CAPITOLO DICIANNOVESIMO: TUMULTI DEL CUORE.

Dopo che Alala aveva distrutto il muro tra Quinto e Quarto cerchio, i Phonoi e le Androctasie erano stati pervasi da un animalesco furor bellico, che li aveva spinti ad abbandonare le compatte formazioni in cui avevano marciato fino a quel momento e a correre verso il varco, armi in mano, tra grida e versi osceni, esaltati e forse convinti di una prossima vittoria. Matthew ed Elanor, inzaccherati di sangue, sudore e sabbia, si erano appena rimessi in piedi, cercando di valutare la situazione, se correre in aiuto di Andromeda o se invece raggiungere gli altri Cavalieri di Avalon e Atena ai cerchi esterni, quando Thot li aveva invitati a rimanere lucidi, e a fare ciò che andava fatto.

"Sfoltire questa marea di carogne! Non vi sembra un’ottima idea?!" –Aveva aggiunto, spalancando le ali della corazza e balzando in volo, prima di piombare sui Phonoi e travolgerli con il suo cosmo dorato.

Matthew ed Elanor avevano fatto altrettanto, così da venti minuti lottavano nella mischia confusa creatasi nel cuore del Quinto Cerchio, cercando di colpire quanti più nemici potessero. Si erano disposti uno accanto all’altro, distanziati a sufficienza in modo da non ostacolarsi a vicenda, una catena che i Signori della Guerra avrebbero dovuto spezzare se avessero voluto proseguire per l’anello di Marte e ricongiungersi con gli altri soldati. Non che ai Phonoi dispiacesse quello scontro, mai stanchi di mulinare asce, scuri e mannaie, vere o di puro cosmo.

"Dietro di te!" –Gridò Matthew, indicando ad Elanor un gruppetto di figli di Eris che, staccatosi dal resto della massa, stava cercando di superare la ragazza sulla destra.

"Li ho visti!" –Le rispose al volo la nuova compagna, balzando agilmente indietro, schivando una lancia, che si piantò in mezzo alle sue gambe, e usandola poi come trampolino per saltare ancora più in alto e liberare i suoi raggi di energia.

Matthew perse qualche secondo ad ammirare le sue curve snelle e perfette, fin quando il grido di un Phonoi non lo distrasse, facendolo chinare giusto in tempo per evitare che la sua testa fosse mozzata. Un pugno al ventre fece accasciare il suo nemico e un calcio lo scaraventò addosso ai sopraggiunti compagni, mentre la cintura dell’armatura di Matthew si illuminava ed egli dirigeva un variopinto arco di luce contro i nemici.

"Così non funziona! Stiamo perdendo troppo tempo, siamo stanchi e non abbiamo attacchi ad ampio raggio!" –Borbottò, mentre Elanor, recuperata una picca da un defunto avversario, la roteava per frenare un affondo nemico e poi piantarla in un pettorale già danneggiato.

"Cosa proponi?" –Gli domandò allora.

"Tenetevi pronti!" –Intervenne Thot, che con un vortice di sabbia aveva appena sgominato una decina di Phonoi. Quindi espanse il proprio cosmo, sollevando un dito al cielo e scagliando un raggio di luce verso stelle lontane, di fronte agli occhi sgranati di Matthew ed Elanor. –"Dono del cielo!!!" –Tuonò il Dio, mentre una fitta pioggia di strali dorati iniziava a cadere sulle teste dei nemici, moltiplicandosi in una raggiera che presto assunse una forma a tutti nota.

"Sono… piramidi di cosmo…" –Mormorò il Cavaliere dell’Arcobaleno, mentre centinaia di massicce costruzioni apparivano sopra le teste dei Phonoi, obbligandoli a gettar via le armi e a sollevare le braccia per afferrarle e non esserne schiacciati. Qualcuno tentò di fuggire, di evitare l’onere della prova, ma venne pestato a terra da una nuova piramide comparsa sopra di lui, e mentre i Phonoi faticavano a sorreggere le costruzioni, tentando invano di scagliarle di lato, ecco che di nuove ne comparivano, un secondo livello che andava a poggiare sulle prime evocate, aumentando il peso cui gli indesiderati Atlanti erano costretti.

"Ora!!!" –Tuonò il Nume, mentre Matthew e Elanor iniziavano a sfrecciare attorno al mucchio di nemici, liberando i loro colpi segreti. Le Croci di Luna e l’Arcobaleno incandescente falciarono la vita di numerosi Phonoi, incapaci in quel momento di difendersi, e i fortunati che furono feriti solo di striscio persero comunque l’equilibrio o si indebolirono, finendo schiacciati dalle piramidi. Un terzo livello di costruzioni, ulteriormente innalzato da Thot, mise fine per sempre alla loro esistenza, concludendo la faticosa battaglia.

"Bene!" –Commentò il Cavaliere di Avalon, gettandosi a sedere sul suolo lunare, stanco per il procrastinarsi di quella lotta. Anche Elanor era esausta, per quanto avesse dato prova di notevole resistenza, non avendo mai combattuto fino ad allora.

Se la cava persino meglio di me. Sorrise Matthew, fissandola. Forse troppo a lungo, a giudicare dallo sguardo scocciato che la ragazza le rivolse mentre gli camminava davanti, per andare a parlare con Thot. Matthew se ne accorse e chinò il capo, arrossendo imbarazzato.

"Mani è in pericolo! E il cosmo di Shen Gado è scomparso! Qualsiasi cosa sia accaduta al Cerchio di Saturno, hanno bisogno di aiuto!" –Parlò il Custode dell’anello di Giove.

"Vengo con te!" –Esclamò subito Elanor, ma Thot la pregò di restare con Matthew e riposarsi. –"Non chiedere troppo a te stessa!" –Ma le raccomandazioni paterne del Dio furono disturbate da un frusciare improvviso, che anticipò l’arrivo di una decina di lame rotanti, ultimi residui di asce spezzate nella battaglia. –"Attenta!" –Gridò Thot, spingendo la primogenita di Selene a terra e venendo colpito ad una spalla. Una seconda ascia gli schiantò il bastone d’oro, mentre una terza lo raggiunse sull’avambraccio destro, scheggiando la già provata corazza divina. Le altre vennero annientate dall’esplosione del suo cosmo, che sollevò una nube di polvere lunare, in mezzo alla quale una ridanciana figura femminile apparve poco dopo.

Matthew la riconobbe subito. Era la donna cui Alala berciava i suoi ordini, una delle comandanti dell’esercito dei Signori della Guerra. Non ne ricordava il nome, ma di certo era una Makhai.

"Homados!" –Esclamò la giovane alta e snella, carezzandosi i capelli viola. –"Spirito del tumulto e del rumore in battaglia!"

"Ancora qua? Credevo avessi seguito tua sorella al Cerchio di Marte!" –Incalzò Thot, tenendosi il braccio ferito e fermando con il cosmo l’emorragia di sangue.

"Punto primo: lei non è mia sorella. Alala è… una parente acquisita, se così possiamo definirla. Le mie sorelle sono Kydoimos, Palioxis e Proioxis. Anche se forse dovrei dire erano, quantomeno per due di loro! Umpf, stupide e deboli, farsi sconfiggere da esseri umani equivale a stuprare il proprio status divino!"

"Bastarda, non provi amore neppure per le tue sorelle morte?!" –Ringhiò Matthew, rimessosi in piedi, subito affiancato da Elanor.

"Quale amore puoi dare a un cane che si morde la coda da solo?" –Rise la donna, prima di chiarire il secondo punto. –"E… no. Ho preferito aspettare la conclusione del vostro scontro, osservarvi di nascosto, vedere i vostri colpi segreti, il modo in cui combattete, per carpire le vostre debolezze! Adesso che mi è chiaro che neppure in tre potete sfiorare la lontana possibilità di vincermi, vi affronterò!"

"Codarda!!!"

"Astuta, direi! Ah ah ah!" –Sghignazzò Homados, espandendo il proprio cosmo. Thot fece altrettanto e Matthew ed Elanor lo videro assumere la stessa posa di poc’anzi, quando aveva evocato le piramidi di cosmo.

"Dono del cielo!" –Esclamò infatti il Dio a gran voce, mentre un’enorme Mer egizia appariva sopra la Makhai, ancora più grande e poderosa di quelle che avevano seppellito i Phonoi.

Ma la figlia di Eris non ne fu per niente sconvolta, anzi non alzò neppure lo sguardo, limitandosi a sorridere con perfidia e a pronunciare parole che i ragazzi non riuscirono a comprendere. D’improvviso, tutt’intorno a Homados, sorsero alte mura di cosmo violetto, su quattro lati, e sulla sommità di quel cubo una nuova identica costruzione, seppure più piccola, che andò a incastrarsi tra quella che circondava la Dea e la piramide che stava precipitando su di lei.

"Migdal bavel!" –Esclamò Homados, mentre dal quadrilatero di energia che la attorniava schizzò fuori un nuovo cubo, sfrecciando verso Thot e investendolo in pieno, scaraventandolo molti metri addietro, con l’armatura danneggiata e lo scettro ormai distrutto.

"Migdal… cosa?!" –Balbettò Matthew, che non aveva capito niente.

"La Torre di Babele! È ebraico!" –Mormorò Elanor al suo fianco, mentre la costruzione di cosmo violaceo cresceva ancora di un piano, distruggendo la piramide di Thot e ergendosi fiera di fronte a loro, quasi volesse sfidare il cielo.

"Conoscete la leggenda dell’antica costruzione di Babele, non è vero, ragazzini inesperti? Rappresenta la suprema arroganza della razza umana, così infima e lurida, che pretese, accostando un po’ di mattoni e bitume, di arrivare al cielo, di elevarsi fino a raggiungere Dio! Umpf, quale arroganza!" –Esclamò fiera Homados. –"Il cielo punì gli uomini, disperdendoli, e allo stesso modo io punirò voi, che di tale specie siete misera rappresentanza! Addio! Migdal bavel!!!"

Un enorme cubo di energia saettò verso il Cavaliere delle Stelle, che niente poté fare se non afferrare Elanor e offrire la schiena al poderoso assalto, in modo da proteggerla. Strinse i denti, preparandosi all’impatto, che fu ben più doloroso di quanto credesse, scaraventando entrambi molti metri addietro, in un groviglio di corpi feriti, schegge d’armatura e polvere.

"Molto bene! Pare che qua non ci sia altro da fare!" –Commentò la Makhai, scuotendosi le mani dalla sabbia e osservando compiaciuta lo sfacelo del Quinto Cerchio. Quello che un tempo era stato un deserto di sabbia, costellato da attente ricostruzioni delle antiche Mer egizie, era adesso un campo di battaglia ove acre imperava l’odore del sangue. Homados sogghignò, inspirandolo a pieni polmoni, nutrendosi di quell’aroma così inebriante, così fortificante, così suo! Quindi si incamminò in mezzo ai cadaveri dei Phonoi, senza degnarli di uno sguardo, diretta verso il varco che conduceva all’infuocato Cerchio di Marte, ove il cosmo di Alala stava esplodendo di continuo. Qualunque cosa stesse accadendo, la Regina delle Makhai sembrava aver incontrato impreviste difficoltà contro quel bizzarro Cavaliere dai capelli rosa. Che sia stata stritolata dai suoi catenacci? Si chiese, fermandosi e soppesando la situazione.

Palioxis e Proioxis erano già morte, Kydoimos stava ancora combattendo ma anche il suo cosmo baluginava fioco. Restava solo Alala dei cinque gloriosi Spiriti della Battaglia! Perché avrebbe dovuto soccorrerla? Che se la sbrigasse da sola quella bastarda! Oltretutto non era neppure sua sorella, era la figlia di Polemos, antico demone della battaglia che da sempre mirava a prendere il posto di Ares come Signore Supremo delle Armate della Guerra. E di certo, se quell’eventualità fosse occorsa, Polemos avrebbe sostituito le Makhai con altri guerrieri a lui fedeli. Quindi perché rischiare? Perché immischiarsi in una battaglia già in corso? No, non era affatto nel suo stile. Lei non era come Kydoimos, che doveva sempre rispondere alle provocazioni, o come Proioxis, che a uno scontro diretto non poteva dire di no. Lei lasciava correre, limitandosi ad osservare e a intervenire solo quando i giochi erano iniziati, e la sorte stesse volgendo a suo favore.

Così prese la sua decisione e iniziò a correre in un’altra direzione, lungo l’antica Via Maestra, certa che, se il Custode del Cerchio di Marte era impegnato ad affrontare le Androctasie e i Phonoi che avevano varcato il buco aperto da Alala, nessuno avrebbe presieduto il vero passaggio. E lei avrebbe avuto via libera fino al Cerchio della Terra. Il terzo anello. Solo tre e sarebbe giunta a palazzo, forse sarebbe stata l’unica ad arrivarci. E a quel punto, con Alala e le sue sorelle morte, avrebbe ucciso quella patetica Divinità lunare greca e il suo efebico sposo e sarebbe divenuta la nuova Regina delle Makhai, e perché no, Signora della Guerra e Supremo Comandante. Avrebbe anche sposato quel fanatico di Polemos pur di arrivare in maniera facile a quella posizione! Scoppiò a ridere, nel silenzio di quello strano mondo lunare, continuando a correre verso il varco per il Cerchio di Marte.

***

Matthew giaceva ferito tra le sabbie, con un taglio aperto sulle sopracciglia che gli imbrattava l’occhio destro, appannandogli la vista. L’udito credeva di averlo perso un paio di volte nell’affrontare quelle infoiate delle Makhai. Tante quante era stato travolto, atterrato, sballottato in aria e per terra dagli assalti di nemici che non era forte abbastanza da affrontare. Persino i Phonoi, quelle macchine prive di coscienza, sembravano disporre di una preparazione bellica superiore alla sua. Forse, si disse, Avalon aveva sbagliato ad affidargli quella missione. Sarebbe dovuto rimanere sull’isola, a prendersi cura del vecchio dalla barba bianca, e lasciare il posto ad Ascanio, che di certo avrebbe onorato il titolo in maniera molto più degna di lui.

Più forte, più fiero, più distaccato, il Comandante Ascanio avrebbe asfaltato ognuna di quelle streghe, anziché farsi sbattere a terra come un cencio, farsi salvare da un Dio vestito da un uccello estinto e da una ragazzina in preda a adolescenziali turbe suicide. Come prima missione è stata un successo! Ironizzò, cercando di tossire, la bocca impastata da grumi di sabbia e sangue.

"Ogni cosa ha un principio!" –Esclamò allora una voce, risuonando direttamente nella mente del ragazzo. –"Non esisterebbero i mari se non vi fossero i fiumi che danno loro acqua, e cosa ne sarebbe dei fiumi se non avessero sorgenti che li generassero? Anche una montagna senza la terra che la compone sarebbe poca cosa, forse niente. E che dire dell’uomo, se non avesse un cuore, come potrebbe alzarsi e combattere? Come potrebbe bruciare il proprio cosmo, così ardentemente, se non sapesse perché e per cosa sta combattendo?"

"Ma… maestro…" –Rantolò Matthew. –"Mi… dispiace… vi ho deluso."

"E perché mai? Per aver preso qualche cazzotto e danneggiato una corazza che può essere riparata?"

"Per aver fallito."

A quelle parole, Avalon non rispose. Così Matthew continuò a parlare al suo cosmo. –"Volevo… proteggere Elanor, volevo che la sua vita non fosse rovinata dal sapore del sangue, dal sudore della battaglia e dal dolore della perdita, come lo è stata la mia, e quella di molti altri Cavalieri o aspiranti tali. Volevo difendere la sua purezza, sperando che potesse rimanere fuori da tutto questo, salvarle la vita, come non fui in grado di fare con Miha! Sono stato sciocco e debole…"

"Eppure è per questo che sei voluto diventare un Cavaliere! Per questo ha risvegliato il Talismano che custodivi nel cuore, per impedire che altri soffrissero quanto tu hai sofferto, per evitare che perdessero qualcuno che amavano! Non è così, Matthew? E allora, se è così, alzati e lotta, e dimostralo! Non a me, che già lo so, ma a te stesso! Dimostra di essere in grado di proteggere davvero qualcuno!"

"È… tardi ormai."

"Non è mai troppo tardi per lottare!" –Chiosò Avalon, donando una stilla di cosmo al giovane Cavaliere, che iniziò a muovere le dita anchilosate, a strizzare gli occhi e a tentare di sollevarsi a fatica.

"Ormai… Homados sarà già al cerchio di Marte…"

"Di questo posso occuparmi io, con l’aiuto di un tuo vicino amico!" –Sorrise il Signore dell’Isola Sacra, prima di scomparire. Quando Matthew si rimise in piedi, vide Thot, già rialzatosi, che lo fissava con sguardo severo. Quindi il Nume tirò un’occhiata in lontananza, lungo l’anello da lui difeso, per poi riportarlo su di lui e allungare una mano per aiutarlo a alzarsi.

***

Homados correva da quasi dieci minuti lungo l’anello di Giove, avanzando tra la sabbia e le piramidi. E nient’altro. Un vero e proprio deserto trasferito sul satellite terrestre. Mugugnando per la noia, la Makhai non perdeva di vista l’alto muro di sabbia lunare alla sua sinistra, per individuare il passaggio per il Cerchio di Marte. Sapeva bene quanto potessero essere celati, quei varchi, mimetizzati nel paesaggio al punto da sembrare fenditure naturali, per questo prestava molto attenzione. Ma dopo altri dieci minuti le sembrò piuttosto strano non averlo ancora trovato. Per la velocità sostenuta, era di certo già arrivata dall’altra parte del regno, ed infatti percepiva i cosmi di Alala e Kydoimos molto distanti. Stranita, rallentò l’andatura, certa che il passaggio sarebbe comparso entro breve. Tutta intenta ad osservare il muro di confine non si accorse di un avallamento del terreno e ci ruzzolò dentro, rotolando tra improperi e maledizioni. Subito si scosse, balzando fuori dall’imprevisto cratere, salvo accorgersi di essere sporca di sangue. Non suo.

Stupefatta, sollevò lo sguardo e vide gruppi di uomini, rivestiti da corazze scarlatte, giacere scompostamente a terra. Una carneficina che ben conosceva, avendovi preso parte poco prima.

"Non… è possibile!" –Si disse, riconoscendo, poco oltre, i corpi inermi di Thot, Matthew e della ragazza. –"Sono tornata al punto di partenza! È assurdo!"

Quasi non riusciva a crederlo, ma aveva compiuto un intero giro dell’anello senza trovare il passaggio. Eppure ho prestato attenzione! Non può essere così piccolo da non essere notato a occhio nudo! Ringhiò, riprendendo a correre, stavolta più vicina alla parete di sabbia lunare e ripercorrendo il cerchio di Giove una seconda volta, per poi ritrovarsi nel luogo dove aveva affrontato il Selenite e i suoi compagni.

"Incredibile!!!" –Sbuffò, adirata, fermandosi un attimo per riflettere. E accorgendosi che il varco aperto da Alala con il suo grido di guerra era sparito. –"Il muro… è intonso! Come se niente l’abbia sfiorato! Assurdo! Eppure… percepisco il suo cosmo accendersi nel Quarto Cerchio!!! E io non posso raggiungerla!!! Maledizione! Che inganno è mai questo?" –Ringhiò, iniziando a prendere a pugni la massiccia muraglia, sfogando quella frustrazione improvvisa. Poi si calmò, imponendosi di rimanere lucida e iniziando a camminare, prima a passo lento, poi sempre più veloce, continuando a cercare quel passaggio nascosto.

Ad un certo punto dovette fermarsi bruscamente, poiché tre piramidi le sbarravano la strada. Una cintura che prima non poteva esserci. E dietro quelle tre, Homados ne vide altre, intrecciate in modo da coprirle ogni possibilità di dirigersi in quella direzione. Sconvolta, si voltò indietro e vide che anche su quel lato erano sorte d’improvviso delle rozze costruzioni di pietra, e altre ne stavano sorgendo, davanti a lei, dietro di lei, riducendo sempre di più lo spazio a sua disposizione.

"Questi trucchi, con il mio genio, non funzionano!!!" –Urlò, infastidita oltre ogni dire –"Migdal bavel!" –E ricreò la Torre di Babele attorno a sé, scagliando blocchi di energia cosmica contro le piramidi attorno, distruggendole una ad una, per quanto di nuove continuassero a spuntare dal terreno. L’ultima deflagrazione di energia fu così potente da annientare tutte le costruzioni attorno, e persino un pezzo del muro che separava il Quinto Cerchio dal Sesto. Ma del varco per l’anello di Marte ancora nessuna traccia.

"Gran genio, in verità! Ha avuto bisogno di quasi tre giri per subodorare la trappola!" –Rise improvvisamente una gioviale voce maschile, attirando l’attenzione della Makhai, che sgranò gli occhi nel ritrovarsi tre figure di fronte, tre figure che, a suo credere, dovevano essere morte.

"Voi?! Ma come avete fatto?!"

"I vantaggi di avere Avalon come maestro!" –Ironizzò Matthew, al centro della linea di sbarramento, costituita anche da Thot, alla sua sinistra, e da Elanor, a destra.

"Dunque è stata tutta un’illusione! Un trucco mentale di quel pusillanime burattinaio! Credevo di correre invece sono rimasta sempre nello stesso punto!"

"Tutt’altro! Hai corso davvero attorno al reame, ma non hai mai trovato l’uscita dall’anello di Giove né mai la troverai!" –Commentò Thot, avanzando di un passo, avvolto nel suo cosmo dorato, che infine calò d’intensità, mentre alcune forme del paesaggio iniziavano a mutare. Tutte le piramidi del Quinto Cerchio scomparvero e anche il suo suolo si fece brullo e arido, come i satelliti lo mostravano alla Terra. –"Non serve più che finga di essere in Egitto!"

"Thot?!" –Mormorarono Elanor e Matthew, mentre il Dio si voltava a fissarli con gli occhi lucidi.

"In fondo è sempre stata solo una grande finzione… pensare di vivere in sempiterna pace…" –Aggiunse, accennando un sorriso, prima di riportare lo sguardo sulla Makhai. –"Hai perso, spirito della battaglia! Puoi fare tutto il rumore che vuoi, tutto il frastuono che la tua collerica voce potrà produrre, ma mai, e ti ripeto mai, varcherai la soglia che conduce al Cerchio di Marte! Essa è celata dal mio cosmo divino, che ha smosso le sabbie lunari nascondendola a te e a coloro che dopo di te dovessero venire!"

"Pfui! Abbatterò questi mucchietti di sabbia con la mia Torre di Babele! Non sei Dio sapiente a sufficienza per prevederlo?"

"Non ti sarà facile!" –Sibilò il Nume, espandendo al massimo il proprio cosmo. No, ripeté tra sé, mentre la maestosa sagoma di un ibis ad ali spiegate compariva alle sue spalle, rilucendo contro il cielo stellato, tra poco non ti sarà affatto facile!

"Thot!!!" –Gridarono Matthew ed Elanor, che avevano compreso quel che il Selenite voleva fare.

"Fatti avanti, strega! Thot non ti teme! Questo sarà l’ultimo volo dell’ibis sacro!" –Declamò a gran voce, il cosmo ardente tutto attorno al suo corpo. –"Sommo Ra, in vostro nome combatto!!! Volo dell’Ibis!!!" –E sfrecciò verso Homados, le ali spumeggianti di energia cosmica, avvolto in un turbinio di sabbia che si abbatté sulla Makhai, disturbandone la visuale e impedendole di difendersi completamente.

Il contraccolpo scagliò Matthew ed Elanor indietro, sollevando nuvole di polvere. Quando queste si diradarono, i ragazzi poterono vedere Homados camminare a fatica, le braccia chiuse e appoggiate sul ventre ferito, sul volto un’espressione terribile, di dolore e al tempo stesso rabbia. Ai suoi piedi, immobile e spento, il corpo di Thot, la testa piegata in una posa innaturale, l’armatura in buona parte distrutta. Che fosse morto lo avevano già capito dall’esplosione del suo cosmo, fuso ormai adesso con le sabbie lunari.

"Bas… tardo!!!" –Ringhiò la Makhai, calando il tacco sul cranio del Dio e sprofondandolo con un sol colpo nel terreno. A tal vista, Matthew ed Elanor si scambiarono un’occhiata veloce, annuendo entrambi, prima di lanciarsi avanti.

Era giunto il loro momento di combattere!

***

Una folata di vento le solleticò il viso, strappandole un brivido di freddo e scuotendola dal sonno. Stordita, si girò confusamente su un lato, accorgendosi di essere su una branda, piuttosto vecchia e usurata a giudicare dalla durezza e dalle molle che tendevano ad emergere. Strizzando gli occhi, mise a fuoco l’immagine della stanza in cui si trovava, spartana e piena di spifferi, ma certamente diversa dall’idea di inferno che si era fatta, e capì di non essere morta.

Una brocca d’acqua su un cassettone vicino al letto, due fette di pane abbandonate e vestiti puliti piegati su una sedia di legno. Doveva trovarsi nella camera di un’antica magione, forse un castello, a giudicare dal pavimento e dalle mura di pietra e dall’assenza di qualsiasi tocco di modernità. Le ampie finestre arcuate garantivano la luminosità e il ricambio dell’aria e poco distante, a giudicare dal sordo scrosciare, pareva scorrere un fiume. O comunque un corso d’acqua. Si disse Tisifone, sollevando la schiena dalla branda e cercando di capire dove si trovasse.

E soprattutto perché.

L’ultimo ricordo che aveva, l’ultimo che era riuscita a recuperare dagli abissi annacquati della sua memoria, era la vista di una nave che affondava, distrutta da una violenta esplosione cosmica. E poi c’erano quelle strane guerriere dalle lunghe gambe, e Cliff che sparava a una di loro, il sangue, il comandante massacrato e un manufatto di cui aveva sentito soltanto parlare. Perché? Non poté evitare di chiedersi.

"Ti sei svegliata, finalmente!" –Esclamò una voce femminile, interrompendo i suoi pensieri. –"Credevo avessi intenzione di dormire altri due giorni!"

Di scatto si voltò verso la porta, tirando su la coperta per coprire il suo seno, sorpresa e imbarazzata. Probabilmente più sorpresa, che imbarazzata.

In fondo la donna che aveva appena parlato, e che era appena entrata nella stanza con una scodella ripiena di un liquido fumante, doveva averla vista nuda molte volte, vent’anni addietro, quando aiutava la madre a lavare la sorella minore.

"Eppure, da piccola, eri quella che più faceva disperare nostra madre, non volendo mai dormire!" –Continuò, poggiando la ciotola sul mobile accanto al letto e andando poi a sedersi sulla sedia di legno. –"Sei sempre stata inquieta, non è vero, Tisifone?"

"Ma tu… Morgana?!" –Scosse la testa la sorella, faticando a associare quel nome alla donna seduta di fronte a lei. Non soltanto perché erano passati quindici anni dal loro ultimo incontro, ma specialmente perché credeva fosse morta.