CAPITOLO TRENTASEIESIMO: LOTTA PER IL TRONO.

La devastante onda che lo schiantò contro la parete esterna di un edificio fece capire a Nettuno che Forco era davvero intenzionato a dirimere una volta per tutta un’antica questione. Chi fosse degno di sedere sul Trono del Mare e definirsi Imperatore degli Oceani e di tutti coloro che vi dimoravano. Ma gli fece capire anche qualcos’altro, ben più preoccupante della semplice ostentazione di un titolo onorifico, qualifica che, se non accompagnata da un significativo potere concreto, non aveva alcun valore. Gli fece intendere che Forco quel potere lo aveva, ne disponeva realmente, e la pressione cosmica con cui lo stava schiacciando a terra lo dimostrava.

"Come… è possibile?!" –Rantolò Nettuno, muovendo a malapena la testa e tentando di rimettersi in piedi. –"Hai recuperato tutto il tuo magnifico potere! Come hai fatto? E perché Zeus né nessun’altra attenta Divinità ha notato quest’improvvisa manifestazione di energia?"

"Già te l’ho spiegato, ma forse hai dell’acqua negli orecchi!" –Ridacchiò Forco, fissando il Nume Olimpico dall’alto, tronfio di quella posizione raggiunta. –"La mia rinascita non è stata istantanea, bensì graduale! Dopo la sconfitta che tu e Zeus mi imprimeste nel Mondo Antico, confinaste il mio spirito in una conchiglia di madreperla, che affidaste agli oceani, sperando che si perdesse nel perenne vagare lungo le correnti del pianeta, magari terminando la sua esistenza in una solitaria baia sperduta chissà dove. Caso volle che, secoli e secoli dopo, tali correnti mi abbiano trascinato lungo le coste dell’Africa Orientale, passando di mano in mano, tra tribù impaurite e vessate, mercenari avidi di potere e archeologi incuriositi da simile ritrovamento, finché non arrivai, o dovrei dire ritornai, nelle mani di mio padre!"

"Tuo… vuoi dire Ponto?! Fu lui a risvegliarti?!"

"Dieci anni fa, all’incirca… Mentre pianificava il ritorno di Gea sulla Terra, decise di abbandonare vetusti contrasti personali e riportarmi in vita, convinto che le Divinità ancestrali dovessero tutte stare dalla stessa parte. Io accettai, ma lo lasciai fare, riposandomi beato in oscuri e silenti abissi, che mi cullarono e nutrirono, aspettando con calma il giorno in cui sarei riemerso al pieno delle mie forze. Ho accresciuto la mia Dunamis con calma, come una pozzanghera aumenta di estensione al centellinare lento ma costante di una goccia d’acqua, mentre gli Dei nascevano e morivano, e con loro tutti gli imperi che avrebbero voluto restaurare. Ponto, Crono, i Titani, Zeus, di nuovo Crono, Ares. C’è voluto molto tempo ma sono potuto rinascere senza che nessuno mi notasse, neppure l’occhio attento di colui che tutto vede dall’Alto Colle! Del resto nessuno presta mai attenzione a quel che succede nei mari, un disinteresse che in questo caso ha giocato a mio esclusivo vantaggio! Mio e della mia stirpe che tu hai rifiutato!"

"Vergognati!!! Hai usato persino tuo padre, che aveva avuto fiducia in te, abbandonandolo nel momento del bisogno! Non provi rimorso alcuno?"

"Affatto! Sono sopravvissuto, a differenza sua e di altre Divinità obliate, e adesso porterò a compimento il suo proposito, riunendo tutti i più forti guerrieri dei mari, i cui spiriti ho risvegliato, sotto un’unica bandiera! E tu, Nettuno, sarai il primo tra i giovani Dei a cadere! Il primo a conoscere il vero potere della Panthalassa!"

"Questo è ancora tutto da accertare!" –Sibilò il Nume Olimpico, espandendo il proprio cosmo cristallino e spingendo Forco indietro, prima di rialzarsi, tridente in pugno, mirando al suo rivale. Ma questi non si lasciò prendere alla sprovvista, torcendo il bastone regale su cui attirò le guizzanti folgori liberate da Nettuno, parandole e neutralizzandole una ad una, per poi piantarlo nel terreno e imprimervi tutta l’energia accumulata. –"Aaahhh!!!" –Gridò il fratello di Zeus, il corpo percorso da così violente fitte da prostrarlo di nuovo a terra, in ginocchio, alla mercé nemica.

"Sei debole, Nettuno! Debole e insicuro! Li ho notati, fin da subito, i tuoi innaturali gesti! Non controlli a pieno il tuo corpo! Vuoi per non averlo utilizzato da secoli, vuoi per la tua sempiterna paura di ferirlo… e di morire!"

"È… vero!" –Rantolò il Dio, sollevando lo sguardo verso Forco, che invece nel suo corpo mitologico sembrava davvero a pieno agio. –"Troppo a lungo ho beneficiato di un simulacro atto a ospitare la mia Divina Volontà… troppo a lungo ho riposato in chiare, fresche e dolci acque, timoroso… della fine!"


"E la fine è arrivata, che tu lo voglia o meno!" –Incalzò l’ancestrale Divinità, calando il bastone dall’alto, mirando al collo dell’avversario.

"Non lo voglio!" –Si riprese questi di scatto, scansando appena il cranio e afferrando l’asta con la mano destra, incurante delle scariche energetiche che continuava ad emanare. –"Sebbene fossi al corrente che questo momento sarebbe giunto!"

"Co… come?! Tu sai?!"

Nettuno annuì, gli occhi irrorati di lacrime al ricordo di beati giorni persi nella memoria del tempo, una memoria che persino un Dio faticava a mantenere vivida. Non aggiunse altro e sollevò il braccio, bruciando il cosmo e scagliando un attonito Forco qualche metro indietro, obbligandolo ad una non troppo agile piroetta necessaria per atterrare a piedi uniti.

"Elmas me lo disse!"

"Elmas che tu condannasti a morte!!!" –Ringhiò Forco, a cui Cariddi aveva riferito l’intera vicenda, quando avevano brindato alla disfatta dell’impero di Nettuno.

"Era un uomo buono e giusto, che spesse volte mi aveva ben consigliato. Un saggio, come lo fu Vasteras per Zeus, che predisse la nostra rovina, la rovina della nostra generazione. Giovane, irruenta, sconsiderata, tutta dedita ad avere tutto e subito e a non saperlo conservare. Così mi apostrofò, quando Atlantide si inabissò ed egli, ferito a morte, scomparve tra i flutti. E aveva ragione, tutti i cicli cosmici sono destinati a terminare!" –Sospirò il Nume, rimettendosi in piedi. –"Mi aveva detto di non marciare su Atene, mi aveva suggerito di godermi lo splendore della mia civiltà, l’amore della mia gente, di non lasciare che la brama di possesso mi possedesse. Ma io non lo ascoltai e attaccai Atena, che si difese e riversò sulla mia isola la sua vendetta! I Cavalieri d’Oro annientarono i Generali degli Abissi, grazie a nuove armature che gli alchimisti di Mu avevano forgiato per loro, superando la maestria dei miei fabbri! Bellerofonte di Pegasus guidò le legioni di Atena fino alla Sala del Trono e persino la Dea della Guerra scese in campo, irata perché avevo osato mettere a repentaglio la vita dei suoi giovani! Lo scontro che ne seguì causò l’affondamento dell’isola, la morte di Elmas e la mia fuga… Sconfitto, disperato e solo, mi nascosi nel mio tempio privato, condannandomi ad un eterno silenzio…"

"Ed iniziando, da allora, ad utilizzare il corpo del primogenito dei Kevines ogni volta in cui volevi tornare a vedere il mondo, troppo impaurito per farlo con il proprio!" –Chiosò Forco, con voce sprezzante.

"Gli feci un onore! Arel Kevines fu il primo Dragone del Mare, il Comandante del mio Esercito, e si batté fino all’ultimo contro gli invasori ateniesi! Ogni volta in cui chiudo gli occhi mi sembra ancora di vederlo, agile e possente, combattere al porto di Atlantide mentre l’isola si inabissava, fino all’ultima stilla di energia!"

"Ah ah ah! Proprio un grande onore gli hai tributato, infettando la sua stirpe e condannandola ad essere il simulacro di un Dio codardo e fallimentare, che ha tradito se stesso, il suo popolo e il suo regno! Bah, è tempo di rimettere ordine nel mondo, lasciando che paghi chi tanti debiti ha accumulato, e nessuno deve al mare più di quel che gli devi tu!" –Esclamò l’ancestrale Divinità, espandendo il proprio cosmo, che lo sormontò come un cavallone gigantesco, pronto ad abbattersi su indifese rive.

"Se pensi di impressionarmi, Forco, non ci stai riuscendo!" –Commentò Nettuno, avvolto nella sua aura tersa. –"Sono un Dio come te e anch’io… so attaccare!!! Assaggia il Tridente del Re Pescatore!!!" –Esclamò, puntando l’arma avanti e liberando una devastante scarica di energia azzurra. Ma Forco, che si aspettava un attacco diretto di quel tipo, aveva già mosso le sue correnti d’acqua, attorniandosi di un muro protettivo, compatto ma al tempo stesso trasparente, da cui poté ammirare il volto del rivale tingersi di un’espressione stupita e infastidita.

"Tutto qua? Dal possente Nettuno Ennosigaeum, colui che generava terremoti soltanto battendo il piede al suolo, mi aspettavo molto di più! Ma perché mi stupisco? Sei vecchio, stanco e solo, tu stesso l’hai ammesso! E ai deboli non può essere consentito di sedere sul Trono del Mare! No, l’alto scranno oceanico mi appartiene!!! Kata Thalassa!!!" –Tuonò Forco, scatenando la furia devastatrice dei cavalloni di energia acquatica, che si abbatterono sul Nume Olimpico da ogni direzione, schiacciandolo, pressandolo e poi sollevandolo e travolgendolo di nuovo, fino a schiantarlo contro le mura esterne di un’enorme costruzione all’apparenza meglio conservata rispetto al resto dell’isola.

"Ouch…" –Balbettò Nettuno, mentre le acque si ritiravano, lasciandolo fradicio di sangue e vergogna sulla soglia dell’edificio da lui stesso costruito, profondendovi quel che restava del suo cosmo, prima di condannarsi a un millenario riposo.

"Ecco, resta lì! Non ti muovere! Voglio che tu ammiri il completarsi del mio progetto di dominio e rivalsa!"

"Di… cosa vai cianciando, Forco?!" –Affannò Nettuno, sputando e tossendo acqua, mentre si rimetteva in piedi.

"Credevi che non fossi a conoscenza del tuo segretuccio?" –Ironizzò l’ancestrale Divinità, sollevando lo scettro e indicando la costruzione di fronte a sé.

Nettuno non ebbe neppure bisogno di voltarsi per sapere cosa intendesse, del resto era proprio lì che si stava dirigendo prima che Forco e Cariddi attaccassero. Non disse alcunché, limitandosi a fulminare l’avversario con sguardo ostile.

"Non ti permetterò di violare la cripta ove Elmas riposa! Questo mausoleo è tutto quel che resta della sua memoria!"

"Ouh! Io credo che nasconda molto di più!" –Ghignò Forco, con sguardo avido e compiaciuto. –"Tu stesso hai ammesso che il corpo del consigliere fu travolto dai flutti, quindi dubito che riposi là dentro!"

"Come osi?! Mi dai del bugiardo e miri a profanare la tomba di un uomo giusto e misericordioso che soltanto pace voleva per il suo regno?!"

"Pace che tu non hai abbracciato!" –Puntualizzò il Dio antico, avanzando verso Nettuno. –"Ideali che tu per primo hai calpestato salvo poi, invaso dai sensi di colpa per la morte del vecchio amico, lavarti la coscienza omaggiandolo, scegliendo come simbolo il suo tridente ed erigendo quest’opulento monumento funebre! Un po’ voluminoso per essere solo una tomba!"

"Non permetterti…" –Ma il fratello di Zeus non riuscì a terminare la frase che venne colpito sul mento da una stoccata di Forco, il cui bastone lo spinse di lato, schiantandolo contro il peristilio.

"Tu non permetterti, casomai! Non puoi permetterti più niente, fallito di un Dio minore! Solo di guardare mentre mi prendo quel che mi serve! L’oricalco che tanto a lungo hai celato! Ah ah ah! Ottima idea, Nettuno, nasconderlo nella cripta del tuo consigliere! Il modo migliore per tenerlo in bella vista senza che nessuno se ne accorgesse!" –Rise Forco prima di piantare lo scettro nell’interstizio tra le due porte centrali, imprimendovi poi tutto il suo cosmo. –"Ora, dal momento che non hai più alcun esercito, non ti dispiacerà se me ne servirò io…" –E liberò una violenta scarica di energia, che percorse l’intera facciata del mausoleo, facendolo tremare fino ai basamenti.

Qualche colonna si spezzò, crollando a terra, fregi e architravi andarono in frantumi, ma la struttura pareva resistere, ben difesa dal divino cosmo di Nettuno che, nel corso dei secoli, aveva eretto una silenziosa ma consistente barriera protettiva.

"Apriti, maledetto!!!" –Tuonò Forco, salvo poi spostare lo sguardo verso l’avversario prostrato a terra, e capire. Che non tutta la sua debolezza era imputabile al breve scontro sostenuto ma a un logorante impiego del cosmo che durava da secoli. –"Sei… folle!!! Così tanto temevi che qualcuno si impadronisse dell’oricalco?"

Nettuno non rispose, limitandosi a rimettersi in piedi e a fissare il Dio negli occhi, accennando per la prima volta un sorriso di sfida, prima di lasciar esplodere il proprio cosmo, concentrandolo attorno alla gamba destra.

"Enosis!!!" –Avvampò, calandola a terra e spaccando l’antico lastricato dell’isola.

Una scossa improvvisa fece barcollare Forco, subito seguita da un’altra, mentre l’intera pavimentazione di Atlantide iniziava a tremare, schiantandosi poco dopo e trascinando a terra tutti gli edifici che il tempo aveva conservato. Faglie si aprirono lungo l’intera lunghezza del perduto regno, da cui presto getti e onde d’acqua schizzarono fuori, mentre numerose zolle sprofondavano di nuovo nell’abisso.

"Meglio che nessuno l’abbia, piuttosto che tu!" –Precisò Nettuno, osservando il volto sbigottito e frustrato di Forco, che doveva balzare da un lastrone di terra all’altro per non inabissarsi a sua volta.

"Idiota!!! A tanto sei disposto? A sacrificare tutto, persino l’ultimo ricordo del tuo perduto regno?" –Lo apostrofò, scagliandogli contro il bastone ornato dalla conchiglia, che si piantò ai piedi del Nume Olimpico, esplodendo e scaraventandolo contro il portone del mausoleo, ancora stabile ed eretto al centro dell’ultima grande zolla dell’isola, dove anche Cariddi stava affrontando Titis e i Cavalieri di Atena.

Nettuno incespicò nel rialzarsi, afferrando un battente del complesso funerario e usandolo per rimettersi in piedi, perdendosi a rimirare i tridenti scolpiti sui portoni.

"Elmas…" –Mormorò, trovando nel ricordo dell’antico saggio la forza per continuare a lottare, portando al parossismo il proprio cosmo divino. –"Perdonami se puoi! Il fato, per mano di Zeus, mi ha offerto una seconda occasione. La giocherò per te!!!"

Un’aura cristallina lo avvolse, illuminando quel che restava della piazza centrale di Atlantide, costringendo Forco a coprirsi gli occhi per non restare folgorato da quell’intenso lucore. Quando la luce diminuì di intensità, vide che Nettuno aveva aperto le porte del mausoleo, rivelando quel che giaceva al suo interno, in solinga attesa del suo padrone.

Al centro di una bara vuota, protetta da un colorato strato di fiori animali, un enorme corno di conchiglia riluceva pallido. Così grande da non poter essere reale.

"Che sia…?!" –Rifletté l’ancestrale Divinità, proprio mentre il cosmo di Nettuno entrava in sincronia con l’oggetto stesso, che brillò di luce accesa, distruggendo il corallo che lo proteggeva e portandosi di fronte al Nume, che ne sfiorò la superficie sorridendo, prima di voltarsi verso Forco e annuire.

Un istante dopo il corno di conchiglia si scompose in varie parti, tante quanti i pezzi che componevano la Veste Divina di Nettuno, che ricoprirono prontamente il suo corpo, donandogli nuovo vigore. Adesso, rivestito della sua prima corazza, poteva affrontare Forco nel pieno delle sue forze.

"Un altro inganno?!" –Bofonchiò questi. –"Non soltanto rifiutasti di usare il proprio corpo, persino la Veste Divina nascondesti, affidando la protezione del tuo pupillo ad un ben più friabile guscio! Doppia vergogna, Nettuno!!! Non vali davvero niente come Dio!"

"Taci, miserabile, e mira il potere del mare azzurro! Corno di Tritone, echeggia!!!" –Esclamò il fratello di Zeus, mentre un gigantesco corno di conchiglia, di color oro vivo, splendeva nel cielo sopra di sé, liberando un fiume di energia contro Forco.

"Ah ah ah! Tutto qui l’impeto che sei in grado di infondere alle tue correnti, Nettuno? È questo per te il valore del mare?! Mi fa’ ridere! Mi fai ridere!!!" –Tuonò l’antico rivale, espandendo il cosmo e fronteggiando a piedi uniti l’assalto nemico, incurante del flusso energetico che l’Olimpico Nume stava riversando su di lui. –"Non potrai ferirmi con la forza delle acque, perché le acque appartengono a me! Io sono il mare primordiale, il mugghiare furioso di flussi infiniti! E questa è la Prima, e per te ultima, Onda! L'onda da cui è nata la vita e l'onda che sommergerà questo declinante mondo! Kata Thalassa!!!"

Nettuno impallidì di fronte a tale pura potenza, che aveva percepito soltanto nel giovane Zeus ai tempi della Titanomachia, quando il suo cosmo splendeva abbacinante come un sole in terra, meritandosi a buon diritto l'appellativo di Signore di Tutti gli Dei. In Forco c'era una forza diversa, dovette ammettere, di stampo primordiale, a tratti oscura, ma ugualmente in grado di rovesciare mondi. E vincerlo.

Il gigantesco maroso di energia cosmica travolse Nettuno, strappandogli il tridente di mano e scaraventandolo all'interno del mausoleo, proprio contro la gabbia di coralli che aveva preservato a lungo la sua corazza. L'intera struttura tremò per un istante, le porte vennero scardinate, numerose colonne crollarono e persino un muro interno, rivelando, anche da lontano, un bagliore caratteristico. Un azzurro pallido che soltanto un materiale poteva emettere.

Forco sogghignò, muovendo un passo verso l'ingresso della costruzione, deciso a strappare a Nettuno anche il suo ultimo tesoro, quando un leggero spostamento d'aria lo raggiunse, portandolo a voltarsi di scatto, giusto in tempo per osservare tre snelle figure balzare su di lui da posizioni diverse. E incorrere tutte nel medesimo triste destino.

"Quale onore!" –Ridacchiò il Dio, sollevando il bastone e ponendolo in trasversale rispetto a sé, liberando guizzanti folgori di energia. –"Non mi capita tutti i giorni che ben tre donne mi saltino addosso! E che donne! Giovani, belle, formose! Fossi stato di carattere più dissoluto, avrei di certo approfittato di una così succulenta offerta! Ma, ahimè, per voi ahimè, il mio cuore appartiene ad un'altra e sono fedele di natura, per cui da me non avrete alcuna attenzione, tranne la risoluta risposta ad un eventuale fastidio che per scelta potreste darmi!" –Aggiunse, fermando la carica delle guerriere e scagliandole poi a terra, stritolate da folgori bluastre che ne straziarono le già martoriate corazze.

"Morgana!!! Tisifone!!!" –Gridarono due giovani dai capelli colorati e le armature malconce, accorrendo in loro aiuto.

"E voi chi sareste? I Cavalieri dell'Apocalisse?! Tremo di terrore!" –Li derise Forco, mentre i ragazzi declamavano a gran voce la loro provenienza.

"Siamo Reda e Salzius, allievi del grande Albione, dell'Isola di Andromeda! E in suo onore combattiamo!"

"Ma fatemi il piacere!" –Li annientò il Dio, scaraventandoli in mare aperto con un solo cenno della mano, prima ancora che potessero tentare una qualsiasi tecnica.

"Aaargh!!!" –Rantolò Titis, affannando nel rimettersi in piedi. –"Nettuno, mio Signore... devo aiutarlo! Forco non deve raggiungere... il giacimento di oricalco!"

"No, non devi niente a nessuno, sirena! Lascialo al suo destino e tiratene fuori! L'offerta che feci al tuo Dio la rinnovo a te, che sei bella e piena di vita! Accettala e concludi degnamente la tua esistenza, alla corte del vero Sovrano dei Mari! Non gettarla via inseguendo un sogno fatuo destinato a schiantarsi contro gli scogli della dura realtà!" –Le disse Forco, avvicinandosi. Quindi, non ottenendo altra risposta che uno sguardo astioso, la colpì con lo scettro, gettandola a terra e piantandole poi la punta nel palmo della mano. –"Ultima possibilità, donna! Prendere o lasciare?"

"Prendere!!!" –Gridò allora l'acuta voce di Tisifone, scattando alle sue spalle e tempestandolo con una raffica di scariche energetiche. –"Ma prendi tu gli Artigli del Cobra!!!"

"Sciocca!!!" –Commentò Forco, torcendo il bastone, che attirò tutte le saette violacee, vanificando l'attacco. –"Cariddi avrebbe dovuto annientarvi fin da subito, ma ha sempre avuto una predilezione per le Sacerdotesse di Atena! Forse perché, nel Mondo Antico, di una di loro si era infatuato, così tanto da contribuire a spingerlo verso l'opposta fazione! Errore che, da quel che noto, ha pagato caro!"

"Mai quanto pagherai tu! Ho ascoltato i tuoi deliri imperiali e... grazie ma non ci tengo che la Terra diventi un unico oceano! Non so quale guerra sia alle porte, ma non ti permetterò di..."

"Chetati!" –Sibilò il Dio, muovendo lo scettro e sbattendo la Sacerdotessa a terra, facendole perdere la maschera eburnea. –"Ma bene! Cosa abbiamo qua? Guarda che bel faccino!" –Ironizzò, puntando il bastone alla gola di Tisifone e costringendola a voltarsi, e a sputargli in faccia tutto il suo disprezzo. –"Sentiti onorata, sarai la prima a cadere per mia mano! Ma non temere, le tue amichette ti raggiungeranno presto!" –Aggiunse, premendo l'asta sul petto del Cavaliere d'Argento, fino a schiantarle l'armatura e a raggiungerle la pelle al di sotto.

Ma prima che potesse trapassarle il costato, un ululato sinistro riempì l'aria, un suono greve che rimbalzò di zolla in zolla, invadendo l'isola intera e costringendo Forco a sollevare lo sguardo, cercandone l'origine. Si stupì, al pari di Titis e Tisifone, nell'accorgersi che, mentre stavano combattendo, l'isola era stata circondata da decine di navi. Imbarcazioni che, osservandole con attenzione, riconobbe come velieri e vascelli, ornati con le inequivocabili bandiere dei pirati.

"Uh?!" –Mormorò il Dio ancestrale, allontanandosi dalle donne ferite e salendo in cima ad un rialzo nel terreno, per guardare meglio.

Proprio in quel momento da ogni imbarcazione partì un colpo di cannone, anticipando una pioggia di voluminosi proiettili neri, tutti diretti su Forco.

"Cosa sarebbe questo spettacolo? Il patetico tentativo degli umani di darmi il bentornato?! Tsè! È destinato a immediato naufragio!" –Ghignò, sollevando lo scettro e dirigendo violenti folgori di energia verso ciascuna palla di cannone. Ma, con suo sommo stupore, i proiettili non subirono alcun danno, proseguendo la loro traiettoria verso di lui. –"Che cosa???" –Esclamò, stupito e indispettito, rinnovando l'assalto, che nuovamente non incontrò esito alcuno.

Fu allora che un'agile figura gli balzò sulla schiena, le dita della mano allungate a guisa di artigli e cariche di venefica energia cosmica.

"Hai perso la bussola, Dio dei Mari? Lascia che ti ricordi dove sta il nord! Qua!" –Esclamò la donna, mirando al suo collo.

"Idiota!" –La redarguì subito lui, voltandosi di scatto, il bastone puntato in alto, verso il cuore dell’avversario.

"Mor… gana…" –Balbettò Tisifone, osservando attonita la sorella impalata sullo scettro di Forco. –"Morganaaa!!!" –Gridò, rialzandosi di colpo e barcollando avanti.

"Bel tentativo! C’ero quasi cascato! Ma non dimenticare che sono un Dio e i miei sensi superano qualsiasi limite umano!" –Commentò il Nume, mentre la donna rimaneva in silenzio, trattenendo il dolore atroce, come aveva fatto fin da bambina. Del resto la vita le aveva strappato ben più solidi legami.

"Il colpo della bandiera… almeno quello… te lo darò…" –Rantolò, cercando di sollevare un braccio, prima di venir scaraventata addosso a Tisifone.

"Perché? Perché lo hai fatto, Morgana?!" –Pianse quest’ultima, stringendo forte la sorella mentre moriva.

"Risponditi da sola." –Le sorrise la piratessa, spegnendosi poco dopo, il volto rorido dalle lacrime di Tisifone.

"Una scena davvero poetica! Ma inutile! Avreste potuto risparmiarvi tutti questi guai rimanendone fuori!" –Commentò Forco, passando oltre i loro corpi feriti e raggiungendo infine l’ingresso al deposito di oricalco, senza sorprendersi troppo di trovarvi Nettuno, ripresosi finalmente dal precedente assalto. –"Ancora insisti?"

"È naturale! Se persino i Cavalieri di Atena muoiono per difendermi, nonostante io li abbia combattuti in passato, come puoi pensare che sia disposto ad affidarmi a delicate fanciulle guerriere per proteggere i miei territori?" –Esclamò l’Olimpico Nume, espandendo il proprio cosmo e strappando una risata all’antico rivale.

"Niente più ti appartiene, Nettuno! Credevo lo avessi capito, ormai!" –Sospirò questi sconsolato, prima di contrastarlo con la propria aura cosmica, saturando l’aria di folgori energetiche pronte a scatenarsi in un’ultima imprevedibile danza.

Fu mentre Forco stringeva la mano attorno all’impugnatura a conchiglia, sollevando lo Scettro dei Mari, che si accorse che Nettuno non aveva più il suo tridente. Nello stesso momento sentì qualcosa colpirlo alla schiena, un colpo netto e preciso che lo trapassò, costringendolo ad abbassare lo sguardo proprio mentre le punte di tre lame argentee sbucavano fuori dall’addome.

"Uh?! Ouch!"

Titis, Tisifone e persino Nettuno rimasero attoniti ad osservare la figura sgusciata fuori da dietro una colonna dell’antico tempio, un uomo che non vedevano da mesi e che mai avrebbero creduto di ritrovare sull’isola perduta.

"Ma quello…" –Balbettò la sirenetta, osservandone gli abiti eleganti di John Richmond, i curati capelli azzurri e l’affascinante volto delicato in cui amava rispecchiarsi in sua presenza.

"Julian Kevines!!!" –Esclamò Tisifone, mentre il giovane si allontanava di qualche passo, osservando Forco crollare sulle ginocchia, il sangue divino che gli imbrattava il ventre e le vesti.

Nettuno approfittò di quel momento, richiamando a sé il tridente di scaglie d’oro e portando il cosmo al parossismo, prima di liberare una devastante folgore di energia che piovve dal cielo proprio contro il figlio di Ponto, centrandolo in pieno e distruggendo il suolo attorno e sotto di sé. Annaspando per la duplice ferita, Forco cercò di trascinarsi verso il più vicino bordo dell’isola, nonostante Nettuno lo incalzasse con una continua pioggia di fulmini azzurri. A fatica, raggiunse il limitare della zolla e si gettò di sotto, sprofondando nell’oceano e tingendolo di rosso.

"È… finita…" –Incespicò Titis, rialzandosi, nonostante le numerose ferite aperte.

Il suo Signore annuì, prima di uscire dal mausoleo e ricongiungersi alle donne che avevano lottato per lui. Anche Julian Kevines si era avvicinato, lo sguardo improvvisamente stranito, quasi avesse appena compreso di trovarsi su un’isola ignota in mare aperto.

"Julian! Cosa fai qua? Come… sei arrivato?!"

"Io… ero a Capo Vicente, nella residenza di famiglia, quando ho sentito un richiamo all’improvviso… una voce parlare dagli abissi della mia coscienza. Così, inseguendo questa mistica melodia, ho preso il largo con uno dei miei motoscafi, giungendo fin qua… e aspettando il momento giusto per intervenire!"

"La voce che hai sentito, e che ti ha guidato fin qua, dove la storia della tua dinastia ha avuto origine, è stata la voce di un Dio, Nettuno per l’esattezza, la cui Divina Volontà hai ospitato nel tuo corpo, al pari dei tuoi predecessori!" –Confessò il fratello di Zeus, guardando il giovane negli occhi e ponendogli infine una mano su una spalla. –"Forse non lo rimembri, ma credo sia giusto che tu abbia questo!" –Aggiunse, sfiorandogli la fronte. –"I tuoi ricordi. I nostri ricordi."

A quel tocco Julian trasalì, spalancando gli occhi di colpo, mentre una valanga di immagini gli riempiva la mente. Dalla festa per il suo compleanno, in cui Titis lo aveva trascinato via, all’incoronazione a Re dei Mari, fino alla battaglia con Atena e i Cavalieri dello Zodiaco.

"Io… ho fatto tutto questo?! Io ho causato così tanto dolore, sommergendo migliaia di innocenti sotto un nuovo diluvio universale?!" –Mormorò, sconcertato, prima che la voce severa del Dio gli togliesse ogni dubbio.

"No, Julian! Non tu, ma io sono il colpevole! Io, Nettuno, il Dio che non è stato degno di essere tale! Forco, su questo, aveva ragione! È tempo di andare avanti, è tempo che anche gli Dei, al pari degli uomini, si prendano le loro responsabilità, e io lo farò fin da subito!" –Spiegò il Nume, prima di compiere un gesto che stupì tutti i presenti.

Fissò l’erede dei Kevines negli occhi e poi si inginocchiò.

"Ti chiedo perdono, Julian, per aver abusato di te, del tuo corpo, della tua volontà, sovvertendola ai miei propositi, solo per la paura di ferirmi. Solo per la paura della fine. È strano, adesso che la fine di tutto è realmente arrivata, non provo più niente, alcuna paura, solo un gran desiderio di vivere! Quale ironia!"