CAPITOLO SETTIMO: BIFROST.

Himinbjörg, o Rocca del Cielo, era la residenza di Heimdall. Là, ai limiti di Asgard, in un luogo oltre le nuvole dove l’occhio umano non poteva giungere, la sentinella celeste svolgeva a pieno ritmo il suo compito, vigilando su Bifrost con solerzia impareggiabile, di giorno e di notte.

Abituato a dormire poco e sempre pronto a destarsi al minimo rumore, il Custode del Ponte Arcobaleno poteva sentire persino l’erba frusciare in lontananza. La dedizione che metteva nel suo lavoro era impagabile, al punto che tutti, nell’intera Ásaheimr, ne erano a conoscenza e da sola bastava a farli sentire protetti, certi che il Dio Bianco vigilasse su tutti loro.

Non si era mai sposato, preferendo una vita solitaria ma utile al suo popolo e fedele al suo compito, che per lui non era soltanto un lavoro, ma qualcosa di più. Una ragione personale, il motivo stesso della sua esistenza. Qualcuno ironizzava persino sul fatto che, qualunque cosa accadesse nel mondo, ne veniva prima a conoscenza Heimdall, dai sensi sempre desti, e poi il Signore degli Asi, assiso sull’alto seggio.

Anche Odino lo ammirava, invitandolo spesso ai banchetti a palazzo e ricevendo sempre in risposta cordiali rifiuti. Al Guardiano di Bifrost tutte quelle chiacchiere non interessavano, rifuggendo la vita mondana e i discorsi da salotto, come pure il clangore degli scontri tra gli Einherjar nel cortile del Valhalla. Bramava soltanto la tranquillità, necessaria per adempiere al meglio al suo lavoro, che solo nell’isolamento della sua residenza poteva trovare.

Anche quel giorno era seduto là, con la schiena rivolta ad Asgard, a sorseggiare beato una coppa di idromele, ripensando al rinnovato incontro con Flare e Cristal il Cigno.

Non ne aveva fatto parola a nessuno, neppure alla Principessa di Midgard, ma nelle movenze del Cavaliere di Atena c’era qualcosa che non lo aveva convinto a pieno. Lo aveva incontrato solo due volte, ma in quelle occasioni gli era sembrato ben più freddo e controllato, meno cordiale di come gli si era rivolto quel giorno.

Sorrise, portando nuovamente le labbra alla coppa d’oro, ritenendo che fosse la vicinanza di Flare, e l’amore che indubbiamente provava per lei, ad averlo sciolto un po’, ad averlo reso meno guerriero e più umano. Motivo questo che rafforza sempre più le mie convinzioni! Mai mescolare donne e lavoro! Ironizzò il Dio, alzandosi e muovendosi verso la stalla, per controllare la salute di Gulltoppr, il suo bellissimo destriero dalla criniera d’oro fino.

Proprio in quel momento percepì qualcosa di strano. Un tuono in lontananza. Un rimbombo soffocato, sospinto dal vento, che pareva provenire dall’altra parte.

Dall’altro lato della montagna sacra! Si disse, afferrando la sua ascia e legandola in vita, prima di incamminarsi lungo Ásbrú, il Ponte Arcobaleno, una delle cui estremità terminava proprio a Himinbjörg.

Forse non era niente di importante, forse era solo la sua immaginazione a giocargli strani scherzi, la sua mania di perfezionismo, come Odino e Freyr amavano indicarla con bonaria ironia. Ma c’era qualcosa, nell’aria silenziosa di quel giorno, che lo faceva temere al peggio. Ed egli, il vento, era abituato ad ascoltarlo.

Avanzò a passo fiero lungo Bifrost, mentre il cielo intorno a lui perdeva la lucentezza propria della terra degli Asi, caricandosi di nuvole bigie. Tese gli orecchi, per percepire ogni movimento, e gli parve di udire il rumore di una massa di terreno che crollava, come se un pezzo di mondo si fosse staccato e stesse precipitando.

Una frana! Comprese. A Midgard, nel Recinto di Mezzo.

A differenza di Odino, Heimdall provava simpatia per gli uomini e spesso, nelle sue veglie solitarie lungo la tremula via, tirava uno sguardo verso le terre dove vivevano e dove si ingegnavano per sopravvivere, nel tentativo di strappare all’eternità una fetta per loro stessi. Non che gli piacesse tutto quel che vedeva, quelle guerre continue che infiammavano la superficie del pianeta, ma non poteva negare che non fossero poi così diverse dalle battaglie che gli stessi Dei di Asgard avevano combattuto agli inizi dei tempi. Anch’essi contro membri della loro stessa stirpe.

Midgard, comunque, non era mai stata per Odino fonte di preoccupazione, tranne nel periodo di poco successivo alla sua costruzione, ma nell’ultimo anno sembrava aver attirato di nuovo l’interesse degli Asi, essendo stata, per ben tre volte, teatro di eventi a dir poco inconsueti. Eventi bellici, che non imperversavano nella regione da almeno quindici o vent’anni terrestri.

Prima la Celebrante di Odino aveva dichiarato guerra ad Atene, riarmando l’esercito del Nord e mandando a morte tutti i suoi esponenti, ingrossando quindi le fila degli Einherjar. Poi Midgard era stata attaccata da un gruppo di Cavalieri che Heimdall non aveva mai visto prima, le cui armature celesti ed eteree avevano fatto sospettare all’attento Custode che si trattasse di combattenti dell’Olimpo. Infine, neppure tre mesi prima, un mostro gigantesco, che pareva essere uscito dalla pancia della gigantessa Angrbodhra, aveva cercato di distruggere la cittadella.

Niente male per una roccaforte isolata sul Mare Artico! Commentò il Dio, giunto ben oltre la metà dell’Arcobaleno, in un punto dove poteva ammirarne la fine, sulla terrazza della montagna sacra eretta da Odino a limite invalicabile per gli uomini.

La sentinella poté sentire chiaramente rumori di lotta e clamori di beghe umane provenienti dalla Terra di Mezzo e, nell’odore dell’aria, percepì il sapore di millenni di terra mai mossa che improvvisamente era stata violata. Si incupì, chiedendosi come mai Cristal e Flare non ne avessero fatto parola e come potessero, soprattutto, avere quell’espressione trasognata. O forse sono io che sto sognando? Rifletté, prima di voltarsi e incamminarsi lungo il Ponte Arcobaleno, per tornare a Himinbjörg e inviare un messaggio a Odino.

Fu in quel momento che lo udì.

Un fruscio leggero, impercettibile. Un alito quasi. Ma che lo spinse a girarsi in tempo per evitare un dardo che gli sfrecciò accanto al viso, strappandogli persino un ciuffo dei suoi lunghi capelli castani, che raramente aveva tagliato nel corso dei millenni, non amando sprecar tempo in simili sottigliezze.

"Che… cosa?!" –Mormorò, spalancando gli occhi per la prima volta sorpreso.

Davanti a lui, apparsa dal nulla, una nave di legno si stagliava in aria e sul suo ponte un gruppo di guerrieri, rivestiti da armature dallo stile simile a quelle dei Cavalieri di Midgard, lo fissavano minacciosi. Uno di essi, dalla corazza color blu notte, ancora impugnava l’arco con cui aveva scoccato la freccia che lo aveva quasi raggiunto, e stava già caricando il prossimo dardo.

"Com’è possibile?!" –Balbettò il Dio, incredulo che qualcosa di così grosso avesse potuto celarsi alla sua vista e al suo udito. Ma non ebbe tempo per riflettere ulteriormente che una raffica di frecce piovve su di lui. –"Non così in fretta!" –Commentò, ritrovando i nervi freddi e muovendo l’ascia a spazzare, distruggendo con un’onda di energia tutti i dardi.

Osservò la nave scivolare di lato, fino a porsi perpendicolarmente rispetto al Ponte Arcobaleno, su cui planò con la delicatezza di un usignolo, quasi fosse fatta di carta, mentre sul ponte di comando un uomo gridava ai compagni di prendere posizione. Per un momento Heimdall fu invaso dalla sensazione che quella fosse la Naglfar, la nave del giorno del giudizio, ma poi, fissandola con maggior attenzione, riconobbe il drakkar usato come basamento per la statua di Odino a Midgard. Ricordava ancora gli schizzi che Bragi gli aveva mostrato della colossale opera di cui gli umani avevano volontariamente scelto di farsi carico, e il sorriso genuino a cui si era abbandonato quel giorno, convinto che fossero, quando volessero, una razza in grado di sorprendere.

Anche in peggio! Si disse, distruggendo un nuovo dardo con la sua ascia da guerra.

In quella, un portellone laterale si aprì e centinaia di soldati, armati di lance e spade, ne uscirono, incolonnandosi in fretta a gruppi di dieci e iniziando a marciare lungo Bifrost.

"Non so chi siete, né dove credete di andare, ma una cosa posso dirvela! Di qua non passerete!" –Tuonò, lanciandosi avanti. Ma venne distratto dallo sfrecciare di due lame rotanti, che sfrigolarono nell’aria accanto a sé, mentre un guerriero alto più di due metri balzava dalla nave, sghignazzando compiaciuto.

Heimdall evitò le lame, chinando il capo, ma queste, dopo averlo sorpassato, deviarono la loro direzione, tornando indietro e obbligando il Custode di Bifrost a sollevare nuovamente l’ascia per scansarle.

"Ora!" –Esclamò un uomo rivestito da una corazza grigia, in piedi sul ponte di comando. E un’onda di energia spinse Heimdall indietro, rivoltandolo e facendogli sbattere la faccia sull’arcobaleno da lui protetto per millenni, e adesso improvvisamente violato.

Il Dio Guardiano tentò di rialzarsi, ma gli sembrò di sentire un peso enorme sulla schiena, una forza che lo schiacciava a terra, quasi calpestato dal tacco di un gigante.

L’uomo sulla nave sogghignò, complimentandosi con l’esile fanciulla dal volto emaciato in piedi al suo fianco, la stessa che aveva potuto sollevare il drakkar e tutti i suoi occupanti con la sola forza del pensiero, senza produrre il benché minimo rumore.

Gli altri guerrieri approfittarono di quell’attimo di disorientamento di Heimdall per scendere a loro volta. Hræsvelgr, l’Aquila dei Venti, afferrò Drepa, sollevandosi in aria, mentre l’uomo dall’armatura blu tendeva l’arco mietitore, scagliando nuovi dardi contro il Guardiano, impossibilitato a difendersi a causa della pressione mentale esercitata da Modhgudhr.

Perfetto! Sogghignò Erik. Da soli potrebbe vincere tutti noi, forse anche me. Ma se lo attacchiamo in cinque, nello stesso momento, e con tecniche diverse non potrà difendersi. E cadrà! Assieme a questo ponte! Ahr Ahr!

Quasi come avesse udito i suoi pensieri, o forse soltanto il movimento della bocca, abbandonatasi ad una sghignazzata soddisfatta, Heimdall si infiammò, bruciando il proprio cosmo e spingendo con le braccia per rialzarsi.

Per millenni ho difeso questo sentiero, impedendo che fosse violato da demoni o Dei avversi! Non sarete voi, infami uomini mortali, a vanificare il mio lavoro! Ringhiò, rimettendosi in piedi, stupendo persino Erik dalla forza di volontà che lo sorreggeva.

Bjuga non aspettò un minuto di più, lanciandosi contro il Custode di Bifrost, con le recuperate lame strette nelle mani. Ma sottovalutò la potenza offensiva del Dio di Asgard, che lo travolse con un attacco diretto.

"Corno risuonante!" –Gridò Heimdall, portando le braccia avanti e scaraventando il colosso contro un fianco della nave, sfondandolo e facendola tremare.

"Maledizione! Rialzati, stupido bufalo senza cervello!" –Ringhiò Erik, mentre Drepa, in cielo tra le braccia di Hræsvelgr, scagliava una decina di frecce contro Heimdall, che non ebbe problemi ad evitarle. Ma quando fece per sollevare l’ascia, dovette difendersi da alcuni raggi energetici, diretti contro di lui dai Soldati di Brina, ormai completamente usciti dal drakkar e incolonnati di fronte ad esso.

"Non avrei voluto… ma temo sia il momento di chiedere rinforzi…" –Rifletté, sbaragliando la prima fila di guerrieri con un attacco energetico e facendoli precipitare dall’alto di Bifrost, mentre nuove frecce piovevano su di lui. Afferrò allora il corno dorato affisso alla cinta, ma mentre lo portava alla bocca un raggio di energia lo ferì al polso, congelando un pezzo della sua corazza e facendogli perdere la presa sul Gjallarhorn, che rotolò per diversi metri sulla superficie di Bifrost.

"Sì!!!" –Tuonò Erik, mentre Modhgudhr, al suo fianco, schiacciava nuovamente a terra il Custode di Asgard, impedendogli di recuperare l’oggetto sacro. Una freccia di energia, scagliata da Drepa, colpì Bifrost poco distante dal corno, scaraventandolo nel vuoto di là dal bordo, di fronte agli occhi sgranati di Heimdall.

"Aaargh!!!" –Si infervorò il Guardiano della Città Sacra, avvampando nel suo cosmo, lucente come i colori dell’arcobaleno, incenerendo una decina di Soldati di Brina che avevano osato circondarlo, convinti di poterlo finire così. Dopo di che si rialzò, scagliando Bjuga nuovamente contro la nave, sfondandone del tutto il fianco, mentre Erik e Modhgudhr dovettero spostarsi in fretta, per non cadere, prima di dirigere il suo colpo segreto verso il cielo e travolgere Drepa e Hræsvelgr con un vortice che li abbatté contro alcuni soldati sul Ponte Arcobaleno.

Quindi fece una cosa che sorprese tutti gli invasori, che si aspettavano che il Dio li caricasse frontalmente. Si lanciò di sotto da Bifrost, scomparendo tra le nuvole.

Persino Erik trattenne il fiato di fronte a quella mossa inaspettata e quando si sporse dal ponte non vide niente. Soltanto un abbraccio di infinito.

Quale che fosse la sorte del Guardiano di Ásbrú, i servitori di Loki non potevano curarsene troppo, decisi ad approfittare di quell’inaspettata fortuna. Così Erik diede ordine alle truppe di marciare a passo svelto sul Ponte Arcobaleno, con Drepa, Bjuga e Hræsvelgr in testa e Modhgudhr al centro, ben protetta dai Soldati di Brina e al tempo stesso ben nascosta. Lui avrebbe chiuso le fila, falciando chiunque avesse osato indietreggiare. Con Heimdall fuori gioco, potremmo arrivare in prossimità di Asgard senza essere notati, aiutati anche dagli strati di nuvole che Hræsvelgr sa controllare e usare per celare la nostra presenza, come ha camuffato la nave per giungere a Bifrost! Ahr ahr!

Se le micidiali raffiche di vento che spiravano ad alta quota non l’avessero investito in pieno, impedendogli di sporgersi di più, e se avesse posseduto lo sguardo aquilino di colui che stava cercando, Erik avrebbe certamente notato Heimdall in piedi su uno sperone roccioso, qualche centinaia di metri sotto di loro.

Il Dio infatti si era lanciato per recuperare il Gjallarhorn, sperando che non fosse precipitato troppo in basso e che fosse ancora illeso, fiducioso nella resistenza dei manufatti divini. Erano state proprio le acque della Fonte di Mimir a rafforzarlo, essendo il corno in origine usato dal gigante per bervi, finché questi non ne aveva fatto dono al Guardiano del Ponte Arcobaleno affinché lo usasse per proteggere Asgard, e con essa tutte le razze e tutti i mondi.

E Heimdall, fiero di quel giuramento, non aveva intenzione di venirne meno.

Così afferrò il Gjallarhorn, un po’ ammaccato, fissandolo nuovamente alla cinta, prima di evocare, con il cosmo, un frammento di arcobaleno, grande come un tappeto, che apparve di fronte a sé, come era apparso mentre stava precipitando verso l’abisso. Vi salì sopra, solido come Bifrost, e si lasciò sollevare, portandosi poco al di sotto del ponte. Notò la carcassa del drakkar, ormai svuotata e abbandonata, e percepì il sonoro marciare degli eserciti invasori, avanti a lui di un centinaio di metri.

In silenzio e con i sensi all’erta, Heimdall scivolò nel cielo, passando sotto ai soldati, che non si accorsero di lui, neppure Modhgudhr e Erik. Quando fu molti metri avanti a loro, nella metà del ponte rivolta verso Asgard, il Dio fece per risalire, salvo accorgersi, all’ultimo istante, dell’avvampare improvviso di una fiamma migliaia di metri sotto di lui. Una fiamma rossa, striata d’oro, che non s’era mai accesa nell’alto cielo. Una fiamma che lo fece rabbrividire quando comprese a chi apparteneva.

Con un balzo rabbioso, la sentinella instancabile piombò sul ponte, impugnando l’ascia con la mano sinistra e il corno con la destra, avvolto nello sfavillare del suo cosmo. Bjuga e i soldati si fermarono di colpo, intimoriti dall’improvvisa apparizione, e per un attimo restarono indecisi sul da farsi, finché Erik non gridò loro di avanzare.

"Mai, mai indietreggiare, neanche di un passo! Non quando siamo così vicini alla metà!" –Ringhiò, scattando avanti e superando tutti, con l’ascia da guerra intrisa del suo cosmo violaceo. –"Cadiii!!!" –E caricò il Dio, sollevando l’arma sulla testa.

Ma Heimdall seppe resistere, opponendogli la propria ascia divina e piantando i piedi saldamente a terra. Le due lame si incontrarono più volte, generando scintille energetiche che infiammarono il cielo, finché il Guardiano di Bifrost non riuscì a spingere indietro il suo nemico, scaraventandolo contro un gruppo di soldati, travolti dall’onda d’urto del movimento di ritorno dell’ascia.

Incurante delle frecce e dei raggi di energia che gli vennero rivolti contro, Heimdall si erse eretto e soffiò vigorosamente nel corno d’oro.

Nessuno dei servitori di Loki aveva mai udito il suono del Gjallarhorn, la cui potenza fu così rimbombante da spingere molti di loro indietro. Un suono possente, che pareva scaturire dagli abissi del mondo. Un suono penetrante, che poteva raggiungere qualsiasi angolo di Ásaheimr, come infatti avvenne.

Lo udirono tutti, e tutti tremarono, costretti ad ammettere che il giorno che avevano a lungo paventato era infine giunto.

Lo udì Odino, riunito in consulta con gli altri Dei, all’interno del Valhalla.

Lo udirono gli Einherjar, che lo avevano atteso fin da quando era iniziata la loro seconda vita.

Lo udirono le Norne, ai piedi dell’Albero Cosmico, intente a cospargere di argilla i suoi rami affinché non si essiccassero.

Lo udì persino Yggdrasill, o così credettero le tre donne, sentendolo fremere come mai prima di allora, scosso dalla più bassa radice alla fronda più alta.

Lo udì Loki, che cavalcava su Fenrir, verso Asgard, e lo udì sua figlia Hel, che presto l’avrebbe raggiunto.

Infine lo udì Ilda, nelle segrete di Midgard, sebbene non potesse distinguerne il suono chiaramente. Ma il significato le si stampò nel cuore.

"Maledetto, smetti! Smettiii!!!" –Gridò Erik, scattando avanti, con l’ascia sollevata, e mirando al viso di Heimdall, che fu lesto a parare l’affondo con la propria arma, continuando a suonare. –"Ti taglierò le mani, di modo che tu non possa più suonare! E ti cucirò la bocca con la pelle che ti asporterò dalle dita, quando Loki avrà scalzato i vecchi Dei, gettando i loro resti tra le fiamme di Múspellsheimr!"

"Lo… Loki?!" –Mormorò Heimdall, cessando di suonare e rimembrando il suo antico rivale, con cui più volte si era scontrato.

"Proprio lui comanda quest’allegra brigata! È venuto poc’anzi, a preparare il terreno! Non dirmi che non vi siete incontrati? Ci teneva così tanto che tu lo sapessi!" –Sibilò Erik, fissando il Dio negli occhi, non volendo perdersi la sua espressione di incredulità, che infatti si palesò.

"Com’è possibile?! Loki non ha varcato la soglia di Asgard! Ogni viaggiatore deve per forza passare sul…" –Ma le parole gli morirono in bocca quando comprese, quando realizzò in che modo il Buffone Divino si era preso gioco di lui, maledicendo se stesso per non averlo riconosciuto.

Quell’attimo di distrazione permise ad Erik di liberare l’ascia e strusciarla con forza contro l’addome del Dio Bianco, scheggiando la sua corazza, prima che Modhgudhr intervenisse, spingendolo indietro. Drepa sollevò allora l’arco, scoccando una freccia e raggiungendo il Custode di Bifrost sul braccio, poco sotto la spalla, dove l’armatura non lo copriva. Bjuga fece per imitare il compagno, incrociando le lame rotanti sopra la testa, in modo da generare folgori lucenti, ma non riuscì a scagliarle che venne raggiunto da un fascio di energia, che lo spinse all’indietro, facendolo crollare al suolo, schiacciando persino alcuni Soldati di Brina.

"Uh?!" –Mormorò Erik, balzando agilmente indietro per evitare una lunga lancia, con un drappo rosso all’estremità, che si piantò proprio tra lui e Heimdall. Sollevò lo sguardo avanti a sé e vide un gruppo di donne, ricoperte da armature grigie e marroni, arrivare al gran galoppo, sopra destrieri dal manto pregiato, bardati per la guerra.

"Quella lancia che la mia compagna ha lanciato sia per voi invasori limite e monito!" –Esclamò una di loro, fermandosi alle spalle di Heimdall e fissando Erik negli occhi. –"Non andrete oltre! Parola di Brunilde! O, se lo farete, assaggerete l’ira di Odino, per mezzo delle sue emissarie, noi le Valchirie!"

"Umpf! Dovrei essere impressionato da una giovenca che cavalca un cavallo?" –La schernì Erik, toccandosi volgarmente il naso. –"Vi manderò al macello insieme, dopo averti insegnato il mio concetto di autorità!"

"Non credevo che i maiali sapessero parlare!" –Continuò la donna, strappando un sorriso a Heimdall, e anche ad alcuni Soldati di Brina.

Erik, furioso, sollevò l’ascia, caricandola di cosmo, e piantandola poi con forza su Ásbrú, infondendo in esso una violenta scarica di energia e dirigendola contro le Valchirie, i cui cavalli s’impennarono imbizzarriti. Persino Heimdall parve risentirne, ma si affrettò a portare entrambe le braccia avanti e a liberare il suo colpo segreto.

Il Corno risonante travolse Erik, spingendolo indietro, ma era ormai tardi per tutto. I Soldati di Brina si lanciarono avanti, sfoderando le armi e riempiendo il cielo di raggi di energia, mentre Drepa scagliava nugoli di frecce, seguite dalle lame rotanti di Bjuga e dai venti alimentati da Hræsvelgr. Le Valchirie non poterono far altro che opporre agli invasori le stesse lance e le stesse spade, incitate da Heimdall, con l’ascia sollevata sopra la testa.

Lo scontrò infuriò e in breve riempì l’intera superficie del Ponte Arcobaleno, con il Guardiano tonante che manteneva fiero l’ultima linea, poco distante da Himinbjörg, deciso a difendere a oltranza la sua posizione. Avrebbero dovuto strappargli i denti d’oro per poter passare.

Del resto, Heimdall ne era certo, Odino aveva udito il suono di Gjallarhorn e, come le Valchirie erano già arrivate, presto sarebbero giunti anche gli Einherjar e gli Asi e il tentativo di invasione di quel migliaio di soldati sarebbe stato respinto. Se è tutto qua ciò che Loki ha messo in atto, ben misero piano si sta rivelando! Ironizzò, parando un attacco energetico con l’ascia e rispendendolo al mittente. Ma in fondo non ne era poi così convinto neppure lui.

Tanto prese dallo scontro erano entrambe le parti che nessuno si avvide che, pochi minuti dopo, l’aria si stava facendo torrida, invasa da un caldo innaturale per quell’altitudine. Qualcuno, ingenuamente, diede la colpa alla frenesia della battaglia, ma quando immense colonne di fuoco si ersero ai lati del Ponte degli Dei fu chiaro a tutti che il motivo era un altro. E che quel che Heimdall aveva visto, e paventato, da lontano era adesso giunto a minacciare la stabilità di Asgard.

Centinaia di sagome deformi, composte da vivida fiamma e magma ardente, sorsero dalle profondità del mondo, allungandosi verso il cielo e lambendo le sponde di Bifrost, sottoponendolo ad un incremento di temperatura mai sopportato prima.

Le Valchirie si fermarono, osservando inorridite le schiere di Giganti di Fuoco che stavano inerpicandosi sul Ponte Arcobaleno, incendiando tutto quel che trovavano sul loro cammino. La carcassa del drakkar, i cadaveri dei soldati caduti, le armi e le utopie di Heimdall per una rapida vittoria. Persino Bjuga, Drepa e molti Soldati di Brina rimasero atterriti di fronte a una visione che superava tutto quel che avevano potuto immaginare al riguardo.

Creature immense, che trasudavano fiamme e lava, iniziarono ad avanzare su Bifrost, obbligando tutti i servitori di Loki a correre avanti, anche disordinatamente, per non essere inceneriti, rompendo l’equilibrio che si era generato nel breve scontro con le Valchirie. Alcune vennero infatti raggiunte dalla tempesta di raggi congelanti diretta contro di loro, tramutandosi in statue di ghiaccio, prima di essere distrutte dal fuoco purificatore dei figli di Muspell. Le altre furono costrette a ritirarsi, cavalcando fino a portarsi alle spalle di Heimdall, all’estremità del Ponte Arcobaleno.

Quell’immagine, che il Dio Bianco aveva a lungo temuto, incrociandola nei suoi brevi sogni, stava adesso divenendo realtà. Bifrost tremò, scosso da una pressione mai subita prima, scricchiolando sinistramente, prima di iniziare a schiantarsi in più punti. Pezzi di cielo precipitarono verso l’abisso, avvolti in fiamme distruttrici, mentre l’immane potenza dei figli di Muspell avanzava verso Asgard.

Anche Loki sentì lo schiantarsi del Ponte Arcobaleno e sogghignò beffardo, fermando la propria cavalcatura al limitare di Asgard, nel campo di Vígríðr, dove aveva concordato in precedenza di incontrarsi con Erik e gli eserciti di Muspell.

Là, due ore prima, si era tramutato in aquila, per volare con Flare verso Hel, e adesso sedeva su Fenrir, carezzandone il ruvido pelo e osservando compiaciuto la nube di fumo che aveva iniziato a riempire il cielo, alimentata da vivide fiamme di morte.

"Bifrost sta crollando sotto i passi dei distruttori del mondo!" –Esclamò, appagato. –"Di fronte a loro marciano i Soldati di Brina e i miei Sigtívar! Inoltre senti questo vento freddo proveniente dal lato opposto, figlio? È l’inverno che arriva dal Niflheimr, portato da Hrymr e dai Giganti di Brina tramite l’Albero dell’Universo! Un attacco su due fronti, che obbligherà Odino a dividere le sue armate, rendendolo impreciso e più vulnerabile! È la condizione migliore per passare all’offensiva da un altro lato, tutti e quattro insieme!"

"Quattro?!" –Ripeté la bestia.

"Quattro!" –Sibilò una voce in risposta.

Loki e Fenrir si voltarono verso destra, dove era appena comparsa la macabra sagoma di Hel, Signora degli Inferi e figlia del Dio dell’Inganno, in groppa a un grosso cane, dal pelo fulvo e dal ghigno affamato. Dietro di lei l’esercito di adulteri, assassini, spergiuri e tutta la feccia che non era mai ascesa al Valhalla e che adesso era uscita dai cancelli di Hel per rivelare la propria ferocia.

"Rivederti è un piacere, padre!" –Mormorò la donna, inginocchiandosi ai piedi del gigantesco lupo, che faceva sembrare Garmr un cardellino. –"Ugualmente mi felicito di rivedere Fenrir in libertà! Per quanto il suo ululare continuo e disperato mi abbia tenuto compagnia nelle mie notti solinghe, godo al pensiero delle stragi a cui si abbandonerà! Stragi in cui lo accompagnerò!"

"Le tue parole sono musica alle mie orecchie, figlia!" –Rispose il Buffone Divino. –"Sebbene per l’occasione avresti potuto indossare un vestito migliore di quel guazzabuglio di stracci! Ah ah ah! Suvvia, ti perdonerò! La gaiezza del rivedere i propri figli spinge ogni genitore a dimenticare i loro difetti, esaltando invece i pregi! Pregi che presto vedremo in azione!" –Sghignazzò, sollevando la Pietra Nera che portava al collo. –"È tempo che anche vostro fratello si unisca a noi! Troppo a lungo siamo stati separati!"

E nel dir questo espanse il proprio cosmo, mentre un ventaglio di luce nera invase l’immenso campo di Vígridhr, andando oltre, entrando in Asgard, espugnando Fensalir, Breidablik, Valaskyalf e le altre residenze divine e facendo rabbrividire gli Dei ivi riparatisi. Poi si chiuse sul Valhalla, cingendo d’assedio il maestoso cancello di Valgrind e penetrando nelle agitate rive del fiume Thund, ultima difesa della roccaforte.

Voleva che Odino lo sentisse. Voleva che Odino sapesse che Loki era lì, dove gli aveva promesso che sarebbe stato un giorno, a prendere la sua rivincita. Assieme a tutti i suoi figli.

Le acque attorno ad Asgard si scossero, mentre immensi flussi si sollevarono, abbattendosi sui campi, sulle spiagge e sulle abitazioni circostanti, anticipando l’emersione, dal lungo esilio cui Odino lo aveva confinato, del terzo, e più mostruoso, figlio di Loki.

Jormungandr, il Serpe del Mondo.

"Eccoci di nuovo tutti assieme, un’allegra famiglia riunita!" –Commentò Loki, osservando gli sbuffi di vapore venefico che spuntavano in lontananza, a indicare la posizione del figlio. –"Proprio come ai bei vecchi tempi. Gli stessi che adesso cancelleremo!"