessere inganni contro Odino e gli Asi non li avrai spesi inutilmente!"

"Supponendo per un attimo che io decidessi di aiutarvi, e sottolineo il supponendo, come lo fermiamo un gigante la cui fiamma pare eterna, in grado di resistere persino al Soffio del Grande Inverno?!"

Ilda glielo disse e Loki sgranò gli occhi sconvolto, non ritenendo fattibile una simile possibilità –"Non posso usare le rune." –Scosse la testa, ma la donna incalzò.

"Puoi invece, basta che tu lo voglia, ardentemente lo voglia, come hai desiderato sedere sul trono di Odino per tutti questi secoli! E proprio adesso che avresti potuto, proprio ora che i tuoi sogni stavano per concretizzarsi, vincendo una profezia di millenni, questo gigante distruttore ti ha tarpato le ali!"

Nel frattempo Alexer stava tenendo a bada le fiamme, grazie ad un recinto di fulmini con cui le aveva circondate, ma era certo che non sarebbe riuscito a contenerne la furia ancora per molto tempo. Kiki, su ordine di Cristal, aveva preso Flare per un braccio, teletrasportandosi di nuovo alla cittadella di Asgard, nonostante le resistenze della ragazza. Pegasus aveva insistito che anche Atena andasse con loro, per metterla al sicuro, ma la risolutezza nello sguardo della Dea aveva vinto sulle sue premure.

In quel momento Surtr piantò la spada di fuoco nel suolo, iniettandovi una vampa oscura che ribollì sotto i piedi di Alexer, scagliandolo in alto all’improvviso. Euro spalancò le ali della Veste Divina, lanciandosi al salvataggio, mentre Mur sollevava il Muro di Cristallo per impedire alle fiamme di raggiungere i suoi compagni.

"Fino alla fine." –Si dissero Pegasus e gli altri, prima di scattare avanti. –"Fulmine di Pegasus!" –Gridò il ragazzo, crivellando il suolo tra lui e Surtr e sollevando terriccio e neve, con cui spense le fiamme e sommerse le gambe del Distruttore, su cui subito dopo si abbatterono migliaia di dragoni di energia acquatica. –"Per il Sacro Acquarius!" –Urlò allora Cristal, travolgendo il Gigante di Fuoco con le correnti dell’aurora.

"Adesso!" –Intervenne Andromeda, liberando la Nebulosa omonima ma avendo cura di canalizzarla in una corrente che circondò Surtr, salendo dal basso verso l’alto, in modo da accompagnare le gelide acque dell’aurora.

Euro, depositato Alexer a terra, scatenò la furia del Vento di Levante, che diede vigore alla corrente della nebulosa, permettendo ai ghiacci di ricoprire di nuovo Surtr.

"Un bel lavoro di squadra! Ma sappiamo entrambi che non basterà!" –Osservò Ilda, rimasta indietro assieme a Loki e ad Atena. –"Non finché non spezzeremo la magia oscura che sorregge il Distruttore!"

"Tu sai?" –Bofonchiò Loki, sfiorando il monile che portava al collo e che riluceva cupo. Una pietra nera. –"Per tutto questo tempo mi ha dato potere, e mentre Ragnarök era in corso ho sentito i miei poteri crescere. Ma dopo il crollo dei mondi, sembra che non mi sfami più, che abbia anzi iniziato a succhiarmi energia, anziché darmene!"

"Una pietra nera?!" –Intervenne Atena, attirando anche lo sguardo interessato di Reis e Jonathan. –"Anche Crono ne aveva una. E Flegias, Maestro di Ombre!"

"Flegias? Certo, fu lui a farmene dono, affinché la usassi per liberarmi dalle mie prigioni!" –Spiegò Loki. –"In tutta onestà, la prima volta in cui mi fece visita, se avessi avuto le forze gli avrei riso in faccia. Pensare che la progenie bastarda di un Dio greco avesse il potere di vincere la cattività cui gli Asi mi avevano condannato era pura utopia. Eppure, da quel giorno, da quando mise questa pietra attorno al mio collo, la mia energia aumentò fino a permettermi di sollevarmi di nuovo e iniziare a tessere la tela del mio progetto di rivalsa, progetto cui lo stesso Flegias collaborò sobillando la rivolta dei figli di Muspell contro Asgard!"

"Ancora lui! Si è servito di Crono, di Ares, persino degli Dei del Nord, per ottenere cosa? Certo non per ricevere lodi da suo padre!" –Rifletté Atena.

"Se davvero ne discende…" –Esclamò Loki. –"Io credo che sia molto di più del figlio di un Dio minore. Egli è un’ombra."

"E a quanto pare era nei suoi interessi il risveglio di Surtr! Che la sorgente cui il Nero attinge sia la stessa origine dei suoi poteri?"

Anche Ilda, grazie a Bjarkan, aveva percepito un’energia oscura addensarsi alle spalle del Distruttore, un’energia infinita che gli permetteva di non essere mai stanco e di vanificare gli sforzi dei Cavalieri.

Ancora una volta infatti le fiamme di Surtr esplosero, sciogliendo il ghiaccio e riportandolo in libertà, di fronte agli occhi sgomenti di Pegasus e degli altri amici. Una tempesta di fuoco li spinse indietro, obbligandoli a creare una barriera con i loro cosmi, mentre il Principe Alexer mitragliava la schiena del Distruttore con continue scariche di folgori, senza però rivelarsi armi risolutive. Il gigante di fuoco liberò la frusta, con cui afferrò Euro per le ali, mentre era in volo attorno a lui, sbattendolo a terra in malo modo, stritolato da vampe incandescenti, prima di scagliarlo contro lo stesso Alexer e abbatterli entrambi.

"Posso contare su di te, Grande Ingannatore?" –Chiese allora Ilda.

Loki la fissò con sguardo neutro, senza lasciar trasparire le sue intenzioni, quindi, avanzando di qualche passo, deplorò la rovina dei mondi e l’incendio universale che Surtr voleva diffondere.

"Non era così che doveva andare. Non era questo quel che volevo!" –Si limitò a commentare, ottenendo uno sguardo d’assenso da parte della Regina di Polaris. –"Il mondo su cui avrei voluto dominare è tramontato, arso da un potere che io stesso ho scatenato, un potere più grande di me! Beh… almeno la soddisfazione di mettergli i bastoni tra le ruote a quel bastardo di un ateniese voglio levarmela!" –Rise infine, espandendo il proprio cosmo.

"Tutti insieme, Cavalieri!" –Gridò allora la Celebrante di Odino, subito affiancata da Atena.

Il cosmo delle due donne spinse Surtr indietro mentre i fulmini siderali di Alexer impedivano alla sua frusta di allungarsi troppo, trinciandola ogni volta in cui puntava su di loro. Ad un cenno di Pegasus, i Cavalieri dello Zodiaco liberarono di nuovo i loro assalti, immobilizzando Surtr al suolo, come in precedenza. Ma quando credettero che il Distruttore si sarebbe liberato di nuovo, sentirono una gelida corrente spirare dalle loro spalle.

"Soffio di Fimbulvetr!!!" –Gridò Loki, investendo Surtr con una bufera così furiosa come soltanto in Hel poteva verificarsi. Con un balzo felino, il Burlone fu ai piedi del Nero, il palmo della mano aperto avanti a sé, per scaricargli contro tutta l’energia che aveva, fino all’ultima goccia, impiegando anche il cosmo che finora aveva usato per nascondere le ustioni e apparire ancora bello e affascinante come gli piaceva essere. Ogni fibra del suo corpo andò in tensione, le cicatrici baluginarono tetre sulla sua pelle, le vene parvero esplodere, sottoposte al più grande degli sforzi, quello con cui il Fabbro di Menzogne metteva in gioco la propria vita.

Un inverno senza fine avvolse Surtr, impedendogli anche il più piccolo movimento, isterilendo anche la fiamma più intensa. Ma, ben sapendo che con aiuti esterni avrebbe potuto liberarsi, Loki non gli diede tregua, inerpicandosi su di lui fino a portarsi sopra la sua testa ghiacciata, proprio mentre una luce rossastra iniziava a filtrare dalle prime crepe comparse sulla statua.

"Non ho bisogno di alcuna pietra per essere quello che sono!" –Disse, strappando la collana che aveva indosso e gettandola a terra, prima di esplodere in una folle risata. –"Io sono Loki Hveðrungr, figlio di Farbauti e Laufey, della gloriosa stirpe dei Giganti di Brina! Io sono la nemesi di Odino, il Burlone Divino, il supremo Dio di Vittoria, il vento che mormora agli orecchi del Guercio i continui tentativi di detronizzarlo! E voglio che il mondo mi ricordi così! Per sempre!" –Quindi, sollevando l’indice di fronte a sé, evocò la runa di ghiaccio, la prima che aveva imparato ad usare, essendo il suo elemento originario. –"Isa!!!"

La linea di energia, tracciata in aria, rilucette di intensa luce azzurra, mentre Loki roteava su se stesso, sollevando cerchi concentrici di ghiaccio con cui stava circondando Surtr, fermandolo in quel momento del tempo cosmico.

Fu allora che Ilda lo raggiunse, di fronte agli occhi straniti dei Cavalieri dello Zodiaco e della stessa Atena, che non avevano compreso quel che la Celebrante aveva in mente di fare.

"Prenditi cura di Flare, te ne prego! Avrà bisogno di te!" –Sussurrò a Cristal, passandogli accanto. –"Grazie di tutto, amica mia!" –Aggiunse, sfiorando la mano di Isabel. –"Non essere triste, non c’è niente di triste nell’adempiere al proprio destino! Dovresti saperlo meglio di chiunque altro! La nostra schiavitù è soltanto una facciata! In fondo dovremmo essere lieti di dare la vita per proteggere coloro che amiamo! Nient’altro potrebbe renderci più felici che non donare loro un futuro!"

"Ilda…" –Mormorò Atena, osservando la donna entrare all’interno dei cerchi di ghiaccio, arrampicandosi sul corpo paralizzato del Nero fino ad afferrare la mano che Loki gli aveva porto per aiutarla a salire in cima.

"Bjarkan me lo mostrò! La fiamma di Surtr non può essere spenta! Pur tuttavia può essere sigillata, mantenuta sotto uno strato di ghiaccio continuo al punto da non essere più in grado di avvampare! Le rune di Loki la fermeranno e gli Dei di Asgard gli daranno l’energia per adempiere al suo compito, ponendo fine a millenni di contese e vanità!" –Parlò Ilda, esortando i Cavalieri ad allontanarsi. –"Che la forza degli Asi, dei Vani e di tutti i popoli liberi dei nove mondi fluisca in me, Ilda del casato di Polaris! Che le memorie del tempo antico non vadano perdute ma perdurino in un eterno presente! Risplendi Luce del Nord!!!"

L’abbagliante energia prodotta dalla Celebrante di Odino investì Loki e Surtr, distruggendo il terreno attorno e spingendo Atena e i Cavalieri indietro. Quando la luce scemò di intensità e i presenti tornarono a vedere, si accorsero che non c’era più niente attorno a loro. Tutto era scomparso. Ogni traccia dei nove mondi era svanita con Ilda, Surtr e Loki. Il crepuscolo degli Dei del nord si era infine realizzato.

Solo allora, guardandosi attorno con gli occhi pieni di lacrime, Pegasus ricordò quel che Odino gli aveva detto a Fensalir. Le ultime strofe della Profezia della Veggente.

"Affiorare lei vede ancora una volta la terra dal mare di nuovo verde. Cadono le cascate, vola alta l'aquila, lei che dai monti cattura i pesci."

Era vero, si disse. Una nuova terra era nata, perché quello era il significato di Ragnarök. Non l’apocalisse, non morte e distruzione, bensì rinascita. La fine di un ciclo cosmico e l’inizio di uno nuovo. Loki l’aveva compreso soltanto in fondo, Ilda invece ne era stata consapevole fin dall’inizio.

"Molte cose sono straordinarie. Eppure nulla è più straordinario dell’uomo." –Commentò il ragazzo, ricordando quel che Castalia gli aveva detto un giorno, durante il suo addestramento, per spingerlo a lottare, a continuare a provarci sempre, citando un qualche filosofo dell’Antica Grecia di cui non ricordava il nome. Ed aveva ragione. Ilda glielo aveva appena dimostrato e, a modo suo, anche Loki.

Voltandosi, Pegasus vide Andromeda in ginocchio piangere la scomparsa della Celebrante di Odino, con Phoenix che gli poggiava una mano su una spalla, mentre un addolorato Cristal, in piedi accanto a Sirio, si chiedeva in che modo sarebbe riuscito a dirlo a Flare, come avrebbe potuto dirle di aver lasciato morire sua sorella.

"Credo che lei lo sappia già!" –Commentò Atena tra le lacrime, riferendosi ad una lettera che Ilda aveva scritto per Flare, una lettera che, ne era certa, Enji aveva di certo già consegnato alla Principessa, adesso Regina di Asgard.

Mia dolce Flare, so che non approverai la mia scelta, che non capirai cosa può spingere un essere umano a rinunciare alla vita, tu che sei bella e giovane e così piena di amore, verso gli altri e verso la vita stessa. Ma era il mio destino, cui ero stata chiamata tempo addietro, quando Odino mi nominò sua celebrante, al posto di nostro padre. Ricordi quei tempi? I sorrisi spensierati della giovinezza? Un periodo che forse è scivolato via troppo in fretta dalle nostre vite, chiamati, fin da subito, all’amministrazione e alla cura del regno. Molte prove abbiamo affrontato insieme, superandole grazie alla nostra forza interiore e all’aiuto dei guerrieri fedeli ad Asgard e degli amici di Atene, un’alleanza, quest’ultima, che sono certo continuerai a coltivare.

Sorrido, pensando alla vita che ti aspetta, alle gioie di un amore che sono certa saprai vivere fino in fondo, dando tutta te stessa. Ugualmente sono certa di lasciare la cura di Asgard in buone mani, in quelle di una principessa cresciuta e maturata e pronta per essere regina. Dure prove ti aspettano, la ricostruzione della nostra bella città in primis, la rinascita della nostra Asgard. Io ti applaudirò da lontano, fiera dei tuoi trionfi, e ti aspetterò, assieme ai nostri genitori, a Orion e agli altri Cavalieri. Un giorno ci abbracceremo di nuovo. Un giorno, oltre le nuvole. Con amore, Ilda.

Flare, seduta sul letto della sorella nella Torre della Solitudine, scoppiò in lacrime, mentre Kiki la abbracciava dispiaciuto. Enji, che aveva compreso quel che era accaduto, diede ordine agli arcieri di caricare gli archi e tenderli più che avessero potuto, per offrire alla Celebrante un ultimo saluto da parte della sua gente. Ad un suo ordine una pioggia di frecce solcò il piazzale della cittadella, perdendosi oltre i rilievi di confine, dirette verso il mare, laggiù, lontano.

Quello stesso mare, molte miglia a nord, che Pegasus stava fissando in quel momento, sgombro infine dei relitti dei nove mondi. E forse, si disse, voltandosi e cercando Isabel con lo sguardo, è ora di sgombrare anche il cuore dai relitti del passato.

Atena era intenta ad aiutare Mur nel prendersi cura dei Cavalieri, suturando le loro ferite con il cosmo. Andromeda stava raccontando al fratello quel che Arvedui gli aveva spiegato riguardo le sue nuove capacità, mentre Cristal, nonostante le premure di Sirio e degli altri, aveva preferito rimanere da solo, incamminandosi lungo la costa. Non era così che aveva pensato di tornare a casa, non era con le lacrime agli occhi che aveva sperato di riabbracciare Flare. Già, Flare. Si disse, e quel pensiero bastò a fargli palpitare il cuore. Come sarebbe cambiata la sua vita adesso, forse più di quanto non le fosse cambiata negli ultimi mesi. Adesso che sarà la Regina di Asgard.

E lui? Cosa sarebbe rimasto di loro?

Avrebbe dovuto mettere da parte il passato, trovare la forza per vivere nel presente e costruire assieme a lei il loro futuro. Tre parti della stessa promessa che Cristal aveva fatto con se stesso, e che avrebbe voluto rinnovare presto a Flare. Voltandosi per chiedere consigli al Principe Alexer, si accorse solo allora che il suo mentore se ne era già andato. Erano rimasti soltanto loro cinque, Mur, Atena e i due Cavalieri delle Stelle.

Reis e Jonathan non avevano detto alcunché da quando Ilda e Loki erano scomparsi, rattristati per la sorte della Celebrante ma sentendosi di troppo in quel momento intimo che Pegasus e i suoi amici avrebbero dovuto condividere soltanto tra loro. Camminando lungo i margini dell’isola, il Cavaliere di Luce raccolse la Pietra Nera che Loki aveva gettato via, sicura che il loro maestro avrebbe voluto studiarla. Fu mentre pensava a lui che percepì una vibrazione nello spaziotempo, voltandosi verso il Comandante Ascanio appena apparso alle sue spalle.


"Avalon è in pericolo. C’è bisogno di voi!" –Esclamò il figlio del drago, afferrando i due compagni e avvolgendoli nel suo cosmo, prima di scomparire.

***

Quando rinvenne, cercò subito di tirarsi su, di rimettersi in piedi, di assumere il portamento tronfio che lo contraddistingueva. Ma si accorse che attorno a sé regnava l’oscurità, la stessa che lo aveva strappato alla battaglia. Una tenebra che pareva non avere fine. Ovunque girasse lo sguardo, anche solo per capire dove si trovasse, i suoi occhi si perdevano nel mare nero in cui era immerso.

Stordito, cercò di riordinare i frammenti dei suoi ricordi, di mettere fine a quel mal di testa che non gli dava pace, ma faticava. Faticava a comprendere cosa fosse accaduto, come avesse potuto perdere il controllo della situazione a pochi passi dalla vittoria. Perché, di questo ne era certo, la vittoria l’avrebbe arriso, come in molte altre guerre che nel Mondo Antico aveva combattuto.

Sebbene quelle con Atena le avesse sempre perdute.

Mise da parte quel crudo pensiero e si sollevò, le gambe che gli dolevano per lo sforzo e per le ferite subite in battaglia, per quanto la sua Veste Divina avesse impedito che riportasse lesioni peggiori. Ferite impreviste, ringhiò tra sé, causate da infanti indegni persino di porre lo sguardo su di lui.

Pensare che esseri simili, paladini di una Divinità da sempre considerata inferiore, da sempre derisa per il suo patetico pacifismo, fossero riusciti a colpirlo lo faceva imbestialire. E sentirsi prigioniero in quella valle d’ombra, privato del suo canale di sfogo, lo faceva avvampare. Un’improvvisa fiammata che squarciò le tenebre.

Una fiamma che gli permise di vedere che si trovava in una caverna. Un vasto antro sotterraneo dal cui soffitto pendevano carote di roccia. Ma questo non contribuiva a fargli comprendere dove fosse finito. E soprattutto perché.

Fu in quel momento, mentre placava il suo ardente cosmo, che sentì una voce, un suono indistinto che pareva provenire da nessun luogo se non da se stesso, dal profondo della sua anima. Dal suo cosmo. Una voce antica come il mondo, intrisa dello stesso sapore di tenebra che lo circondava.

Gli bastò un attimo per capire, mentre attorno a sé apparvero sagome indistinte, ombre di Divinità conosciute in passato, alcune delle quali lo avevano persino sfidato. Le vide tutte, fluttuargli attorno come fantasmi, con le bocche distorte in urla spaventose, che al suo orecchio non producevano però alcun suono.

Vide Morfeo, dallo sguardo spento, meditare sugli incubi in cui presto si sarebbero trasformate le vite degli uomini, incubi dal tetro nome di realtà. Vide Ebe, Coppiera degli Dei, nascondersi spaventata dietro le vesti di Apollo, la cui lira era suono troppo lieve, troppo gentile, per annunciare l’era oscura in cui stavano precipitando. Vide Artemide, che ringhiava furibonda, incatenata da lacci di tenebra che le impedivano di esprimere la sua selvaggia essenza. Vide Dioniso, Eos, la bella Afrodite, Pan e molti altri. Persino Ade lo fissò per un istante solo, con i suoi occhi blu, svanendo poco dopo con tutta la sua malinconia.

Infine, sopra tutti loro, percepì un’ultima presenza, la stessa da cui le ombre degli Dei caduti cercavano di fuggire, sconfitte sempre, vittoriose mai. E si inchinò di fronte a lui, dichiarandosi pronto a servirlo.

***

Sedeva Zeus Olimpio sull’alto scranno, stringendo inquieto la folgore suprema e lasciando che scintille di energia brillassero nella quieta sala, solleticandogli la mano. Aveva seguito, tramite il suo cosmo divino, gli eventi occorsi in Asgard, palesatisi con maggior chiarezza quando i mondi erano crollati e dell’antica divisione del nord del mondo non era rimasto niente. Soltanto le ceneri.

Che a uguale sorte sia destinato anche il Regno di Grecia? Che la generazione degli Olimpi, terza stirpe divina, sia condannata a perdersi?

Sbuffando, il Cronide scostò una ciocca dei suoi morbidi capelli all’indietro, prima di sollevarsi ed espandere il suo cosmo, che come sole sorgente illuminò l’intero salone ove il Concilio degli Dei superstiti aveva avuto luogo. Vuoto e spento, così adesso gli appariva, come non aveva avuto occhio, né coraggio, per vederlo negli ultimi anni, da quando aveva lasciato che l’ambrosia e i bei seni delle ninfe obnubilassero il suo giudizio.

Quel che Avalon gli aveva detto, le crude parole che gli aveva rivolto, avevano colpito nel segno, per quanto il suo orgoglio regale non l’avrebbe mai ammesso. Ben più giudizioso di lui il Signore dell’Isola Sacra si era dimostrato, portando avanti un silente lavoro di preparazione, per sé e per i suoi fedeli, in vista dell’ultima ora. Una memento mori che Zeus aveva rimosso e rifuggito, per non dover ammettere che tale effettivamente fosse.

Eppure sapeva che quel giorno sarebbe arrivato, lo aveva saputo fin dai tempi del regicidio, e con esso sarebbe giunta la fine di tutti i giorni. Il momento in cui passato, presente e futuro avrebbero smesso di essere per divenire un immenso ora. Un qui e subito oltre il quale non avrebbe potuto esistere alcunché. Giacchè tutto sarebbe stato consegnato nelle mani dell’unico creatore. Di nuovo.

Due colpi alla porta disturbarono le sue riflessioni, portandolo a volgere lo sguardo verso l’ingresso del salone e a spalancare con il cosmo le massicce porte, lasciando che tre sagome penetrassero al suo interno. In prima fila, leggiadro e scattante, il Dio cui millenni addietro aveva affidato l’incarico di essere il suo Messaggero, compito cui mai era venuto meno, neanche nei giorni più ingrati.

"Mio Signore, la missione è compiuta!" –Esclamò Ermes, fermandosi di fronte a Zeus e chinando il capo. Quindi, non aspettando risposta da parte del suo re, si spostò di lato, per indicare il Luogotenente dell’Olimpo, alle sue spalle, e la figura che si ergeva al suo fianco.

Nonostante fossero trascorsi secoli dal loro ultimo incontro, Zeus non aveva dimenticato il volto severo di suo fratello. Uno dei tre con cui si era spartito il mondo, affidandogli gli abissi oceanici.

"Sebbene il tempo per un Dio sia poca cosa, è d’uopo affermare che tanto ne è davvero passato. Troppo. Ma sono lieto che tu abbia ben pensato di richiamarmi, in quest’ora fatale." –Esclamò la Divinità, stringendo con forza il tridente in scaglie d’oro che riluceva al bagliore del suo cosmo. La sua vera mitologica essenza.

"Immagino che tu conosca i motivi che mi hanno portato a questa decisione! Decisione per altro non condivisa da mia figlia Atena!" –Spiegò Zeus, facendo strada all’interno della Sala del Trono.

"Non mi stupisce. Nonostante la sua condizione di Divinità, tua figlia è sempre stata umana, e come tale capace di provare magnifici quanto controproducenti sentimenti!" –Precisò l’altro Nume, accennando un sorriso. –"E tale virtù riesce a imprimerla anche a coloro che in nome suo combattono, forti di un amore che nessun’altra Divinità è mai riuscita a generare nei suoi seguaci!"

"Eppure dovrà crescere, adesso, e mettere da parte la sua natura umana per non essere travolta dalla grande ombra che si sta risvegliando a est! Se i calcoli di Avalon sono corretti, e non ho motivi per dubitare che non lo siano, il tempo è giunto! L’ultimo granello di sabbia adamantina è caduto! Il varco tra i mondi si sta aprendo!"

Nettuno, fratello del Sommo Zeus e Imperatore dei Mari, a quelle parole impallidì.